N. 103 SENTENZA 10 - 19 marzo 1993
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Comuni e province - Scioglimento di consigli comunali e provinciali - Disposizione con decreto del Presidente della Repubblica - Estensione della misura anche ad amministratori non direttamente interessati dai collegamenti con la criminalita' organizzata - Emergenza di uno stato di fatto alterativo del processo di formazione della volonta' degli amministratori - Protrazione degli effetti dello scioglimento - Presunta limitazione al diritto elettorale attivo e passivo - Inconferente riferimento agli artt. 48 e 51 della Costituzione - Manifesta inammissibilita' - Non fondatezza. (Legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15- bis, introdotto dall'art. 1 del d.-l. 31 maggio 1991, n. 164, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 luglio 1991, n. 221). (Cost., artt. 48, 51 e 125).(GU n.13 del 24-3-1993 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 15- bis della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale), introdotto dall'art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164 (Misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso), convertito con modificazioni dalla legge 22 luglio 1991, n. 221, promosso con ordinanza emessa l'8 luglio 1992 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Frustagli Domenico ed altri c/Presidenza del Consiglio dei Ministri ed altri, iscritta al n. 681 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1992; Visto l'atto di costituzione di Picciolo Guglielmo, ed altro, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Udito l'avvocato Alfredo Cordone per Picciolo Guglielmo, ed altro, e l'avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio sui ricorsi per l'annullamento di due decreti del Presidente della Repubblica, entrambi in data 30 settembre 1991, con i quali era stato disposto rispettivamente lo scioglimento del consiglio comunale di S.Andrea Apostolo dello Jonio e lo scioglimento del consiglio comunale di Trabia, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza dell'8 luglio 1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113, 125 e 128 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15- bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, che consente l'adozione di provvedimenti di scioglimento di consigli comunali (e provinciali), con decreto del Presidente della Repubblica adottato su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, allorche' " .. emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalita' organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica" (comma 1 dell'art. 15- bis della legge n. 55 del 1990, introdotto dall'art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164, convertito con modificazioni dalla legge 22 luglio 1991, n. 221). 1.1. - Il Tribunale remittente, in relazione ad eccezione di inammissibilita' dei ricorsi (promossi da taluni componenti dei consigli comunali disciolti, uti singuli) sollevata dall'Avvocatura erariale nel giudizio a quo, premette innanzitutto che ai provvedimenti impugnati non puo' riconoscersi la natura di atti politici, come tali sottratti al sindacato giurisdizionale, dovendosi optare per una individuazione restrittiva della categoria degli atti politici, alla luce del principio costituzionale di indefettibilita' della tutela giurisdizionale avverso gli atti della pubblica amministrazione, e per la necessaria delimitazione di quella categoria ai soli atti che attengono alla direzione suprema e generale dello Stato, considerato nella sua unita'; connotati, questi, non ravvisabili, per il giudice a quo, nei decreti presidenziali di scioglimento. 2. - Nel merito, il Tribunale amministrativo regionale dubita della legittimita' costituzionale della norma indicata, in quanto: a) consente di attribuire rilevanza a "collegamenti indiretti" di taluni amministratori con la criminalita' organizzata; b) prevede lo scioglimento dell'intero organo elettivo anche in presenza di collegamenti - nel senso detto - riguardanti soltanto alcuni amministratori; c) stabilisce il permanere degli effetti dello scioglimento per un periodo da dodici a diciotto mesi. 2.1. Il giudice remittente muove dall'inquadramento della norma impugnata nel contesto delle disposizioni finalizzate - come quella - alla difesa delle amministrazioni locali dall'ingerenza o dall'influenza della criminalita': l'art. 40 della legge 8 giugno 1990, n. 142, di riforma delle autonomie locali, che prevede la possibilita' di sospensione e rimozione degli amministratori degli enti locali quando siano imputati di un reato previsto dalla legge 13 settembre 1982, n. 646 (legge che ha tra l'altro istituito il reato di associazione di tipo mafioso) o sottoposti a misura di prevenzione - generica, a norma della legge n. 1423 del 1956, o qualificata, a norma della legge n. 575 del 1965 - o a misura di sicurezza; e l'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, che ha previsto la sospensione obbligatoria degli amministratori degli enti locali sottoposti a procedimento penale per il delitto di associazione di tipo mafioso o per delitti di favoreggiamento commessi in relazione al primo, ovvero ancora soggetti all'applicazione, anche con provvedimento non definitivo, di una misura di prevenzione a norma della citata legge n. 575 del 1965. In questo contesto, la norma impugnata si caratterizza - ad avviso del giudice a quo - per un minore grado di spessore probatorio richiesto quanto al presupposto sostanziale ivi considerato (i "collegamenti" con la criminalita' organizzata), rispetto agli elementi richiesti sia per il promovimento dell'azione penale sia per l'adozione della misura preventiva. In tal modo, l'apprezzamento della sussistenza di collegamenti tra l'organo elettivo e la criminalita' organizzata viene ad essere affidato a valutazioni, di consistenza inferiore anche a quella richiesta per gli elementi indiziari, che non consentono un adeguato controllo in sede giurisdizionale; di qui il dubbio di conformita' ai principi di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), sia nel raffronto con le altre norme sopra indicate, meno "afflittive" - in quanto limitate al singolo amministratore - e tuttavia ancorate a presupposti maggiormente verificabili, sia per le insufficienti garanzie di obiettivita' e coerenza rispetto alla finalita' della norma. Ulteriore violazione del principio di ragionevolezza della legge e' ravvisata dal tribunale remittente nel fatto che la norma prevede lo scioglimento dell'intero consiglio comunale, pur in presenza di "collegamenti" con la