N. 10 SENTENZA 12 - 19 gennaio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Imputato  straniero  -  Ignoranza  della  lingua
 italiana - Decreto di citazione -  Notifica  -  Traduzione  dell'atto
 nella lingua a lui nota - Mancata previsione - Richiesta del giudizio
 abbreviato  -  Avviso  contenente  il  termine  per  l'adempimento  -
 Traduzione  nella  lingua  conosciuta  dallo  straniero   -   Mancata
 previsione - Termine di decadenza prescritto per la richiesta (giorni
 7)  -  Decorrenza  dalla  data  di  notifica del decreto di citazione
 anziche' dalla data dell'avviso al difensore - Richiesta di  sentenza
 additiva - Necessita' di una interpretazione estensiva dell'art. 143,
 primo comma, del c.p.p.  a tutte le ipotesi potenzialmente lesive del
 diritto  dell'imputato  di  partecipazione  al  processo penale - Non
 fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (C.P.P., art. 555, terzo comma; c.d. art. 456, secondo comma, e  art.
 458, primo comma, del c.p.p.).
 
 (Cost., artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 76).
(GU n.4 del 27-1-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato  GRANATA,  prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 555, terzo
 comma, 456,  secondo  comma,  e  458,  primo  comma,  del  codice  di
 procedura penale, promosso con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il  2  marzo  1992 dal Pretore di Torino,
 sezione distaccata di Moncalieri, nel procedimento penale a carico di
 Mujanovic Kasim, iscritta al n. 207 del  registro  ordinanze  1992  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 18, prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
      2) ordinanza emessa il 27 febbraio 1992 dal Tribunale di  Milano
 nel  procedimento penale a carico di Hakimi Noureddin, iscritta al n.
 233 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio penale l'imputato, cittadino  slavo,
 condotto  in  udienza in stato di detenzione, dichiarava, avvalendosi
 dell'assistenza  dell'interprete   nominatogli   durante   gli   atti
 introduttivi del dibattimento, di non conoscere la lingua italiana e,
 pertanto,  di  ignorare  il  contenuto dell'imputazione contestatagli
 mediante notifica in carcere del decreto di citazione.  Di  fronte  a
 questa  circostanza, la quale risultava dagli atti di causa per esser
 stata rilevata al momento della convalida dell'arresto, il Pretore di
 Torino, sezione distaccata di Moncalieri,  con  la  prima  delle  due
 ordinanze   riportate   in   epigrafe,   ha  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  3,  primo
 comma,  24,  secondo  comma,  e  76 della Costituzione, nei confronti
 dell'art. 555, terzo comma, c.p.p., nella parte in cui tale norma non
 prevede  che  il  decreto  di  citazione  a  giudizio  debba   essere
 notificato   all'imputato   straniero,  che  non  conosce  la  lingua
 italiana, accompagnato da una traduzione nella lingua a lui nota.
    Con riferimento all'art. 3, primo comma,  della  Costituzione,  la
 norma  impugnata  e' ritenuta di dubbia costituzionalita' dal Pretore
 rimettente,  in  quanto  essa   determinerebbe   una   ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  fra  l'imputato  straniero che ignora la
 lingua italiana e gli imputati che non versano  in  tale  particolare
 condizione.  Lo  straniero,  infatti,  vedrebbe leso il suo diritto a
 conoscere il contenuto del decreto di  citazione,  in  tutti  i  suoi
 elementi   costitutivi,  sin  dal  momento  della  notifica,  con  la
 conseguente vanificazione, nei  suoi  riguardi,  dello  scopo  tipico
 della  notificazione  del  decreto  di  citazione,  irrimediabilmente
 pregiudicato anche quando, come nel caso di  specie,  il  decreto  di
 citazione  venga tradotto all'imputato dall'interprete nominatogli in
 udienza.
    A quest'ultima osservazione si collega la censura  mossa  all'art.
 555,   terzo   comma,  c.p.p.,  anche  in  riferimento  al  parametro
 rappresentato  dell'art.  24,  secondo  comma,  della   Costituzione.
 Infatti,    in    conseguenza    della    suesposta    ingiustificata
 discriminazione in ordine alla  concreta  realizzazione  dell'effetto
 funzionale  della  notifica  del  decreto  di  citazione,  l'imputato
 straniero che non conosce la lingua italiana  non  sarebbe  posto  in
 condizione  di  apprestare  adeguatamente  la  propria difesa, sia in
 ordine al contenuto dell'accusa che gli viene mossa,  sia  in  ordine
 alle  facolta' processuali che gli sono riconosciute (da quelle, piu'
 elementari, derivanti dalla conoscenza del tempo e  del  luogo  della
 celebrazione  del  giudizio a suo carico, a quelle, di piu' complessa
 azionabilita', come la facolta' di richiedere il giudizio  abbreviato
 ed  essere  ammesso  allo sconto di pena previsto da quel particolare
 rito).
    Infine, il Pretore di Torino assume  la  violazione  dell'art.  76
 della   Costituzione,   argomentando   che  la  norma  impugnata  non
 rispetterebbe la direttiva espressa dall'art. 2, prima  parte,  della
 legge  16  febbraio  1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della
 Repubblica per l'emanazione del nuovo codice  di  procedura  penale),
 che   prescrive   il   rispetto   delle  norme  e  delle  convenzioni
 internazionali  ratificate  dall'Italia  relative  ai  diritti  della
 persona e al processo penale.
