N. 77 SENTENZA 26 febbraio - 11 marzo 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 "
 Processo  penale  -  Imputati  minorenni  -  Udienza  preliminare   -
 Opposizione  avverso  i provvedimenti Indistinzione tra provvedimenti
 di proscioglimento e di condanna -  Esclusione  dall'opposizione  dei
 provvedimenti  dichiarativi  di  non luogo a procedere con i quali e'
 stata comunque presupposta la responsabilita' dell'imputato - Lesione
 del diritto di difesa - Illegittimita' costituzionale.
 
 (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 32, terzo  comma,  sostituito
 dall'art. 46 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12)
 
 (Cost., artt. 24 e 76).
(GU n.12 del 17-3-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  32, terzo
 comma, del d.P.R. 22  settembre  1988,  n.  448  (Approvazione  delle
 disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), nel
 testo  modificato  dall'art.  46  del  decreto legislativo 14 gennaio
 1991, n. 12 (Disposizioni integrative e correttive  della  disciplina
 processuale  penale  e  delle  norme ad essa collegate), in relazione
 all'art. 3, lett. l, della legge-delega  16  febbraio  1987,  n.  81,
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  25 novembre 1991 dalla Corte di
 appello di Trieste - Sezione per i minorenni nel procedimento  penale
 a  carico  di Minatel Luca, iscritta al n. 106 del registro ordinanze
 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  10,
 prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 16 dicembre  1992  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza pronunciata il 25 novembre 1991, la Corte di
 appello di Trieste - Sezione per i minorenni, ha sollevato  questione
 di  legittimita' costituzionale dell'art. 32, terzo comma, del d.P.R.
 22 settembre  1988,  n.  448  (Approvazione  delle  disposizioni  sul
 processo penale a carico di imputati minorenni), nel testo modificato
 ad  opera dell'art. 46 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12
 (Disposizioni integrative e correttive della  disciplina  processuale
 penale e delle norme ad essa collegate).
    Assume  il  giudice  a  quo che l'art. 3, lettera l), della legge-
 delega 16 febbraio 1987, n. 81, nel prevedere l'opposizione avverso i
 provvedimenti   adottati   nell'udienza   preliminare,   non    opera
 distinzione  tra  provvedimenti  di proscioglimento e di condanna; il
 tutto per consentire all'imputato  di  "gestire  la  possibilita'  di
 rinunciare  o  meno  alla celebrazione del dibattimento, senza che la
 detta possibilita' possa essergli  sottratta  con  pregiudizio  delle
 garanzie  di  difesa".  Tale  principio risulterebbe peraltro violato
 dalla "novellazione" apportata dall'art. 46 del  decreto  legislativo
 14   gennaio   1991,  n.  12,  che  ha  escluso  dall'opposizione  "i
 provvedimenti  di  proscioglimento",  cosicche'  la  norma  impugnata
 verrebbe   a  porsi  in  contrasto  con  gli  artt.  24  e  76  della
 Costituzione.
    2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    Osserva l'Avvocatura che la scelta di consentire l'opposizione nei
 confronti  delle  sole  sentenze  di  condanna  risponde  alle  reali
 esigenze  di garanzia dell'imputato, il quale, avverso le sentenze di
 non luogo a procedere,  puo'  utilizzare  il  mezzo  di  impugnazione
 previsto dall'art. 428 del codice di procedura penale. L'opposizione,
 quindi,   costruita   come   richiesta   di   dibattimento,  consente
 all'imputato di far valutare in tempi ristretti  le  proprie  censure
 avverso  quei provvedimenti che nel processo ordinario possono essere
 adottati solo a conclusione  del  dibattimento.  L'estensione  di  un
 meccanismo del genere a tutti i provvedimenti adottabili nell'udienza
 preliminare  si sarebbe, invece, rivelato in contrasto con l'esigenza
 di  massima  semplificazione,  senza  che,  oltre  tutto,   potessero
 assumere rilievo alcuno le peculiarita' del procedimento minorile.
    D'altro  canto, ha osservato l'Avvocatura richiamando la Relazione
 allo schema del decreto legislativo n. 12 del 1991,  la  composizione
 del tribunale per i minorenni nell'udienza preliminare non differisce
 in  modo  significativo dalla composizione del medesimo tribunale con
 funzioni di  giudice  del  dibattimento.  Pure  sotto  tale  profilo,
 dunque, non avrebbe giustificazione predisporre il riesame del merito
 di  tutti i provvedimenti adottati a norma dell'art. 32 del d.P.R. n.
 448 del 1988.
    Per cio' che infine attiene alla denunciata  violazione  dell'art.
 24  della  Costituzione,  l'Avvocatura  rileva che la possibilita' di
 esperire gli ordinari  mezzi  di  impugnazione  previsti  dal  codice
 avverso  i provvedimenti diversi dalle sentenze di condanna, consente
 agevolmente di ritenere non fondata la dedotta violazione del diritto
 di difesa.