criminalita' organizzata solo di alcuni consiglieri comunali. Tale previsione, che caratterizza la misura in senso sanzionatorio, finisce per colpire anche i componenti dell'organo che sono estranei al collegamento con il crimine organizzato, vulnerando il principio di personalita' della responsabilita'. I profili critici indicati si riflettono poi, secondo il tribunale remittente, anche sulla effettivita' e pienezza della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 della Costituzione) riducendosi la possibilita' di controllo della legittimita' dell'operato della pubblica amministrazione, tanto piu' quanto meno "percepibili" sono i dati e gli elementi assunti a base del giudizio di collegamento tra organo elettivo e criminalita' organizzata. Ulteriore parametro costituzionale violato, in questa prospettiva, e' ravvisato nell'art. 51 della Costituzione, giacche' la garanzia di accesso alle cariche elettive "non puo' non includere .. il mantenimento della carica conseguita e l'esercizio delle relative funzioni"; la norma denunziata non rispetta la necessita', sottolineata dalla Corte costituzionale, che la disciplina della materia, affidata dal precetto costituzionale al legislatore ordinario, sia immune da genericita' o indeterminatezza. Quanto alla durata dello scioglimento dell'organo elettivo, fissata dalla norma (comma 3 dell'art. 15- bis della legge n. 55 del 1990)tra i dodici e i diciotto mesi, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio dubita che la previsione sia conforme a Costituzione per vari profili: a) perche' tale protratta efficacia dello scioglimento comporta la sospensione sia del diritto di elettorato attivo, che l'art. 48 della Costituzione consente di limitare solo per le cause - incapacita' civile, sentenza penale irrevocabile, indegnita' morale - ivi elencate, sia del diritto di elettorato passivo (art. 51 della Costituzione); b) perche' determina la "sospensione dell'autonomia degli enti locali", garantita dagli articoli 5 e 128 della Costituzione; c) perche' la rimessione alla discrezionalita' dell'amministrazione della determinazione in concreto della durata dello scioglimento, in difetto di un parametro normativo, sottrae la scelta al sindacato giurisdizionale, violando l'art. 24 della Costituzione e altresi' gli artt. 5, 48, 51 "e 125" della Costituzione, per le ragioni gia' esposte riguardo agli altri profili della questione. 3. - Si sono costituiti in giudizio Guglielmo Picciolo e Giuseppe di Vittorio, ricorrenti nel giudizio a quo quali componenti del disciolto consiglio comunale di Trabia, i quali hanno ulteriormente sviluppato le argomentazioni gia' proposte nell'ordinanza di rimessione, concludendo per una richiesta di declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma impugnata. 4. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile e comunque infondata. 4.1. - L'Avvocatura rileva che i ricorsi proposti nel giudizio a quo sono volti all'annullamento di decreti di scioglimento ai quali deve riconoscersi natura di atti politici, contro i quali non e' consentito sindacato giurisdizionale, ai sensi dell'art. 31 del Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato 26 giugno 1924, n. 1054; di qui la richiesta di declaratoria di inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza nel giudizio medesimo. Alla qualificazione come "atti politici" dei provvedimenti di rigore adottati a norma dell'art. 15-bis della legge n. 55 del 1990, l'Avvocatura perviene attraverso una ampia disamina dei caratteri qualificanti di tali misure, alla luce delle finalita' perseguite dal legislatore e del tipo di procedimento configurato per la loro adozione. I provvedimenti in questione hanno carattere di specialita' rispetto alle ipotesi di scioglimento delle assemblee elettive degli enti locali gia' contemplate nell'ordinamento; tale specialita', manifestata dalla clausola di esclusione con cui la norma denunziata esordisce "Fuori dei casi contemplati dall'art. 39 della legge 8 giugno 1990, n. 142.."), attiene sia alle ipotesi piu' consuete di scioglimento per motivi amministrativi sia al caso di scioglimento "per gravi motivi di ordine pubblico", gia' previsto nell'art. 323 del T.U. della legge comunale e provinciale n. 148 del 1915 e oggi previsto nel citato art. 39 della legge n. 142 del 1990, come e' comprovato dal fatto che, in situazioni di concorso di ipotesi di scioglimento ( ex legge n. 142 del 1990 ed ex art. 15- bis legge n. 55 del 1990) si fa comunque luogo alla piu' incisiva misura prevista dalla norma impugnata (comma 6 dell'art. 15- bis citato). La finalita' che il legislatore ha avuto di mira, dunque, e' stata quella di superare la tradizionale delimitazione del concetto di "ordine pubblico" gia' in precedenza legittimante provvedimenti di scioglimento di organi elettivi locali, concetto riferito alla sicurezza e alla quiete pubblica (Corte costituzionale, sent. n. 40 del 1961); l'emergenza rappresentata dal crescente condizionamento di organizzazioni criminali sui pubblici poteri in ambito locale ha determinato la necessita' di un superamento di quei tradizionali e limitati istituti, in ragione del carattere realmente eversivo dell'operato della criminalita' organizzata di stampo mafioso. Le misure di rigore rispondono cosi' ad esigenze generali e unitarie di difesa dello Stato dall'aggressione di contro-poteri criminali; siffatte connotazioni si riflettono del resto - osserva l'Avvocatura - nel procedimento: l'adozione della misura e' affidata alla delibera del Consiglio dei Ministri - il cui intervento non e' viceversa previsto nelle ipotesi "ordinarie" di scioglimento - che e' trasmessa al Presidente della Repubblica per l'emanazione e contestualmente e' trasmessa alle Camere, prima ancora dell'esecutivita' del provvedimento, per evidenti esigenze di controllo politico anticipato, laddove per l'art. 323 del T.U. n. 148 del 1915 era previsto solo un sindacato a posteriori sull'operato del Governo, e per l'art. 39 della legge n. 142 del 1990 i provvedimenti di controllo degli organi sono comunicati al termine dell'iter di formazione degli stessi. Tali peculiarita' sostanziali e procedimentali, in definitiva, rendono le misure di scioglimento in argomento piuttosto assimilabili allo scioglimento dei consigli regionali per ragioni di sicurezza nazionale, a norma dell'art. 126, terzo comma, della Costituzione, misura cui si riconosce generalmente la natura di atto politico, non sindacabile in sede di giurisdizione amministrativa bensi' in sede di conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale in virtu' dell'espresso disposto dell'art. 134 della Costituzione (che in ogni caso non riguarda i comuni e le province). Del resto - conclude l'Avvocatura - se autorevoli opinioni attribuiscono natura di atto politico allo scioglimento di consigli comunali e provinciali per motivi di ordine pubblico gia' previsto dall'art. 323 del T.U. n. 148 del 1915 e ora ridisciplinato dall'art. 39 della legge n. 142 del 1990, a maggior ragione tale natura va riconosciuta al decreto emanato in base alla norma denunziata. 