N. 59 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 giugno 1992- 3 febbraio 1993

                                 N. 59
 Ordinanza   emessa   il   24   giugno   1992  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il  3  febbraio  1993)  dal  tribunale  di  Siena  nei
 procedimenti  civili  vertenti  tra Ancillotti Lucia e Dari Enzo e da
 Dari Enzo e Ancillotti Lucia
 Matrimonio - Divorzio - Indennita'  di  fine  rapporto  di  lavoro  -
 Percentuale  spettante all'ex coniuge, titolare di assegno divorziale
 - determinazione per legge, nella misura del quaranta per  cento,  in
 riferimento  alla  durata  del  matrimonio  e  non della convivenza -
 Lamentata  omessa  previsione  della   determinazione   in   base   a
 valutazioni del giudice - Denunciato egual trattamento per situazioni
 diverse    -   Incompatibilita'   con   la   funzione   previdenziale
 dell'indennita'.
 (Legge 1½ dicembre 1970, n. 898, art. 12-bis; legge 6 marzo 1987,  n.
 74, art. 17).
 (Cost., artt. 3 e 36).
(GU n.9 del 24-2-1993 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha  emesso  la  seguente ordinanza nelle cause riunite promosse da
 Ancillotti Lucia contro Dari Enzo e da Dari  Enzo  contro  Ancillotti
 Lucia  iscritte  al  n.  1836/90  e  n. 735/91 t.g., oggi pervenute a
 decisione;
                               IN FATTO
    Lucia Ancillotti residente in Siena, con ricorso depositato il  19
 dicembre  1990, premesso che in data 15 dicembre 1955 aveva contratto
 matrimonio con Dari Enzo (dal quale si era separata  poi  nell'aprile
 1967);
      che aveva quindi divorziato il 21 febbraio 1973;
      che  il Dari, pure avendo operato degli aumenti, aveva omesso di
 aggiornare l'assegno di divorzio, cosi' come stabilito dal presidente
 del tribunale il 18 dicembre 1980;
      che la  misura  dell'assegno  era  divenuta  insufficiente  alle
 peggiorate sue condizioni economiche; tanto premesso, chiedeva che il
 Dari  fosse  condannato  a  versarle quanto dovutole per differenze e
 interessi e che  venisse  rideterminata  la  misura  dell'assegno  di
 divorzio a lei dovuto ex art. 5 della legge n. 898/1970.
    Chiedeva altresi' che le venisse comunicata, da parte del Dari, la
 data  del  suo collocamento a riposo, affinche' potesse esercitare il
 diritto di cui all'art. 12- bis della legge n. 898/1970.
    Il Dari si costituiva in giudizio e contestava  le  pretese  della
 Ancillotti,  rilevando  che  aveva  corrisposto alla ex coniuge somme
 superiori alle dovute.
    Dichiarava che a partire dal 1½ dicembre 1990 era stato  collocato
 a  riposo  e  percepiva  dall'I.N.P.S.  una  pensione  inferiore alla
 retribuzione prima goduta, mentre l'Ancillotti, che mai aveva  svolto
 attivita' lavorativa, da alcuni anni aveva preso a vivere more uxorio
 con  altra  persona,  che  di  lei si occupava, e pertanto non poteva
 sostenere di trovarsi in condizioni  economiche  peggiorate  rispetto
 alle precedenti.
    Faceva  presente  che  con il ricavato della liquidazione riscossa
 dalla Banca Toscana, di cui  era  divenuto  funzionario,  aveva  gia'
 acquistato  un  appartamento  per  uno  dei  figli  e  aveva in corso
 l'acquisto di altro appartamento per l'altro figlio, figli entrambi a
 lui affidati in sede di divorzio.
