N. 15 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 novembre 1992
N. 15 Ordinanza emessa il 23 novembre 1992 dal pretore di Torino nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Vittorioso Maria ed altri e S.p.a. Fiat auto Lavoro (rapporto di) - Servizio di ristorazione aziendale - Esclusione con norma "interpretativa" di ogni incidenza sia del valore effettivo del pasto sia dell'indennita' sostitutiva di mensa su qualsivoglia istituto retributivo (indennita' di anzianita', trattamento per ferie, per festivita' e gratifica natalizia) e salvezza delle disposizioni (anteriori all'entrata in vigore di detta norma) che prevedono limiti e valori convenzionali del servizio stesso - Incidenza sui principi di uguaglianza, di difesa in giudizio, di autonomia della magistratura nonche' elusione di giudicato e sottrazione al giudice della cognizione di controversie in corso, atteso l'indirizzo giurisprudenziale consolidato che riteneva la natura retributiva del servizio di mensa e la conseguente computabilita' del valore reale del pasto nei suddetti istituti retributivi - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 123/1987 e 155/1990. (D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 6, quarto comma, convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359). (Cost., artt. 3, 24, 101, 102 e 104).(GU n.5 del 3-2-1993 )
IL PRETORE Nelle cause riunite iscritte al r.g.l. nn. 3528 - 3563 - 9353 - 9387 - 9699/1991 promosse da: Vittorioso Maria piu' altri, assistiti dagli avv.ti S. Bonetto, M. Caffaratti, V. Martino, N. Raffone, A. Vitale, attori, contro S.p.a. Fiat auto, assistita dagli avv.ti F. Bonamico, G.P. Borsotti, prof. P. Tosi, convenuta; Letti gli atti; Udita la discussione orale dei procuratori; ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale. P R E M E S S A 1. - Con separati ricorsi, poi riuniti, i ricorrenti, premesso di essere dipendenti della societa' convenuta, lamentano che questa, pur obbligata, in virtu' di accordi e contratti collettivi, a fornire a tutti i lavoratori che intendano usufruirne, un servizio permanente di ristorazione aziendale con buona parte del costo a carico dell'azienda medesima, abbia tenuto conto - negli accantonamenti annuali per indennita' di anzianita' e T.F.R. e nella retribuzione del salario indiretto (festivita', ferie, gratifica natalizia, P.R.O., R.O.) - non gia' del valore effettivo del pasto, bensi' solamente dell'importo giornaliero di L. 172, corrispondente, per ragguaglio convenzionale, ad un'indennita' erogata aziendalmente a coloro che della ristorazione non usufruiscono. Chiedono, per conseguenza, la condanna della convenuta al maggior accantonamento ed al pagamento delle differenze retributive, come da conteggi in atti, oltre rivalutazioni di legge. Costituendosi in giudizio, la societa' Fiat auto contesta sostanzialmente,con varie argomentazioni, la natura retributiva del servizio mensa, affermando che esso e' posto a presidio di un interesse prevalentemente "egoistico" dell'imprenditore e cioe' quello di evitare "le disfunzioni del pendolarismo e di una non sollecita e disaggregata ripresa del lavoro" (cosi' si legge, testualmente, nella memoria difensiva). Sostiene comunque la convenuta, a prescindere dalla natura retributiva o meno del servizio, la non computabilita' del valore re- ale del pasto negli istituti salariali in argomento. 2. - E' assolutamente incontroverso tra le parti che fonte primaria di cognizione nella presente causa e' l'accordo interconfederale del 20 aprile 1956 (reso erga omnes dal d.P.R. 14 luglio 1960, n. 1026) il quale prevede, per quanto interessa questo processo, che, ai fini degli accantonamenti e delle retribuzioni indirette, l'azienda possa tener conto non gia' del valore effettivo del pasto bensi' dell'indennita' sostitutiva corrisposta a chi del pasto non fruisce, in virtu' di ragguaglio convenzionale tra il primo e la seconda (che presso l'azienda convenuta ammonta, per accordo aziendale del 1969, tuttora valido, a L. 172). 