MINISTERO DEL TESORO

CIRCOLARE 23 dicembre 1992, n. 13 

  Sospensione dei pensionamenti anticipati degli iscritti alle  casse
pensioni  degli istituti di previdenza, ai sensi del decreto-legge 19
settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14
novembre 1992, n.  438.  Deroghe  ivi  previste,  perequazione  delle
pensioni   per  l'anno  1993,  aliquota  contributiva  aggiuntiva  ed
assoggettamento a contributo della somma  forfettaria  di  L.  20.000
mensili per l'anno 1993.
(GU n.1 del 2-1-1993)
 
 Vigente al: 2-1-1993  
 

  Parte introduttiva
  Il  decreto-legge  19  settembre  1992,  n.  384,  convertito,  con
modificazioni, nella legge  14  novembre  1992,  n.  438,  reca,  tra
l'altro,  misure  urgenti  in  materia  di  previdenza,  adottate dal
legislatore al fine di realizzare l'indispensabile contenimento della
relativa spesa previdenziale, nel quadro di un riordino  del  sistema
pensionistico  dei  lavoratori  dipendenti pubblici e privati, per il
quale e' stata conferita delega al Governo con l'art. 3 della recente
legge 23 ottobre 1992, n. 421.
  Con  la  presente  circolare  vengono  illustrate  le  disposizioni
introdotte  e  fornite  le  debite  istruzioni  con  riferimento   ai
trattamenti  pensionistici  degli  iscritti alle casse pensioni degli
istituti di previdenza.
  In via preliminare, si  ritiene  opportuno  precisare  l'ambito  di
applicazione  della  sospensione  del  diritto  a  pensione, disposta
dall'art. 1 del provvedimento legislativo in esame.
  Occorre sottolineare, innanzitutto, che detta sospensione  riguarda
tutti  i  casi  di  pensionamento  anticipato,  rispetto ai tassativi
limiti massimi di eta', fissati dai singoli  ordinamenti  degli  enti
datori di lavoro per il collocamento a riposo d'ufficio del personale
da  essi  dipendente, decorrenti nel periodo stabilito, qualunque sia
la  causa  di  cessazione  dal  servizio  e  con   esclusione   delle
fattispecie di seguito indicate.
  Va subito messo in evidenza che, in base al dettato del citato art.
1,  non  incorrono nella prevista sospensione tutte quelle ipotesi in
cui il diritto a pensione abbia decorrenza anteriore alla data del 19
settembre 1992; pertanto, la norma in questione non si  applica  alle
cessazioni  che siano avvenute entro e non oltre il 17 settembre 1992
(ultimo giorno di servizio) e quindi alle pensioni decorrenti da data
non successiva al 18 settembre 1992.
  Inoltre, ribadito che il blocco del diritto a pensione  concerne  i
pensionamenti  anticipati,  non  ricadono, ovviamente, nella predetta
sospensione:
   i collocamenti a riposo disposti d'ufficio dagli  enti  datori  di
lavoro,  in  base  ad  un  vero  e  proprio obbligo giuridico (e non,
percio', facoltativamente) conseguente al  raggiungimento,  da  parte
dei dipendenti, dei limiti massimi di eta' tassativamente fissati dai
rispettivi  ordinamenti  per  l'estinzione  del  rapporto  di lavoro.
Peraltro, anche nel caso che  la  stessa  fonte  normativa  dell'ente
preveda  esplicitamente,  sempre  in  modo  tassativo, quale causa di
coatta espulsione dall'amministrazione il raggiungimento  dei  limiti
massimi   di   servizio,   non  si  configura,  evidentemente,  nella
fattispecie considerata,  un  "pensionamento  anticipato"  e  non  si
ritiene,  pertanto, che debba trovare applicazione la sospensione del
trattamento pensionistico;
   le cessazioni dal  servizio  per  morte,  ancorche'  avvenuta  nel
periodo  18  settembre  1992  - 30 dicembre 1993; in tale ipotesi, il
diritto alla  pensione  indiretta  degli  eventuali  superstiti,  non
subisce alcuna sospensione;
   i  casi  di  dispensa  dal  servizio  per  "inabilita'  assoluta e
permanente a qualsiasi proficuo lavoro",  accertata  con  verbale  di
visita  medico-collegiale,  previamente  effettuata  presso le unita'
sanitarie locali dalla competente commissione sanitaria.
  In relazione  ai  trattamenti  per  inabilita',  giova  richiamare,
preliminarmente,  quanto  disposto  dall'art. 13 della legge 8 agosto
1991,  n.  274  e  le   relative   istruzioni   fornite   da   questa
amministrazione  con  la  circolare 15 novembre 1991, n. 9/I.P. (par.
4), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 273 del
21 novembre 1991.
  Il primo comma del menzionato art. 13 dispone  che  le  domande  di
pensione  che  richiedono  la condizione di inabilita' (cio' vale sia
nel caso di  inabilita'  relativa  alle  mansioni  sia  nel  caso  di
inabilita'  assoluta  e  permanente  a qualsiasi proficuo lavoro) non
derivante  da causa di servizio, debbono essere corredate del verbale
di visita medico-collegiale, che attesti la sussistenza o meno  della
condizione  di "inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo
lavoro".
  Qualora effettivamente sia stata accertata, nei prescritti modi  di
legge,  la predetta condizione di "inabilita' assoluta e permanente a
qualsiasi  proficuo  lavoro"  a  carico  del  dipendente,  l'ente  di
appartenenza  non  puo'  certamente mantenerlo in servizio e, poiche'
trattasi di causa di cessazione del tutto involontaria e cogente, non
si puo' ritenere che ricorra un collamento a riposo  "anticipato"  e,
conseguentemente,  non  va applicata la sospensione della pensione ex
art. 1 del decreto-legge n. 384, convertito nella legge n. 438/1992.
  Ove, invece,  non  sussista  la  condizione  di  cui  sopra  ed  il
dipendente  sia  stato  riconosciuto  fisicamente  inidoneo solo allo
svolgimento delle proprie mansioni, si rammenta che l'ente datore  di
lavoro  deve esperire ogni utile tentativo per recuperare al servizio
attivo il personale interessato, assegnandolo, eventualmente,  ad  un
diverso  profilo  professionale  dello stesso livello o, addirittura,
inferiore.
  Come gia' fatto presente nella richiamata circolare n. 9/I.P., tale
procedura costituisce condizione di legittimita' dei  collocamenti  a
riposo  per  inabilita'  relativa alle mansioni esercitate e soltanto
nel caso che l'inabilita' stessa sia  tale  da  impedire  l'ulteriore
prosecuzione   del   rapporto  di  lavoro  l'ente  puo'  disporre  la
cessazione per inabilita', mentre, in  caso  contrario,  sussiste  un
divieto di dispensa per motivi di salute.
  Con queste precisazioni, si sottolinea che i casi di cessazione dal
servizio  per inabilita' relativa alle mansioni svolte, sfuggono alla
sospensione del trattamento pensionistico soltanto nella  eccezionale
ipotesi  che  l'ente datore di lavoro non trovi assolutamente il modo
di reimpiegare il personale interessato e sia, percio',  costretto  a
deliberarne   la   dispensa;  al  riguardo,  l'ente  medesimo  dovra'
trasmettere alla competente divisione della direzione generale  degli
istituti  di previdenza tutta la necessaria documentazione probatoria
e certificare la procedura e  le  motivazioni  della  cessazione  dal
servizio  del dipendente riconosciuto inabile alle mansioni proprie o
a quelle d'istituto.
1. Sospensione dei pensionamenti anticipati.
  Nella  parte  introduttiva  sono  state  esaminate   tutte   quelle
fattispecie  che  non  costituiscono  "pensionamenti  anticipati"  e,
pertanto,  non  sono  riguardate  dalla  sospensione  del  diritto  a
pensione di cui all'art. 1 del decreto-legge n. 384, convertito nella
legge n. 438/1992.