4.2. - Quanto al merito della questione, l'Avvocatura erariale ne deduce l'infondatezza sotto vari profili: a) in quanto e' improprio il raffronto, istituito dal Tribunale remittente, tra la norma denunziata e gli artt. 40 della legge n. 142 del 1990 e 15 della legge n. 55 del 1990, poiche' queste ultime disposizioni concernono ipotesi di rimozione e sospensione di amministratori locali sul piano individuale, laddove la prima regola situazioni di inquinamento dell'organo come tale. Il raffronto, quindi, deve essere piu' correttamente istituito con l'art. 39 della citata legge n. 142 del 1990, che concerne ipotesi di scioglimento del consiglio comunale a causa di anomalie o turbative riferite all'organo nella sua interezza, ipotesi in cui lo scioglimento non puo' essere "frazionato" a seconda della riferibilita' dei fatti o delle condizioni, assunti quali presupposti di scioglimento, a questo o quello dei componenti dell'organo: emblematico lo scioglimento per "gravi motivi di ordine pubblico", in cui non si ha riguardo all'imputazione soggettiva della turbativa, che puo' anche essere estranea all'agire dell'organo. La norma denunziata da' rilievo a un dato obiettivo e super- individuale, un "collegamento" dell'organo con la criminalita' organizzata di stampo mafioso. Non pertinenti dunque risultano i riferimenti del giudice a quo alla responsabilita' personale, giacche' e' diverso il segno delle norme poste a raffronto, ed e' altresi' inesatta l'argomentazione per cui la norma sospettata di incostituzionalita' presupporrebbe solo un diverso e minor grado di acquisizione probatoria a fronte delle prove o degli indizi richiesti per l'azione penale o per l'avvio del procedimento di prevenzione. La disomogeneita' dei termini posti a raffronto sottolinea, per questo primo profilo, l'infondatezza della questione rispetto al principio di ragionevolezza; b) il principio di buon andamento alla pubblica amministrazione e' invocato "a rovescio", posto che finalita' primaria della norma e' quella di tutelare il corretto operato amministrativo negli enti locali; c) in ordine ai parametri della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 della Costituzione), l'Avvocatura replica che, laddove venisse esclusa la natura politica dei provvedimenti, la piena ricorribilita' che ne conseguirebbe sarebbe sufficiente per escludere la lesione di questi stessi parametri; d) quanto all'art. 51 della Costituzione, l'Avvocatura nega che esista una garanzia costituzionale per il "mantenimento" delle funzioni di consigliere comunale, e, quanto al diritto di elettorato attivo (art. 48 della Costituzione), sottolinea come la norma impugnata tuteli proprio la libera espressione del voto, evitando "sedimentazioni politico-amministrative di tipo illegale o conniventi con fattori criminali"; e) contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale remittente, l'autonomia comunale non solo non e' lesa ma al contrario e' valorizzata dalla introduzione di un effettivo strumento di tutela della libera determinazione degli organi elettivi locali, cosi' frequentemente eterodiretti e condizionati dal potere criminale (artt. 5 e 128 della Costituzione); f) non e' ravvisabile violazione di principi costituzionali nella durata della sospensione, ne', infine, e' esattamente invocato l'art. 125 della Costituzione, che concerne le - sole - regioni e non interferisce in alcun modo con la materia del giudizio a quo. 4.3. - In prossimita' dell'udienza l'Avvocatura Generale dello Stato ha depositato una memoria nella quale, sviluppando le indicazioni gia' proposte nell'atto di intervento per la richiesta di declaratoria di inammissibilita'o infondatezza della questione, ha sottolineato ulteriori profili nella medesima direzione; in particolare: a) in ordine ai presupposti dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali l'Avvocatura ritiene inesatta l'interpretazione della norma denunziata operata dal giudice remittente, che incentra la questione - solo - sulla nozione di "collegamenti", diretti o indiretti, tra amministratori locali criminalita' organizzata, laddove i presupposti richiesti per far luogo allo scioglimento sono, nella legge, ben piu' complessi: l'art. 15-bis, infatti, da' rilievo a quegli elementi in quanto produttivi di una situazione di menomazione della libera determinazione degli organi elettivi, in una effettiva relazione causale tra i primi e la seconda. Non puo' quindi affermarsi la "labilita'" delle condizioni che legittimano il provvedimento di rigore, consistendo queste nella rilevazione di una perdita o compressione dell'autonomia, politica e funzionale, degli organi, per effetto dei citati elementi di "collegamento"; ne' d'altra parte sarebbe stato possibile per il legislatore predeterminare le modalita' con cui viene a manifestarsi il condizionamento mafioso, il che tuttavia non attribuisce al Governo un potere arbitrario di intervento, attivandosi il procedimento solo in presenza di elementi qualificati (risultanze di indagini penali, accertamenti in sede di prevenzione), ed articolandosi il procedimento stesso su diversi livelli istituzionali; b) in ordine alla censura circa la "rimozione indiscriminata" di tutti gli amministratori, l'Avvocatura erariale ribadisce che il provvedimento di scioglimento opera su un piano completamente diverso da quello che attiene alle misure individuali a carico di singoli componenti degli organi che risultino coinvolti in procedimenti penali o di prevenzione; la norma denunziata rappresenta uno strumento di "difesa anticipata" delle istituzioni locali, e si colloca sul terreno della prevenzione, in cui acquistano rilievo elementi che, al di la' del grado di rilevanza probatoria che possono acquistare in sede processuale ai fini della individuazione di responsabilita' soggettive, dimostrano obiettivamente che l'azione dell'organo si e' allontanata dai canoni di legalita' e trasparenza; c) in ordine, infine, alla durata degli effetti del provvedimento da dodici a diciotto mesi, l'Avvocatura osserva che tale periodo, piu' lungo rispetto a quello contemplato nelle ipotesi di scioglimento ex art. 39 della legge n. 142 del 