3. - Il remittente ha gia' deciso questione identica (con sentenza non definitiva 24 luglio 1992) ritenendo la natura retributiva del servizio di mensa ed il diritto dei ricorrenti di veder inserito nella base di computo di tutti gli istituti di cui al punto 1) non gia' l'indennita' sostitutiva bensi' il valore "reale" pari al costo del pasto stesso quale sostenuto dall'azienda, nei limiti del numero dei pasti effettivamente consumati. Da tale giurisprudenza non vi e' ragione alcuna per discostarsi. Della predetta pronuncia, ferma restando la premessa circa la natura retributiva del servizio mensa, ai fini della presente questione di costituzionalita' - come tra breve si chiarira' - rileva la parte in cui si e' ritenuta la nullita' del menzionato accordo interconfederale del 20 aprile 1956 per contrasto con le norme imper- ative regolanti il trattamento degli istituti retributivi di carattere legale: cio' in forza dell'art. 5 della legge 14 luglio 1959, secondo cui "Le norme di cui all'art. 1 della presente legge (i decreti delegati con i quali il governo poteva recepire accordi e contratti collettivi vigenti, n.d.e.) non potranno essere in contrasto con norme imperative di legge". Come conseguenza della rilevata nullita', si e' fatta discendere la sostituzione delle clausole viziate, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 del c.c., con dette norme imperative, a tenore delle quali, stante la loro previsione di onnicomprensivita' retributiva, si doveva inserire nella base di computo dei singoli istituti, il costo effettivo del pasto aziendale. 4. - Nelle more del giudizio e' entrato in vigore il d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359) il cui art. 6, terzo e quarto comma, prevede quanto segue: a) terzo comma: "Salvo che gli accordi ed i contratti collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e in quale misura la mensa e' retribuzione in natura, il valore del servizio mensa, comunque gestito ed erogato, e l'importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito dall'azienda, non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato"; b) quarto comma: "Sono fatte salve, a far data dalla loro decorrenza, le disposizioni degli accordi e dei contratti collettivi, anche aziendali, pur se stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, che prevedono limiti e valori convenzionali del servizio di mensa di cui al comma 3 e dell'importo della prestazione sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito, a qualsiasi effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato". O S S E R V A Z I O N I A) E' d'uopo ricordare, per le finalita' di cui appresso si dira', che la giurisprudenza di cassazione (in modo costante a far tempo dal 1989) e quella di merito del tutto prevalente, hanno riconosciuto la natura sicuramente retributiva del servizio di mensa nonche' l'incidenza del valore effettivo del pasto su tutti o parte degli istituti retributivi indiretti. In tal senso: cass., 7 gennaio 1992, n. 84; cass., 20 agosto 1991, n. 8957; cass., 20 febbraio 1991, n. 1758; cass., 13 febbraio 1990, n. 1054; cass., 21 luglio 1989, n. 3483; pret. Torino, 24 luglio 1992; pret. Torino, 23 ottobre 1991; pret. Milano, 12 giugno 1991; pret. Milano, 31 dicembre 1990; pret. Pomigliano d'Arco, 7 maggio 1991; contra pret. Milano, 29 giugno 1991; pret. Milano, 28 maggio 1991; pret. Torino, 18 febbraio 1992; pret. Torino, 19 ottobre 1992 (peraltro alcune fra le sentenze contrarie non negano affatto il carattere retributivo del servizio: cosi' la seconda e, in particolare, la quarta citate). B) Altra premessa necessaria in relazione alla presente questione di legittimita' costituzionale e' l'interpretazione dell'art. 6, terzo e quarto comma, d.l. n. 333/1992 cit. Ad avviso del pretore, su cio' confortato in verita' dalle stesse parti in causa che, anche in sede di discussione orale lo hanno ribadito, il terzo comma, in- troduce una nuova disciplina della materia pe il futuro, in basse alla quale e' esclusa - salvo pattuizioni in deroga - ogni incidenza vuoi del valore effettivo del pasto vuoi della stessa indennita' sostitutiva su qualsivoglia istituto retributivo. Dal canto suo, il quarto comma, ha invece sia una portata futura laddove chiarisce (nei limiti in cui ve ne fosse bisogno) che gli accordi ed i contratti