    In particolare, il giudice a quo richiama, innanzitutto, l'art. 6,
 terzo  comma,  lett.  a),  della  Convenzione per la salvaguardia dei
 diritti  dell'uomo  e   delle   liberta'   fondamentali,   ratificata
 dall'Italia  con  la legge 4 agosto 1955, n. 848, il quale stabilisce
 che "ogni accusato ha diritto (..) a essere  informato  (..)  in  una
 lingua  a  lui comprensibile e in modo dettagliato della natura e dei
 motivi dell'accusa elevata a suo carico". In secondo luogo,  richiama
 l'art.  14,  terzo comma, lett. a), del Patto internazionale relativo
 ai diritti civili e politici, ratificato con legge 25  ottobre  1977,
 n.  881, il quale stabilisce che "ogni individuo accusato di un reato
 ha il diritto ( ..) ad essere  informato  sollecitamente  e  in  modo
 circostanziato  in  una lingua a lui comprensibile della natura e dei
 motivi dell'accusa a lui rivolta".  Secondo  il  giudice  rimettente,
 tali  principi  non  possono  dirsi attuati da una norma, come quella
 dell'art. 555, terzo comma, c.p.p.,  la  quale  non  prevede  che  il
 decreto di citazione venga notificato all'imputato straniero, che non
 conosce la lingua italiana, tradotto in una lingua a lui nota.
    2.  - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri per chiedere una pronuncia di infondatezza  della  questione
 di legittimita' costituzionale in oggetto.
    In  via  di  premessa,  l'Avvocatura  dello  Stato ri corda che il
 rispetto  del  principio  di  uguaglianza  non  impone  una  assoluta
 identita'  di  trattamento  normativo  per  situazioni oggettivamente
 diversificate. A tale proposito la  stessa  difesa  rinvia,  piu'  in
 particolare,  al  consolidato orientamento della giurisprudenza della
 Corte costituzionale, secondo il quale la diversita' della  posizione
 del cittadino rispetto a quella dello straniero, seppure non precluda
 il  riconoscimento  all'uno  e  all'altro  dei  diritti fondamentali,
 consente   al   legislatore,   nell'ambito   del   suo    ragionevole
 apprezzamento,  di  stabilire  modalita' normativamente diversificate
 nel  godimento  di  tali  situazioni  soggettive   costituzionalmente
 garantite.
    Pertanto,  la norma impugnata, considerata sistematicamente con la
 disciplina del processo penale  -  disciplina  che,  sebbene  imponga
 l'uso della lingua italiana per il compimento degli atti del processo
 penale  (art. 109 c.p.p.), riconosce all'imputato (art. 143 c.p.p.) e
 all'indagato (art. 61 c.p.p.), che non conoscono la lingua  italiana,
 il  diritto  di  farsi assistere gratuitamente da un interprete - non
 appare in contrasto con  i  principi  costituzionali.  Al  contrario,
 continua  l'Avvocatura  dello  Stato, sicuramente irrazionale sarebbe
 una  norma,  come  quella  che  il  giudice  a  quo mira a introdurre
 nell'ordinamento con la pronunzia  additiva  richiesta  con  riguardo
 all'art.  555,  terzo  comma,  c.p.p.,  dal momento che la preventiva
 traduzione del decreto di citazione nella  lingua  nota  all'imputato
 straniero  sarebbe  operativamente  pregiudicata dalla difficolta' di
 individuare  anticipatamente  quale   sia   la   lingua   da   questi
 effettivamente  conosciuta,  non potendo considerarsi decisiva in tal
 senso la sua nazionalita'.
    L'Avvocatura dello Stato osserva, inoltre, che una  considerazione
 complessiva della disciplina del processo penale relativa alla figura
 dell'interprete  induce  a  ritenere infondate anche le censure mosse
 alla norma impugnata in riferimento all'art. 24  della  Costituzione.
 Posto  che il contenuto essenziale del diritto di difesa riposa sulla
 garanzia di un effettivo e reale  contraddittorio,  assicurato  anche
 attraverso  un'adeguata  assistenza tecnico-professionale, il diritto
 all'assistenza gratuita di un interprete rappresenta il mezzo con cui
 si consente all'imputato straniero, mediante la presa  di  cognizione
 dello   sviluppo   processuale,   di  partecipare  effettivamente  al
 processo, con la possibilita' di utilizzare tutte le opportunita'  di
 strategia  processuale (ivi compresa la richiesta di rito abbreviato)
 che il codice mette a sua disposizione.
    Infine, conclude l'Avvocatura dello Stato, anche i principi  delle
 convenzioni  internazionali  richiamate  nell'ordinanza di rimessione
 sarebbero adeguatamente rispettati dal riconoscimento di  un  diritto
 dell'imputato straniero all'assistenza gratuita di un interprete, dal
 momento   che   le  convenzioni  richiamate  impongono  soltanto  una
 informativa dettagliata e comprensibile dell'imputazione,  senza  che
 sia  in proposito fissata alcuna specifica scadenza temporale o alcun
 termine iniziale.