  Viene  ora  presa  in  considerazione la disciplina che nei casi di
pensionamento anticipato sospende il diritto a pensione.
  Il comma  uno  del  richiamato  art.  1  dispone,  per  quanto  qui
interessa,  che  " .  a decorrere dalla data di entrata in vigore del
presente decreto e sino al 31 dicembre 1993 e' sospesa l'applicazione
di ogni disposizione di legge, di regolamento e di accordi collettivi
che preveda il diritto, con decorrenza  nel  periodo  sopracitato,  a
trattamenti  pensionistici di anzianita' a carico del regime generale
obbligatorio,  .    delle  forme  esclusive  del  regime  stesso,   .
anticipati  rispetto all'eta' pensionabile o all'eta' prevista per la
cessazione dal servizio in base ai singoli ordinamenti".
  Si  deve rilevare che la terminologia e la concettualita' giuridica
di cui si e' servito il legislatore nella stesura della citata  norma
riflettono,   in   prevalenza,  la  disciplina  del  regime  generale
obbligatorio dell'I.N.P.S., pur  essendo  state  tenute  presenti  le
peculiarita' delle altre gestioni pensionistiche.
  E'  necessario,  quindi,  ricercare  negli  ordinamenti delle casse
pensioni degli istituti di previdenza  gli  omologhi  concetti  e  le
corrispondenti fattispecie regolate dalle nuove disposizioni.
  Ed   invero,   per   "pensione   di  anzianita'"  deve  intendersi,
nell'ambito degli  ordinamenti  delle  predette  casse  pensioni,  il
trattamento  pensionistico  eventualmente  spettante  a  seguito  del
collocamento a riposo anticipato rispetto ai limiti massimi  di  eta'
previsti  per la cessazione dal servizio in base alla fonte normativa
dei singoli  enti;  cosi'  pure  l'"eta'  pensionabile"  va  riferita
all'eta'  massima  stabilita  per  il collocamento a riposo d'ufficio
dalla medesima fonte normativa dei predetti enti.
  Cio' posto, va messo in evidenza che tutti i casi di  pensionamento
anticipato che si verifichino nel periodo dal 19 settembre 1992 al 31
dicembre 1993 (decorrenza del collocamento a riposo), incorrono nella
sospensione  del  diritto  a  pensione,  con la sola esclusione delle
deroghe  esplicitamente  previste  dal  legislatore   nonche'   delle
fattispecie  (che, pero', si ripete, non costituiscono "pensionamenti
anticipati") prese in considerazione nella parte  introduttiva  della
presente circolare.
  Si  deve  altresi' sottolineare che la disposizione in esame appare
estremamente restrittiva in quanto non solo non consente l'erogazione
del trattamento di quiescenza, bensi'  addirittura  stabilisce,  piu'
radicalmente,  che e' sospeso il conseguimento dello stesso diritto a
pensione.
  In buona sostanza, non si tratta  del  contenuto  patrimoniale  del
diritto  che  viene  meno per la mancata corresponsione delle rate di
pensione, ma e' il medesimo diritto a pensione che non viene maturato
nel periodo fissato  e,  conseguentemente,  impedisce  l'acquisizione
dello   "status"  di  pensionato,  anche  se,  per  estrema  ipotesi,
l'interessato fosse effettivamente cessato dal servizio.
  La precisazione di cui sopra ha notevole rilievo ove  si  consideri
che  il  diritto  a  pensione  ed  il connesso "status" di pensionato
verrebbero,   eventualmente,    conseguiti    solo    successivamente
allorquando  sara'  consentito  l'accesso a pensione e, pertanto, con
riferimento a quest'ultima  data  ed  in  base  alla  disciplina  che
risultera'  vigente  alla  data  medesima dovranno essere accertati i
requisiti per il raggiungimento del diritto a pensione  ed  applicate
le  modalita'  di  calcolo  per  la determinazione della misura della
pensione stessa.
  Orbene, nella materia pensionistica  profonde  innovazioni  saranno
certamente  introdotte alla luce della legge-delega n. 421 del 1992 e
degli emanandi decreti delegati ed e', quindi,  opportuno  richiamare
l'attenzione degli enti datori di lavoro e delle competenti direzioni
provinciali  del  Tesoro affinche' adottino le necessarie cautele del
caso, al fine di evitare  l'indebita  corresponsione  di  trattamenti
pensionistici  eventualmente non spettanti, o spettanti in un importo
inferiore, in base alla disciplina che verra' posta, con  particolare
riguardo all'anno 1993.
  Per  ultimo,  non  e'  superfluo  ribadire  che  la sospensione del
diritto a pensione investe tutti i casi di pensionamenti  anticipati,
rispetto  ai  limiti  massimi  di  eta'  e/o di servizio, che abbiano
decorrenza nel periodo stabilito; pertanto, qualunque sia la causa di
cessazione  dal  servizio  (sia  che  essa  avvenga,  ad   es.,   per
dimissioni, per decadenza, per destituzione a seguito di procedimento
disciplinare  o per condanna penale, ecc.) si configura pur sempre un
"pensionamento anticipato" e va, quindi, applicata la sospensione del
diritto a pensione, restando,  ovviamente,  escluse  le  fattispecie,
prima  indicate,  concernenti  le cessazioni dal servizio per morte e
per inabilita', derivante o meno da causa di servizio,  purche'  tale
da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro.
  Tra  le  varie ipotesi di "pensionamento anticipato" va menzionata,
in  modo  particolare,  quella  che  puo'  verificarsi  per   effetto
dell'art.  4,  comma  7,  della legge n. 412 del 1991, riguardante il
personale medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale.
  Il citato art. 4 ha  sancito  l'incompatibilita'  del  rapporto  di
lavoro  reso  alle  dipendenze  del  predetto Servizio con ogni altro
rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, o anche di  natura
convenzionale con lo stesso Servizio sanitario nazionale.
  Tali  situazioni  di  incompatibilita' dovranno cessare entro il 31
dicembre 1992 ed e', pertanto,  necessario  che,  entro  la  medesima
data,   i   medici  interessati  scelgano,  in  base  alle  personali
valutazioni,  se  dimettersi  dal  pubblico  impiego,   optando   per
l'attivita'  libero-professionale,  ovvero continuare a rimanere alle
dipendenze del Servizio sanitario nazionale, rinunciando ai  rapporti
incompatibili.
  E'  di  tutta  evidenza  che, qualora si opti per la cessazione dal
servizio,   pure   nella   fattispecie   prospettata    ricorre    un
"pensionamento  anticipato",  in  quanto l'estinzione del rapporto di
lavoro e' conseguente ad un atto di libera volonta'  dei  soggetti  e
dovra',  quindi,  trovare  applicazione  la sospensione del diritto a
pensione ex art. 1 del decreto-legge n. 384, convertito  nella  legge
n. 438/1992.
2. Deroghe alla sospensione dei pensionamenti anticipati.
  Il  comma  2  dell'art.  1  del provvedimento legislativo in esame,
prevede alcune ipotesi eccezionali di  deroga  alla  sospensione  del
conseguimento  del  diritto  a  pensione  nei  casi di "pensionamento
anticipato".
  Il predetto comma, per quanto  concerne  gli  iscritti  alle  casse
pensioni  degli  istituti  di  previdenza,  tra  l'altro testualmente
recita: "La disposizione di cui al comma 1 non si applica:
    a) ...  ai lavoratori privi della vista;
    c) ai lavoratori per i quali  sia  intervenuta  l'estinzione  del
rapporto  di  lavoro .  ovvero sia iniziato il decorso del periodo di
preavviso connesso alla risoluzione del rapporto  anteriormente  alla
data di entrata in vigore del presente decreto;
    e)  ai dipendenti che abbiano presentato domanda di dimissioni da
un pubblico impiego, accolta dai competenti organi anteriormente alla
data di entrata in vigore del presente decreto;
    f)  ai  lavoratori   che   possano   far   valere   un'anzianita'
contributiva non inferiore a 40 anni;".
