N. 90 SENTENZA 8 - 15 marzo 1993
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Espropriazione per pubblico interesse - Occupazione temporanea - Termini di scadenza - Proroga - Azione in giudizio per il ristoro di danni subiti - Proprietario - Mancata previsione - Indeterminatezza del petitum e difetto di rilevanza della questione - Inammissibilita'. (D.-L. 22 dicembre 1984, n. 901, art. 1, comma 5-bis, aggiunto della legge di conversione 1 marzo 1985, n. 42; d.-l. 29 dicembre 1987, n. 534, art. 14, secondo comma, convertito dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47; legge 20 maggio 1991, n. 158, art. 22). " (Cost., artt. 24 e 42).(GU n.13 del 24-3-1993 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 5 bis, aggiunto al decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901 (Proroga della vigenza di taluni termini in materia di lavori pubblici), dalla legge di conversione 1 marzo 1985, n. 42; dell'art. 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative ed interventi di carattere assistenziale ed economico), convertito dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47 e dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative), promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1991 dal tribunale di S. Maria Capua Vetere nel procedimento civile vertente tra Giuseppe Munno ed altri e l'Enel, iscritta al n. 476 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1992; Visto l'atto di costituzione dell'Enel nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1993 il Giudice relatore Gabriele Pescatore; Uditi l'avv. Franco Gaetano Scoca per l'Enel e l'Avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Il tribunale di S. Maria Capua Vetere, ha emanato ordinanza il 14 novembre 1991, nel corso di un giudizio promosso da taluni proprietari di beni assoggettati ad occupazione d'urgenza (finalizzata alla costruzione di elettrodotti) ex art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865. Il giudizio si riferisce alla indennita' di occupazione, al risarcimento dei danni conseguenti al protrarsi dell'occupazione oltre il termine quinquennale previsto dal decreto che l'aveva autorizzato, nonche' al risarcimento dei danni in relazione alla irreversibile destinazione del bene alla costruzione di elettrodotto. Il tribunale remittente espone che la domanda relativa alla determinazione dell'indennita' di occupazione, per il periodo in cui questa si era legittimamente attuata, a norma dell'art. 20 della legge n. 865 del 1971, e' di competenza della corte d'appello; pertanto esso, con sentenza in data 14 novembre 1991, si era dichiarato incompetente nella materia. Le domande relative al risarcimento dei danni rientrano, invece, nella competenza del tribunale; ma il termine quinquennale per la durata del quale l'occupazione era stata autorizzata, fu prorogato all'8 aprile 1993, per effetto dell'art. 1, comma 5-bis, aggiunto al d.l. 22 dicembre 1984, n. 901 della legge di conversione 1 marzo 1985, n. 42; dell'art. 14, secondo comma, del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, conv. nella legge 29 febbraio 1988, n. 47, nonche' dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158. Cio' premesso ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 42 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale delle norme ora ricordate, sotto il profilo che esse, "prorogando i termini di scadenza delle occupazioni temporanee autorizzate ai sensi dell'art. 20 della citata legge n. 865 del 1971, non consentono ai proprietari dei beni occupati, sui quali e' stata realizzata l'opera pubblica, di agire in giudizio per il ristoro dei danni subiti". Secondo il giudice a quo la scadenza del termine di occupazione legittima costituisce una condizione dell'azione di risarcimento e, come tale, deve verificarsi nel corso del giudizio. Per effetto delle proroghe intervenute, viceversa, il termine di scadenza - fissato con il decreto che autorizzava l'occupazione all'8 aprile 1988 - e' stato prorogato di un anno, ai sensi dell'art. 1, comma 5 bis, del d.l. 22 dicembre 1984, n. 901, convertito nella legge 1 marzo 1985, n. 42 e, poi, di ulteriori due anni, ai sensi dell'art. 14 del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, convertito nella legge 29 febbraio 1988, n. 47, nonche' ancora di altri due anni, ai sensi dell'art. 22 della l. 20 maggio 1991, n. 158. Da qui la rilevanza della questione, in quanto, in mancanza della declaratoria