    Con altro ricorso  depositato  il  24  settembre  1991  Dari  Enzo
 chiedeva   che   venisse   dichiarato   cessato  il  suo  obbligo  di
 corrispondere alla ex moglie l'assegno  di  divorzio  e  che  venisse
 altresi' dichiarato che nulla era dovuto alla Ancillotti con riguardo
 al  trattamento  di fine rapporto di lavoro, perche' questa conviveva
 more uxorio con certo Innocenti Alvaro  di  Firenze,  per  cui  erano
 venuti  a  mancare  i  presupposti per la corresponsione di qualsiasi
 somma alla predetta.
    L'Ancillotti negava la circostanza della convivenza more uxorio  e
 spiegava   domanda   riconvenzionale   di   condanna   del   Dari   a
 corrisponderle il 40% dell'intera indennita' di fine rapporto da  lui
 percepita,  in  proporzione  all'arco  di tempo in cui il rapporto di
 lavoro del Dari era coinciso con il matrimonio e cioe' in proporzione
 al periodo 5 dicembre 1955-21 febbraio  1973,  oltre  agli  interessi
 legali sulla somma.
    Questo  tribunale con sentenza definitiva provvedeva sulle domande
 della Ancillotti introdotte con il ricorso del 19  dicembre  1990  e,
 separate   le   cause,   sollevava   di   ufficio   la  questione  di
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  12-  bis  della  legge  1½
 dicembre  1970, n. 898, e successive modificazioni, in relazione agli
 artt. 3 e 36 della Costituzione, sospendendo il relativo giudizio.
                              IN DIRITTO
    Dispone l'art. 12"bis, primo comma, della legge 1½ dicembre  1970,
 n.  898, introdotto dall'art. 17 della legge 6 marzo 1987, n. 74: "Il
 coniuge  nei  cui  confronti  sia  stata  pronunciata   sentenza   di
 scioglimento  o  di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha
 diritto, se non passato a nuove nozze e in  quanto  sia  titolare  di
 assegno  ai  sensi dell'art. 5, ad una percentuale dell'indennita' di
 fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della  cessazione
 del rapporto di lavoro anche se l'indennita' viene a maturare dopo la
 sentenza".
    Il  secondo comma del citato articolo recita: "Tale percentuale e'
 pari al quaranta per cento  dell'indennita'  totale  riferibile  agli
 anni in cui il rapporto di lavoro e' coinciso con il matrimonio".
    Come  e'  noto  la  ratio  di tali disposizioni va individuata nel
 riconoscimento al coniuge del lavoratore dell'apporto che in costanza
 di matrimonio esso ha fornito alla conduzione familiare e quindi  del
 suo  concorso  alla  formazione  del  patrimonio  comune  o di quello
 personale dell'altro coniuge, e nella considerazione che l'indennita'
 di fine rapporto si  sostanzia  in  una  sommatoria  di  retribuzioni
 differite, delle quali certamente avrebbe goduto anche il coniuge poi
 divorziato,  qualora  non  si  fosse  verificata  tale  situazione di
 risparmio forzato.
    Poiche'  sussistono  entrambe  le  condizioni  di  legge  (mancata
 contrazione  di  nuovo  matrimonio e diritto a percepire l'assegno di
 divorzio ex art. 5 della  legge  n.  898/1970)  l'Ancillotti  avrebbe
 astrattamente diritto al conseguimento, nella misura di legge, ad una
 percentuale dell'indennita' di fine rapporto liquidata al Dari, ed in
 tal  senso  ella ha insistito, rilevando l'ininfluenza dello stato di
 convivenza more uxorio con terza persona,  ai  fini  del  diritto  in
 questione, convivenza, del resto, anche di fatto contestata.