  Innanzitutto,  si  deve  sottolineare che le disposizioni di cui al
citato comma 2 dell'art. 1 costituiscono deroghe alla sospensione dei
"pensionamenti anticipati" e si debbono considerare,  pertanto,  come
norme  di  carattere  eccezionale  rispetto  al  divieto di carattere
generale posto dal comma 1; conseguentemente, come  e'  pacificamente
riconosciuto in dottrina e giurisprudenza, esse sono norme di stretta
interpretazione  letterale e non sono suscettibili di interpretazione
estensiva o analogica.
  Detta precisazione dovra' essere tenuta ben  presente  al  fine  di
determinare  con esattezza l'ambito di applicazione del prefato comma
2.
  Vengono,  ora,  esaminate  le  singole  ipotesi  di  deroga,  sopra
elencate.
  Per  quanto  concerne  i  lavoratori  privi della vista di cui alla
lettera  a),  si   richiama   quanto   gia'   precisato   da   questa
Amministrazione con la circolare 27 maggio 1992, n. 12/I.P. (par. 2),
pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale serie generale - n. 127 del 1
giugno 1992, in relazione ai dipendenti privi della vista di cui alle
leggi 29 marzo 1985, n. 113 e 28 marzo 1991, n. 120.
  Giova rammentare che rientrano nella predetta categoria coloro  che
si  trovano  nella  condizione  di  cui al 1  comma dell'art. 6 della
legge 2 aprile  1968,  n.  482,  siano,  cioe',  colpiti  da  cecita'
assoluta  o  abbiano  un  residuo visivo non superiore a un decimo in
entrambi gli occhi, con eventuale correzione.
  Va messo in evidenza che la condizione di privo della vista  dovra'
essere  documentalmente  comprovata, mediante l'idonea certificazione
indicata al paragrafo 2 della menzionata circolare  n.  9/I.P.,  alla
quale si fa esplicito rinvio.
  All'uopo,   l'ente  datore  di  lavoro  dovra'  inviare  l'apposita
documentazione di cui sopra alla direzione provinciale del Tesoro, ai
fini della corresponsione del trattamento provvisorio di pensione, ed
alla competente divisione della Direzione generale degli istituti  di
previdenza.
  L'ipotesi  di  deroga sub c) comprende due distinte fattispecie: in
ordine alla  prima,  che  riguarda  i  lavoratori  per  i  quali  sia
intervenuta  l'estinzione  del  rapporto  di lavoro, gia' nella parte
introduttiva della presente circolare e' stato subito chiarito che la
sospensione del diritto a pensione non si applica quando  il  diritto
stesso abbia decorrenza anteriore alla data del 19 settembre 1992.
  La  seconda  fattispecie  concerne  quei casi in cui il rapporto di
lavoro  ha  natura  privatistica  (come,  ad  es.,  per  le   aziende
municipalizzate)  ed  i relativi contratti collettivi nazionali, o la
fonte normativa propria dei singoli enti, prevedono la necessita'  di
un periodo di preavviso per la risoluzione del rapporto stesso; detto
periodo  di  preavviso  deve  essere  osservato,  secondo  le diverse
ipotesi, sia dall'ente datore di lavoro in favore del dipendente, sia
dal lavoratore in favore dell'ente medesimo.
  Orbene, qualora il decorso del periodo di  preavviso  sia  iniziato
anteriormente  al 19 settembre 1992, non si incorre nella sospensione
del diritto a pensione.
  E' opportuno chiarire che elemento discriminante, nella fattispecie
considerata, e'  soltanto  la  data  di  decorrenza  del  periodo  di
preavviso;  la  predetta  data  non  sempre coincide con quella della
comunicazione  scritta,  che  e'  presupposto   necessario   ma   non
sufficiente,  in  quanto potrebbe accadere che pur in presenza di una
comunicazione  scritta anteriore al 19 settembre 1992, il periodo del
preavviso medesimo decorra da data non anteriore a quella di  entrata
in  vigore  del  decreto-legge n. 384/1992, in base alle disposizioni
legislative, regolamentari o contrattuali.
  Solo da un'attenta lettura dell'apposita normativa  che  disciplina
l'istituto  del  preavviso,  potra'  stabilirsi,  in  relazione  alla
comunicazione scritta, la decorrenza del periodo in questione.
  Va  rilevato  che  la  norma  in  esame  non  richiede  alcun'altra
condizione ed e', pertanto, irrilevante il possesso, anteriormente al
19 settembre 1992, dei requisiti necessari per il diritto a pensione,
dovendo   detti   requisiti   sussistere   ed  essere  accertati  con
riferimento alla data di cessazione dal servizio.
  Al riguardo, sara'  sufficiente  che  gli  enti  datori  di  lavoro
certifichino il verificarsi della prescritta condizione e trasmettano
alla  direzione  provinciale  del Tesoro ed alla competente divisione
della  Direzione  generale  degli  istituti  di   previdenza   copia,
debitamente   autenticata,   di   tutta  la  relativa  documentazione
probatoria, con particolare riferimento alla comunicazione scritta di
preavviso, da cui risultino la data certa e gli estremi di assunzione
a protocollo, nonche' copia conforme della fonte normativa che regola
l'istituto del preavviso.
  L'ipotesi di deroga  sub  e)  concerne  i  dipendenti  che  abbiano
presentato  domanda di dimissioni da un pubblico impiego, accolta dai
competenti organi anteriormente alla data di entrata  in  vigore  del
presente decreto.
  Va   sottolineato   che,  in  base  alla  citata  disposizione,  la
fattispecie ivi prevista si realizza quando sussistono congiuntamente
le seguenti condizioni:
   1) destinatari sono soltanto quei dipendenti ai quali  si  applica
la  disciplina  del  rapporto di pubblico impiego e non, invece, quel
personale il cui rapporto di lavoro abbia natura privatistica;
   2) la domanda di dimissioni (o anche di collocamento a riposo) sia
stata presentata anteriormente al 19 settembre 1992;
   3) l'accoglimento di tale domanda sia avvenuto,  nelle  prescritte
forme  di  legge  idonee  a  manifestare  la  volonta' della pubblica
amministrazione  (e,  cioe',   con   regolari   atti   deliberativi),
anteriormente alla predetta data;
   4)  la  volonta'  di  accogliere  la domanda sia stata formalmente
manifestata dai competenti organi  degli  enti  pubblici,  nella  cui
sfera  di  attribuzione  rientri,  secondo la fonte normativa propria
degli enti stessi, il potere/dovere di deliberare  sulle  domande  di
dimissioni o di collocamento a riposo dei dipendenti (ad es. delibera
della  giunta  comunale e provinciale, rispettivamente per i comuni e
le province, o attualmente, dell'amministratore straordinario per  le
unita'  sanitarie locali, ovvero del consiglio di amministrazione per
alcuni enti, ecc.);
   5) la cessazione  dal  servizio  sia  effettivamente  avvenuta,  o
avvenga,  alla  data  indicata  nella  domanda  di  dimissioni  e nel
conseguente provvedimento di accoglimento, i quali, si ripete, devono
essere  entrambi  anteriori  al  19  settembre  1992;  una  eventuale
prosecuzione  del servizio oltre la prestabilita data di collocamento
a riposo ovvero un differimento del collocamento a  riposo  medesimo,
deliberato   con   atto   non   anteriore   al   19  settembre  1992,
configurerebbe una implicita revoca della domanda di dimissioni (o di
collocamento   a   riposo)   e  del  relativo  atto  deliberativo  di
accoglimento, con i conseguenti  riflessi  negativi  sull'accesso  al
diritto a pensione.
