N. 743 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 ottobre 1992

                                N. 743
 Ordinanza  emessa il 9 ottobre 1992 dal tribunale di Mantova, sezione
 lavoro nel  procedimento  civile  vertente  tra  Chiodini  Iolanda  e
 I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Ratei di
    pensione  erogati  in misura non dovuta - Non ripetibilita', salvo
    il dolo del percipiente - Sopravvenienza di legge, presentata come
    interpretativa, ma contenente quattro  innovazioni  relative  alle
    condizioni  per la ripetibilita' delle somme pagate e non dovute -
    Applicabilita'  della  stessa  -   Irragionevolezza,   atteso   il
    contrasto    dell'interpretazione    autentica   con   consolidata
    giurisprudenza - Sottrazione agli organi giudicanti del potere  di
    interpretazione   delle   norme   -  Violazione  dei  principi  di
    soggezione del giudice alla sola legge  e  di  indipendenza  della
    magistratura  -  Incidenza  sul diritto all'assicurazione di mezzi
    adeguati per le esigenze di vita.
 (Legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 13, primo comma; legge 9 marzo
    1989, n. 88, art. 52, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 38, 101 e 104).
(GU n.50 del 2-12-1992 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
                           FATTO PROCESSUALE
    Con ricorso, depositato il 1º marzo 1990, al pretore di Manova  in
 funzione  di  giudice  del  lavoro  Iolanda  Chiodini esponeva quanto
 segue.
    In  data  12  dicembre  1988  ella  aveva  ricevuto  dall'Istituto
 nazionale  della  previdenza  sociale,  sede  di Mantova, una lettera
 raccomandata con la quale le si comunicava che era stato a suo carico
 accertato un indebito di L. 14.496.790, invitandola al rimborso.
    Secondo l'I.N.P.S.,  le  sarebbe  stata  indebitamente  attribuita
 l'integrazione  al  trattamento  minimo  sulla pensione di vecchiaia,
 decorrente dal 1º maggio 1984,  per  il  periodo  1º  agosto  1984-31
 dicembre 1988.
    Ella  aveva  allora  ricorso,  con  nota  del 23 dicembre 1988, al
 comitato provinciale dell'I.N.P.S.,  osservando  che  in  materia  di
 assicurazioni sociali il provvedimento di rettifica non aveva effetto
 retroattivo,  per  le pensioni concesse sia su erronea valutazione di
 fatti noti, sia sull'erronea supposizione ed obliterazione di norme.
    In  difetto   di   una   norma   che   limitava   le   conseguenze
 dell'annullamento,  si  doveva  ritenere  che,  decorso  l'anno dalla
 comunicazione  dell'avviso  di  assegnazione  della  pensione  o   di
 maggiorazione  della  stessa,  le  successive rettifiche di eventuali
 errori di liquidazione, purche' non dovute a  dolo  dell'interessato,
 erano  possibili  solo  per  il futuro, sicche' l'I.N.P.S. non poteva
 ripetere le somme erroneamente pagate.
    La deroga al principio  enunciato  nell'art.  2033  del  c.c.  era
 giustificata  dalla  particolare situazione in cui si sarebbe trovato
 il pensionato, se fosse stato esposto al rischio di dover  restituire
 somme  percepite  in buona fede e in base a provvedimenti formalmente
 ineccepibili, e spese per sopperire ad esigenze elementari di vita.
    Con nota  del  17  novembre  1989  l'I.N.P.S.  aveva  respinto  il
 ricorso.
    Peraltro  la  pretesa  dell'istituto era senza dubbio infondata di
 fronte al chiaro disposto dell'art. 52  cpv.,  della  legge  9  marzo
 1989, n. 88.
    Chiedeva pertanto che si accertasse l'inesistenza del suo asserito
 obbligo di rimborso dei ratei indebitamente corrispostile.
    Costituitosi  il  contraddittorio,  l'ente convenuto replicava nel
 modo che di seguito si espone.
    In primo luogo,  la  domanda  era  improponibile,  atteso  che  la
 ricorrente  aveva  fatto  acquiescenza  alla  richiesta  di rimborso,
 chiedendo di estinguere l'indebito mediante trattenute mensili di  L.
 100.000 sul trattamento pensionistico e riconoscendo - all'evidenza -
 il proprio obbligo.
    All'epoca  era ancora pendente il ricorso amministrativo, ma nelle
 more era intervenuto l'art. 52 della legge n. 88/1989, per cui, prima
 di procedere giudizialmente, l'interessata avrebbe dovuto chiedere un
 riesame della questione alla luce delle nuove disposizioni di  legge.
 Invece  aveva  persino  omesso  di  comunicare  all'Istituto  la  sua
 intenzione di agire in giudizio, violando l'acordo stipulato in  sede
 nazionale dal patronato cui aveva affidato la propria assistenza.