    Osserva  questo tribunale che il diritto del coniuge divorziato di
 conseguire il 40% dell'indennita' di fine rapporto di lavoro, per  la
 parte in cui tale indennita' e' rapportabile al periodo in cui vi sia
 stata coincidenza tra rapporto lavorativo e matrimonio, cosi' come e'
 rigidamente  strutturato, certamente non consente al giudice adito di
 valutare  le  condizioni  personali   ed   economiche   dei   coniugi
 divorziati,  le  ragioni  del fallimento del matrimonio e soprattutto
 non gli consente di verificare  e  valutare  se  e  quale  contributo
 personale   il   coniuge  divorziato,  beneficiario  della  quota  di
 indennita', abbia dato alla conduzione familiare  e  alla  formazione
 del patrimonio comune.
    Indagini tutte invece che lo stesso giudice e' chiamato ad operare
 in  sede  di  decisione sia sull' an che quantum della determinazione
 dell'assegno di  divorzio,  ai  sensi  dell'art.  5  della  legge  n.
 898/1970 e successive modificazioni.
    L'attribuzione  di siffatta quota dell'indennita' di fine rapporto
 al  coniuge  divorziato,  unicamente  condizionata  alla   percezione
 dell'assegno di divorzio e alla mancata contrazione di nuove nozze da
 parte  del  coniuge  beneficiario,  puo'  in  concreto  risolversi in
 situazioni di grave iniquita'.
    Se e' vero, infatti,  che  si  tratta  di  un  prelievo  di  somma
 relativo  a  liquidazione  di  quote  retributive  gia'  maturate  in
 costanza di rapporto di  lavoro,  e  il  cui  pagamento  soltanto  e'
 differito  alla  cessazione  del  rapporto  lavorativo,  non puo' non
 considerarsi che l'assegnazione di tale quota al  coniuge  divorziato
 ha la stessa funzione assistenziale o alimentare propria dell'assegno
 di  cui  all'art.  5  citato, tanto e' vero che essa non e' dovuta al
 coniuge che non gode dell'assegno di divorzio.
    Deve, comunque,  escludersi  che  il  coniuge  beneficiario  abbia
 diritto  alla  predetta  quota  di  liquidazione  a  titolo  di  mero
 risarcimento, in quanto, se cosi' fosse, non si  giustificherebbe  in
 alcun  modo la preclusione normativa del passaggio a nuove nozze e, a
 rigore,  neppure  la  condizione,   legislativamente   posta,   della
 titolarita' nel beneficiario dell'assegno di divorzio.
    Di  fatto,  pero', la commisurazione dell'assegnazione della quota
 di indennita'  alla  durata  del  matrimonio,  prescindendo  da  ogni
 valutazione  della  durata  della  pregressa  separazione coniugale e
 delle   ragioni   della   separazione   stessa   e   in   particolare
 dall'attribuzione  eventuale  dell'addebito  della  separazione, puo'
 risolversi in un automatismo perverso.
    Si consideri l'ipotesi in cui, dopo una pronuncia  di  separazione
 personale,  con o senza addebito, maturi il diritto all'indennita' di
 fine rapporto lavorativo di uno dei coniugi,  senza  che  neppure  in
 prospettiva   sussista   il   conseguimento  dello  scioglimento  del
 matrimonio o, della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
    E' noto che questa ipotesi e' equiparabile  al  c.d.  divorce  des
 catholiques,  eppure  in tal caso al coniuge del titolare del diritto
 all'indennita'   nessun   diritto   spetta   con   riferimento   alla
 liquidazione  relativa, ancorche' versando in stato di non abbienza o
 non  godendo  di  redditi  propri,  abbia  sicuramente   diritto   al
 mantenimento  (sempreche'  natualmente  a  suo  carico  non sia stato
 pronunciato l'addebito della separazione).
    Si consideri  parimenti  l'ipotesi  in  cui  lo  scioglimento  del
 matrimonio  o  la  cessazione  degli  effetti  civili  del matrimonio
 religioso, siano intervenuti dopo una lunga separazione coniugale, di
 durata pari o quasi alla durata del rapporto di  lavoro  del  coniuge
 obbligato.