  Come  e'  stato messo in evidenza, la fattispecie in esame concerne
l'ambito del pubblico impiego e  ad  essa,  quindi,  vanno  applicati
tutti i principi che regolano, appunto, detto rapporto.
  Con  particolare  riferimento  alle  modalita'  di  costituzione  e
d'estinzione  volontaria  del  rapporto  di  pubblico   impiego,   e'
richiesto, come e' noto, l'incontro di due manifestazioni unilaterali
di  volonta'  provenienti  l'una  dall'interessato  e  l'altra  dalla
pubblica amministrazione, la quale  si  esprime  solo  con  gli  atti
adottati nelle forme di legge.
  Si deve, inoltre, rilevare che la norma di cui trattasi menziona la
"domanda   di   dimissioni";   al  riguardo,  va  precisato  che  sia
l'ordinamento degli impiegati statali come pure gli  ordinamenti  del
personale  degli altri enti pubblici, soprattutto locali, che mutuano
i  loro  principi  da  quello  statale,  distinguono  la  domanda  di
dimissioni  volontarie (che prescinde dal conseguimento del diritto a
pensione)  dalla  domanda  di  collocamento  a  riposo  che,  invece,
presuppone sempre il diritto a pensione.
  A  stretto  rigore, pertanto, sembrerebbe che la norma in esame non
prenda in considerazione le domande di collocamento a riposo.
  Tuttavia, si deve tener presente che le  domande  di  dimissioni  a
seguito  delle  quali sia carente il diritto a pensione non hanno qui
alcuna rilevanza, mentre quelle altre presentate nei casi in  cui  vi
sia  diritto a pensione, sostanzialmente coincidono con le domande di
collocamento a riposo.
  Per tali motivi, si ritiene di poter consentire che, ove sussistano
congiuntamente tutte le condizioni sopra esposte, l'ipotesi di deroga
sub e) sia operante anche per le domande di collocamento a riposo.
  Peraltro, si deve rilevare  che  la  domanda  di  dimissioni  o  di
collocamento  a  riposo  non  opera  di  per  se'  la  cessazione del
rapporto, ma rappresenta soltanto il presupposto  indispensabile  per
ottenere  l'atto  di  accoglimento  dell'amministrazione e puo' anche
essere ritirata dall'interessato  fino  a  quando  l'ente  datore  di
lavoro  non abbia provveduto in merito; conseguentemente, la predetta
domanda  non  ha  alcuna  efficacia  se  non  e'  stata  accolta  dai
competenti  organi dell'ente medesimo, comunque tenuto ad adottare il
relativo,  esplicito  e  formale   atto   deliberativo,   anche   se,
eventualmente,  non vi abbia adempiuto entro il termine appositamente
stabilito da leggi, regolamenti, o contratti collettivi.
  Ed  invero,  tale  manifestazione  di   volonta'   della   pubblica
amministrazione, consacrata nelle prescritte forme, e', in ogni caso,
un  atto necessario ed indefettibile per l'estinzione del rapporto di
pubblico  impiego;  fino  a  quando  esso  non  sia  intervenuto,  il
dipendente  deve  rimanere  in  servizio, con tutti gli obblighi ed i
diritti che ne derivano.
  Quanto sopra, si ripete,  vale  anche  quando  la  fonte  normativa
propria  dell'ente  datore  di lavoro fissa un termine entro il quale
l'ente medesimo e' tenuto a deliberare  in  merito  alla  domanda  di
dimissioni o di collocamento a riposo.
  Infatti,  prima della scadenza del predetto termine, l'accoglimento
della   domanda   in   questione   rientra   nella   discrezionalita'
dell'amministrazione  che,  entro  certi  limiti,  puo'  differire la
cessazione dal  servizio  per  esigenze  di  pubblico  interesse  che
prevalgono  sulla  posizione  soggettiva  del  singolo;  decorso tale
termine, il provvedimento di accettazione avra' contenuto  vincolato,
sara'  atto  meramente  dichiarativo ma pur sempre indispensabile per
l'estinzione del rapporto di pubblico impiego.
  E' appena il  caso  di  rammentare,  inoltre,  che  la  domanda  di
collocamento a riposo andrebbe rigettata, ove non fossero sussistenti
i  requisiti per il diritto a pensione che l'amministrazione dovrebbe
previamente accertare con apposita attivita' istruttoria.
  Pertanto, e' di tutta evidenza che in tutti quei casi in cui l'ente
datore  di  lavoro  abbia  omesso  di  provvedere  entro  il  termine
previsto,  non  si  puo'  configurare,  in  senso  tecnico-giuridico,
l'ipotesi del "silenzio-assenso", come,  invece,  e'  stato  da  piu'
parti adombrato: cio' in quanto, nella fattispecie, il silenzio della
pubblica amministrazione non concretizza un atto amministrativo e non
puo'  surrogare,  in positivo, il provvedimento di accoglimento della
domanda di dimissioni o di collocamento a  riposo;  tutt'al  piu',  a
causa  del  comportamento omissivo dell'ente, si realizza una ipotesi
di "silenzio-inadempimento",  che  potrebbe  anche  essere  impugnato
dall'interessato  davanti  all'autorita'  giudiziaria  competente per
ottenere la declaratoria dell'obbligo di provvedere in merito.
  Orbene, se il  predetto  atto  deliberativo  risulti  di  data  non
anteriore  al  19  settembre  1992,  dovra'  trovare  applicazione la
sospensione del diritto a pensione.
  Come e' noto, poi, il provvedimento  amministrativo  e'  "perfetto"
quando  si  e'  compiuto il procedimento stabilito dalla legge per la
sua emanazione e vi e' stata, effettivamente,  la  manifestazione  di
tutte  quelle  volonta'  il  cui  concorso  sia  richiesto per la sua
formazione.
  Inoltre, l'atto amministrativo e' "efficace"  quando  e'  idoneo  a
produrre gli effetti giuridici cui e' diretto.
  Un  atto  puo'  essere perfetto ma non ancora efficace, in quanto i
due momenti  della  "perfezione"  e  della  "efficacia"  possono  non
coincidere,  come nell'ipotesi di efficacia posticipata, in cui si ha
un periodo intermedio, durante  il  quale  l'atto  amministrativo  si
trova in stato di pendenza.
  Tale  e'  la  situazione che si verifica quando la legge stabilisce
che il provvedimento, pure perfetto, non e'  efficace  ed  eseguibile
fino  a che non sia sopravvenuto un particolare evento che essa erige
a  requisito  di  efficacia  dell'atto  stesso,   come   l'intervento
favorevole  dell'organo  di  controllo  o  la scadenza del periodo di
pubblicazione dell'atto, mediante affissione all'albo dell'ente.
  L'esecutivita', quindi, non e' uno degli elementi  costitutivi  del
provvedimento  amministrativo,  non  incide  sulla  "perfezione"  del
provvedimento  medesimo,  bensi'  ne  costituisce  un  "requisito  di
efficacia".
  Poste   queste   premesse   di   carattere   generale,   si   deve,
conseguentemente,  precisare  che,  qualora  l'atto  deliberativo  di
accoglimento  della  domanda di dimissioni o di collocamento a riposo
sia stato adottato prima  del  19  settembre  1992  e  congiuntamente
sussistano tutte le altre condizioni per il realizzarsi della ipotesi
di deroga in esame, non assume rilevanza che l'esecutivita' dell'atto
deliberativo   medesimo  non  sia,  eventualmente,  anteriore  al  19
settembre 1992, a seguito dell'atto positivo  di  controllo  o  della
scadenza del periodo di pubblicazione successivi alla predetta data.
  Al   riguardo,   giova   richiamare,   innanzitutto,  quanto  prima
sottolineato circa il carattere eccezionale delle  norme  che  recano
deroghe  al divieto di carattere generale posto dal comma 1 dell'art.
1 del decreto-legge n. 384/92, convertito con modificazioni in  legge
n.   438/92,   con  la  conseguente  necessita'  della  loro  stretta
interpretazione letterale.
