N. 68 ORDINANZA 8 - 16 febbraio 1993

 
 
 Giudizio di ammissibilita' del conflitto di attribuzione tra
 poteri dello Stato.
 
 Costituzione  della  Repubblica  italiana  -  Giurisdizione  civile e
 Senato della repubblica - Corretto uso del potere di  decidere  sulla
 imperseguibilita'   stabilita   dall'art.   68,   primo  comma  della
 Costituzione, cosi' come esercitato dal Senato con la delibera dell'8
 maggio 1987 - Richiamo alla giurisprudenza  della  Corte  in  materia
 (ordinanze  nn. 228 e 229 del 1975 e 38/1986, sentenze nn. 231/1975 e
 1150/1988 - Conflitto coinvolgente  l'ambito  di  applicazione  delle
 norme costituzionali sulla giurisdizione - Ammissibilita' del ricorso
 proposto  dal  tribunale  di  Roma  nei  confronti  del  Senato della
 Repubblica, con l'ordinanza del 20 febbraio 1992
 
(GU n.9 del 24-2-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, prof. Antonio  BALDASSARRE,  prof.
 Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof.
 Enzo CHELI, dott. Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.
 Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  sull'ammissibilita'  del conflitto di attribuzione fra
 poteri dello Stato sollevato dal Tribunale civile  di  Roma,  sezione
 1a, nei confronti del Senato della Repubblica, con ricorso depositato
 in  Cancelleria  l'8  agosto  1992  ed iscritto al n. 42 del registro
 ammissibilita' conflitti;
    Udito nella camera di consiglio del 16 dicembre 1992,  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto  che, con ordinanza del 20 febbraio 1992, il Tribunale di
 Roma ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato,ai
 sensi degli artt. 134 della Costituzione e 37 della  legge  11  marzo
 1953 n. 87;
      che  in tale ordinanza il tribunale riferisce che, con citazione
 del 28 aprile 1986, il sig. Nicola Falde aveva convenuto in  giudizio
 il  senatore  Raimondo  Ricci  per  sentirlo condannare, insieme alla
 s.p.a. Marsilio editori, al risarcimento del danno derivato  ad  esso
 attore  da  atti,  a  suo  dire, diffamatori e calunniosi, consistiti
 nell'addebito - espresso in un libro intitolato "  I  poteri  occulti
 dello  Stato"  -  di  aver partecipato ad attivita' politica-eversiva
 posta  in  essere  dalla  loggia   massonica   P   2   e   di   avere
 conseguentemente svolto attivita' politica illecita, e che, a seguito
 di  tale  addebito,  l'attore  sosteneva  di  aver subito danni anche
 patrimoniali in relazione alla perdita di varie occasioni di lavoro;
      che il senatore Ricci,  costituitosi,  aveva  sostenuto  che  il
 contenuto dello scritto riproduceva fedelmente la relazione svolta in
 un congresso organizzato nel 1983 dal Comune di Venezia, cui egli era
 stato invitato quale vicepresidente della commissione parlamentare di
 inchiesta  sulla loggia massonica P2 e che, a sua volta, la relazione
 riproduceva gli atti  ed  i  documenti  acquisiti  dalla  commissione
 stessa,  per  cui  le  opinioni da lui espresse in tale sede dovevano
 ritenersi coperte dalla insindacabilita' di cui  all'art.  68,  primo
 comma,   della  Costituzione,  onde  l'improponibilita'della  domanda
 giudiziale nei suoi confronti;
      che  questa  tesi  era  stata fatta propria con decisione del 16
 aprile 1987 dalla giunta  per  le  immunita'  parlamentari  e  quindi
 dall'assemblea del Senato che, con delibera dell'8 maggio successivo,
 aveva  statuito  all'unanimita'  che  i  fatti  per i quali era stata
 esperita nei confronti del senatore Ricci l'azione civile oggetto del
 giudizio ricadevano nella prerogativa dell'insindacabilita';
      che il tribunale, premesso che  detta  delibera  avrebbe  dovuto
 condurre   ad   una   pronuncia  di  improponibilita'  della  domanda
 giudiziale, ha richiamato quanto  affermato  da  questa  Corte  nella
