N. 5 SENTENZA 12 - 19 gennaio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 I.V.A. (Imposta sul valore aggiunto) -  Decisione  della  commissione
 tributaria   divenuta   definitiva   Inapplicabilita'   dell   c.  d.
 egiudiziale tributaria ai reati di  evasione  fiscale  commessi  sino
 alla fine del 1982 e prima della riforma in materia in  vigore dal 1›
 gennaio   1983  -  Irragionevolezza  della  permanenza  dell'istituto
 relativamente al reato di evasione  dell'I.V.A.  essendo  stata  gia'
 assunta  dall'ordinamento la pregiudiziale in riferimento ai reati in
 materia di imposte dirette - Illegittimita' costituzionale.
 (D.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  633,  art.  58,  ultimo  comma,   in
 riferimento all'art. 50, primo comma, stesso decreto)
 (Cost., artt. 3 e 112).
(GU n.4 del 27-1-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,  prof.  Francesco
    GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 58, ultimo
 comma del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione  all'art.  50,
 primo   comma,   dello   stesso   d.P.R.  (Istituzione  e  disciplina
 dell'imposta sul valore aggiunto), promosso con ordinanza  emessa  il
 19  dicembre  1991  dalla Corte d'Appello di Bologna nel procedimento
 penale a carico di Sarti Ernesto, iscritta al  n.  138  del  registro
 ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice
 relatore Renato Granata.
                           Ritenuto in fatto
    Con ordinanza del 19 dicembre 1991 la Corte d'appello di  Bologna,
 nel  corso  del  giudizio  d'appello  nei confronti di Sarti Ernesto,
 imputato del delitto di cui  all'art.  50,  primo  comma,  d.P.R.  26
 ottobre  1972  n.  633 per omesso pagamento dell'IVA dovuta nell'anno
 1976 per un ammontare  di  L.  237.880.906,  ha  sollevato  questione
 incidentale  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  58,  ultimo
 comma, d.P.R. n. 633/72 citato, in relazione al citato art. 50, primo
 comma, per contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost.
    La Corte d'appello rimettente, investita a seguito di impugnazione
 del Procuratore della Repubblica, premette che l'atto di accertamento
 dell'imposta evasa (nella misura suddetta) era stato annullato  dalla
 Commissione  tributaria di Bologna con decisione del 25 ottobre 1983,
 divenuta definitiva il 27 luglio 1984, e che il Tribunale di Bologna,
 giudicando il Sarti per il reato di cui  all'art.  50,  primo  comma,
 citato,  lo  aveva prosciolto per improcedibilita' dell'azione penale
 per non essersi realizzata la condizione di cui all'art.  58,  ultimo
 comma  citato;  ritiene quindi che per pervenire all'accertamento del
 reato, come richiesto dal Procuratore  della  Repubblica  appellante,
 rimane  lo  sbarramento  rappresentato dall'ultimo comma dell'art. 58
 citato  in  forza  del  quale  l'accertamento  effettuato   in   sede
 tributaria e divenuto definitivo fa stato nel processo penale.
    Tale   pregiudiziale   pero'   -   sostiene  la  Corte  rimettente
 richiamando la sentenza n. 258 del 1991 della Corte costituzionale  -
 confligge   con  l'art.  3  Cost.  per  irragionevole  disparita'  di
 trattamento tra imputati per  reati  comuni  ed  imputati  per  reati
 fiscali.   Inoltre   si   pone   in   contrasto   con   il  principio
 dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale  (art.  112   Cost.),   che
 risulterebbe  "di fatto condizionata da determinazioni dell'Autorita'
 amministrativa".
                         Considerato in diritto
    1. - E' stata  sollevata  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 58, ultimo comma, in relazione all'art. 50,
 primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (istituzione e  disciplina
 dell'imposta  sul  valore aggiunto) nella parte in cui prevede che la
 decisione pronunciata in sede tributaria in  ordine  all'accertamento
 dell'Ufficio  e  divenuta definitiva faccia stato nel processo penale
 per sospetta violazione del principio di eguaglianza (art.  3  Cost.)
 in  ragione  della  disparita'  di  trattamento tra imputati di reati
 comuni   ed   imputati   di   reati   fiscali   e    del    principio
 dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale  (art.  112  Cost.)  per il
 limite in tal modo frapposto al suo esercizio in  caso  di  decisione
 tributaria che annulli l'atto di accertamento.
    2.  -  Il citato art. 50, primo comma, - norma abrogata (a partire
 dal 1› gennaio 1983)  dall'art.  13  d.l.  10  luglio  1982  n.  429,
 convertito  nella  legge  n. 516 del 1982, e quindi (temporaneamente)
 ancora vigente per le condotte poste in essere fino  a  tale  data  -
 prevedeva   come   delitto   il   fatto  di  sottrarsi  al  pagamento
 dell'imposta dovuta nel corso di un  anno  solare  per  un  ammontare
 superiore  a 100.000.000. L'azione penale - prescriveva il successivo
 art. 58,  ultimo  comma  (norma  questa  anch'essa  abrogata  con  la
 medesima  limitazione  temporale) - poteva essere esercitata soltanto
 dopo che l'accertamento era divenuto definitivo (con  cio'  ripetendo
 una  disposizione gia' contenuta nell'art. 21, ultimo comma, legge n.