    3. - Con la seconda delle  ordinanze  riportate  in  epigrafe,  il
 Tribunale   di   Milano   ha   sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale, in riferimento  all'art.  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione,  nei confronti degli artt. 456, secondo comma, c.p.p. e
 458, primo comma, c.p.p., nella parte in cui  il  combinato  disposto
 formato  da  queste  due  norme  non  impone  che  l'avviso  previsto
 dall'art. 456, secondo  comma,  c.p.p.,  sia  tradotto  nella  lingua
 dell'imputato  straniero  che  non  conosce  la  lingua  italiana con
 l'indicazione  del  termine  entro   cui   richiedere   il   giudizio
 abbreviato.  Lo  stesso  giudice  a  quo, subordinatamente al caso di
 pronuncia di inammissibilita'  o  di  infondatezza  sulla  precedente
 questione    di    legittimita'    costituzionale,    dubita    della
 costituzionalita' dell'art. 458, primo comma, c.p.p., in  riferimento
 all'art.  24,  secondo  comma, della Costituzione, nella parte in cui
 quella norma prevede che il termine di  decadenza  di  sette  giorni,
 prescritto  per  la  richiesta del giudizio abbreviato, decorra dalla
 data  della  notificazione  del  decreto  di  citazione  all'imputato
 anziche',   per  l'imputato  straniero  che  non  conosce  la  lingua
 italiana, dalla data della notifica dell'avviso al difensore,  quando
 questa si perfezioni successivamente.
    Le  due  questioni  di costituzionalita' ora illustrate sono state
 sollevate nel corso dell'udienza di un giudizio immediato  instaurato
 a  carico di un cittadino tunisino, in stato di custodia cautelare in
 carcere per detenzione di stupefacenti, dopo che il  Giudice  per  le
 indagini  preliminari  del Tribunale di Milano aveva rigettato la sua
 richiesta di giudizio abbreviato, con la motivazione che quest'ultima
 era  stata intempestivamente prodotta il 31 gennaio 1992 (ossia oltre
 sette giorni dopo la notifica all'imputato del decreto di citazione a
 giudizio immediato, avvenuta il 23 gennaio 1992,  ancorche'  proposta
 entro   il  termine  fissato  dall'art.  458,  primo  comma,  c.p.p.,
 considerando come dies a quo la  successiva  notifica  al  difensore,
 avvenuta  il  24  gennaio  1992)  e  dopo che il Tribunale di Milano,
 competente per il giudizio immediato,  aveva  respinto  l'istanza  di
 rimessione  in  termini presentata (al fine di rinnovare la richiesta
 di  giudizio  abbreviato)  dal  difensore  dell'imputato,  ai   sensi
 dell'art. 175 c.p.p., prima dell'apertura del dibattimento, basandosi
 sul  fatto  che  lo straniero, non conoscendo la lingua italiana, non
 aveva compreso il contenuto dell'avviso che gli era stato notificato.
   Secondo il giudice a quo, sulla base dello svolgimento del processo
 appena  ricordato,  entrambe  le   questioni   di   costituzionalita'
 sarebbero rilevanti, dal momento che sarebbero indirizzate, ancorche'
 in  via  subordinata l'una rispetto all'altra, all'eliminazione delle
 norme dalla cui applicazione deriverebbe all'imputato straniero,  con
 riferimento  al  caso  di  specie,  il  pregiudizio consistente nella
 impraticabilita' del giudizio abbreviato  e  nell'impossibilita'  del
 conseguimento  del  connesso  effetto  sostanziale di riduzione della
 pena.
    Quanto alla non manifesta  infondatezza  delle  due  questioni  di
 costituzionalita'  sollevate,  il  Tribunale  di  Milano,  riguardo a
 quella principale, osserva che dall'insieme  delle  disposizioni  del
 codice  di  procedura  penale  in  materia  di  lingua degli atti del
 processo  penale  e  di   assistenza   dell'interprete   all'imputato
 straniero  (artt.  109, 143, 169, terzo comma, c.p.p. e 63 disp. att.
 c.p.p.) si dovrebbe escludere l'obbligo di traduzione dell'avviso  di
 cui  all'art.  456,  secondo  comma,  c.p.p.  nella lingua conosciuta
 dall'imputato  straniero  che  ignora  l'italiano  e  che,  pertanto,
 l'omissione  di tale previsione comporterebbe una lesione sostanziale
 del  diritto  di  difesa,  in  quanto  comprometterebbe  il   diritto
 dell'imputato  straniero  di  beneficiare  della  diminuente  di pena
 prevista in conseguenza dell'adozione del rito abbreviato.
    In  relazione  alla  questione  di   legittimita'   costituzionale
 sollevata  in via subordinata, il giudice a quo osserva che, nel caso
 di imputato straniero che non conosce la lingua italiana e  al  quale
 l'avviso  previsto dall'art. 456, secondo comma, c.p.p. non sia stato
 notificato nella traduzione  in  una  lingua  a  lui  conosciuta,  la
 decorrenza  del  breve  termine  di  decadenza fissato dall'art. 458,
 primo comma, c.p.p., a partire dalla data di  notifica  del  predetto
 avviso  all'imputato,  risulterebbe  lesiva  del  diritto  di  difesa
 dell'imputato, dal momento che non sussiste il presupposto (ossia  la
 piena  comprensione  dell'avviso)  sulla base del quale l'accusato e'
 posto in grado di attivarsi e di informare il difensore,  presupposto
 che,  in  base  alla  giurisprudenza  costituzionale,  deve ritenersi
 essenziale al fine di affermare la non irragionevolezza  del  termine
 di  cui  all'art. 458, primo comma, c.p.p. Pertanto, poiche' nel caso
 in esame  non  possono  essere  riferite  all'imputato  straniero  le
 considerazioni  svolte  dalla  Corte costituzionale nell'ordinanza n.
 588  del  1990  in  relazione  all'imputato  che  conosce  la  lingua
 italiana,  e'  opinione  del  giudice a quo che, qualora la questione
 principale dovesse  ritenersi  infondata  o  inammissibile,  dovrebbe
 dichiararsi,  entro  questi  limiti,  l'illegittimita' costituzionale
 della norma contestata in via subordinata.