                        Considerato in diritto
   1. - Oggetto di censura, sotto il duplice profilo  dell'eccesso  di
 delega  e  della violazione del diritto di difesa, e' la disposizione
 dettata dall'art. 32, terzo comma, del d.P.R. 22 settembre  1988,  n.
 448,  in  base  alla  quale e' consentito all'imputato e al difensore
 munito di procura speciale di proporre opposizione contro la sentenza
 di condanna pronunciata nell'udienza preliminare a norma del comma  2
 dello  stesso  articolo.  Tenuto  conto, infatti, che la disposizione
 impugnata e' stata introdotta, nella attuale formulazione,  dall'art.
 46  del  decreto  legislativo 14 gennaio 1991, n. 12, adottato con la
 speciale  procedura  prevista  dall'art.  7  della  legge-delega   16
 febbraio  1987,  n.  81,  e  come  tale assoggettato al "rispetto dei
 principi e criteri direttivi fissati dagli  articoli  2  e  3"  della
 stessa  legge di delegazione, e considerato che la fonte novellatrice
 ha profondamente mutato la precedente disciplina, limitando  ai  soli
 casi  di  condanna  la  possibilita'  - prima riconosciuta in termini
 generali - di proporre opposizione avverso  le  sentenze  pronunciate
 all'esito  della  udienza preliminare, si desume da cio' il contrasto
 con l'art. 3, lettera l), terzo periodo, della stessa legge-delega n.
 81  del  1987,  essendo  ivi   prevista   l'opposizione   "contro   i
 provvedimenti  adottati nell'udienza preliminare" senza che sia stata
 operata distinzione alcuna tra quelli di proscioglimento e quelli  di
 condanna.  La novella, d'altra parte, non consentendo all'imputato di
 "gestire la possibilita' di rinunciare o meno alla  celebrazione  del
 dibattimento",  determina,  secondo il giudice a quo, un "pregiudizio
 delle garanzie della difesa" che  pone  la  norma  in  contrasto  con
 l'art. 24 della Costituzione.
    2.  -  La  tesi  che  invece  sviluppa  la  difesa dello Stato per
 sostenere l'infondatezza della questione, si incentra  essenzialmente
 sulle  ragioni  di speditezza e di coerenza sistematica che indussero
 il Governo ad emanare la novella che costituisce oggetto del presente
 giudizio. Richiamando, infatti, quanto al riguardo si  afferma  nella
 Relazione che ha accompagnato lo schema del decreto legislativo n. 12
 del  1991,  l'Avvocatura pone in evidenza come la soluzione prescelta
 sia rispondente "alle reali esigenze di  garanzia  dell'imputato,  il
 quale avverso le sentenze di non luogo a procedere puo' efficacemente
 avvalersi   del  mezzo  di  impugnazione  previsto  in  via  generale
 dall'art. 428 c.p.p., mentre per le sentenze di condanna  allo  stato
 degli  atti  emesse  a  norma dell'art. 32 comma 2 si trova ad essere
 privato, senza necessita' del suo consenso, della garanzia costituita
 dal dibattimento".
    Una soluzione, quella adottata, che  il  legislatore  delegato  ha
 ritenuto  "conforme  alla  ratio  della  direttiva  di cui all'art. 3
 lettera l) legge-delega, la quale  sembra  doversi  interpretare  nel
 senso  che  non  avverso  tutti i provvedimenti adottati nell'udienza
 preliminare debba essere consentita  l'opposizione,  bensi'  soltanto
 avverso quelli in relazione ai quali i mezzi di impugnazione previsti
 dal codice non costituiscono garanzia sufficiente, tenuto conto della
 maggiore  ampiezza  dei  poteri  decisori  del  giudice  dell'udienza
 preliminare minorile rispetto a quanto previsto dagli artt. 424 e 425
 c.p.p.".
    3. - L'esame della conformita' della norma impugnata ai criteri ed
 ai principi enunciati dalla legge di delegazione,  postula,  come  e'
 ovvio,  un  controllo  di  compatibilita'  tra  le scelte operate dal
 legislatore delegato ed i limiti imposti all'esercizio  del  relativo
 potere,  che non puo' riduttivamente circoscriversi all'interno di un
 acritico raffronto testuale tra le due fonti di normazione.  Cio'  e'
 tanto  piu'  vero  ove si consideri come alla gia' complessa e talora
 puntuale sequenza che caratterizza le numerose direttive che l'art. 2
 della legge-delega n. 81 del 1987 ha  fissato  per  l'emanazione  del
 nuovo  codice  di  rito, si accompagni la ritenuta necessita' - fatta
 palese dal preambolo con cui esordisce l'art. 3 - che  la  disciplina
 del  processo  minorile  si conformi ai "princip/' generali del nuovo
 processo penale", solo nei limiti in cui questi  non  debbano  subire
 "le   modificazioni   ed   integrazioni   imposte  dalle  particolari
 condizioni psicologiche del  minore,  dalla  sua  maturita'  e  dalle
 esigenze    della    sua   educazione,   nonche',   in   particolare,
 dall'attuazione" dei criteri che lo stesso art. 3 passa ad enunciare.
