N. 20 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 ottobre 1992

                                 N. 20
 Ordinanza emessa il 16 ottobre 1992 dalla pretura di Trapani, sezione
 distaccata di Alcamo, nel procedimento civile
 vertente  tra  Catalano  Giuseppe  ed altre e avv. Giuseppe Gruppuso,
 n.q. di curatore del fallimento di Calamia Rocco
 Astensione del giudice - Obbligo per  lo  stesso  in  caso  di  causa
 pendente  con  una  delle  parti o con i difensori - Lamentata omessa
 previsione di preventiva valutazione sulla manifesta inammissibilita'
 o manifesta infondatezza di tale azione - Irragionevolezza -  Lesione
 dei  principi di buon andamento dell'amministrazione della giustizia,
 di autogoverno della magistratura per la distribuzione  degli  affari
 all'interno   dello   stesso  ufficio,  nonche'  dell'indipendenza  e
 dell'autonomia della funzione giurisdizionale.
 (C.P.C., art. 51, primo comma, n. 3).
 (Cost., artt. 3, 97, 101 e 105).
(GU n.5 del 3-2-1993 )
                              IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla
 Corte costituzionale emessa nel  procedimento  promosso  da  Catalano
 Giuseppe,  Catalano  Antonietta  e De Blasi Clorinda (rappresentati e
 difesi dall'avv. Francesco Paolo Ruisi del foro  di  Trapani)  contro
 l'avv.  Giuseppe  Gruppuso, nella qualita' di curatore del fallimento
 di Calamia Rocco (rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Bambina del
 foro di Trapani);
    Premesso:
       a) che con ordinanza del 14 dicembre 1986 l'odierno decidente -
 in qualita' di magistrato applicato presso la  pretura  di  Alcamo  -
 definiva  un  giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo relativo a
 crediti  per  prestazioni  professionali  promosso  da  tale  Modesto
 Nicolo'  nei  confronti  dell'avv.  Francesco Paolo Ruisi del foro di
 Trapani (che in questo giudizio e' procuratore degli attori);
       b) che il 7 settembre 1992 il nominato  procuratore  notificava
 allo  scrivente  atto  di  citazione a comparire per l'udienza del 20
 marzo 1993 innanzi al giudice  conciliatore  di  Alcamo,  promuovendo
 azione  di risarcimento danni per talune affermazioni contenute nella
 menzionata ordinanza del 14 dicembre 1986, ritenute lesive della  sua
 dignita' professionale;
       c)  che  il  15  settembre  successivo  l'avv. Ruisi depositava
 presso la cancelleria della sezione distaccata di Alcamo una  istanza
 di  ricusazione,  ove  tuttavia  specificava che detta istanza doveva
 ritenersi subordinata all'esercizio del potere-dovere  di  astensione
 dell'odierno  decidente;  e  cio'  con  riferimento  a tutte le circa
 sessanta controversie in cui lo  stesso  procuratore  e'  interessato
 presso questa sezione distaccata di Pretura (ivi compresa la presente
 controversia  promossa  con  citazione del 17 giugno 1992 con cui gli
 attori hanno chiesto la convalida di  licenza  per  finita  locazione
 intimata  con  riferimento  ad un immobile di loro proprieta' sito in
 Alcamo nel corso 6 aprile n. 158; cui il convenuto ha  resistito  con
 comparsa    di   costituzione   depositata   all'udienza   di   prima
 comparizione);
       d) che all'udienza del 17 settembre questo pretore ha dato atto
 alle parti delle menzionate circostanza, riservandosi di  adottare  i
 provvedimenti conseguenziali;
                             O S S E R V A
    Ai  sensi  dell'art. 51, primo comma, n. 3, del c.p.c. "il giudice
 ha l'obbligo di astenersi .. se egli stesso .. ha causa  pendente  ..
 con  una  delle  parti  o alcuno dei suoi difensori" e tale norma - a
 seguito della descritta iniziativa giudiziaria -  andrebbe  applicata
 nella presente fattispecie.
    Senonche',  la  menzionata disposizione di legge - nella misura in
 cui prescrivo un obbligo di astensione senza alcuna  possibilita'  di
 sottoporre a valutazione la manifesta inammissibilita' o la manifesta
 infondatezza  dell'azione  promossa  contro  il giudicante - presenta
 profili di illegittimita' costituzionale che questo  pretore  ritiene
 di  sollevare d'ufficio ex art. 23, terzo comma, della legge 11 marzo
 1953, n. 87.
    Invero,  l'automaticita'  dell'obbligo  di  astensione  espone  il
 giudice  ad  iniziative  giudiziarie  che - a nulla rilevando se ictu
 oculi inammissibili, infondate o strumentalmente avanzate innanzi  un
 giudice  incompetente  con  udienza  a  comparire lontana nel tempo -
 offrono   l'opportunita'   di    paralizzare    momentaneamente    la
 giurisdizione  e, quindi, di ottenere la sostituzione del giudice non
 gradito.