    4. - Anche in questo giudizio si e' costituito il  Presidente  del
 Consiglio  dei  ministri, che ha richiesto, per entrambe le questioni
 di costituzionalita' sollevate, una pronuncia di  inammissibilita'  o
 una di infondatezza.
    Preliminarmente,  l'Avvocatura dello Stato esprime l'avviso che la
 questione di legittimita' costituzionale  degli  artt.  456,  secondo
 comma,  e 458, primo comma, c.p.p., sollevata dal Tribunale di Milano
 in via principale, sarebbe inammissibile per irrilevanza. Secondo  la
 difesa  erariale,  il  giudice  a quo ignora che, nel caso di specie,
 avrebbe dovuto trovare applicazione l'art.  175  c.p.p.,  poiche'  la
 violazione  del  termine  di  decadenza  per  la  presentazione della
 richiesta di giudizio abbreviato trarrebbe motivo da un comportamento
 incolpevole dell'imputato  (ossia  la  non  comprensione  dell'avviso
 notificatogli  in  lingua  italiana),  che, come tale, configurerebbe
 sicuramente  un'ipotesi  di  caso  fortuito  o  di  forza   maggiore,
 richiesti  dalla  disposizione  generale  dell'art.  175  c.p.p. come
 presupposto per la concessione di un provvedimento di restituzione in
 termini.
    Nel merito, la  difesa  erariale  ritiene  entrambe  le  questioni
 infondate,   in  quanto  non  si  evidenzierebbero  nella  disciplina
 legislativa  vigente  motivi  di  contrasto  con  l'art.   24   della
 Costituzione  sotto  il  profilo della garanzia del diritto di difesa
 ivi previsto. Inoltre, sempre secondo la stessa difesa, non  potrebbe
 ritenersi   sussistente,   neppure  con  riferimento  a  un  imputato
 straniero, l'irrazionalita' o l'incongruenza di un termine  di  sette
 giorni decorrente dalla notifica di un atto all'interessato.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il Pretore di Torino, sezione distaccata di Moncalieri, nel
 corso di un giudizio penale nel quale  un  imputato  straniero  aveva
 dichiarato  in  udienza, attraverso l'interprete nominato dal giudice
 all'inizio del dibattimento, di  aver  ignorato  fino  ad  allora  il
 contenuto  dell'imputazione  mossagli  a causa della sua assoluta non
 conoscenza  della  lingua  italiana,  ha   sollevato   questione   di
 legittimita'  costituzionale  -  in  riferimento  agli artt. 3, primo
 comma, 24, secondo comma, e 76 della  Costituzione  -  nei  confronti
 dell'art.  555,  terzo  comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede
 che il  decreto  di  citazione  a  giudizio  debba  esser  notificato
 all'imputato  straniero,  che  non  conosce la lingua italiana, anche
 nella traduzione nella lingua a lui nota.
    Il Tribunale di Milano, nel  corso  dell'udienza  di  un  giudizio
 immediato  instaurato,  a  carico  di  un  imputato straniero che non
 conosceva la lingua italiana, dopo che il  Giudice  per  le  indagini
 preliminari  aveva  rigettato  la  richiesta  di  giudizio abbreviato
 perche' intempestivamente prodotta e dopo che lo stesso Tribunale  di
 Milano  aveva  respinto l'istanza di rimessione in termini presentata
 dal difensore dell'imputato, ha sollevato questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  all'art.  24,  secondo comma, della
 Costituzione, nei confronti del combinato disposto formato  dall'art.
 456,  secondo  comma,  c.p.p.  e  dall'art. 458, primo comma, c.p.p.,
 nella parte in cui non prevede  che  l'avviso  contemplato  dall'art.
 456,  secondo  comma,  c.p.p.,  contenente  l'indicazione del termine
 entro cui richiedere il giudizio abbreviato,  debba  essere  tradotto
 nella  lingua conosciuta dall'imputato straniero che ignora la lingua
 italiana. In via subordinata, lo stesso giudice a  quo  ha  sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale,  sempre  in  riferimento
 all'art.  24,  secondo  comma,  della  Costituzione,  nei   confronti
 dell'art. 458, primo comma, c.p.p., nella parte in cui prevede che il
 termine di decadenza di sette giorni, prescritto per la richiesta del
 giudizio  abbreviato,  decorra  dalla  data  della  notificazione del
 decreto di citazione all'imputato anziche', per l'imputato  straniero
 che  non  conosce  la  lingua  italiana,  dalla  data  della notifica
 dell'avviso   al   difensore,    quando    questa    si    perfezioni
 successivamente.
    Sebbene  la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal
 Pretore di Torino e quella proposta in via principale  dal  Tribunale
 di  Milano  abbiano  ad  oggetto  disposizioni  diverse  e  sebbene i
 parametri invocati nell'uno e nell'altro caso siano solo parzialmente
 coincidenti, i relativi giudizi vanno riuniti per essere  decisi  con
 un'unica  sentenza  in  considerazione  del  fatto  che in ambedue le
 ipotesi i giudici a quibus  chiedono  pronunzie  additive  aventi  un
 contenuto  analogo.  Piu' precisamente, tali giudici, affinche' siano
 salvaguardati i principi costituzionali invocati e,  in  particolare,
 il  diritto  di  difesa,  prospettano l'esigenza che nell'ordinamento
 processuale penale sia introdotta una norma diretta a prescrivere che
 all'imputato  straniero  che  ignora   la   lingua   italiana   siano
 notificati,  anche nella traduzione nella lingua a lui nota, atti del
 processo penale, dai  quali  dipendono  la  conoscenza  tempestiva  e
 dettagliata   dell'imputazione   (decreto  di  citazione  a  giudizio
 dinnanzi al pretore)  ovvero  l'esercizio  di  significativi  diritti
 garantiti  all'imputato  dalle  norme  di  procedura  penale (avviso,
 contenuto nel decreto di citazione a giudizio immediato,  concernente
 la  facolta' dell'imputato di richiedere il giudizio abbreviato entro
 sette giorni dalla notifica del decreto stesso).