collettivi derogatori in melius non sono solo quelli avvenire bensi' anche quelli "stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto"; ha invece una portata indubbiamente retroattiva nella parte in cui sancisce la salvezza delle ridette pattuizioni collettive "a far data dalla loro decorrenza". C) Occorre domandarsi quale sia stata la finalita' avuta di mira dal legislatore nell'emanare il quarto comma: essa non puo' essere stata quella di ribadire semplicemente che, per il passato, la questione non e' regolata dalla nuova legge bensi' da accordi e contratti collettivi anteriori e cio' perche', valendo il terzo comma per il futuro, e' principio istituzionale che per il passato valga la previgente disciplina (nella specie l'accordo interconfederale erga omnes 20 aprile 1956). Per contro l'espressione "sono fatte salve .. le disposizioni .. che prevedono limiti e valori convenzionali del servizio di mensa .." induce a pensare che il legislatore abbia voluto introdurre una disposizione "a sanatoria" che rendesse leciti ex tunc accordi con i quali le parti, in consapevole od inconsapevole contrasto con norme non derogabili di legge, avevano per l'appunto inteso porre limiti o ridurre convenzionalmente il valore effettivo del pasto aziendale ai fini del calcolo delle retribuzioni indirette e differite. In altre parole il legislatore mostra di essere, nel momento in cui legifera, ben al corrente che la giurisprudenza assolutamente prevalente ha riconosciuto natura retributiva al servizio mensa ed altresi' ha dichiarato nulle le clausole degli accordi collettivi che, in contrasto con le normative inderogabili che prevedono il computo di determinati istituti secondo il principio dell'onnicomprensivita' retributiva, hanno vistosamente compresso la base di calcolo. Anzi, il legislatore, nel momento in cui "fa salve" pattuizioni collettive, dimostra di accedere all'interpretazione giurisprudenziale appena ricordata, per la semplice ragione che, diversamente, non vi sarebbe stato alcun bisogno di "salvare" cio' che per sua natura era valido e lecito e, pertanto, "salvo" in re ipsa. In buona sostanza il quarto comma, e' una norma che sana retroattivamente (a distanza di quasi quarant'anni dalla sua stipulazione) una normativa pattizia che, secondo la stessa interpretazione del legislatore, era in contrasto con norme imper- ative di legge. D) Torna del tutto acconcio richiamare due principi affermati dalla stessa Corte costituzionale (da ultimo nella sentenza 4 aprile 1990, n. 155, in foro it., 1990, I, 3072 ed in giur. Cost., 1990, 952; v. anche sent. 8 luglio 1957, n. 118, in foro it., 1957, I, 1133), in tema di norme interpretative (e quindi sempre nell'ambito della materia della retroattivita' delle leggi): a) la legge interpretativa (e quindi la legge retroattiva in generale di cui quella interpretativa e' una specie) non viola di per se' gli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione, a meno che essa non leda il giudicato gia' formatosi o non sia intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in corso; b) l'irretroattivita' costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 11 delle preleggi) e, se pur non elevato, fuori dalla materia penale, a dignita' costituzionale (art. 25, secondo comma, della Costituzione), rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini. Ove la norma retroattiva violi il principio di ragionevolezza cui essa, al pari di tutte le leggi, deve sottostare, dovra' essere dichiarata incostituzionale per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. E) Ad avviso del pretore, la norma dell'art. 6, quarto comma del d.l. n. 333/1992, viola entrambi i principi sopra ricordati e si pone pertanto in contrasto con gli artt. 101, 102, 104 (nonche' 24) della Costituzione. F) Pare al remittente che la norma sospettata vulneri le attribuzioni del potere giudiziario e cio' si ricava, in particolare, sia dai lavori parlamentari che dalla stessa interpretazione storico- sistematica della norma. F1) Nella relazione governativa di accompagnamento al disegno di legge di conversione del d.l. n. 333/1992, si legge testualmente (cfr. Atti XI