  Alla luce di tale  principio,  e'  gia'  sufficiente  rilevare  dal
dettato  testuale  del comma 2, lettera e), del citato art. 1, che il
legislatore non ha prescritto che anteriormente al 19 settembre  1992
sia   pure   intervenuto   il   requisito  della  esecutivita'  della
deliberazione di  accoglimento  della  domanda  di  dimissioni  o  di
collocamento  a  riposo,  nulla disponendo in merito, anzi prevedendo
esplicitamente (e soltanto) che la predetta domanda deve essere stata
presentata dai dipendenti ed accolta dai competenti organi dell'ente,
prima della menzionata data del 19 settembre 1992.
  Oltre tutto, occorre far presente  che  la  esecutivita'  dell'atto
amministrativo,  come  sopra illustrato, e' soltanto un "requisito di
efficacia" al quale e' riconosciuta, nei confronti dell'atto  di  cui
condiziona  la  operativita',  una  forza  giuridica minore di natura
puramente  dichiarativa;  pertanto,  l'efficacia  del   provvedimento
amministrativo,  divenuto esecutivo, retroagisce al momento in cui il
provvedimento medesimo si sia perfezionato.
  Viene, preso, infine, in  considerazione  il  caso  in  cui  l'ente
datore   di   lavoro  dopo  avere  adottato  l'atto  deliberativo  di
accoglimento della domanda di dimissioni o di collocamento  a  riposo
in data anteriore al 19 settembre 1992, abbia poi sospeso il predetto
atto  e,  successivamente,  abbia  provveduto  a revocare la disposta
sospensione.
  Si deve rilevare, in via preliminare, che la sospensione  dell'atto
amministrativo priva di effetti giuridici l'atto stesso, ne determina
la  paralisi nell'ordinamento; il provvedimento sospeso, pertanto, si
puo' ritenere tamquam non esset nel perdurare della sua  sospensione,
essendo del tutto inefficace, e parimenti, in tale situazione, nessun
effetto  puo'  essere  collegato  alla  domanda  di  dimissioni  o di
collocamento a riposo.
  In buona sostanza, con la manifestazione di volonta' di  sospendere
l'atto  di accoglimento, l'ente datore di lavoro ha vanificato la sua
precedente determinazione volitiva, con tutte le connesse conseguenze
negative che potrebbero derivare.
  E' evidente, infatti, che, nella  fattispecie  prospettata,  assume
rilievo  decisivo  proprio  la  circostanza  che  il provvedimento di
revoca della sospensione sia stato, o meno, emanato anteriormente  al
19   settembre  1992,  in  quanto,  in  definitiva,  e'  quest'ultimo
provvedimento  che  dispiega  gli  effetti  giuridici  in   relazione
all'accoglimento  della  domanda  di  dimissioni  o di collocamento a
riposo.
  In conclusione, soltanto nel caso in  cui  l'atto  deliberativo  di
revoca della sospensione sia di data anteriore al 19 settembre 1992 e
l'interessato   cessi   effettivamente   dal   servizio   alla   data
originariamente stabilita ed indicata nella sua domanda, non sussiste
alcun impedimento ad applicare la deroga di cui alla  lettera  e)  in
esame.
  Invece,  se il provvedimento di revoca in questione non fosse stato
emanato prima del 19 settembre 1992,  non  si  potrebbe  sfuggire  al
blocco del conseguimento del diritto a pensione.
  Per  ultimo, e' opportuno far presente che l'ente datore di lavoro,
qualora trovi applicazione  l'ipotesi  di  deroga  di  cui  trattasi,
dovra'  inviare  alla direzione provinciale del Tesoro, ai fini della
corresponsione del  trattamento  provvisorio  di  pensione,  ed  alla
competente  divisione  della  Direzione  generale  degli  istituti di
previdenza, copia, debitamente autenticata, dell'atto deliberativo di
accoglimento della domanda di dimissioni o di collocamento a  riposo,
nonche'   di  tutti  gli  eventuali  e  successivi  provvedimenti  di
sospensione e di revoca della stessa.
  La lettera f) del  comma  due  dell'art.  1  del  decreto-legge  n.
384/92,  convertito  in  legge  n.  438/92,  dispone  che il generale
divieto di conseguimento del diritto a pensione di  cui  al  comma  1
dello  stesso  articolo, non si applica ai lavoratori che possano far
valere un'anzianita' contributiva non inferiore a 40 anni.
  E' opportuno far presente, in via preliminare, che  il  significato
della  predetta  norma  va  determinato,  innanzitutto,  in  base  al
criterio letterale sancito  dall'art.  12  delle  disposizioni  sulla
legge  in generale, che testualmente recita: "Nell'applicare la legge
non si puo' ad essa attribuire altro senso che  quello  fatto  palese
dal  significato  proprio delle parole secondo la connessione di esse
... ".
 Seguendo il noto brocardo latino: in claris non  fit  interpretatio,
laddove   il   dettato   letterale   della  norma  non  offre  alcuna
possibilita' di equivoco,  non  deve  essere  ricercato  alcun  altro
significato  al  di  la'  di  quello  manifestato  dalla  espressione
legislativa.
  E'  appena  il  caso  di  ribadire,  peraltro,  che  il   carattere
eccezionale  della  disposizione  in  esame conferma ulteriormente il
criterio di stretta interpretazione letterale della stessa.
  Giova, infine, rammentare che  la  eventuale  antinomia  tra  norme
confliggenti  va risolta dando applicazione ad una sola di esse, alla
stregua dei criteri positivamente stabiliti.
  In  particolare  si  deve,   altresi',   richiamare   il   criterio
cronologico  (lex  posterior  derogat priori), stabilito dall'art. 15
delle disposizioni sulla legge in generale, che recita: "Le leggi non
sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa  del
legislatore,  o  per  incompatibilita' tra le nuove disposizioni e le
precedenti o perche' la nuova legge regola  la  intera  materia  gia'
regolata dalla legge anteriore".
  Conformandosi  ad  una  tradizionale distinzione, il citato art. 15
prevede,   dunque,   separatamente,   l'abrogazione   "espressa"    e
l'abrogazione  "tacita":  la  prima consiste e deriva da un'esplicita
dichiarazione contenuta nella disposizione  sopravvenuta,  mentre  la
seconda risulta dalla oggettiva incompatibilita' tra le norme nuove e
quelle preesistenti; tale incompatibilita' si articola, quindi, nelle
due  figure  della  incompatibilita'-contrasto (di norma con norma) e
della impossibilita'  di  applicare  qualsiasi  norma  precedente  in
fattispecie  che  venga  posteriormente  e  compiutamente regolata da
fonte successiva.
  Pertanto, alla luce dei principi generali sopra richiamati, si deve
precisare che, prescrivendo la disposizione in esame, esplicitamente,
il requisito dell'anzianita' contributiva non inferiore  a  40  anni,
non  si puo' consentire, ai limitati fini dell'accesso alla deroga in
esame,  l'applicazione  di  precedenti  norme che prevedano qualsiasi
arrotondamento  all'anno  ovvero  al  mese  intero  superiore  quando
risulti  una  frazione  eccedente,  rispettivamente,  i  sei mesi o i
quindici giorni.
  Per   quanto   concerne,   inoltre,   la   locuzione   "anzianita'-
contributiva",  usata  dal  legislatore,  va posto in evidenza che in
essa debbono essere ricompresi tutti i servizi e/o  periodi  utili  a
pensione; nel calcolo dell'anzianita' contributiva, quindi, rientrano
sia  i servizi effettivamente prestati, con obbligo d'iscrizione alle
casse pensioni degli  istituti  di  previdenza,  che  i  servizi  e/o
periodi  ammessi a riscatto o ricongiungibili nonche' (ove sussistano
tutti  i  requisiti  indicati  al  paragrafo  due  della   menzionata
circolare  n.  9/I.P.)  i  periodi  di  servizio  militare  di  leva,
computati  a  domanda,  con  onere  a  carico  delle  predette  casse
pensioni, ai sensi dell'art. 1 della legge 8 agosto 1991, n. 274.