1990, e' coerente con la finalita' della norma: la misura rischierebbe di essere del tutto superflua qualora all'applicazione dello scioglimento dovesse seguire un immediato rinnovo del disciolto consiglio, assai verosimilmente riproducendosi la medesima situazione precedente allo scioglimento; la piu' lunga gestione commissariale e' finalizzata quindi all'obiettivo di risanamento della gia' inquinata situazione politico-amministrativa locale. Considerato in diritto 1. - E' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 15- bis della legge 19 marzo 1990, n. 55 (articolo introdotto dall'art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164, convertito con modificazioni dalla legge 22 luglio 1991, n. 221), il quale prevede che con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, possa essere disposto lo scioglimento di consigli comunali e provinciali allorche' "emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalita' organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica". Ad avviso del giudice a quo tale articolo, consentendo di attribuire rilevanza ai "collegamenti indiretti" con la criminalita' organizzata ed estendendo la misura anche agli amministratori non direttamente interessati da quei collegamenti, contrasterebbe: con l'art. 3 della Costituzione, nel raffronto con altre previsioni normative anch'esse dirette a reprimere la criminalita' organizzata, dato che queste non solo richiedono un maggior grado di acquisizione probatoria, ai fini dell'adozione di provvedimenti di sospensione o rimozione di amministratori di organi elettivi locali, ma producono effetti piu' ristretti, in quanto possono riguardare soltanto i soggetti colpiti da condanne o misure di prevenzione e devono essere ancorati a dati probatori certi e verificabili; ancora con l'art. 3 della Costituzione, essendo irragionevole e lesiva del principio di "personalita' della responsabilita'" l'estensione della misura a tutti i consiglieri anche estranei ai "collegamenti" con la criminalita'; con gli artt. 24 e 113 della Costituzione per la ridotta tutela giurisdizionale derivante dalla labilita' ed incontrollabilita' degli elementi sui quali il provvedimento si fondi; con l'art. 51 della Costituzione, in quanto lesivo del diritto alla prosecuzione dell'esercizio delle funzioni di consigliere comunale, sulla base di elementi normativi vaghi e generici non rispondenti alla riserva di legge ivi prevista; con l'art. 97 della Costituzione, in quanto non aderente al principio costituzionale sul piano della coerenza tra mezzo e fine perseguito. Inoltre anche in quanto stabilisce il permanere degli effetti dello scioglimento per un periodo da dodici a diciotto mesi, la disposizione impugnata contrasterebbe poi con gli artt. 5 e 128 della Costituzione, producendo l'ulteriore effetto "di una sorta di sospensione della autonomia degli enti locali .. della quale e' necessario corollario la rappresentativita' degli organi di amministrazione"; con l'art. 48 della Costituzione perche' "ne deriva .. una sospensione .. del diritto di elettorato attivo" fuori dei casi ivi contemplati e, analogamente, con l'art. 51 della Costituzione per quel che riguarda l'elettorato passivo; con l'art. 24 della Costituzione, in difetto di un parametro normativo di riferimento che possa far valutare in sede di sindacato giurisdizionale la graduazione temporale della misura. 2. - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilita' sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri nell'assunto della natura politica dei provvedimenti di scioglimento impugnati dinanzi al giudice rimettente e che sarebbero per tale ragione insuscettibili di sindacato giurisdizionale, ai sensi dell'art. 31 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054. Osserva in proposito la Corte che l'ordinanza di rimessione ha disatteso in modo esplicito la medesima eccezione - che era stata gia' dedotta nel giudizio a quo - nel "rilievo che la categoria degli atti politici, da individuare con criteri restrittivi, stante il principio della indefettibilita' della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 della Costituzione), include gli atti che attengono alla direzione suprema e generale dello Stato considerato nella sua unita' e nelle sue istituzioni fondamentali". I provvedimenti adottati ai sensi della norma impugnata, si soggiunge nell'ordinanza, "non presentano tali requisiti, giacche', da un lato la salvaguardia delle amministrazioni locali dalle ingerenze della criminalita' organizzata risponde ad un interesse specifico e delimitato dello Stato, per quanto pressante e necessaria sia l'esigenza dell'intervento, e, d'altro lato, una volta che la norma abbia previsto i presupposti ed i contenuti del provvedimento, le valutazioni di ordine politico devono intendersi esaurite nella sede legislativa, restando al potere esecutivo il compito, che e' proprio della sfera di azione della potesta' amministrativa, di rendere operante il dettato della fonte primaria". In presenza di si' precisa ed argomentata presa di posizione del giudice a quo, circa l'assoggettabilita' a sindacato giurisdizionale dei decreti del Presidente della Repubblica in quella sede impugnati, non puo' piu' mettersi in discussione l'ammissibilita' della questione incidentale di legittimita' costituzionale, essendo all'uopo sufficiente ricordare l'indirizzo di questa Corte (v. da ultimo sentenza n. 436 del 1992) secondo cui "una volta che il giudice a quo abbia ritenuto di dover fare applicazione della norma, il controllo sull'ammissibilita' della questione potrebbe far disattendere la premessa interpretativa (del medesimo giudice) solo quando questa dovesse risultare palesemente arbitraria, e cioe' in caso di assoluta reciproca estraneita' fra oggetto della questione e oggetto del giudizio di provenienza (sent. n. 67 del 1985) o quando l'interpretazione offerta dovesse risultare del tutto non plausibile." Questi presupposti non si verificano nel caso di specie, il primo, perche' e' indubitabile la pertinenza della norma impugnata rispetto al giudizio a quo, il secondo, perche' il giudice remittente offre un'interpretazione di per se' plausibile sul problema della natura politica degli atti impugnati, che viene esclusa, peraltro, alla stregua di argomenti sostenuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente, ben tenuti presenti nel dibattito parlamentare sviluppatosi sulla norma ora impugnata (relazione alla Camera dei Deputati - Commissione Affari Costituzionali, resoconto 18 giugno 1991, Atto Camera n. 5723). 