 Ciascuno dei "criteri"  stabiliti  per  disciplinare  il  processo  a
 carico  di  imputati  minorenni,  dunque,  assume, secondo la precisa
 volonta' del legislatore delegante, il significato di una  deroga  ai
 "princip/'  generali",  coessenziale  alle  peculiari esigenze insite
 nella  condizione  minorile,  cosicche'  qualsiasi  lettura  di  quei
 criteri  in  funzione  della corrispondente disciplina attuativa, non
 potra' che collocarsi in tale specifico quadro di riferimento.
    Cio'  posto  e  dovendosi  pertanto annettere ai criteri enunciati
 dall'art.  3  della  legge-delega  il  valore  di  limiti  saldamente
 ancorati alla salvaguardia delle esigenze del minore, ne consegue che
 la  loro  interpretazione non potra' che svolgersi secondo un profilo
 squisitamente teleologico, al precipuo scopo di  raccordare  ciascuna
 deroga  ai "princip/' generali" del processo penale alle peculiarita'
 insite nel rito  minorile.  In  tale  contesto,  allora,  e'  agevole
 cogliere  quale  sia la linea prescelta dal legislatore delegante nel
 dettare le tre "previsioni" in cui si suddivide  la  lettera  l)  del
 gia'  citato  art.  3:  da  un  lato, quella di ampliare i poteri del
 giudice dell'udienza preliminare,  cosi'  da  rendere  possibile  una
 immediata  conclusione  della  vicenda  processuale, il cui ulteriore
 sviluppo  potrebbe  generare  conseguenze  negative  per  il  minore;
 dall'altro,  quella  di  affidare alle parti la scelta se conformarsi
 alla decisione del giudice, ovvero rimuoverla attraverso lo  speciale
 rimedio  della  opposizione. La prima parte della direttiva che viene
 qui  in   esame   stabilisce,   infatti,   che   il   giudice   possa
 "prosciogliere"  il  minorenne  nell'udienza preliminare anche per la
 non imputabilita', ai sensi dell'art. 98 del  codice  penale,  ovvero
 per   concessione   del   perdono   giudiziale,  cosi'  superando  il
 circoscritto a'mbito della sentenza di "non luogo a procedere" che lo
 stesso delegante ha tracciato  nel  numero  52)  dell'art.  2,  nella
 diversa   prospettiva  di  privilegiare  il  dibattimento  come  sede
 naturale  dove  svolgere  il  giudizio   sul   pieno   merito   della
 regiudicanda.  Il  secondo  periodo della medesima direttiva prevede,
 poi,  la  possibilita'  di  pronunciare,  all'esito   della   udienza
 preliminare, sentenza di condanna, ove il giudice ritenga di irrogare
 una  pena  pecuniaria o una sanzione sostitutiva. A chiusura, infine,
 dei criteri ai quali il legislatore delegato e' tenuto  a  uniformare
 la  disciplina  dell'udienza  preliminare  nel  processo  a carico di
 imputati minorenni, il terzo periodo  della  lettera  l)  enuncia  la
 previsione  che  avverso "i provvedimenti adottati" in quella udienza
 "il pubblico ministero, il difensore, l'imputato, uno dei genitori  o
 il  tutore  possano  proporre  opposizione,  in  termini  brevissimi,
 davanti al tribunale per i minorenni".
    Alle particolarita' degli epiloghi cui  puo'  pervenire  l'udienza
 preliminare  nel processo minorile, si collega, dunque, l'altrettanto
 particolare rimedio della opposizione,  che  il  delegante  configura
 alla  stregua  di un istituto volto a rimuovere gli effetti di quelle
 pronunce  e  provocare  l'intervento  del   giudice   dibattimentale.
 Sicche',   pur   operando   la  delega  un  generico  riferimento  ai
 "provvedimenti adottati  all'udienza  preliminare",  deve  certamente
 escludersi  -  come osserva la Relazione al decreto legislativo n. 12
 del 1991 - che l'intento del legislatore delegante  fosse  quello  di
 ammettere  l'opposizione nei confronti di qualsiasi tipo di decisione
 assunta  nell'udienza,  giacche',  ove  cosi'  fosse,  sarebbe   resa
 suscettibile  di  automatica  caducazione  qualsiasi  sentenza di non
 luogo a procedere, in virtu' di una scelta che  lo  stesso  delegante
 riconosce  non  solo  all'imputato ma anche al pubblico ministero. In
 altri  termini,  si  assisterebbe  alla  conseguenza  paradossale  di
 attribuire   al   pubblico   ministero   il   potere   di   rimuovere
 discrezionalmente una sentenza che si oppone alla  sua  richiesta  di
 rinvio  a  giudizio, in aperto contrasto sia con i princip/' di rango
 costituzionale,  sia  con le finalita' stesse che la direttiva mira a
 perseguire.