 4 del 1929); tale prescrizione - come gia' ritenuto da  questa  Corte
 con  sentenza  n.  258  del  1991  riguardo alla analoga disposizione
 dettata dall'art. 56, ultimo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 (anch'essa
 abrogata dal citato art. 13 d.l. n. 429 del  1982)  in  relazione  ai
 reati   di  evasione  fiscale  previsti  dal  precedente  art.  50  -
 significava anche che il giudicato formatosi nel giudizio  tributario
 faceva stato nel giudizio penale.
    Come  si  e'  gia'  avvertito,  la pregiudiziale tributaria, cosi'
 definita, e' stata da ultimo  eliminata  dalla  nuova  normativa  dei
 reati  tributari,  quale  introdotta dal d.l. n. 419 del 1982, che al
 citato art. 13 ha abrogato le tre  disposizioni  che  la  prevedevano
 (art.  21  legge  n. 4 del 1929, art. 58, ultimo comma, d.P.R. n. 733
 del 1972 e art. 56, ultimo comma, d.P.R. n. 600 del 1973); ma  -  per
 effetto  della  speciale  disposizione  dettata dal secondo comma del
 citato art. 13 - essa ha conservato una residuale  applicabilita'  ai
 reati  commessi  fino  al  31  dicembre 1982. Quindi dopo la radicale
 riforma del 1982 la pregiudiziale tributaria e' rimasta non  di  meno
 vigente  in  un  ambito  assai  limitato e progressivamente in via di
 esaurimento.
    Pertanto la sollevata questione di  costituzionalita',  nonostante
 l'intervenuta modifica del quadro normativo, e' tuttora rilevante nel
 giudizio  a  quo  (che  ha  ad  oggetto l'imposta sul valore aggiunto
 dovuta nell'anno 1976) atteso che, avendo la  Commissione  tributaria
 (con  decisione  definitiva  non  piu'  soggetta a gravame) annullato
 l'avviso di accertamento con cui l'Amministrazione finanziaria faceva
 valere un'assunta evasione d'imposta da parte  del  contribuente,  il
 giudicato  tributario, cosi' formatosi, e' - come esattamente ritiene
 la  Corte  d'appello  rimettente  -   preclusivo   di   un   autonomo
 accertamento in sede penale del medesimo fatto.
    3.   -   Il   quadro  normativo  -  che,  come  rilevato,  assegna
 all'istituto della pregiudiziale tributaria un  ruolo  residuale  (ad
 esaurimento)  -  e'  stato inoltre ulteriormente modificato da questa
 Corte  che  ripetutamente  e'  intervenuta   con   dichiarazioni   di
 illegittimita' costituzionale che hanno operato un'erosione della sua
 portata.  E tale erosione - che il giudice rimettente chiede portarsi
 ad ulteriore compimento, muovendo le censure di cui in narrativa - ha
 seguito una  duplice  direttrice,  perche'  ne  e'  risultato  talora
 ampliato  il  diritto  di  difesa del contribuente-imputato, talaltra
 esteso l'esercizio dell'azione penale del pubblico ministero.
    Mette conto da una parte ricordare  -  come  orientate  nel  primo
 senso  -  le  sentenze  n.  247  del  1983 e n. 88 del 1982 che hanno
 rispettivamente escluso che la pronuncia  giurisdizionale  tributaria
 possa  far  stato nel processo penale nei confronti dei terzi che non
 abbiano potuto partecipare al relativo giudizio (tributario) e che la
 definitivita'    dell'accertamento    amministrativo,    non     piu'
 assoggettabile  a  rimedi giurisdizionali, abbia efficacia vincolante
 nel giudizio penale.