3.1. - Nel merito le questioni non sono fondate. Per quel che riguarda l'asserito contrasto della disposizione impugnata con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui essa attribuisce rilevanza "ai collegamenti indiretti" degli amministratori con la criminalita' organizzata, l'ordinanza di rinvio sostiene in primo luogo che tale disposizione, rispetto al contesto normativo nel quale deve essere inquadrata, finalizzato alla difesa delle amministrazioni locali dalle infiltrazioni della criminalita' organizzata (art. 40 della legge 8 giugno 1990, n. 142; legge 13 settembre 1982,n. 646; legge 27 dicembre 1956, n. 1423; legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni; art. 15 della legge 19 marzo 1990,n. 55; art. 416- bis del codice penale) sarebbe caratterizzata, nelle premesse costitutive del provvedimento ivi contemplato, da una "diversa intensita' delle acquisizioni probatorie circa i rapporti degli amministratori con la criminalita' organizzata". Difatti, si sostiene che, alla stregua della disposizione impugnata, allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali potrebbe addivenirsi "anche in presenza di elementi insufficienti sia per la promozione dell'azione penale sia, e soprattutto, per l'adozione della misura preventiva". Di conseguenza si assume che, mentre le misure di prevenzione possono fondarsi su situazioni e circostanze "aventi semplice valore indiziario, l'apprezzamento dei collegamenti con la criminalita' organizzata" (richiesto per l'applicazione della norma impugnata) risulterebbe "affidato ad elementi che presentano un grado di significativita' inferiore a quello degli indizi e che, pertanto, mal si prestano ad un procedimento logico di tipo induttivo e ad un successivo controllo in sede giurisdizionale". 3.2. - Cio' premesso, rileva la Corte che l'ordinanza di rinvio, nel prospettare tali dubbi di costituzionalita', muove da una lettura parziale della disposizione impugnata perche' sembra soffermarsi su uno solo dei suoi aspetti (quello dei collegamenti indiretti degli amministratori con la criminalita' organizzata) senza tener conto della struttura complessiva del citato art. 15- bis che e' ben diverso da come viene inteso dal giudice a quo. Si sostiene difatti che esso sarebbe tale da consentire di prescindere "dall'osservanza del canone di congruita' argomentativa" perche' prevederebbe che quei provvedimenti possano basarsi "su presunzioni aprioristiche", onde la sua "dubbia aderenza ai principi di ragionevolezza .. e di imparzialita' .. per le insufficienti garanzie di obbiettivita' e di coerenza .. rispetto al fine perseguito". Osserva in proposito la Corte che la disposizione impugnata e' invece formulata in modo da assicurare il rispetto dei principi che si assumono violati, e contiene in se' tutti gli elementi idonei a garantire obiettivita' e coerenza nell'esercizio dello straordinario potere di scioglimento degli organi elettivi conferito all'autorita' amministrativa. Quel potere e' previsto nella ricorrenza di talune situazioni, fra loro alternative, quali a) i collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalita' organizzata, b) le forme di condizionamento degli amministratori, ma sempre che risulti che l'una o l'altra situazione compromettano la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali nonche' il regolare funzionamento dei servizi loro affidati, ovvero quando il suddetto collegamento o le suddette forme di condizionamento risultino "tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica". La norma esige, percio', una stringente consequenzialita' tra l'emersione, da un lato, di una delle due situazioni suddette, "collegamenti" o "forme di condizionamento", e, dall'altro, di una delle due evenienze, l'una in atto, quale la compromissione della liberta' di determinazione e del buon andamento amministrativo nonche' del regolare funzionamento dei servizi, l'altra conseguente ad una valutazione di pericolosita', espressa dalla disposizione impugnata con la formula (che ha come premessa i "collegamenti" o le "forme di condizionamento") "tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica". 3.3. - Non puo' percio' condividersi, alla stregua dell'analisi della disposizione impugnata, l'assunto del giudice a quo, secondo cui l'applicazione dell'art. 15- bis della legge in questione sarebbe affidata ad elementi "che presentano un grado di significativita' inferiore a quello degli indizi e che, pertanto, mal si prestano ad un procedimento logico di tipo induttivo e ad un successivo controllo in sede giurisdizionale"; ne' puo' aderirsi alla sua opinione secondo cui la disposizione stessa potrebbe legittimare provvedimenti fondati su "convincimenti che, prescindendo dall'osservanza del canone di congruita' argomentativa e conclusiva, possono basarsi su considerazioni aprioristiche". E' invece la stessa prevista connessione tra situazione emersa ed evenienza pregiudizievole ad esigere, nella motivazione del provvedimento, la dimostrazione che, muovendo dalla accertata constatazione della sussistenza di una delle due situazioni anzidette, possano farsi risalire ad essa quella compromissione o quel pregiudizio cui il legislatore ha inteso ovviare nel prevedere la misura. Un obbligo, quello della adeguatezza della motivazione, che, anche prima di essere espressamente previsto in via generale dall'art. 3 della legge n. 241 del 1990, era gia' imposto dalla costante giurisprudenza amministrativa in modo rigoroso per gli atti amministrativi - come quelli previsti dalla disposizione impugnata - restrittivi della sfera giuridica dei destinatari. Si e' difatti sempre affermato il principio che in questo particolare tipo di atti si debba adeguatamente dar conto della sussistenza dei presupposti di fatto, del nesso logico fra questi e le determinazioni che, muovendo da essi, vengono adottate, della congruita' dei sacrifici operati in relazione alle finalita' da perseguire. 