    Dovendosi  dunque  prefigurare  limiti  oggettivi  al  potere   di
 proporre   opposizione,   questi  non  possono  che  desumersi  dalla
 integralita' delle "previsioni" che la stessa lettera l) partitamente
 enuncia. Il diritto dell'imputato alla celebrazione del dibattimento,
 non puo', allora, ritenersi  circoscritto  alla  sola  ipotesi  della
 sentenza  di  condanna,  proprio  perche'  la  facolta'  di  proporre
 opposizione,  enunciata  nella  terza  parte  della  lettera  l),  e'
 intimamente  legata, sul piano logico sistematico oltre che testuale,
 ad entrambe le previsioni che la precedono. Posto,  infatti,  che  la
 "specificita'"  che caratterizza l'udienza preliminare minorile viene
 individuata dal legislatore  delegante  nell'ampliamento  dei  poteri
 decisori  e  nella  correlativa  possibilita'  di  adottare  pronunce
 altrimenti da riservare all'organo del  dibattimento,  e  considerato
 che,  come  si  e'  detto, la scelta di anticipare siffatti poteri e'
 funzionale al soddisfacimento delle particolari  esigenze  di  tutela
 della   condizione   minorile,   ne  consegue  che  il  diritto  alla
 opposizione, costituendo espressione del  piu'  generale  diritto  di
 difesa,  deve  essere  riconosciuto in tutti i casi in cui e' proprio
 quella "anticipazione di poteri" a generare l'effetto di impedire  la
 celebrazione  del  dibattimento.  D'altra  parte,  poiche' l'istituto
 della  opposizione  e'  tradizionalmente  collocato  nell'ambito  del
 procedimento  monitorio, al punto che il legislatore della novella e'
 stato indotto a modellarne le cadenze in speculare  sintonia  con  le
 analoghe  previsioni  dettate  in  tema  di  decreto  penale  (v., in
 particolare, il comma 3- bis dell'art. 32 e l'art. 32- bis del d.P.R.
 n. 448 del 1988), diviene allora agevole arguire che  nell'intenzione
 del  legislatore  delegante  il  rimedio  in  questione  e'  inteso a
 consentire l'accertamento dibattimentale  nelle  ipotesi  in  cui  la
 pronuncia del giudice della udienza preliminare contiene un enunciato
 in  punto  di  responsabilita' che la parte deve avere la facolta' di
 rimuovere per poter esercitare appieno il proprio diritto alla prova.
 Un diritto, questo, che, contrariamente a  quanto  si  afferma  nella
 Relazione  al  piu'  volte citato decreto legislativo n. 12 del 1991,
 non puo' certo ritenersi adeguatamente tutelato attraverso "il  mezzo
 di impugnazione previsto in via generale dall'art. 428 c.p.p.", posto
 che,   tra   l'altro,   non   e'   l'appello   la   sede  processuale
 fisiologicamente destinata alla formazione della prova.
    Tale essendo il  quadro  univocamente  tracciato  dal  legislatore
 delegante, puo' quindi desumersi, quale conclusivo corollario, che il
 diritto  a  proporre  l'opposizione deve essere riconosciuto non solo
 quando  la  pronuncia  sulla  responsabilita'  e'  coessenziale  alla
 sentenza  che  definisce  l'udienza  preliminare, come nel caso della
 condanna,  ma  anche  quando  la  responsabilita'  dell'imputato   e'
 ontologicamente presupposta, come nel perdono giudiziale, ovvero, in-
 fine, e' logicamente postulata, come nella ipotesi di sentenza di non
 luogo  a procedere per difetto di imputabilita' a norma dell'art.  98
 del  codice  penale.  La  norma  impugnata  va  pertanto   dichiarata
 costituzionalmente  illegittima  in parte qua, restando assorbiti gli
 ulteriori profili denunciati dal giudice rimettente.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 32, terzo comma,
 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni
 sul  processo penale a carico di imputati minorenni), come sostituito
 dall'art.  46  del  decreto  legislativo  14  gennaio  1991,  n.   12
 (Disposizioni  integrative  e correttive della disciplina processuale
 penale e delle norme ad essa  collegate),  nella  parte  in  cui  non
 prevede  che possa essere proposta opposizione avverso le sentenze di
 non luogo a procedere con le quali e' stata comunque  presupposta  la
 responsabilita' dell'imputato.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria l'11 marzo 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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