    Per altro verso questa Corte ha dichiarato, con sentenza n. 89 del
 1982,  l'illegittimita'  del citato art. 58 d.P.R. n. 633 del 1972 e,
 con sentenza n. 2 del 1989, la illegittimita'  dell'art.  56,  ultimo
 comma, d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui - l'uno e l'altro -
 dispongono  che  l'azione  penale ha corso dopo che l'accertamento e'
 divenuto definitivo anche nel caso di reato "del  tutto  indipendente
 dalla  entita'  del  tributo"  evaso  (rispettivamente:  emissione di
 fatture inesistenti o non veritiere; annotazione nei  certificati  di
 corrispettivi  inferiori  a  quelli  effettivamente erogati). Il piu'
 recente intervento di  questa  Corte  (sent.  n.  258  del  1991)  si
 inserisce nel primo filone, essendo stata dichiarata l'illegittimita'
 costituzionale  di  tale  ultima disposizione (art. 56, ultimo comma)
 nella  parte  in  cui  stabilisce  che  l'accertamento  dell'imposta,
 divenuto  definitivo  a  seguito  di  una  decisione  di  commissione
 tributaria, faccia stato nel giudizio penale  relativo  al  reato  di
 omessa,  incompleta  od infedele dichiarazione dei redditi, pronuncia
 questa  che  si  fonda  essenzialmente   sulla   considerazione   che
 "l'esigenza  di evitare giudicati contraddittori non puo' piu' valere
 a ritenere costituzionalmente lecita la vincolativita' per il giudice
 penale di pronunce tributarie che, pur se  valide  ai  fini  fiscali,
 sono  basate  su  regole  di  giudizio  estranee al processo penale e
 contraddittorie con la sua essenza".
    4. - La questione di costituzionalita' in esame - che attiene alla
 pregiudiziale tributaria non come istituto processuale, ma per il suo
 contenuto sostanziale - riguarda (al pari della sentenza n.  258  del
 1991,  da  ultimo  citata)  gli  effetti del giudicato tributario nel
 processo penale, ma  con  riferimento  non  gia'  ai  reati  previsti
 dall'art.  56 d.P.R. n. 600/73, bensi' al reato contemplato dall'art.
 50, primo comma, d.P.R. n. 633/72.
    La sostanziale identita' delle due fattispecie ed il rispetto  del
 principio  di  eguaglianza  (art. 3 Cost.) implicano anche un'analoga
 valutazione  della  illegittimita'  costituzionale  delle  due  norme
 (mentre assorbito e' l'esame dell'ulteriore censura riferita all'art.
 112 Cost.).
    Non  puo'  infatti valere come elemento diversificatore il tipo di
 reato oggetto delle due norme, essendo  irrilevante,  al  fine  della
 valutazione   della   censura  di  costituzionalita',  che  l'effetto
 preclusivo del giudizio tributario riguardi l'evasione di  un'imposta
 sui redditi, come nella fattispecie presa in considerazione da questa
 Corte nella sentenza n. 258/91 citata, ovvero l'evasione dell'imposta
 sul  valore  aggiunto, come nella fattispecie di cui all'ordinanza di
 rimessione.
    Pertanto  una  volta  espunta  dall'ordinamento  la  pregiudiziale
 tributaria  relativamente  ai reati in materia di imposte dirette, la
 permanenza dell'istituto relativamente al reato di evasione di IVA si
 appalesa  irragionevole  (non  valendo  il  mero  dato  temporale   -
 consistente  nell'essere stato il reato commesso prima o dopo la data
 del 1› gennaio 1983 - a dare sufficiente giustificazione di un regime
 speciale  che  il  legislatore  ha  inteso  abrogare)  e  ridonda  in
 violazione  del  principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) non tanto se
 si compara - come richiede  il  giudice  rimettente  -  la  posizione
 dell'imputato  di  un  reato  comune  (per  i quale vige il principio
 dell'autonomia delle singole giurisdizioni) con quella  dell'imputato
 di  un  reato  tributario commesso prima del 1› gennaio 1983 e per il
 quale sia ancora  in  vigore  il  principio  della  prevalenza  della
 giurisdizione   tributaria  (posto  che  in  tal  caso  il  giudicato
 tributario fa stato nel giudizio penale); quanto piuttosto, guardando
 al piu' limitato ambito dei reati tributari commessi prima della data
 suddetta, se si compara il trattamento riservato  ai  reati  previsti
 dall'art. 56 d.P.R. n. 600/73 (per i quali non opera la pregiudiziale
 tributaria  per  effetto della citata pronuncia n. 258/91) con quello
 invece ancora in vigore per il reato  previsto  dall'art.  50,  primo
 comma, d.P.R. n. 633/72, oggetto del giudizio a quo (per il quale, al
 contrario,  opera  la pregiudiziale tributaria). Va quindi dichiarata
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  58,  ultimo  comma,   in
 relazione  all'art.  50,  primo  comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633
 (istituzione e disciplina dell'imposta  sul  valore  aggiunto)  nella
 parte  in  cui  prevede  che  la  decisione  pronunciata  in  sede di
 giurisdizione tributaria in ordine  all'accertamento  dell'Ufficio  e
 divenuta definitiva fa stato nel processo penale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  58,  ultimo
 comma, d.P.R. 26  ottobre  1972  n.  633  (istituzione  e  disciplina
 dell'imposta  sul  valore aggiunto) nella parte in cui stabilisce che
 la decisione della commissione tributaria,  divenuta  definitiva,  fa
 stato  nel  processo penale per il reato previsto dall'art. 50, primo
 comma, dello stesso d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1993.
                        Il presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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