3.4. - Ad escludere che la norma, intesa in modo conforme alla sua struttura complessiva ed agli scopi che si propone, possa dar luogo ad interpretazioni tali da dar corpo ai sollevati dubbi di costituzionalita' relativamente ai parametri invocati, soccorre d'altronde il significato che ad essa e' stato attribuito dalla circolare esplicativa (n. 7102 M/6 del 25 giugno 1991) del Ministero dell'Interno, sul punto dei presupposti che debbono sorreggere i provvedimenti di scioglimento. In tale circolare si afferma che dagli "elementi" oggetto di valutazione debba emergere "chiaramente il determinarsi di uno stato di fatto nel quale il procedimento di formazione della volonta' degli amministratori subisca alterazioni per effetto dell'interferenza di fattori, esterni al quadro degli interessi locali, riconducibili alla criminalita' organizzata". Vi e' dunque la piena consapevolezza, da parte dell'autorita' che deve applicare la norma, che questa renda possibile lo straordinario potere di scioglimento solo in presenza di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette degli organi elettivi con la criminalita' organizzata, si' da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi delle comunita' locali il permanere di quegli organi alla guida degli enti esponenziali di esse. Si e' in presenza percio' di una misura di carattere sanzionatorio, che ha come diretti destinatari gli organi elettivi, anche se caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale per la sua ricaduta sulle comunita' locali che la legge intende sottrarre, nel loro complesso, all'influenza della criminalita' organizzata. Una misura di carattere straordinario, dunque, rigorosamente ancorata alle finalita' enunciate nel titolo della legge 22 luglio 1991, n. 221, di conversione del decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164 che la qualifica come "misura urgente .. conseguente ai fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso". Tale qualificazione, collegando la misura ad una emergenza straordinaria, attribuisce a quell'emergenza il valore di limite e di misura del potere, esercitabile percio' solo nei luoghi e fino a quando si manifesti tale straordinario fenomeno eversivo. 3.5. - Le considerazioni che precedono mettono in evidenza la specificita' della previsione e giustificano cosi' compiutamente le sue peculiarita' anche rispetto al restante contesto normativo finalizzato alla difesa della collettivita' dalle infiltrazioni mafiose. Cio' induce a disattendere il dubbio di costituzionalita' prospettato in riferimento al principio di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e di imparzialita' (art. 97 della Costituzione), sotto il profilo delle insufficienti garanzie di obbiettivita' e di coerenza rispetto sia al fine perseguito, sia al modello procedimentale previsto dalle altre disposizioni assunte quali termini di confronto. Queste collegano la sospensione e la rimozione degli amministratori all'avvenuta irrogazione di altra misura preventiva, limitandole solo a coloro cui questa sia stata appunto irrogata, e subordinandole a "riscontri probatori meno labili e verificati dall'osservanza del principio del contraddittorio". Osserva al riguardo la Corte che la rilevata diversita' della misura in esame, rispetto ai modelli procedimentali previsti da altre disposizioni invocate a raffronto, non e' irragionevole, ove si consideri l'enunciata specificita' della misura che, come si e' rilevato in precedenza (punto 3.4), ha natura sanzionatoria nei confronti dell'organo elettivo, considerato nel suo complesso, in ragione della sua inidoneita' ad amministrare l'ente locale. Tale natura del provvedimento di scioglimento e la specificita' del suo destinatario (organo collegiale) impediscono percio' di poter assumere a termine di raffronto i modelli che riguardano persone singole ed in particolare quelli che prevedono la loro sospensione o la rimozione da cariche pubbliche a seguito della irrogazione di condanne penali o di misure preventive. 3.6. - La irragionevolezza della norma impugnata non puo' neppure sostenersi sotto il profilo, prospettato nell'ordinanza di rinvio, di eccessivita' del mezzo rispetto al fine, ravvisabile nella prevista possibilita' di estensione della misura a tutti gli amministratori, pur in presenza del collegamento solo di alcuni di essi con la criminalita' organizzata. In proposito e' sufficiente richiamare quanto osservato in precedenza, circa il carattere sanzionatorio della misura che ha come destinatari non tutti i consiglieri, ma l'organo collegiale considerato nel suo complesso, in ragione della sua inidoneita' a gestire la cosa pubblica. Un rilievo, questo, che fa perdere ogni consistenza sia al profilo della eccessivita' della misura rispetto al fine, sia al profilo del carattere personale della responsabilita', che non puo' essere riferito ad un organo collegiale,in particolare nell'ipotesi, alternativa a quella della collusione, del "condizionamento" dell'organo da parte dei gruppi criminali; situazione questa che puo' profilarsi non necessariamente in conseguenza di comportamenti illegali di taluno degli amministratori. Avendo dunque come destinatari i consigli comunali e provinciali, la misura puo' essere per molti versi assimilata a quella prevista dall'art. 39, comma 1, lettera a, della legge n. 142 del 1990, che contempla lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali "per gravi motivi d'ordine pubblico". Per il comune fondamentale connotato della regolazione di ipotesi di diminuita o cessata idoneita' dell'organo collegiale come tale e non di suoi singoli componenti, e per l'analoga previsione collaterale di uno strumento di controllo parlamentare sull'adozione del provvedimento (rispettivamente, comma 2 della disposizione denunciata e art. 39, comma 6, della legge n. 142 del 1990), anzi,la misura in argomento puo' considerarsi una specificazione di quella contemplata nell'art. 39 citato, per la cui irrogazione neppure e' previsto, nella fase amministrativa, "il contraddittorio". Un elemento questo con cui l'ordinanza di rinvio ha inteso probabilmente riferirsi alla preventiva contestazione degli addebiti e alla possibilita' di dedurre in ordine ad essi nel corso del procedimento. La mancanza di tale previsione nel procedimento amministrativo relativo alle ipotesi di scioglimento, cosi' assimilate, appare giustificata dalla loro peculiarita', essendo quelle misure caratterizzate dal fatto di costituire la reazione dell'ordinamento alle ipotesi di attentato all'ordine ed alla sicurezza pubblica. Una evenienza dunque che esige interventi rapidi e decisi, il che esclude che possa ravvisarsi l'asserito contrasto con l'art. 97 della Costituzione, dato che la disciplina del procedimento amministrativo e' rimessa alla discrezionalita' del legislatore nei limiti della ragionevolezza e del rispetto degli altri principi costituzionali, fra i quali, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 23 del 1978; ord. n. 503 del 1987), non e' compreso quello del "giusto procedimento" amministrativo, dato che la tutela delle situazioni soggettive e' comunque assicurata in sede giurisdizionale dagli artt. 24 e 113 della Costituzione. 