d'illegittimita' costituzionale delle norme impugnate, le domande di risarcimento dovrebbero essere rigettate. Il contrasto delle ripetute proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni con gli artt. 24 e 42, terzo comma, della Costituzione e' dedotto in riferimento alla circostanza che il proprietario del bene occupato puo' agire in giudizio solo per ottenere l'indennita' di occupazione, la quale non copre l'intera area del pregiudizio sofferto, poiche' "il titolare del bene occupato, pur avendone perso la disponibilita' per effetto della realizzazione dell'opera pubblica, nel termine autorizzato, continua ad esserne il proprietario e deve, quindi, sopportare i relativi oneri" e non puo' agire "per il ristoro dei danni, benche' la realizzazione dell'opera pubblica abbia determinato la compressione delle facolta' connesse alla proprieta' del bene occupato". Le proroghe suddette - secondo il giudice a quo - con la loro continua reiterazione, finiscono col costituire un espediente per impedire al proprietario di ottenere l'indennita' di espropriazione prevista dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione. 2. - Dinanzi a questa Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata. In proposito l'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito in primo luogo che l'ordinanza di rimessione non chiarisce se "l'azione, di cui verrebbe pregiudicato l'esercizio, abbia per oggetto la giusta indennita' di espropriazione o di asservimento, elemento non indifferente per valutare la portata dell'assunto secondo il quale le ripetute proroghe determinerebbero un sostanziale svuotamento della tutela giurisdizionale". Inoltre, "se la questione e' stata sollevata in quanto le proroghe ex lege manterrebbero la pendenza del termine assegnato alla autorizzata occupazione, soltanto con la scadenza del termine della occupazione legittima, determinandosi il trapasso della stessa a quella illegittima sarebbe accoglibile la domanda risarcitoria". Pertanto, secondo l'Avvocatura generale, il giudizio a quo sarebbe condizionato dall'esito di quello relativo alla determinazione dell'indennita' di occupazione e questa seconda causa avrebbe valore pregiudiziale, per cui il giudizio a quo andava sospeso necessariamente e la questione sollevata, allo stato, non era rilevante. Quanto al merito, l'Avvocatura generale dello Stato sostiene la non fondatezza della questione, tenuto conto che ai proprietari dei beni occupati spetta, per tutto il periodo di occupazione, la relativa indennita' e che, al termine dell'occupazione legittima, essi potranno agire a tutela di ogni altro loro diritto. 3. - Si e' costituito anche l'Enel, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. In proposito ha dedotto innanzitutto che l'occupazione di un bene per la realizzazione di finalita' pubbliche, anche se protratta per lungo tempo, non puo' mai configurare una fattispecie espropriativa non traslativa, essendo cio' escluso dal carattere della temporaneita', che e' insito nella occupazione di urgenza e che non viene meno per la sua lunga durata (sentenza n. 393 del 1991 della Corte costituzionale). Il proprietario, infatti, malgrado la pendenza dei termini di occupazione, conserva integra la facolta' di disposizione dell'immobile, che cessera' solo con l'emanazione del decreto di espropriazione o con la irreversibile trasformazione del bene. Alla scadenza della occupazione egli, o rientra nella piena disponibilita' dell'immobile, essendo venuto meno il titolo che ne giustificava la detenzione da parte dell'occupante, o, al contrario, ottiene l'indennizzo per la sua definitiva perdita. Pertanto - secondo la difesa dell'Enel - non sarebbe appropriato il richiamo all'art. 42 della Costituzione, "in quanto non solo manca un provvedimento formale di espropriazione, ma non e' nemmeno configurabile una espropriazione di fatto". Il reiterarsi della proroga del termine, inoltre, troverebbe un parallelismo nel reiterarsi dei vincoli urbanistici dipendenti dai piani regolatori, ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale (sentenze n. 575 del 1989 e n. 82 del 1982). Deduce ancora la difesa dell'Enel che questa Corte (sentenza n. 188 del 1972) ha gia' affermato che la concessione di proroghe della occupazione temporanea e' legittima quando le stesse corrispondano ad effettive esigenze di pubblico interesse e siano limitate nel tempo. Tali condizioni sussisterebbero entrambe in relazione alle norme impugnate, giacche' la