  Resta,  ovviamente, inteso che debbono essere, altresi', ricompresi
tutti  quei  servizi  e/o  periodi  utili  a  pensione,  indicati  al
paragrafo  G) della circolare n. 3295, emanata dal servizio ispettivo
degli istituti di previdenza in data 16 novembre 1992, concernente la
procedura per la denuncia delle retribuzioni contributive  e  per  la
revisione  dei  contributi  previdenziali  mensili, relativi all'anno
1992.
  Alcune perplessita' sono state, poi, manifestate circa la data alla
quale si debba maturare l'anziania' contributiva di 40 anni, per  non
incorrere nella sospensione del conseguimento del diritto a pensione;
se,  cioe', sia richiesto che la suddetta condizione debba sussistere
alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 384 ovvero  della
legge di conversione, od anche successivamente.
  Al  riguardo,  si  deve  rilevare,  innanzitutto,  che la norma non
prevede alcuna data di riferimento per il possesso del  requisito  di
cui  sopra  e che il legislatore, disponendo per i " . lavoratori che
possano far valere . ", non ha adoperato il verbo  al  tempo  passato
bensi' al presente storico.
  Pertanto,  si  ritiene  che  la  disposizione  in  esame  non  vada
interpretata in modo  statico  o  cristallizzato,  ma  che  si  possa
accedere  ad  una  qualificazione dinamica del precetto portato dalla
disposizione   medesima,   tale   da   consentire    di    sciogliere
favorevolmente  tutti i dubbi prospettati, nel senso che i prescritti
40 anni di anzianita' contributiva possano essere maturati anche dopo
la data di entrata in vigore  del  decreto-legge  o  della  legge  di
conversione.
  Per  comprovare  il possesso del requisito previsto dall'ipotesi di
deroga di cui trattasi, ai fini della corresponsione del  trattamento
provvisorio   di   pensione   da  parte  della  competente  direzione
provinciale  del  Tesoro,  non  e'   necessario   alcun   particolare
adempimento,  essendo  sufficiente  che  gli  enti  datori  di lavoro
certifichino nel quadro 1 del Mod. S.C. 755/4,  all'apposita  colonna
del  servizio  utile, che tale servizio (e non quello arrotondato, si
ripete) sia di almeno 40 anni compiuti.
  In  conclusione  dell'ampia  disamina  effettuata   delle   ipotesi
eccezionali  di deroga alla sospensione del conseguimento del diritto
a pensione, si invitano  gli  enti  datori  di  lavoro  ad  attenersi
scrupolosamente alle indicazioni e precisazioni sopra fornite.
  Non  e'  superfluo rammentare, altresi', la diretta responsabilita'
che gli stessi  enti  datori  di  lavoro  assumono  quali  ordinatori
primari   di  spesa  nella  erogazione,  da  parte  delle  competenti
direzioni provinciali del  Tesoro,  del  trattamento  provvisorio  di
pensione.
  Giova  richiamare,  in  proposito,  la  norma  i cui all'art. 8 del
decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1986, n. 538, emesso
in attuazione della legge n. 428 del 1985  laddove,  in  particolare,
viene  disposto che "qualora per errore contenuto nella comunicazione
dell'ente  di  appartenenza  del  dipendente,   venga   indebitamente
liquidato  un  trattamento  pensionistico  definitivo  o provvisorio,
diretto, indiretto o di  riversibilita',  ovvero  un  trattamento  in
misura  superiore  a quella dovuta e l'errore non sia da attribuire a
fatto   doloso   dell'interessato,    l'ente    responsabile    della
comunicazione   e'   tenuto   a   rifondere  le  somme  indebitamente
corrisposte, salvo rivalsa verso l'interessato medesimo".
  Per ultimo, si fa presente  che  gli  enti  datori  di  lavoro  che
abbiano  gia'  inviato  alle  direzioni provinciali del Tesoro i Mod.
S.C. 755/4, concernenti la correponsione di trattamenti provvisori di
pensione anticipata avente decorrenza nel periodo 19 settembre 1992 -
31 dicembre 1993, dovranno confermare agli stessi provinciali  uffici
la  sussistenza di tutti i requisiti previsti dalle ipotesi di deroga
sopra  descritte,  trasmettendo,  nel  contempo,  laddove  richiesta,
l'apposita   documentazione   probatoria   indicata   nella  presente
circolare.
  Ovvero cio' non avvenga, le direzioni provinciali del  Tesoro  sono
autorizzate  a  non  porre  in  pagamento  tali  partite  di pensione
provvisoria ed a restituire agli enti medesimi i predetti  Mod.  S.C.
755/4.
3. Contingentamento dei pensionamenti anticipati.
  L'art.   1   del   decreto-legge   n.   384/92,   convertito,   con
modificazioni, in legge n. 438/1992, prevede, ai commi 2-  bis  ,  2-
ter e 2-quinquies:
  "2-bis.  Con  effetto  dal  1   gennaio  1994  la  decorrenza delle
pensioni di  anzianita'  per  le  quali  e'  richiesta  un'anzianita'
contributiva  non  inferiore  a  35  anni  e'  stabilita  in data non
anteriore al 1  maggio di ciascun anno per i soggetti di eta' pari  o
superiore  a 57 anni, se uomini, e a 52 anni, se donne, e in data non
anteriore al 1  novembre di ciascun anno negli altri casi.
  2-ter. Fino all'allineamento al regime  generale,  per  i  soggetti
iscritti  a forme di previdenza che prevedano requisiti di anzianita'
contributiva inferiore a 35  anni  la  decorrenza  del  pensionamento
anticipato,   rispetto   ai   limiti  di  eta'  vigenti  nei  singoli
ordinamenti per il collocamento a riposo .   . ,  e'  fissata  al  1
settembre di ciscun anno.
  2-quinquies.  Per  l'anno  1994,  per  i soggetti in possesso al 31
dicembre 1992 dei requisiti richiesti dai rispettivi ordinamenti  per
il  pensionamento  di  anzianita',  l'accesso alla pensione stessa e'
consentito a decorrere dal 1  gennaio 1994".
  Le citate disposizioni delineano il quadro normativo da cui  trarre
la disciplina del contingentamento dei pensionamenti anticipati.
  E'   appena   il  caso  di  ribadire,  innanzitutto,  che  restano,
ovviamente,  escluse  dal  predetto  contingentamento  tutte   quelle
fattispecie,   che   non  costituiscono  "pensionamenti  anticipati",
concernenti le cessazioni per  raggiungimento  dei  tassativi  limiti
massimi  di  eta'  e/o di servizio, per morte nonche' per inabilita',
derivante o meno da causa di servizio, purche' tale  da  impedire  la
prosecuzione del rapporto di lavoro.
  Peraltro,  si  deve  avvertire che gli iscritti alle casse pensioni
degli istituti di previdenza non sono destinatari della  disposizione
di  cui  al  comma 2- bis; essi sono, invece, interessati dalle norme
recate dai commi 2- ter e 2-quinquies.
  E'  bene,  pero',   precisare   subito   che,   per   la   corretta
interpretazione  del  citato  comma  2-  ter, dove e' stato omesso di
ripetere che la norma stessa ha effetto dal 1   gennaio  1994  (cosi'
come  e'  stato esplicitamente indicato nel precedente comma 2- bis),
non si puo'  prescindere  dal  richiamato  contesto  legislativo,  in
quanto  la  soprarilevata  costruzione  tecnico-giuridica puo' essere
superata  solo  mediante   un'analisi   sistematica   di   tutte   le
disposizioni   relative   al   contingentamento   dei   pensionamenti
anticipati.