4. - Alla luce di quanto precede devono essere disattese anche le censure che invocano come parametro di riferimento gli artt. 24 e 113 della Costituzione e che sono svolte nell'assunto che "le indicate carenze si riflettono in senso riduttivo sulla pienezza della tutela giurisdizionale, perche' quanto meno e' percepibile l'efficacia rappresentativa degli elementi sui quali poggia l'accertamento dei rapporti con la criminalita' organizzata, tanto piu' si riduce la possibilita' di controllare, nel giudizio di legittimita', l'operato dell'amministrazione". Osserva in proposito la Corte che, come e' stato chiarito in altre occasioni (sent. n. 409 del 1988), gli interessi legittimi correlati all'azione amministrativa non hanno una soglia costituzionalmente garantita, ma sono configurabili, nella loro effettiva consistenza, in relazione alla disciplina sostanziale di rango ordinario di volta in volta presa in considerazione. Di conseguenza, una volta salvaguardati nei confronti dell'amministrazionei diritti fondamentali ed il principio di uguaglianza, ed assicurata la relativa tutela giurisdizionale, gli interessi procedimentali (cioe' quelli che attengono alla regolarita' formale dell'azione amministrativa) assurgono ad interessi legittimi alla stregua della disciplina che li contempla, perche' e' essa che ne definisce la misura ed il contenuto in base ai quali possono poi essere fatti valere dinanzi al giudice. I modelli organizzativi o procedimentali, come e' stato chiarito (sent. n. 409 del 1988 cit.), sono molteplici ed articolati, per cui la legittimita' delle norme che li prevedono non puo' essere affermata solo allorche' essi consentano un sindacato il piu' penetrante possibile, ma deve essere considerata nel contemperamento con tutti gli altri principi costituzionali. Cio' premesso, va richiamato quanto si e' osservato, secondo cui l'adozione dei provvedimenti di scioglimento degli organi elettivi locali e' ancorata alla ricorrenza di alcune situazioni di fatto in connessione con il verificarsi di certe conseguenze reputate pregiudizievoli. Si e' anche osservato che la norma impugnata non esclude affatto che il provvedimento di scioglimento debba essere motivato con riferimento a risultanze obbiettive circa l'effettiva sussistenza di quelle situazioni, nonche' argomentato in modo plausibile sulle conseguenze che da esse siano derivate o possano derivare sul piano della funzionalita' e della imparzialita' degli organi stessi o su quello della sicurezza pubblica. Ma appare pur sempre evidente che, una volta assicurati quegli adempimenti, deve ritenersi, in armonia con i principi costituzionali, che l'autorita' che deve provvedere sia dotata di poteri latamente discrezionali per valutare - nel suo prudente apprezzamento e con riferimento a tutto il contesto delle circostanze prese in considerazione, nel quadro del particolare fenomeno della criminalita' organizzata - le conseguenze pregiudizievoli che ritenga si siano prodotte o possano prodursi sul terreno degli interessi pubblici da salvaguardare. Orbene, anche in presenza di tale latitudine di apprezzamenti, la garanzia della tutela giurisdizionale appare sufficientemente assicurata dalla possibilita', per il giudice amministrativo, di verificare la sussistenza degli elementi di fatto - "precisi", secondo quanto affermato nella citata circolare del Ministero dell'Interno - quali vengono asseriti nella motivazione, che all'uopo deve essere fornita dall'organo che emana il provvedimento di scioglimento, nonche' di valutare, sotto il profilo della logicita', il significato attribuito agli elementi di fatto su cui ci si fondi, e l'iter seguito per pervenire a certe conclusioni. Del resto, la consistenza fattuale degli "elementi" su cui le misure di scioglimento devono essere fondate si accentua ulteriormente in rapporto alle fonti informative da cui quegli elementi sono rilevati, trattandosi di risultanze che conseguono a poteri di accesso e di verifica delle autorita' preposte alla tutela dell'ordine pubblico e alla lotta contro i fenomeni di criminalita' organizzata. Tali poteri a loro volta sono puntualmente disciplinati e delimitati nei rispettivi presupposti sostanziali di esercizio: accesso del prefetto presso gli enti territoriali e locali, i cui amministratori vengono raggiunti da provvedimenti di sospensione o decadenza per effetto di condanne penali o misure di prevenzione (art. 15, comma 5, in relazione al comma 1, della legge n. 55 del 1990); accesso del Ministro dell'interno, del direttore della Direzione investigativa antimafia o del prefetto nell'ambito di pubbliche amministrazioni, allorche' siano riscontrate "infiltrazioni" di tipo mafioso nell'ambito dell'attivita' contrattuale concernente opere o lavori pubblici (art. 16, legge n. 55 del 1990 cit., in relazione all'art. 2 del d.l. 29 ottobre 1991, n. 345 convertito in legge 30 dicembre 1991, n. 410); analogo intervento, dei medesimi organi, nell'ambito delle verifiche previste dagli artt. 1 e 1- bis del d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito in legge 12 ottobre 1982, n. 726, gia' istitutivo dell'Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa. Tutta una serie di elementi, questi, che portano ad escludere anche il ravvisato dubbio di costituzionalita' in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione. 5.1. - Altro gruppo di censure riguarda la parte dell'art. 15- bis che prevede la protrazione degli effetti dello scioglimento per la durata da dodici a diciotto mesi. Questa previsione contrasterebbe, per il giudice remittente, come si e' gia' ricordato, con il principio di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) sotto il profilo "dell'adeguatezza del mezzo al fine"; con l'art. 48, secondo comma, della Costituzione, poiche' limiterebbe, per la prevista durata, il diritto di elettorato attivo al di la' delle ipotesi con- template da esso; con l'art. 51 della Costituzione, ponendo non consentiti limiti all'elettorato passivo; con gli artt. 5 e 128 della Costituzione, poiche' da tale protrazione deriverebbe una sorta di sospensione dell'autonomia degli enti locali, della quale e' tradizionale e necessario corollario la rappresentativita' degli organi di amministrazione; con l'art. 24 della Costituzione, perche' la durata degli effetti dello scioglimento dell'organo elettivo sarebbe rimessa alla insindacabile discrezionalita' dell'amministrazione, mancando qualsiasi parametro normativo per la graduazione temporale della misura. 