    Con effetti dirompenti soprattutto nelle piccole sedi  giudiziarie
 e,  particolarmente  quelle  periferiche  ove  -  ad iniziativa di un
 singolo difensore che sia anche procuratore costituito in  un  numero
 di   controversie   percentualmente   non   irrilevante   -  viene  a
 determinarsi una situazione di  grave  turbamento  e  di  difficolta'
 organizzativa   dell'intero  ufficio;  dovendosi  provvedere  ad  una
 variazione  tabellare  con  creazione  di  un  "ruolo  speciale",  da
 affidarsi  ad  altro  magistrato, ove far confluire tutte le cause in
 cui e' interessato il legale che ha ritenuto di citare per  danni  il
 giudice  assegnato  alla  sede  distaccata,  nonche' - per ragioni di
 opportunita' - le cause in cui sono interessati i legali che svolgono
 in sede le funzioni di conciliatore.
    E tutto cio' senza sottacere dei rischi connessi alla creazione di
 un precedente che, nella stessa o in  altra  sede,  potrebbe  indurre
 altri  difensori  o  altri  privati  cittadini  ad  iniziative  tanto
 infondate quanto funzionali a paralizzare ora questo giudice delegato
 ai fallimenti, ora questo pretore  del  lavoro,  ora  questo  giudice
 delle locazioni (e cosi' via); e cio' per parecchi mesi o addirittura
 per  qualche  anno ed, in taluni casi - come conseguenza dei tempi di
 sostituzione  del  giudice  necessariamente  astenutosi  -   con   il
 determinarsi di un pregiudizio irreparabile per taluna delle parti in
 causa  o  per  i  terzi  (si  pensi  ai  creditori interessati ad una
 dichiarazione di fallimento).
    La problematica connessa ai rimedi apprestati dall'ordinamento per
 proteggere la giurisdizione da iniziative temerarie - funzionali  sia
 nella loro astratta esperibilita' che nella loro concreta attivazione
 a  minare  in  radice  i valori dell'indipendenza e dell'autonomia di
 ogni singolo giudice - si e' sviluppata nel dibattito  dottrinario  e
 giurisprudenziale  e  nelle  soluzioni legislative con riferimento al
 tema della responsabilita' civile  del  giudice  per  fatti  relativi
 all'esercizio della giurisdizione.
    In  un  tale  contesto ed in una tale prospettiva ordinamentale il
 rimedio apprestato e' stato quello di precostituire un meccanismo  di
 "filtro"   della   domanda   giudiziale,   diretta  a  far  valer  la
 responsabilita' civile del  giudice:  e  cio'  perche'  un  controllo
 preliminare   (e,   pertanto,   assai  veloce)  della  non  manifesta
 inammissibilita'o della non manifesta infondatezza porta ad escludere
 o, comunque,  a  scoraggiare  azioni  temerarie  ed  intimidatorie  e
 garantisce,  pertanto,  la  protezione  dei valori di indipendenza ed
 autonomia della funzione giurisdizionale sanciti negli  artt.  101  e
 ss. della Costituzione.
    Tale meccanismo di filtro era rappresentato fino a qualche anno fa
 dall'autorizzazione  ministeriale  ed, in ogni caso, era poi la Corte
 di cassazione a designare il giudice  competente  a  conoscere  della
 domanda   di   risarcimento   dei   danni  cagionati  da  un  giudice
 nell'esercizio delle sue funzioni per dolo, frode o concussione (art.
 55 e 56 del c.p.c.); mentre - a seguito  dell'abrogazionereferendaria
 delle  suddette disposizioni - la legge 13 aprile 1988, n. 117, oltre
 a stabilire che, in materia di responsabilita' civile del  magistrato
 per   fatti   commessi   nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  unico
 legittimato passivo e' lo Stato  e  non  anche  il  giudice,  prevede
 altresi'  una  valutazione in camera di consiglio sulla non manifesta
 infondatezza della domanda.
    Inoltre, la valenza costituzionale del "filtro" di  ammissibilita'
 dell'azione  di  responsabilita'  del giudice e' stata ribadita dalla
 stessa Corte costituzionale che ha dichiarato la illegittimita' - per
 violazione degli artt. 3, 101 e segg. della Costituzione -  dell'art.