Legislatura, Camera del deputati n. 1287, capo II): "I commi da 3 a 7 dell'art. 6 disciplinano la materia della computabilita' del servizio di mensa agli effetti retributivi .. Si va consolidando, in proposito, l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui il valore della mensa e' quello reale o equivalente al pasto (costo reale del servizio) e non il valore convenzionalmente stabilito dalle parti, ove questo sia inferiore al primo. Cio' ha indotto ad un cospicuo insostenibile appesantimento del costo del lavoro, calcolabile in via approssimativa in 2,5 milioni di lire annui per addetto, oltretutto in un momento di difficolta' per il sistema produttivo del Paese, anche con riferimento alla concorrenza internazionale. Le imprese a fronte di cio' stanno disdettando le convenzioni per il servizio di mensa .. La presente situazione cosi' delineatasi esige, dunque, un intervento immediato che, chiarendo la situazione normativa nel senso di affermare la natura di servizio della mensa organizzata dalle imprese, restituisca alla contrattazione collettiva, la sua funzione di stabilire la rilevanza del beneficio sugli istituti retributivi sia con riferimento agli accordi in essere sia per il prosieguo". F2) Dai lavori delle commissioni riunite (V e VI) in sede referente - cfr. atti della seduta del 16 luglio 1992 - si apprende, dalle relazioni di maggioranza (in particolare pag. 8) che: "Con le norme di cui ai comma da 3 a 7 si intende evitare gli effetti economici determinati da recenti pronunce giurisprudenziali secondo cui il valore della mensa e della relativa indennita' sostitutiva e' quello reale e non quello convenzionalmente stabilito dalle parti ed e' computabile ai fini del trattamento per le festivita', dell'indennita' di anzianita', del trattamento per le ferie e per la gratifica natalizia e cioe' ai fini dei cosiddetti 'istituti interni' ..". F3) Una riprova, a contrario, della - peraltro chiarissima - volonta' del legislatore, viene dal tenore di alcuni interventi da parte di rappresentanti delle opposizioni: si segnala, fra questi, anche per la specifica competenza in materia dell'oratore l'intervento dell'on. Giorgio Ghezzi (in atti parlamentari, Camera dei deputati, XI legislatura, discussioni, sedute del 27 luglio 1992, 1899) il quale, fra l'altro, gia' ipotizza la necessita' dell'intervento della Corte costituzionale, sostanzialmente richiamando profili analoghi a quelli evidenziati nella presente ordinanza. F4) Appare, dunque, di solare evidenza come la finalita' avuta di mira dal legislatore sia stata quella di intervenire per modificare d'imperio un'interpretazione giurisprudenziale sgradita, in quanto asseritamente contrastante con superiori interessi economici, sconfinando chiaramente nell'area di operativita' che la Costituzione riserva alla Magistratura e, quindi, con autoattribuzione di non previsti poteri, esercitati, oltretutto, sulla spinta di interessi di cui non puo' tenersi conto nell'interpretazione delle fonti normative. G) Conforta il medesimo dubbio di costituzionalita' l'interpretazione storico-sistematica della norma in questione. In primis la disciplina della mensa contenuta nel d.l. n. 333/1992, che e' la trasposizione letterale dell'art. 1 del c.d. "disegno Marini" (veramente tale, tant'e' che, per un refuso, nel quarto comma si fa riferimento ad un primo comma che non si occupa della materia mentre se ne occupava nel "disegno Marini" e' inserita in un testo di legge che riguarda, come testimonia il titolo, "Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica" e cioe' materia tutt'affatto diversa ed estranea a quella delle mense aziendali. Inoltre vien fatto di domandarsi come mai, soltanto a distanza di quasi quarant'anni dalla stipulazione del principale accordo collettivo in punto (A.I. del 20 aprile 1956) e soltanto in un momento storico nel quale e' esploso il contenzioso giudiziario, il legislatore senta il bisogno di intervenire retroattivamente, bisogno non sentito per nulla in un cosi' ampio arco di tempo. Ad avviso del pretore, la risposta e', ancora una volta, che la norma e' stata pensata solo allo specifico scopo di soffocare - e di farlo