    Comunque il ricorso era nullo per carenza assoluta di motivazione,
 non  avendo  la  Chiodini indicato la ragione per la quale l'invocato
 art. 52 sarebbe applicabile.
    In ogni  caso,  la  ricorrente  non  avrebbe  potuto  invocare  la
 sanatoria prevista dalla citata disposizione.
    Infatti  Iolanda  Chiodini,  con  la  domanda  di  pensione del 12
 novembre 1984 aveva dichiarato un reddito da lavoro dipendente pari a
 L. 7.185.000, e  la  pensione  risultava  parzialmente  integrata  al
 minimo (maggio 1984, L. 202.400 anziche' 332.000). Successivamente, a
 seguito  di  revisione  generalizzata,  nel  1985,  la Chiodini aveva
 dichiarato  redditi  inferiori  a  quelli  posseduti,  omettendo   di
 segnalare   i  redditi  da  pensione  di  reversibilita'.  Dopo  tale
 dichiarazione,  era  stata  ricostituita  in  aumento   la   pensione
 integrata al minimo, con la corresponsione alla pensionata, nel corso
 del 1987, della somma di L. 4.799.225, per arretrati.
    Soltanto  il  15  dicembre  1987 la pensionata aveva presentato le
 dichiarazioni reddituali relative agli anni 1983, 1984, 1985, 1986  e
 1987,  a seguito delle quali si doveva procedere alla riduzione della
 pensione per superamento dei limiti di reddito.
    L'omessa  dichiarazione   degli   effettivi   redditi   realizzava
 un'ipotesi di dolo.
    Comunque   mancava   il  presupposto  imprescindibile  dell'errore
 ascrivibile all'istituto: si  era  trattato  della  mera  conseguenza
 della  successiva acquisizione di fatti (il superamento dei limiti di
 reddito) che solo gli interessati potevano dichiarare.
    Ne' erano riconducibili a errori dell'ente i tempi di  attuazione,
 a causa della molteplicita' dei trattamenti.
    L'Istituto nazionale della previdenza sociale invocava quindi:
      1) la declaratoria d'improponibilita' della domanda;
      2) comunque, la sua reiezione perche' infondata;
      3)  in  via  riconvenzionale,  la  condanna  della ricorrente al
 pagamento della somma di L.  14.496.790,  con  gli  interessi  legali
 dalla domanda al saldo.
    Venivano   prodotti   documenti   e  disposta  l'ammissione  della
 ricorrente al gratuito patrocinio;  all'esito  dell'istruttoria,  con
 decisione del 5 febbraio 1992 l'adi'to pretore cosi' provvedeva:
      respingeva la domanda di Iolanda Chiodini;
      in  accoglimento  della domanda riconvenzionale e dell'I.N.P.S.,
 condannava l'attrice al pagamento della somma di L. 14.496.790, oltre
 agli interessi legali dalla domanda al saldo;
      compensava fra le parti le spese processuali;
      poneva a carico dell'erario quelle sostenute dall'attrice.
    Il primo giudice perveniva a tale decisione sulla  premessa  delle
 seguenti considerazioni.
    L'eccezione  di  nullita'  era infondata, atteso che la domanda si
 presentava  sufficientemente  motivata,  tanto  da  aver   conseguito
 all'I.N.P.S. da difendersi adeguatamente.
    Parimenti da disattendere era l'eccezione d'improponibilita' della
 domanda:  la  pretesa acquiescenza della ricorrente alla richiesta di
 rimborso da parte dell'ente convenuto era contraddetta dalla pendenza
 del ricorso amministrativo precedentemente proposto.
    Nel merito, la domanda era priva di fondamento.  L'art.  52  della
 legge n. 88/1989, univocamente interpretata dalla Corte di cassazione
 nel   senso   della   generale   irripetibilita'   delle  prestazioni
 indebitamente corrisposte dagli isituti  previdenziali,  con  l'unico
 limite costituito dal dolo dell'interessato, aveva formato oggetto di
 una  recente  legge  d'interpretazione  autentica,  la  n. 412 del 31
 dicembre 1991, la quale aveva codificato come causa di  ripetibilita'
 delle  somme  indebitamente corrisposte la condotta dell'interessato,
 il quale ometta di segnalare o  segnali  in  modo  incompleto  "fatti
 incidenti  sul  diritto o sulla misura della pensione goduta, che non
 siano  gia'  conosciuti  dall'ente  competente".   Risultava   dunque
 superfluo  l'accertamento del dolo della ricorrente, la quale infatti
 aveva reso una segnalazione incompleta dei propri redditi,  con  cio'
 inducendo  l'I.N.P.S.  a corrisponderle la non dovuta integrazione al
 trattamento minimo della pensione di vecchiaia per il periodo dal  1º
 agosto 1984 al 31 dicembre 1988.