ragione giustificativa delle successive proroghe, quale risulta dai lavori preparatori nei procedimenti legislativi che le concernono, era connessa all'emanazione della nuova normativa sui criteri di liquidazione dell'indennita' di espropriazione. Le proroghe, pur avendo prolungato il periodo di occupazione legittima, non avrebbero inciso sul principio della temporaneita' dell'occupazione. Comunque, la concreta fissazione della durata dell'occupazione nei singoli casi concreti e' rimessa alla discrezionalita' del legislatore e non puo' essere sindacata dalla Corte costituzionale quando il termine appaia, come nella fattispecie, ragionevole e corrispondente ad un interesse pubblico meritevole di tutela. Circa la violazione dell'art. 24 della Costituzione, essa sarebbe esclusa dalla possibilita' di ottenere immediatamente il pagamento dell'indennita' di occupazione (sentenza n. 471 del 1990 della Corte costituzionale), mentre la circostanza che il proprietario dei beni occupati non possa agire in giudizio per ottenere il pagamento dell'indennita' di espropriazione, e' coerente con il permanere della titolarita' del diritto di proprieta' sino all'emanazione del decreto di espropriazione. Considerato in diritto 1. - Il giudice a quo ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 5-bis, aggiunto al d.l. 22 dicembre 1984, n. 901 dalla legge di conversione 1 marzo 1985, n. 42; 14, secondo comma, del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, conv. nella legge 29 febbraio 1988, n. 47; 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158 in quanto - prorogando i termini di scadenza delle occupazioni temporanee autorizzate ai sensi dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 - non consentono al proprietario dei beni occupati, sui quali e' stata realizzata l'opera, di agire in giudizio per il ristoro dei danni subiti, cosi' violando gli artt. 24 e 42 della Costituzione. 2. - La questione va dichiarata inammissibile, non rispondendo l'ordinanza di rimessione ai requisiti stabiliti dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Il giudice a quo, infatti, ha omesso di precisare - ne' e' desumibile in alcun modo dall'ordinanza di rimessione - se con la questione sollevata intende chiedere la declaratoria d'illegittimita'costituzionale delle norme anzidette in quanto hanno prorogato i termini di scadenza delle occupazioni temporanee, autorizzate ai sensi dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, a fini di espropriazione o di costituzione di servitu' di elettrodotto. Va osservato al riguardo che nell'ordinanza di rimessione non e' chiarito se nel giudizio a quo si controverteva di occupazioni finalizzate alla espropriazione, in tutto o in parte, delle aree sulle quali doveva essere costruito un elettrodotto, oppure intese alla semplice costituzione di servitu'. Il che, oltre ad inibire alla Corte di espletare un adeguato controllo sulla rilevanza della questione, le impedisce, in mancanza di una chiara formulazione della questione stessa, di determinarne con esattezza il petitum. Ai fini della valutazione della legittimita' costituzionale della disciplina delle proroghe in oggetto, e' necessario infatti differenziarne preliminarmente la specifica destinazione delle occupazioni, diversa essendo la normativa di riferimento e diverso potendo essere, in relazione alle fattispecie implicate, il giudizio di compatibilita' con gli artt. 3 e 42 della Costituzione. Dalla mancanza di elementi idonei a precisare, sotto detto profilo, il petitum, discende l'inammissibilita' della questione.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 5 bis, aggiunto al decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901 (Proroga della vigenza di taluni termini in materia di lavori pubblici), dalla legge di conversione 1 marzo 1985, n. 42; dell'art. 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative ed interventi di carattere assistenziale ed economico), conv. dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47; dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative), questione sollevata in riferimento agli artt. 24 e 42 della Costituzione, dal tribunale di S. Maria Capua Vetere, con ordinanza del 14 novembre 1991. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 1993. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: PESCATORE Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 15 marzo 1993. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 93C0250