   In   tal  caso,  a  favore  del  coniuge  divorziato,  sia  che  la
 separazione fosse stata pronunciata  con  addebito  a  suo  carico  e
 percio'  senza  diritto  al  mantenimento,  sia  che  la  separazione
 contemplasse il diritto al mantenimento, in forza dell'art.  12-  bis
 della  legge  n.  898/1970,  deve  ugualmente  liquidarsi la quota di
 indennita' secondo la prevista proporzione, quantunque  sia  evidente
 ed innegabile che nessun apporto personale, oppure soltanto un minimo
 apporto  personale  ed  economico,  esso  abbia  potuto  offrire alla
 conduzione familiare e alla  formazione  del  patrimonio  comune  (in
 relazione  alla  breve  durata  del rapporto coniugale pregresso alla
 separazione).
    Nel caso concreto sottoposto all'esame del tribunale risulta che i
 coniugi ebbero a separarsi di fatto fin  dall'aprile  del  1967  e  a
 raggiungere la separazione consensuale nel novembre dello stesso anno
 (separazionne  omologata con decreto del 20 dicembre 1967), cosicche'
 essi dall'aprile 1967 fino al 23 febbraio 1973, data  della  sentenza
 di  divorzio,  vissero  separati e sicuramente, durante tale periodo,
 nessun  apporto  o  contributo  alla  conduzione  familiare  e   alla
 formazione  del  patrimonio  comune  o dell'altro coniuge puo' essere
 accreditato alla Ancillotti.
    Cio' non ostante, in virtu' dell'art. 12- bis citato, anche questo
 periodo di separazione coniugale deve essere computato ai fini  della
 determinazione  della quota di indennita' di fine rapporto di lavoro,
 assegnando in favore della stessa.
    Cosi' come deve essere computato anche tutto il periodo precedente
 alla  separazione  personale,  senza  alcuna  possibilita'   per   il
 giudicante  di  verificare  se  e  in  quale  misura  la  donna abbia
 effettivamente concorso al menage familiare e all'assolvimento  degli
 oneri  della  vita in comune e quindi contribuito alla formazione del
 patrimonio  familiare.  Alla  stregua  delle  svolte   considerazioni
 ritiene  questo  tribunale  che  l'applicazione del dettato normativo
 imposto dalla legge n. 898/1970, qui  esaminato,  possa  in  concreto
 realizzare  una  situazione incompatibile con i principi fondamentali
 di cui agli artt. 3 e 36 della Carta costituzionale.
    L'art.  3  della  Costituzione,  invero,  non  deve  essere  letto
 esclusivamente nel senso che a parita' di situazioni, o condizioni di
 fatto, corrisponda una parita' di trattamento giuridico, ma anche nel
 senso che a situazioni, o condizioni di fatto, diversificate tra loro
 non venga riservato uno stesso trattamento giuridico,  perche'  anche
 in questi casi si verrebbe a ledere il principio di eguaglianza.
    Ora  l'art.  12-  bis  della  legge  n. 898/1970 violerebbe questo
 principio, laddove viene a regolare nello stesso modo e nella  stessa
 misura situazioni sostanzialmente anche molto diverse tra loro, senza
 operare  alcuna  discriminazione  tra  beneficiati  in  ragione delle
 proprie  condizioni  economiche,  della  durata  del  matrimonio   in
 costanza  di  rapporto di coniugio e quindi del possibile o effettivo
 apporto dato alla conduzione familiare.
    L'art. 36 della Costituzione,  come  e'  noto,  tutela  il  lavoro
 subordinato  in  genere,  garantendo  al  lavoratore una retribuzione
 proporzionata alla quantita' e alla qualita'  delle  sue  prestazioni
 lavorative,  mentre,  d'altra  parte,  nessun  obbligo  giuridico  e'
 imposto  dal  nostro  ordinamento  giuridico  positivo  di  cedere  o
 garantire  una  quota  del  proprio  reddito  da  lavoro  al coniuge,
 ancorche' viga tra i coniugi un regime di comunione  dei  beni  (cfr.
 art.  177,  parte  prima,  del  codice  civile  in  tema  di proventi
 dell'attivita' separata di ciascuno dei coniugi).