 sentenza  n.  1150  del  1988  che,  pur  riconoscendo alla camera di
 appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata ad  un  suo
 membro,  ha  tuttavia  ammesso  che  tale  potere non e' arbitrario o
 soggetto soltanto ad una regola interna di  self-restraint,  ma  deve
 essere  correttamente  esercitato  e  di  conseguenza  assoggettato a
 controllo  della  Corte  costituzionale  mediante  il   rimedio   del
 conflitto di attribuzione;
      che  il  tribunale,  dubitando che con la delibera dell'8 maggio
 1987 il Senato abbia fatto corretto uso del proprio  potere,  perche'
 avrebbe  finito  con l'esprimere un "giudizio sulla non esistenza del
 carattere diffamatorio  nelle  affermazioni  contenute  nel  libro  e
 quindi  in  ultima analisi si e' pronunciato sul merito della domanda
 proposta"   in   sede   giudiziaria,   esercitando    una    funzione
 giurisdizionale  che  gli  e'  preclusa,  ha  sollevato conflitto tra
 poteri dello Stato in ordine al corretto uso del potere  di  decidere
 sulla  "imperseguibilita'  stabilita  dall'art.  68,  1› comma, della
 Costituzione, cosi' come esercitato dal Senato della  Repubblica  con
 la delibera adottata l'8 maggio 1987";
    Considerato che, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della
 legge  n.  87  del  1953,  "la  Corte,  in questa fase, e' chiamata a
 delibare senza contraddittorio se  il  ricorso  sia  ammissibile,  in
 quanto  esista  'la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti
 alla  sua  competenza',  rimanendo  percio'  impregiudicata,  ove  la
 pronuncia  sia di ammissibilita', la facolta' delle parti di proporre
 nel corso ulteriore del giudizio, anche su questo punto,  istanze  ed
 eccezioni" (cfr. ordinanze nn. 228 e 229 del 1975);
      che  deve  essere riconosciuta la legittimazione del tribunale a
 sollevare conflitto, essendo  principio  ripetutamente  affermato  da
 questa  Corte  che  "i  singoli organi giurisdizionali, esplicando le
 loro funzioni in situazioni di piena indipendenza, costituzionalmente
 garantita,  sono  da  considerarsi  legittimati   -   attivamente   e
 passivamente  -  ad essere parti di conflitti di attribuzione" (oltre
 alle citate ordinanze, cfr. sentenza n. 231 del 1975, ordinanza n. 38
 del 1986 e, ancora, sentenza n. 1150 del 1988);
      che la forma dell'ordinanza, prescelta dal tribunale come  mezzo
 di  proposizione  del ricorso previsto dall'art. 37 della legge n. 87
 del 1953, deve ritenersi adeguata per una  valida  instaurazione  del
 conflitto,  come  e'  gia' stato deciso in precedenti occasioni (cfr.
 ordinanze nn. 228 e 229 del 1975 e 10-18 febbraio 1988,  quest'ultima
 richiamata nella parte espositiva della sentenza n. 1150 del 1988);
      che,  assumendosi  dal  tribunale ricorrente che la delibera del
 Senato in data 8 maggio 1987 invaderebbe indebitamente la  sfera  del
 potere  giurisdizionale  (cfr.  sentenze  nn. 231 del 1975 e 1150 del
 1988), il conflitto sollevato involge, dal punto di vista  oggettivo,
 l'ambito   di   applicazione   delle   norme   costituzionali   sulla
 giurisdizione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  ammissibile  il  ricorso  per  conflitto  di attribuzione
 proposto dal Tribunale  di  Roma,  nei  confronti  del  Senato  della
 Repubblica, con l'ordinanza in epigrafe;
    Dispone:   a)   che  la  Cancelleria  della  Corte  dia  immediata
 comunicazione al ricorrente della presente ordinanza; b) che, a  cura
 del  ricorrente  (Tribunale  di  Roma),  il  ricorso  e  la  presente
 ordinanza siano notificati al Senato della Repubblica, in persona del
 suo Presidente, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione
 di cui sopra.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 16 febbraio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0166