  Al riguardo, e' da considerare che il menzionato comma  2-  ter  e'
stato  introdotto dalla legge di conversione ed ha, quindi, efficacia
dal giorno successivo a quello  di  pubblicazione  (e  cioe'  dal  19
novembre 1992), ai sensi dell'art. 15, comma 5, della legge 23 agosto
1988, n. 400.
  Pertanto,   non  essendo  stato  indicato  alcun  differimento,  la
disposizione in questione dovrebbe esplicare  i  propri  effetti  fin
dall'anno 1993, in relazione a tutte le fattispecie di "pensionamento
anticipato",  ivi  comprese  quelle  che  rientrano  nelle favorevoli
ipotesi di deroga che consentono l'accesso al diritto a pensione.
  Tuttavia,   tale    restrittiva    interpretazione    comporterebbe
conseguenze  talmente  incoerenti  e  perverse  da  porsi  in  aperto
contrasto con la volonta' del legislatore.
  Si pensi, ad esempio, al caso di un dipendente che abbia presentato
domanda di dimissioni, accolta dai competenti organi dell'ente datore
di lavoro anteriormente al 19 settembre 1992, fissando quale data  di
cessazione dal servizio il 1  febbraio 1993.
  Orbene,  in  tale fattispecie, qualora si ritenesse fondata la tesi
restrittiva di cui sopra, ferma restando la cessazione  dal  servizio
alla   data   del  1   febbraio  1993,  la  decorrenza  del  relativo
pensionamento anticipato, in base al comma 2- ter in  esame,  sarebbe
fissata al 1  settembre del 1993.
  L'interessato,  quindi,  pur  rientrando  con  piena  legittimita',
secondo il disposto letterale della norma, nella  ipotesi  di  deroga
alla sospensione del diritto a pensione prevista dal comma 2, lettera
e),  dell'art.  1  del  provvedimento  legislativo  de  quo, tuttavia
rimarrebbe privo per lungo  periodo  del  trattamento  economico  sia
dell'attivita' di servizio che di quiescenza.
  Ancora  piu'  gravi  sarebbero  le  conseguenze  se, nella medesima
ipotesi di deroga di cui alla lettera e), la data per  la  cessazione
dal  servizio  fosse,  ad  esempio, indicata al 1  ottobre 1993 ed il
dipendente maturasse solo nel corso dello  stesso  1993  i  requisiti
richiesti  per  il  diritto  a pensione, che non sarebbero, pertanto,
sussistenti al 31 dicembre 1992.
  In tale malaugurata situazione, l'interessato, anche se collocato a
riposo  dal 1  ottobre 1993, con la legittima aspettativa a percepire
immediatamente la pensione spettantegli, rientrando lo  stesso  nella
ipotizzata deroga, si ritroverebbe privato, addirittura, per il lungo
periodo  intercorrente  dal  1   ottobre  1993  al 31 agosto 1994, di
qualunque reddito stipendiale o pensionistico.
  E' di tutta evidenza che le  descritte  distorsioni  non  rientrano
certamente  nella  ratio  della  legge  e  possono essere agevolmente
superate  in  quanto  il  comma  2-  ter,  di  cui  si  discute,  pur
costituendo   comma   a   se'  stante,  puo'  essere  sostanzialmente
considerato come la naturale e logica  continuazione  del  precedente
comma  2-  bis  (dove  e'  espressamente  prescritto  che gli effetti
giuridici della  disposizione  decorrono  dal  1   gennaio  1994)  in
relazione  alle  altre forme di previdenza che prevedono requisiti di
anzianita' contributiva inferiore  a  35  anni  per  i  pensionamenti
ancitipati.
  Pertanto, si deve intendere che la stessa decorrenza del 1  gennaio
1994  sia  stata  voluta  dal legislatore anche per l'efficacia della
successiva norma di cui al comma 2-ter.
  Quanto sopra trova ulteriore conferma nella disposizione recata dal
citato comma 2-quinquies, in base al  quale,  limitatamente  all'anno
1994,  non  sono  soggetti  ad alcun contingentamento i pensionamenti
anticipati dei dipendenti in  possesso,  al  31  dicembre  1992,  dei
requisiti richiesti per il conseguimento del diritto a pensione.
  Infatti, appare irrazionale che l'iscritto che abbia maturato al 31
dicembre 1992 i requisiti per il diritto a pensione si sottragga, per
l'anno 1994, al contingentamento dei pensionamenti anticipati mentre,
invece,  lo  stesso iscritto non vi potrebbe sfuggire qualora la data
di collocamento a riposo fosse  stabilita  nell'arco  del  1993,  pur
trovandosi  parimenti  in possesso dei predetti requisiti sempre alla
data del 31 dicembre 1992, ed in piu' non  essendo  destinatario  del
blocco del diritto a pensione.
  In  definitiva,  e'  da  ritenere  che le disposizioni in esame non
debbano trovare applicazione per l'anno 1993 ma abbiano efficacia dal
1  gennaio 1994 e per gli  anni  successivi,  stabilendo  che,  dalla
predetta  data,  la  decorrenza  dei  pensionamenti anticipati rimane
fissata al 1  settembre di ciascun anno, con l'unica eccezione,  gia'
menzionata, prevista dal comma 2-quinquies.
  La  nuova  discipina sul contingentamento dei collocamenti a riposo
anticipati limita, a decorrere dal 1  gennaio 1994, la facolta' degli
iscritti di scegliere e distribuire, nell'arco di  ciascun  anno,  la
data  di cessazione volontaria dal servizio, comprimendo le posizioni
soggettive dei singoli i quali, per non subire  alcuna  soluzione  di
continuita'  tra  il  trattamento  in  attivita'  di  servizio  ed il
godimento della pensione dovranno, evidentemente, chiedere di  essere
collocati  anticipatamente  a  riposo a decorrere dal 1  settembre di
ciascun anno.
  Infine,  non  sembra  superfluo  evidenziare  che,  dal   combinato
disposto  del comma 1 e del comma 2- ter dell'art. 1 di cui trattasi,
concernenti, rispettivamente, la sospensione del diritto  a  pensione
anticipata ed il connesso contingentamento, si deve dedurre, in buona
sostanza,  che  il  blocco  dei  predetti pensionamenti, disposto dal
legislatore in vista  delle  esigenze  di  contenimento  della  spesa
previdenziale,  non  e' limitato al solo periodo indicato al comma 1,
ma in effetti si protrae per circa due anni, dal 19 settembre 1992 al
31 agosto 1994, rimanendo esclusi soltanto coloro che abbiano accesso
alla  pensione  anticipata in quanto possono avvalersi delle previste
deroghe, ovvero, con riferimento al 1994, siano  in  possesso  al  31
dicembre  1992  dei  prescritti requisiti per conseguire il diritto a
pensione.
4. Perequazione delle pensioni, aliquota  contributiva  aggiuntiva  e
pensionabilita' della somma forfettaria di L. 20.000 mensili.
  L'art.   2   del   decreto-legge   n.   384/1992,  convertito,  con
modificazioni, in legge n. 438/1992, stabilisce che:
  "1. In attesa della legge di riforma del  sistema  pensionistico  e
fino  al 31 dicembre 1993 e' sospesa, ad eccezione di quanto previsto
al comma 1- bis, l'applicazione di ogni  disposizione  di  legge,  di
regolamento,  o di accordi collettivi che preveda aumenti a titolo di
perequazione   automatica    delle    pensioni    previdenziali    ed
assistenziali, pubbliche e private, ....
  1-bis.  Per  l'anno  1993,  la misura degli aumenti di perequazione
automatica delle pensioni al costo della vita  di  cui  all'art.  21,
secondo  comma,  della  legge  27 dicembre 1983, n. 730, e successive
modificazioni, ...., e' fissata in 1,8 ed  1,7  punti  percentuali  a
decorrere, rispettivamente, dal 1  giugno e dal 1  dicembre".