    L'art. 12- bis citato, cosi' come  strutturato  rigidamente,  puo'
 porsi   in  contrasto  con  l'art.  36  della  Costituzione,  perche'
 imponendo l'assegnazione al coniuge divorziato  di  una  quota  della
 indennita'  di fine rapporto lavorativo, prescindendo da un effettivo
 stato di necessita' o di bisogno del beneficiario o da un effettivo o
 anche soltanto possibile concorso del  beneficiario  alla  formazione
 del  patrimonio  o  del  reddito  del coniuge onerato, non giustifica
 l'imposizione medesima che si  sostanzia,  quindi,  in  una  cessione
 coatta  di  una quota della indennita', la quale avendo indubbiamente
 natura retributiva, costituisce un diritto legato  strettamente  alla
 persona del lavoratore e come tale costituzionalmente garantito.
    Non  deve  poi trascurarsi di considerare che l'indennita' di fine
 rapporto di lavoro assolve principalmente a funzione previdenziale  e
 solo  figurativamente  puo'  equipararsi  a  retribuzione  differita.
 Originariamente tale indennita', come e' noto,  serviva  a  sopperire
 alle necessita' economiche del lavoratore che, cessato il rapporto di
 lavoro, non aveva diritto a trattamento pensionistico.
    Ancora   attualmente,  mancando  una  completa  equiparazione  del
 trattamento pensionistico alla retribuzione in costanza  di  rapporto
 lavorativo  (non  sussiste  un  effettivo collegamento della pensione
 alla   dinamica   salariale),   la   funzione   previdenziale   della
 liquidazione  per  fine  rapporto  lavorativo, non e' venuta meno del
 tutto.
    In ogni  caso,  appare  fuorviante  disciplinare  la  ripartizione
 dell'indennita'  in  questione,  alla  stregua  di  mera retribuzione
 differita,  ancorandola  a  criteri  o   modalita'   collegati   alla
 situazione  precedente  o  concomitante  alla patologia matrimoniale,
 senza valutare adeguatamente la situazione  economica  di  fatto  del
 lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro e senza
 percio'   cogliere   adeguatamente   gli  aspetti  previdenziali  che
 l'indennita'  in  questione  e'  ancora  potenzialmente   capace   di
 esprimere.
   Per  queste  ragioni  il  tribunale,  ritenuta  non  manifestamente
 infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 12-
 bis della legge 1½ dicembre 1970, n. 898, e successive  modificazioni
 e  integrazioni,  in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione e
 ritenuto  altresi'  che  la  soluzione  della  questione  ha  diretta
 rilevanza  in  ordine  alla decisione sulla domanda dell'Ancillotti a
 conseguire la quota della indennita' di fine  rapporto  liquidata  al
 Dari,   ordina   rimettersi   gli   atti  alla  Corte  costituzionale
 sospendendo il giudizio relativo a questa domanda, previa separazione
 delle cause.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge  11  marzo
 1953, n. 87;
    Solleva  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-
 bis della legge 1½ dicembre 1970, n.  898,  introdotto  dall'art.  17
 della legge 6 marzo 1987, n. 74, in relazione agli artt. 3 e 36 della
 Costituzione;
    Dispone   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
 costituzionale, sospendendo il giudizio in corso;
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti  in  causa  e al Presidente del Consiglio dei
 Ministri, nonche' comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
    Cosi' deciso in Siena nella camera di consiglio del tribunale, li'
 24 giugno 1992.
                       Il presidente: SCHETTINO
    Depositato in cancelleria oggi 30 novembre 1992.
               Il collaboratore di cancelleria: DE BONIS

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