    Tale condotta rendeva giustificata la domanda riconvenzionale.
    Avverso  detta  pronuncia  Iolanda  Chiodini  proponeva appello al
 tribunale di Mantova, con ricorso depositato il 17 aprile 1992, per i
 seguenti motivi.
    L'art. 13, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n.  412,  di
 interpretazione  autentica dell'art. 52, secondo comma, della legge 9
 marzo 1989, n. 88, era incostituzionale in relazione  agli  artt.  3,
 38, 101 e 104 della Costituzione.
    In  ogni caso, l'operato dell'I.N.P.S., nella fattispecie, non era
 stato  immune  da  errori.  Infatti  era  se  era  vero   che   nelle
 dichiarazioni  reddituali  dagli anni 1983, 1984 e 1985 l'interessata
 aveva riportato soltanto i redditi catastali della casa  d'abitazione
 (che   non   dovevano,   peraltro,  essere  indicati),  omettendo  di
 menzionare quello  relativo  alla  pensione  di  reversibilita',  era
 altrettanto  vero che nella stessa domanda di pensione diretta del 16
 novembre 1984 aveva esattamente riportato  la  titolarita'  anche  di
 quella di reversibilita', per l'importo di L. 7.185.000.
    Tale indicazione aveva comportato la liquidazione, nel 1985, della
 pensione  diretta  in  misura  ridotta  proprio sul presupposto della
 titolarita' della pensione di reversibilita'.
    Dunque l'I.N.P.S.,  pur  essendo  in  possesso  di  tutti  i  dati
 conoscitivi,  aveva emesso un provvedimento errato (la ricostituzione
 della pensione diretta), che ben avrebbe potuto evitare con un minimo
 di attenzione da parte del funzionario.
    Da tali circostanze emergeva poi la sua assoluta mancanza di dolo,
 consideranto     unico    elemento    ostativo    all'irreperibilita'
 dell'indebito.
    Tanto premesso, conveniva l'Istituto  nazionale  della  previdenza
 sociale  al  giudizio  di  questo tribunale, per sentir accogliere la
 domanda proposta in primo grado  e  comunque,  sospeso  il  giudizio,
 dichiarare non manifestamente infondata la questione d'illegittimita'
 costituzionale  della norma suddetta e ordinare la trasmissione dagli
 atti alla Corte costituzionale.
    In ogni caso, con integrale refusione delle spese di lite.
    L'appellato si  costituiva,  affermando  in  primo  luogo  che  la
 disposizione   in   esame   era   costituzionalmente   legittima,  ed
 osservando,  nel  merito,  che  la   versione   dei   fatti   fornita
 dall'appellante non poteva essere condivisa.
    Infatti  i  documenti  dimessi  dimostravano  che la legge 9 marzo
 1989, n. 88, all'atto della presentazione della domanda  di  pensione
 di vecchiaia (12 novembre 1984) aveva dichiarato d'aver prodotto, nel
 1983,  un  reddito  da  lavoro  dipendente  pari  a L. 7.016.000 e di
 prevedere, per l'anno 1984, un reddito (sempre da lavoro  dipendente)
 di  L.  7.185.000.  Nel  1985,  a  seguito  di  revisione  reddituale
 generalizzata, la legge 9 marzo 1989, n. 88, contrariamente a  quanto
 in precedenza dichiarato, aveva indicato redditi da lavoro dipendente
 pari  a  L.  26.000  per  l'anno 1983, L. 28.000 per l'anno 1984 e L.
 28.000 per il 1985.
    Sulla scorta di tale revisione, in base ai redditi dichiarati,  la
 pensione   di   vecchiaia  era  stata  ricostituita  in  aumento  per
 integrazione al trattamento minimo e la relativa corresponsione  alla
 pensionata - nel corso del 1987 - della somma di L. 4.799.225.
    Alla  fine  del  1987  la  Chiodini,  avvedutasi  chiaramente  che
 l'integrazione  al  minimo  non   le   spettava,   aveva   presentato
 all'I.N.P.S.,  il  15  dicembre  1987,  una  domanda complementare in
 bianco e con evidenti cancellature, con la quale intendeva indicare i
 redditi effettivamente goduti per gli anni 1983, 1984, 1985,  1986  e
 1987 (in via presuntiva).
    Soltanto  in questa occasione aveva posto in evidenza il godimento
 del trattamento  pensionistico  di  reversibilita',  indicato,  nelle
 precedenti dichiarazioni, come proveniente da lavoro dipendente.
    La Chiodini voleva in tal modo ovviare alle precedenti omissioni o
 imprecisioni,  diversamente  non rilevabili perche' i controlli erano
 impostati esclusivamente  sulle  dichiarazioni  reddituali  da  parte
 degli interessati e la programmazione meccanografica operava soltanto
 su questi dati.