  La  citata  norma si pone in linea con la finalita' del legislatore
di  contenere  il  disavanzo  del  settore  pubblico  allargato,  con
particolare  riguardo  al  rapporto  entrate  contributive/erogazioni
previdenziali nell'ambito di tutti i sistemi pensionistici.
  Infatti, in  base  al  richiamato  comma  uno,  sulle  pensioni  in
pagamento  non  e' stato corrisposto l'aumento, dal 1  novembre 1992,
per la perequazione automatica prevista dall'art. 21 della  legge  27
dicembre 1983, n. 730, con riferimento agli indici della scala mobile
dei  lavoratori  dell'industria;  inoltre, non spetta neppure l'altro
aumento perequativo dal  1   gennaio  1993,  derivante  dall'aggancio
delle  pensioni  alla dinamica salariale, ai sensi della legge n. 177
del 1976.
  Il rigore della predetta disposizione e'  stato,  pero',  in  parte
contemperato  dal  successivo  comma  1- bis che, per l'anno 1993, ha
mantenuto soltanto gli incrementi collegati al costo  della  vita  di
cui al menzionato art. 21 della legge n. 730 del 1983.
  Tuttavia,  detti  aumenti  infrannuali vengono fatti slittare di un
mese, essendone stata fissata la decorrenza dal 1  giugno  e  dal  1
dicembre  del 1993, e sono stati, altresi', predeterminati sulla base
del tasso  d'inflazione  programmata  e  non  su  quello  reale  che,
effettivamente, risultera' alla fine del 1993.
  L'art.  3-  ter del provvedimento legislativo in esame dispone che:
"1. A decorrere dal 1  gennaio 1993, e' stabilita in favore di  tutti
i   regimi  pensionistici  dei  dipendenti  pubblici  e  privati  che
prevedano aliquote contributive a carico del lavoratore inferiori  al
10  per  cento,  una  aliquota  aggiuntiva  nella  misura di un punto
percentuale sulle quote di retribuzione  eccedente  il  limite  della
prima   fascia  di  retribuzione  pensionabile  determinata  ai  fini
dell'applicazione dell'art. 21, comma 6, della legge 11  marzo  1988,
n. 67 ...".
  La  predetta  norma  e'  coerente  con  le  medesime  finalita'  di
risparmio e di riequilibrio prima cennate, pur  non  trascurando  gli
aspetti  sociali ad essa conseguenti, in quanto va a colpire soltanto
le fasce di reddito medioalte.
  La   disposizione  di  cui  trattasi  fa  riferimento  a  normativa
concernente essenzialmente il regime generale  obbligatorio,  di  cui
mutua la concettualita' giuridica.
  Infatti,  oltre  alla  citazione dell'art. 21 della legge n. 67 del
1988, applicabile agli iscritti all'I.N.P.S.,  l'articolo  in  esame,
menziona    la    "retribuzione    pensionabile"   che,   nell'ambito
dell'assicurazione generale obbligatoria, indica l'intero trattamento
economico quiescibile, ivi compresa  la  scala  mobile  o  indennita'
integrativa speciale.
  Bisogna  pero',  tenere  presente  che  gli ordinamenti delle Casse
pensioni degli Istituti di previdenza  distinguono  la  "retribuzione
annua contributiva" dalla "retribuzione annua pensionabile".
  Come  e'  noto,  la "retribuzione annua contributiva" e' costituita
dalla somma degli emolumenti quiescibili, tra i quali  rientra  anche
l'indennita'  integrativa speciale o la scala mobile (circa i criteri
per la valutazione in pensione delle voci retributive, si rinvia alle
indicazioni contenute al par. 2 della circolare 3 settembre 1991,  n.
8/I.P. di questa Amministrazione, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
- serie generale - n. 212 del 10 settembre 1991).
  La  "retribuzione  annua  pensionabile" secondo l'ordinamento delle
Casse pensioni degli Istituti di previdenza, e'  pari,  invece,  alla
differenza tra la predetta retribuzione annua contributiva e l'intero
importo  dell'indennita'  integrativa speciale, e costituisce la base
per la determinazione del trattamento di quiescenza principale;  agli
aventi  diritto  viene,  peraltro, corrisposta a parte, quale assegno
accessorio, l'indennita' integrativa speciale nella misura  spettante
a tutti i pensionati.
  Poste  queste  necessarie  precisazioni,  per  rinvenire  l'omologo
concetto della  locuzione  "retribuzione  pensionabile",  per  quanto
riguarda   gli   iscritti  alle  Casse  pensioni  degli  Istituti  di
previdenza,  occorre,  pertanto,  riferirsi   alla   definizione   di
"retribuzione annua contributiva", sopra illustrata.
  Si  rende  noto, altresi', che, a decorrere dal 1  gennaio 1993, il
limite della prima fascia di retribuzione  pensionabile,  determinata
per  l'applicazione  del  citato  art.  21,  comma  6, della legge n.
67/1988, e' stabilito in lire 53.475.000.
  Considerato che la maggiorazione contributiva di  cui  trattasi  e'
disposta   in  favore  soltanto  di  quei  regimi  pensionistici  che
prevedono aliquote contributive a carico dei lavoratori inferiori  al
10  per cento; considerato, peraltro, che per gli iscritti alla Cassa
per le pensioni ai Sanitari, tale aliquota, a decorrere dal 1993,  e'
gia'  superiore  al  predetto  10  per  cento, e' agevole dedurre che
l'imposizione contributiva  aggiuntiva,  fissata  dall'art.  3-  ter,
gravera'  esclusivamente  sugli  iscritti  alle  altre Casse pensioni
degli Istituti di previdenza (C.P.D.E.L.,  C.P.I.  e  C.P.U.G.);  per
quest'ultimi   iscritti,   l'aliquota  contributiva  a  loro  carico,
limitatamente alla fascia di retribuzione annua contributiva  (e  non
pensionabile)  eccedente  l'importo  di L. 53.475.000, sara' elevata,
dal 1  gennaio 1993, dall'8,55 al 9,55 per cento.
  Nel senso sopra esposto deve  intendersi,  quindi,  rettificata  la
richiamata  circolare  n.  3295  emanata dal Servizio Ispettivo degli
Istituti di previdenza in data 16 novembre 1992.
  L'art.  7,  comma  1, del decreto-legge n. 384/1992, convertito con
modificazioni in legge n. 438/1992, tra l'altro dispone che:
  "1. ..........  Per  l'anno  1993  al  personale  destinatario  dei
predetti  accordi  e' corrisposta una somma forfettaria di L.  20.000
mensili per tredici mensilita' ...".
  Con la citata disposizione,  il  legislatore  ha  prorogato  al  31
dicembre  1993 la scadenza della attuale disciplina contrattuale, per
tutto il personale rientrante nei comparti di cui alla legge 29 marzo
1983, n. 93; infatti, con esplicita  previsione,  e'  sancito  che  i
nuovi accordi collettivi avranno effetto dal 1  gennaio 1994.
  E'  evidente  che  gli  stessi  motivi  di contenimento della spesa
pubblica, gia' richiamati, hanno ispirato la norma in questione.
  A parziale compensazione del sacrificio imposto  ai  dipendenti  e'
stata  disposta  la corresponsione, per l'anno 1993, di un aumento di
L. 20.000 per tredici mensilita', pari a L. 260.000 in ragione annua.
  Detto emolumento, essendo fisso e ricorrente, riveste  i  necessari
requisiti   di   quiescibilita'   e   va,   quindi,   assoggettato  a
contribuzione, versandone mensilmente il  relativo  importo,  con  le
consuete modalita', sin dal mese di gennaio 1993.
  La  presente  circolare,  per  le parti concernenti gli adempimenti
previsti per le direzioni  provinciali  del  Tesoro,  viene  diramata
d'intesa con la direzione generale dei servizi periferici del Tesoro.
        p. Il direttore generale degli istituti di previdenza
                               TOMENZI