    2. - Ambedue le questioni sono non fondate nei sensi  indicati  in
 motivazione.
    Premesso   che  l'eccezione  d'inammissibilita'  per  irrilevanza,
 formulata dall'Avvocatura dello Stato, va respinta dal  momento  che,
 una  volta  che  il  giudice  rimettente  abbia non irragionevolmente
 individuato la norma applicabile alla controversia pendente di fronte
 a se stesso, esula dai poteri intestati a questa  Corte  in  sede  di
 riesame  della  rilevanza  sostituirsi  al  giudice  a quo attraverso
 l'indicazione di norme diverse che, secondo il suo avviso,  sarebbero
 risolutive  del  caso  dedotto o, comunque, influenti sulla decisione
 dello stesso (v., ad esempio, sentt. nn. 89 del 1984 e 189 del  1986,
 nonche'  ord.  n.  125  del  1987), occorre osservare che i giudici a
 quibus richiedono a questa Corte addizioni normative il cui contenuto
 sostanziale e' gia' presente nell'ordinamento vigente.
    Il presupposto interpretativo da cui muovono i  giudici  a  quibus
 consiste  nella  convinzione che la regola predisposta dall'art. 143,
 primo comma, c.p.p.,  relativa  al  diritto  dell'imputato  di  farsi
 assistere   gratuitamente   da   un   interprete,  sia  rigorosamente
 circoscritta agli atti orali e  possa,  quindi,  essere  estesa  alla
 notificazione  di  atti  scritti  soltanto  in  riferimento  ai  casi
 espressamente previsti come eccezioni a quella regola: vale  a  dire,
 la  richiesta  del  cittadino  italiano  appartenente a una minoranza
 linguistica riconosciuta di avere  la  traduzione  nella  madrelingua
 degli  atti  del  procedimento  a  lui indirizzati (art. 109, secondo
 comma, c.p.p.) e l'invito a dichiarare o  a  eleggere  domicilio  nel
 territorio  dello  Stato  rivolto  all'imputato straniero, invito che
 dev'essere redatto  nella  lingua  dell'accusato  quando  dagli  atti
 risulti  che  quest'ultimo  non conosce la lingua italiana (art. 169,
 terzo comma, c.p.p.).  Tuttavia,  a  una  considerazione  complessiva
 dell'ordinamento  normativo,  il  presupposto  interpretativo  appena
 ricordato non puo' essere condiviso.
    La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
 liberta'  fondamentali,  firmata  a  Roma  il  4 novembre 1950 e resa
 esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955,  n.  848,  stabilisce
 all'art.  6, terzo comma, lettera a), che "ogni accusato ha diritto (
 ..) a essere informato, nel piu' breve spazio di tempo, nella  lingua
 che  egli  comprende  e  in  maniera  dettagliata, della natura e dei
 motivi  dell'accusa  a  lui  rivolta".  Una  disposizione  del  tutto
 identica  e',  altresi', contenuta nell'art. 14, terzo comma, lettera
 a), del Patto internazionale relativo ai diritti civili  e  politici,
 patto che e' stato firmato il 19 dicembre 1966 a New York ed e' stato
 reso  esecutivo  in  Italia  con la legge 25 ottobre 1977, n. 881. Le
 norme  internazionali  appena   ricordate   sono   state   introdotte
 nell'ordinamento  italiano  con  la forza di legge propria degli atti
 contenenti i relativi ordini di esecuzione (v.  sentt.  nn.  188  del
 1980,  153  del  1987  e  323  del  1989) e sono tuttora vigenti, non
 potendo,  certo,  esser   considerate   abrogate   dalle   successive
 disposizioni del codice di procedura penale, non tanto perche' queste
 ultime  sono  vincolate  alla  direttiva  contenuta nell'art. 2 della
 legge delega del 16 febbraio 1987, n. 81  ("il  codice  di  procedura
 penale   deve   (   ..)   adeguarsi   alle  norme  delle  convenzioni
 internazionali ratificate dall'Italia e  relative  ai  diritti  della
 persona  e al processo penale"), quanto, piuttosto, perche' si tratta
 di norme derivanti  da  una  fonte  riconducibile  a  una  competenza
 atipica   e,   come   tali,   insuscettibili   di  abrogazione  o  di
 modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria.
    Grazie al collegamento delle norme ora richiamate con  l'art.  143
 c.p.p.,   che  ad  esse  assicura  la  garanzia  dell'effettivita'  e
 dell'applicabilita' in concreto, il diritto dell'imputato  ad  essere
 immediatamente  e  dettagliatamente  informato  nella  lingua  da lui
 conosciuta della natura e dei motivi  dell'imputazione  contestatagli
 dev'esser  considerato  un  diritto soggettivo perfetto, direttamente
 azionabile (v.  analogamente sent. n. 62 del  1992).  E,  poiche'  si
 tratta  di  un diritto la cui garanzia, ancorche' esplicitata da atti
 aventi il rango della legge ordinaria, esprime un contenuto di valore
 implicito nel riconoscimento costituzionale, a favore  di  ogni  uomo
 (cittadino  o  straniero),  del diritto inviolabile alla difesa (art.