con rapidita' - un diritto giurisprudenziale in via di consolidamento su un tipo di interpretazione non gradita. H) La norma impugnata vulnera altresi', ad avviso del remittente, l'art. 24 della Costituzione. Come gia' affermato dalla Corte costituzionale (sent. 10 aprile 1987 n. 123, in foro it., 1987, I, 1351), allorquando l'effetto di una norma sia quello di sottrarre al Giudice la cognizione della controversia in corso - con una preclusione ad esaminare il merito ed un mancato rispetto dei giudici e, comunque, di pronunce gia' emesse - la norma stessa (sia essa retroattiva semplice o di sanatoria ecc.) e' anche in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, di fatto andando a comprimere il diritto di difesa dei cittadini, necessariamente connesso con la corretta esplicazione del potere giurisdizionale di cui e' il contraltare. I) Per altro verso la norma impugnata pare violare il principio di ragionevolezza richiamato sub D.b). Ritiene il pretore che il caso in esame sia speculare, in parte qua, a quello esaminato e risolto nella sentenza n. 155/1990 cit., con l'affermazione che "risulta priva di razionale fondamento l'attribuzione di un'efficacia estesa retroattivamente per un periodo di ben sei anni: con essa infatti e' stata conferita validita' a negozi giuridici che inizialmente erano invalidi - e tali sono rimasti per lungo tempo - in quanto considerati contrastanti secondo la ratio della legge allora in vigore, e il suo inequivoco tenore letterale, con la tutela del valore espresso dal ricordato art. 21 della Costituzione". Anche nella fattispecie oggi in esame sono ravvisabili - ed in maggior misura - gli stessi vizi. Invero, nel caso, la norma del quarto comma retroagisce non per sei bensi', come gia' piu' volte ricordato, per quasi quarant'anni; inoltre sana, con effetto ex tunc, una situazione non di mera irregolarita', ma di invalidita' della norma posta collettivamente per contrasto con norme imperative ed inderogabili di legge, quali quelle disciplinanti il computo degli istituti retributivi di carattere legale: in altre parole la legge rende retroattivamente lecito cio' che tale non era (e tale non e' stato per lunghissimo tempo). Non convince, a parere dell'estensore, la tesi che ravvisa la ragionevolezza della norma nel fatto che, in buona sostanza, essa ratifica quel che le parti sociali hanno sempre voluto e considerato valido ed efficace nei loro rapporti. Tale tesi trova il suo limite nell'eccessiva esaltazione del momento "privatistico" della contrattazione stessa. Se, infatti, e' vero che - almeno per quanto attiene agli interessi dei lavoratori - le organizzazioni che li tutelano hanno rango costituzionale ex art. 39 della Costituzione, cio' nondimeno non possono dette organizzazioni, sia pure d'intesa con le controparti sociali, stipulare accordi in violazione di principi inderogabili, espressione di una potesta' superiore, almeno fintantoche' tali principi non siano modificati. Per conseguenza e' irragionevole che una norma di legge sani retroattivamente una situazione palesemente confliggente con i principi in questione, in nome dell'autonomia delle parti sociali. Essa viola invece un principio-cardine dell'ordinamento giuridico, cioe' quello della certezza del diritto e dei rapporti giuridici, certezza che non e' quella collettiva a che i patti (collettivi) siano salvaguardati, ma quella individuale a che siano rispettate le regole fondamentali del sistema costituzionale. L) Da ultimo si evidenzia, richiamando specificamente quanto osservato sub B) e C), che la questione di costituzionalita' e', oltre che non manifestamente infondata, anche rilevante, in quanto l'esistenza della norma impugnata impedisce l'accoglimento delle domande attoree.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359 per contrasto con gli artt. 3, 24, 101, 102, 104 della Costituzione nei sensi di cui in motivazione; Dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera e dei deputati e del Senato della Repubblica. Letto in Torino, all'udienza del 23 novembre 1992 Il pretore: CAMBRIA Depositato in cancelleria oggi 24 novembre 1992. Il cancelliere: (firma illeggibile) 93C0046