5.2. - Osserva la Corte, per quel che riguarda l'art. 3 della Costituzione, che la possibilita' del protrarsi degli effetti dello scioglimento, al di la' dei tre mesi previsti dall'art. 39 della legge n. 142 del 1990, non appare irragionevole, perche' e' collegata alla peculiarita' del fenomeno, in ragione del quale e' prevista nelle more la ricostituzione dell'organo elettivo per un periodo piu' lungo rispetto a quello indicato per le altre ipotesi di scioglimento, non legate al fenomeno della criminalita'; cio' che trova una sua ragionevole giustificazione nell'esigenza di evitare il riprodursi del fenomeno, ove si sia manifestato: un'evenienza questa che sarebbe certamente piu' probabile ove la ricostituzione dell'organo fosse immediata. Il protrarsi degli effetti dello scioglimento puo' difatti consentire, nel frattempo, di intervenire sul terreno del ripristino della legalita', della eliminazione degli effetti prodotti dall'inquinamento criminoso, della creazione di condizioni nuove che, avvalendosi della precedente esperienza, permettano la ripresa della vita amministrativa al riparo dai collegamenti e dai condizionamenti cui si era voluto ovviare con lo scioglimento. Coerente con questa finalita', sottesa alla determinazione legale della durata minima e massima della misura, risulta del resto la prevista prevalenza dello scioglimento in base alla norma denunziata, allorche' con esso concorra una ipotesi di scioglimento dell'organo a norma del gia' richiamato art. 39 della legge n. 142 del 1990, secondo quanto dispone il comma 6 della disposizione censurata: tale previsione - che rappresenta una ulteriore conferma del rapporto di sostanziale specificazione che intercorre tra i due istituti - mira ad evitare che lo strumento dello scioglimento adottato ex art. 15- bis possa essere vanificato dalle dimissioni di almeno la meta' dei consiglieri, le quali comporterebbero lo svolgimento di nuove elezioni appunto entro tre mesi, a norma dell'art. 39, legge n. 142 del 1990. 5.3. - Quanto all'asserito contrasto con gli artt. 48 e 51 della Costituzione, la censura e' manifestamente inammissibile in quanto i parametri costituzionali invocati sono completamente estranei all'ipotesi in esame. L'art. 48, terzo comma, della Costituzione prevede la possibilita' di limitazioni del diritto di elettorato attivo con riferimento a situazioni che riguardano la persona di ciascun elettore, singolarmente considerato. Cosi' parimenti l'art. 51, primo comma, posto anche in relazione con l'art. 3 della Costituzione, tende ad evitare ogni discriminazione fra i soggetti dell'ordinamento, quanto alla possibilita' di accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive. Nella specie non si e' in presenza ne' di limitazioni legate al diritto di voto del singolo, ne' di limitazioni all'accesso alle cariche elettive, derivanti da condizioni personali del cittadino, bensi' di effetti indiretti della misura sanzionatoria in questione che, come si e' detto, e' diretta a colpire non i singoli componenti dei consigli elettivi ne', tantomeno, i cittadini, singolarmente considerati, del comune o della provincia, bensi' l'organo elettivo nel suo complesso, al verificarsi di taluni presupposti di fatto, valutati in ragione delle pregiudizievoli evenienze che possono produrre. Una misura, quindi, che solo indirettamente si riflette su tutti i cittadini di quel determinato comune o di quella determinata provincia, non per conculcare i diritti di ciascuno di essi ma, al contrario, proprio in vista della gia' ravvisata esigenza di preservare la parte sana della comunita' locale dall'influenza delle organizzazioni criminali. 5.4. - Quanto poi al prospettato contrasto con gli artt. 5 e 128 della Costituzione della censurata durata, per un periodo da dodici a diciotto mesi, degli effetti dello scioglimento, la questione e' infondata perche', pur essendosi in presenza di una misura che puo' essere annoverata nella categoria del controllo sugli organi, essa e' ispirata - a differenza che in altre ipotesi di scioglimento in cui e' previsto un minor intervallo temporale per la ricostituzione di quelli disciolti - dalla particolare esigenza piu' volte qui messa in evidenza. Si giustifica percio' che l'aspetto proprio delle autonomie, quale quello della rappresentativita' degli organi di amministrazione, possa temporaneamente cedere di fronte alla necessita' di assicurare l'ordinato svolgimento della vita delle comunita' locali, nel rispetto delle liberta' di tutti ed al riparo da soprusi e sopraffazioni, estremamente probabili quando sui loro organi elettivi la criminalita' organizzata possa immediatamente riprendere ad esercitare pressioni e condizionamenti. 5.5. - Infondata e' anche la censura formulata in riferimento all'art. 24 della Costituzione. Diversamente da quanto si asserisce nell'ordinanza, se e' vero che la durata degli effetti e' determinata sulla base di un potere discrezionale dell'amministrazione, la sua latitudine e' pur sempre delimitata dalla valutazione della situazione in concreto riscontrata in relazione all'estensione dell'influenza criminale cosi' come manifestatasi. La determinazione della durata e', percio', per sua natura legata alla valutazione di cui si deve dare necessariamente conto alla stregua dei principi generali in tema di motivazione degli atti amministrativi: il che costituisce sicuro limite al possibile arbitrio, condizionando il potere dell'organo che deve determinare la durata degli effetti dello scioglimento e, quindi, consentendo il sindacato giurisdizionale sulla congruita' e logicita' della valutazione compiuta anche per questa parte del provvedimento. 5.6. - Relativamente alla previsione per ultimo presa in considerazione, l'ordinanza fa anche riferimento all'art. 125 della Costituzione, senza svolgere alcun argomento che possa giustificare tale richiamo. La questione e' pertanto manifestamente inammissibile, non ravvisandosi alcuna attinenza con essa del parametro costituzionale invocato.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 15- bis della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale), introdotto dall'art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164 (Misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso), convertito con modificazioni dalla legge 22 luglio 1991, n. 221, sollevate con l'ordinanza indicata in epigrafe dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, in riferimento agli artt. 48, 51 e 125 della Costituzione; Dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 15- bis sopraindicato, sollevate con la stessa ordinanza in riferimento agli artt. 3, 5, 24, 97, 113 e 128 della Costituzione. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 1993. Il presidente: CASAVOLA Il redattore: CAIANIELLO Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 19 marzo 1993. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 93C0275