 24, secondo comma, della Costituzione), ne consegue che,  in  ragione
 della  natura  di quest'ultimo quale principio fondamentale, ai sensi
 dell'art. 2 della Costituzione, il giudice e' sottoposto  al  vincolo
 interpretativo  di  conferire  alle norme, che contengono le garanzie
 dei diritti di difesa in ordine alla esatta comprensione dell'accusa,
 un significato espansivo, diretto a render concreto ed effettivo, nei
 limiti del possibile, il sopra indicato diritto dell'imputato.
    3. - Nel disciplinare con  una  norma  di  carattere  generale  il
 diritto   dell'imputato   di  farsi  assistere  gratuitamente  da  un
 interprete, l'art. 143 c.p.p. ha  prodotto  nel  sistema  processuale
 penale  una  significativa innovazione rispetto alla disciplina dello
 stesso  processo  contenuta nel codice precedente. Infatti, mentre in
 quest'ultimo l'art. 326 regolava la figura  dell'interprete  in  modo
 tale  da collocarla senza residui nella categoria degli ausiliari del
 giudice - tanto che individuava la funzione caratterizzante di questo
 istituto nell'esigenza di assicurare l'intellegibilita' obiettiva  di
 tutti  gli  atti  del processo, attraverso l'omogeneita' della lingua
 adoperata e senza distinguere, fra le dichiarazioni o le deposizioni,
 quelle provenienti dall'imputato -,  l'art.  143  del  nuovo  codice,
 invece,   pur  mantenendo  all'interprete  le  funzioni  tipiche  del
 collaboratore  dell'autorita'  giudiziaria  (secondo  comma),   marca
 nettamente  la  differenza  con  la  precedente disciplina assegnando
 primariamente allo stesso una  connotazione  e  un  ruolo  propri  di
 istituti  preordinati  alla tutela della difesa, tanto da configurare
 il  ricorso  all'interprete  come  oggetto  di  un  preciso   diritto
 dell'imputato  e  da  qualificare  la relativa funzione in termini di
 "assistenza" (primo comma).
    Tale innovazione, che sottolinea il valore del diritto alla difesa
 come strumento di  reale  partecipazione  dell'imputato  al  processo
 attraverso  l'effettiva  comprensione dei distinti atti e dei singoli
 momenti  di  svolgimento  dello  stesso,  pone   il   nuovo   sistema
 processuale  penale  in  sintonia  con  i  principi  contenuti  nelle
 convenzioni  internazionali  ratificate  dall'Italia  in  materia  di
 diritti  della  persona (v., oltre agli articoli di dette convenzioni
 sopra indicati, l'art. 3, terzo comma, lettera a, e l'art. 14,  terzo
 comma,  lettera  f,  del  Patto  internazionale  dei diritti civili e
 politici, di cui l'art. 143,  primo  comma,  c.p.p.  costituisce  una
 riproduzione  pressoche'  letterale).  E'  da siffatto rapporto con i
 suddetti principi,  alimentato  dal  necessario  collegamento  con  i
 valori  costituzionali  attinenti  ai  diritti della difesa (art. 24,
 secondo  comma,  della  Costituzione),  che   deriva,   nei   termini
 precedentemente  precisati, una particolare forza espansiva dell'art.
 143,  primo  comma,  c.p.p.,  che  il  giudice  penale,  in  sede  di
 interpretazione, non puo' ignorare.
    In  conseguenza  di queste considerazioni risulta evidente che non
 puo' essere condiviso il presupposto interpretativo da cui muovono  i
 giudici  a quibus, vale a dire l'assunto che l'art. 143, primo comma,
 c.p.p. vada configurato come norma di  stretta  interpretazione,  che
 tollera   come   uniche   eccezioni  alla  regola  dell'utilizzazione
 dell'interprete per gli  atti  orali  soltanto  quelle  espressamente
 previste  nello  stesso  codice  di  procedura  penale (v. artt. 109,
 secondo comma, e 169, terzo comma, c.p.p.). Al contrario, trattandosi
 di una norma che assicura una garanzia essenziale al godimento di  un
 diritto fondamentale di difesa, riconosciuto altresi' dalla comunita'
 internazionale  come principio derivante da un trattato multilaterale
 (essendosi  verificata  la  condizione  -  sottoscrizione  di  almeno
 trentacinque  membri  della  comunita'  mondiale  - cui l'art. 49 del
 Patto di New York subordinava l'entrata in vigore del Patto  stesso),
 l'art.  143,  primo  comma,  c.p.p. va interpretato come una clausola
 generale,  di  ampia  applicazione,  destinata  ad  espandersi  e   a
 specificarsi,  nell'ambito  dei  fini normativamente riconosciuti, di
 fronte  al  verificarsi  delle  varie  esigenze   concrete   che   lo
 richiedano,  quali  il  tipo  di  atto  cui  la persona sottoposta al
 procedimento deve partecipare ovvero il genere di ausilio di  cui  la
 stessa abbisogna.
    4.   -   Del   resto,  la  ricordata  configurazione  del  diritto
 all'assistenza di un interprete e',  per  un  verso,  permessa  dalle
 stesse  disposizioni  stabilite dall'art. 143, primo comma, c.p.p. e,
 per altro verso, non  e'  ostacolata,  ne',  tantomeno,  contraddetta
 dalle altre disposizioni del codice che prescrivono specificamente la
 traduzione di atti del processo nella lingua nota all'imputato.