 19,  secondo  comma,  della  menzionata legge 13 aprile 1988, n. 117,
 nella parte in cui non prevede che il tribunale competente, con  rito
 camerale   e  conseguente  applicazione  degli  ordinari  reclami  ed
 impugnazioni, verifichi la non manifesta infondatezza  della  domanda
 ai   fini  dell'ammissibilita'  dell'azione  di  responsabilita'  nei
 confronti del magistrato promossa successivamente al 7  aprile  1988,
 per  fatti  anteriori  al  16  aprile 1988, data di entrata in vigore
 della legge n. 117/1988 (Corte costituzionale  22  ottobre  1990,  n.
 468; ma anche, sulla valenza costituzionale del meccanismo di filtro,
 Corte costituzionale sentenze nn. 2/1968 e 26/1987).
    Il sistema si presenta, tuttavia, vulnerabile ove il giudice venga
 citato (in ipotesi temerariamente ed al solo scopo di farlo astenere)
 per  fatti che non attengono all'esercizio della giurisdizione o ove,
 come nel caso in esame, venga adito  -  per  conoscere  di  un'azione
 risarcitoria   nei   confronti  di  un  giudice  per  fatti  commessi
 nell'esercizio della funzione - un organo  giudiziario  non  indicato
 nella  speciale  normativa  in materia e che, comunque, a prescindere
 dalla competenza, potra'  occuparsi  della  questione  soltanto  dopo
 parecchi mesi.
    Posto infatti che va esclusa - per evidenti ragioni di
 opportunita'   -  l'eventuale  attivazione  del  giudice  citato  per
 l'anticipazione dell'udienza di trattazione (dovendo il problema, per
 la rilevanza degli interessi  in  giuoco,  trovare  soluzione  in  un
 ambito  ordinamentale  e  non  anche  processuale)  e  che va escluso
 altresi' -  per  evidenti  ragioni  di  tutela  del  prestigio  della
 funzione  -  ogni  ricorso  a  soluzioni  accomodanti dal vago sapore
 transattivo, l'automaticita' della astensione si presenta cosi'  come
 una anomalia del sistema, che verrebbe a premiare iniziative promosse
 al di fuori degli ordinari schemi procedurali.
    Effetto  questo  che  si  potrebbe  senz'altro  evitare  ove fosse
 previsto - ai fini dell'astensione o meno del  giudice  citato  -  un
 meccanismo  preliminare  di  valutazione  della  eventuale  manifesta
 infondatezza o della eventuale manifesta inammissibilita' dell'azione
 nei  confronti  del  giudicante  attribuito  -  ad  esempio  -   alla
 competenza  del  dirigente  dell'ufficio o dell'autorita' giudiziaria
 superiore.
    Per  contro,  l'attuale prescrizione normativa di cui all'art. 51,
 primo comma, n. 3, del c.p.c. secondo cui il  giudice  che  ha  causa
 pendente  con  una  parte  o  con  un suo difensore deve in ogni caso
 astenersi - senza alcuna previsione di meccanismi di filtro come,  ad
 esempio,  quelli  teste'  segnalati  - contrasta a giudizio di questo
 pretore con i principi  dell'indipendenza  e  della  autonomia  della
 funzione  giurisdizionale  sanciti  negli  artt.  101  e  segg. della
 Costituzione;  altera   gli   ordinari   criteri   delle   competenze
 compromettendo il significato dell'autogoverno della magistratura per
 cio'  che  attiene  alla distribuzione degli affari all'interno dello
 stesso ufficio e cio' in contrasto con i  principi  sottesi  all'art.
 105  della  Costituzione;  determina  vulnus  del  principio  di  non
 irragionevolezza  implicato  dall'art.  3   della   Costituzione;   e
 compromette il buon andamento dell'amministrazione della giustizia in
 una determinata sede giudiziaria ledendo il valore protetto dall'art.
 97 della Costituzione.
    Una   tale  questione  e'  rilevante  ai  fini  della  definizione
 dell'odierno giudizio, non potendo questo proseguire  se  non  previo
 dispiegarsi della procedura di astensione e di eventuale sostituzione
 (artt. 78 e 79 delle disposizioni di attuazione al c.p.c.); procedura
 questa, per contro, rimasta inceppata per le ragioni sopra esposte.
    Ed  essendo  la  questione  non  manifestamente infondata gli atti
 devono essere rimessi alla Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  51,  primo  comma, n. 3, del
 c.p.c. nella parte in cui non prevede la possibilita' di valutare  la
 manifesta  inammissibilita' o la manifesta infondatezza della domanda
 promossa nei confronti di un giudice prima di  rendere  operante  per
 questi l'obbligo di astensione; e cio' per contrasto con gli artt. 3,
 97, 101 e segg. della Costituzione;
    Ordina  la  sospensione  del  giudizio  in corso e la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
 Consiglio dei Ministri ed alle  parti,  e  comunicata  ai  Presidenti
 della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
     Alcamo, addi' 16 ottobre 1992
                           Il pretore: FICI

 93C0052