    Se  vi fosse stato o meno il dolo dell'interessata poco importava.
 L'omessa o incompleta (nel caso  in  esame  errata)  segnalazione  da
 parte  della pensionata di fatti incidenti sul diritto o sulla misura
 della pensione goduta -  non  conosciuti  ne'  conoscibili  dall'ente
 erogatore  in  presenza di un controllo affidato alla responsabilita'
 del pensionato - comportava la ripetibilita'  delle  somme  percepite
 dalla Chiodini.
    In  ogni  caso,  aggiungeva  l'ente  convenuto  riportandosi  alle
 deduzioni esposte in primo grado, mancava assolutamente un errore  ad
 esso imputabile e non trovava applicazione la pretesa sanatoria.
    Sulla  premessa  di  tali  argomentazioni,  chiedeva  la reiezione
 dell'appello e la conferma in toto dell'impugnata  sentenza.  Con  il
 favore delle spese del secondo grado di giudizio.
    Quindi   la  causa,  sulle  conclusioni  tarscritte  in  epigrafe,
 all'esito dell'udienza di discussione  del  9  ottobre  1992,  veniva
 decisa come da dispositivo, di cui si dava lettura.
                              M O T I V I
    Osserva il collegio come non vi siano elementi per ritenere che il
 comportamento  della  ricorrente  -  la  quale  ha reso un'incompleta
 segnalazione dei propri redditi, cosi' inducendo l'Istituto nazionale
 della previdenza sociale a corrisponderle la non dovuta  integrazione
 al  trattamento  minimo della pensione di vecchiaia per il periodo 1º
 agosto 1984 al 31 dicembre 1988 - sia  di  natura  dolosa.  Anzi,  la
 circostanza  che ella abbia di sua iniziativa, con la domanda rivolta
 all'I.N.P.S. in data 15 dicembre 1987 posto in evidenza gli effettivi
 redditi goduti negli anni precedenti, appare chiaro indice  di  buona
 fede.
    Rileva  altresi'  che il sistema di controllo automatizzato in uso
 presso l'ente  previdenziale,  reso  necessario  dalla  molteplicita'
 delle  posizioni  da vagliare, rendeva praticamente impossibile - nel
 caso in esame - la verifica  della  veridicita'  delle  dichiarazioni
 della pensionata.
    Tali rilievi inducono a ritenere che ai fini della decisione della
 controversia  sia  rilevante accertare la legittimita' costituzionale
 dell'art. 13, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412.
    La relativa questione si presenta  non  manifestamente  infondata.
 Tale  disposizione,  infatti,  interpretando autenticamente l'art. 52
 della legge 9 marzo 1989, n. 88 - nel senso che gli ivi previsti casi
 di  irripetibilita'  di  somme  indebitamente  corrisposte  da   enti
 previdenziali    devono    ritenersi    sussistenti    allorche'   la
 corresponsione  sia  avvenuta   in   base   a   formale,   definitivo
 provvedimento  dagli  enti  stessi, del quale sia stata data espressa
 comunicazione all'interessato e che  risulti  viziato  da  errore  di
 qualsiasi   natura  imputabile  al  debitore,  salvo  che  l'indebita
 percezione sia dovuta a dolo dell'interessato  -  ed  agiungendo  che
 l'omessa  e  incompleta  segnalazione,  da  parte di quest'ultimo, di
 fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che
 non siano gia' noti all'ente, consente la ripetizione  dell'indebito,
 si   pone  in  contrasto  con  gli  artt  3,  38,  101  e  104  della
 Costituzione,  in  quanto  la  relativa  norma   risulta   introdotta
 nell'ordinamento   in   difetto   delle  condizioni  che  legittimano
 un'interpretazione autentica, determina disparita' di trattamento fra
 pensionati assoggettati alle  disposizioni  cosi'  interpretate  e  i
 pensionati   ex  dipendenti  pubblici  e  comprime  irragionevolmente
 l'entita' del trattamento previdenziale ai primi spettante.
    In proposito, il tribunale fa proprie  le  argomentazioni  esposte
 dalla suprema Corte di cassazione con l'ordinanza n. 217 del 20 marzo
 1992.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   ala   Corte
 costituzionale, perche' si pronunci sulla legittimita' dell'art.  13,
 primo  coma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, di interpretazione
 autentica dell'art. 52, secondo comma, della legge 9 marzo  1989,  n.
 88,  in  relazione  agli artt. 3, 38, 101 e 104 della Costituzione, e
 sospende il procedimento;
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti  e  al  Presidente de Consiglio dei Ministri,
 dandosene altresi'  comunicazione  ai  Presidenti  della  Camera  dei
 deputati e del Senato della Republica.
      Mantova, addi' 9 ottobre 1992
                         Il presidente: ABATE

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