    Sotto il primo profilo, infatti, occorre osservare che l'art. 143,
 primo   comma,  c.p.p.,  definisce  significativamente  il  contenuto
 dell'attivita' dell'interprete in dipendenza della finalita' generale
 di garantire all'imputato che non  intende  o  non  parla  la  lingua
 italiana  di  "comprendere  l'accusa  contro  di  lui  formulata e di
 seguire  il  compimento  degli  atti  cui  partecipa".  Questa  ampia
 finalizzazione  induce  a ritenere che l'art. 143 sia suscettibile di
 un'applicazione estensibile a tutte le ipotesi in cui l'imputato, ove
 non   potesse   giovarsi   dell'ausilio   dell'interprete,    sarebbe
 pregiudicato  nel  suo  diritto  di  partecipare  effettivamente allo
 svolgimento del processo penale. Inoltre, il fatto che la  disciplina
 dell'istituto  in  questione  sia  contenuta nel titolo dedicato alla
 "traduzione degli  atti"  e  il  fatto  che  il  processo  penale,  a
 differenza  di  quello civile, non distingue la figura del traduttore
 da quella dell'interprete, inducono a ritenere che, in via  generale,
 il  diritto  all'interprete  possa essere fatto valere e possa essere
 fruito, stando al tenore letterale dello stesso art. 143 c.p.p., ogni
 volta che l'imputato abbia bisogno della traduzione nella  lingua  da
 lui  conosciuta  in  ordine  a  tutti gli atti a lui indirizzati, sia
 scritti che orali.
   Sotto il profilo del rapporto con le altre disposizioni del  codice
 di procedura penale che prescrivono la traduzione di atti processuali
 nella  lingua  compresa  dall'imputato,  occorre  sottolineare che il
 significato normativo da attribuire all'art. 143 c.p.p. e' piu' ampio
 e non coincidente  sia  rispetto  a  quello  proprio  dell'art.  109,
 secondo  comma,  c.p.p., sia rispetto a quello proprio dell'art. 169,
 terzo comma, c.p.p. Infatti, mentre la garanzia apprestata  dall'art.
 143 c.p.p. ha carattere generale e si estende a qualsiasi persona, di
 qualunque nazionalita', che, essendo sottoposta a procedimento penale
 nel   territorio   dello  Stato,  risulta  essere  non  in  grado  di
 comprendere la lingua italiana,  al  contrario  le  garanzie  offerte
 dagli altri articoli sopra indicati prescindono dal presupposto della
 effettiva comprensione della lingua propria degli atti processuali.
    Piu' in particolare, l'art. 109, secondo comma, c.p.p. attribuisce
 al   cittadino  italiano  appartenente  a  un  minoranza  linguistica
 riconosciuta il diritto di richiedere la traduzione nella madrelingua
 degli atti a lui indirizzati, a prescindere dal fatto che egli  parli
 o  comprenda la lingua italiana: quella ora indicata e', infatti, una
 garanzia che, come ha affermato questa Corte  (v.  sent.  n.  62  del
 1992),  non  e' finalizzata "alla adeguata comprensione degli aspetti
 processuali", ne' implica,  piu'  in  generale,  una  "coincidenza  o
 sovrapposizione  con  la  tutela  comportata  dal  riconoscimento dei
 diritti della difesa", ma e', in ogni caso, "la  conseguenza  di  una
 speciale  protezione costituzionale accordata al patrimonio culturale
 di un particolare gruppo etnico".  Diversamente,  l'art.  169,  terzo
 comma,  c.p.p.,  che  prescrive  l'obbligo  di notificare all'estero,
 tradotto nella lingua dell'imputato straniero, l'invito a  dichiarare
 o  a  eleggere  domicilio  nel  territorio  dello  Stato,  impone  la
 redazione dell'atto in una lingua  diversa  da  quella  ufficiale  in
 presenza    del   mero   ricorrere   della   nazionalita'   straniera
 dell'imputato, salvo che dagli  atti  del  processo  non  risulti  la
 conoscenza da parte dell'imputato stesso della lingua italiana.
    5.  - Le considerazioni fin qui svolte - e, in particolare, quelle
 relative al principio della  effettiva  partecipazione  dell'imputato
 allo  sviluppo  della  sequenza procedimentale, partecipazione che e'
 imposta all'accertamento della fondatezza dell'accusa e che trova  il
 proprio presupposto indefettibile nella piena comprensione degli atti
 processuali  che  quella sequenza compongono, - inducono a concludere
 che la mancanza di un espresso obbligo  di  traduzione  nella  lingua
 nota  all'imputato  straniero sia del decreto di citazione a giudizio
 davanti al pretore (art. 555 c.p.p.), sia dell'avviso, contenuto  nel
 decreto  di giudizio immediato, concernente la facolta' di richiedere
 il giudizio abbreviato (artt. 456, secondo comma, e 458, primo comma,
 c.p.p.),  non  puo'  impedire  la  piena  espansione  della  garanzia
 assicurata  dall'art.  143,  primo  comma,  c.p.p., in conformita' ai
 diritti dell'imputato riconosciuti dalle  convenzioni  internazionali
 ratificate   in   Italia   e   dall'art.  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
    In altri termini,  interpretato  alla  luce  dei  principi  appena
 ricordati, l'art. 143, primo comma, c.p.p. impone che si proceda alla
 nomina dell'interprete o del traduttore immediatamente al verificarsi
 della  circostanza  della mancata conoscenza della lingua italiana da
 parte della persona nei cui  confronti  si  procede,  tanto  se  tale
 circostanza  sia  evidenziata dallo stesso interessato, quanto se, in
 difetto   di   cio',   sia   accertata   dall'autorita'   procedente.
 Quest'ultima  evenienza,  anzi,  va  riferita  anche  alla fase delle
 indagini preliminari, sia per effetto dell'estensione all'indagato di
 tutte le garanzie assicurate all'imputato (art. 61 c.p.p.),  sia  per
 effetto  del  riferimento esplicito, contenuto nello stesso art. 143,
 terzo comma, c.p.p., alla nomina dell'interprete  in  relazione  alle
 attivita'  processuali  del  giudice  cosi'  come  alle attivita' del
 pubblico ministero o dell'ufficiale di polizia giudiziaria. Pertanto,
 il diritto a farsi assistere gratuitamente da un interprete comporta,
 ad una corretta interpretazione dell'art. 143 c.p.p., che l'attivita'
 di  assistenza  svolta  da  quest'ultimo   a   favore   dell'indagato
 ricomprenda,  fra  l'altro,  la  traduzione, in tutti i suoi elementi
 costitutivi - incluso l'avviso relativo alla facolta'  di  richiedere
 il  giudizio abbreviato - del decreto di citazione a giudizio, sia se
 emesso dal Giudice per  le  indagini  preliminari  (nel  procedimento
 innanzi  al  tribunale),  sia se adottato dal Pubblico ministero (nel
 rito pretorile).
    Questa  conclusione,  oltre  a  essere  indotta  da   un   preciso
 collegamento  ermeneutico  con  i  principi  costituzionali stabiliti
 dall'art. 24 e con i  diritti  dell'imputato  garantiti  dalle  sopra
 menzionate  convenzioni  internazionali  sui  diritti  della persona,
 costituisce uno svolgimento coerente della stessa funzione che l'art.
 143 c.p.p. assegna all'interprete. Questi, infatti,  proprio  perche'
 assiste  l'imputato  (o  l'indagato)  al  fine  di fargli comprendere
 l'esatto significato dell'accusa formulata contro di lui e di  fargli
 seguire  il  compimento  degli  atti  cui  partecipa,  non  puo'  non
 estendere la sua opera di collaborazione anche all'atto con il  quale
 l'imputato   e'   messo  a  conoscenza  della  natura  e  dei  motivi
 dell'imputazione, oltreche' delle facolta' riconosciutegli al fine di
 contrapporsi  all'accusa,  qual  e'  essenzialmente  il  decreto   di
 citazione   a   giudizio,   considerato  in  tutti  i  suoi  elementi
 costitutivi.
    6. - L'interpretazione nei termini  appena  riferiti  del  diritto
 all'assistenza  gratuita  di  un  interprete,  basato  sull'art.  143
 c.p.p.,  fa  venir  meno  i  dubbi  di  legittimita'   costituzionale
 manifestati  dal  Pretore  di Torino e dal Tribunale di Milano con le
 ordinanze indicate in epigrafe e  risponde  ai  limiti  di  rilevanza
 propri  delle  questioni  sottoposte  a  questa  Corte  dai giudici a
 quibus. Sotto quest'ultimo profilo, va  precisato,  infatti,  che  in
 ambedue  i  casi  la  non  conoscenza  della lingua italiana da parte
 dell'imputato  straniero  e'  stata  accertata  sin  dalle   indagini
 preliminari,  al  momento  dei  rispettivi  arresti  e delle relative
 udienze di convalida. Sicche' e' di evidente rilevanza una  pronunzia
 comportante   l'attuazione   del   diritto  dell'imputato  a  vedersi
 notificato, tradotto nella lingua a lui nota, il decreto di citazione
 a giudizio innanzi al pretore, in un caso, e il decreto di  citazione
 a  giudizio  immediato  innanzi  al  tribunale competente, nell'altro
 caso.
    In conseguenza della decisione resa, perde ogni ragion d'essere la
 questione di legittimita' costituzionale avverso  l'art.  458,  primo
 comma,  c.p.p.,  sollevata in via subordinata dal Tribunale di Milano
 con la seconda delle ordinanze indicate in epigrafe.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara non fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale, sollevata dal Pretore di
 Torino con l'ordinanza indicata  in  epigrafe,  in  riferimento  agli
 artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 76 della Costituzione, nei
 confronti  dell'art. 555, terzo comma, c.p.p., nella parte in cui non
 prevede  che  il  decreto  di  citazione  a  giudizio  debba   essere
 notificato   all'imputato   straniero,  che  non  conosce  la  lingua
 italiana, anche nella traduzione nella lingua da lui compresa;
      dichiara non fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
 questione  di legittimita' costituzionale, sollevata dal Tribunale di
 Milano, con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento all'art.
 24, secondo comma, della Costituzione, nei  confronti  del  combinato
 disposto  formato  dall'art.  456,  secondo comma, c.p.p. e dall'art.
 458, primo comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che l'avviso
 contemplato  dall'art.  456,  secondo  comma,   c.p.p.,   comprensivo
 dell'indicazione   del  termine  entro  cui  richiedere  il  giudizio
 abbreviato,   debba   essere   tradotto   nella   lingua   conosciuta
 dall'imputato straniero che ignora la lingua italiana.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1993.
                        Il presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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