N. 103 SENTENZA 10 - 19 marzo 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Comuni e province - Scioglimento di consigli comunali e provinciali -
 Disposizione con decreto del Presidente della Repubblica - Estensione
 della misura anche ad amministratori non direttamente interessati dai
 collegamenti con la criminalita' organizzata - Emergenza di uno stato
 di fatto alterativo del processo di formazione della  volonta'  degli
 amministratori  -  Protrazione  degli  effetti  dello  scioglimento -
 Presunta  limitazione  al  diritto  elettorale  attivo  e  passivo  -
 Inconferente  riferimento  agli  artt.  48  e 51 della Costituzione -
 Manifesta inammissibilita' - Non fondatezza.
 
 (Legge  19  marzo  1990, n. 55, art. 15- bis, introdotto dall'art.  1
 del d.-l. 31 maggio 1991,  n.  164,  convertito,  con  modificazioni,
 dalla legge 22 luglio 1991, n. 221).
 
 (Cost., artt. 48, 51 e 125).
(GU n.13 del 24-3-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo
 SPAGNOLI,  prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo  CHELI,  dott.    Renato
 GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 15-  bis  della
 legge  19  marzo  1990,  n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione
 della  delinquenza  di  tipo  mafioso  e  di  altre  gravi  forme  di
 manifestazione  di pericolosita' sociale), introdotto dall'art. 1 del
 decreto-legge  31  maggio  1991,  n.  164  (Misure  urgenti  per   lo
 scioglimento  dei  consigli  comunali e provinciali e degli organi di
 altri enti locali, conseguente  a  fenomeni  di  infiltrazione  e  di
 condizionamento  di tipo mafioso), convertito con modificazioni dalla
 legge  22  luglio  1991,  n.  221,  promosso con ordinanza emessa l'8
 luglio 1992 dal Tribunale amministrativo regionale per il  Lazio  sui
 ricorsi  riuniti proposti da Frustagli Domenico ed altri c/Presidenza
 del Consiglio dei Ministri ed altri, iscritta al n. 681 del  registro
 ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  Picciolo Guglielmo, ed altro,
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  febbraio  1993  il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Udito l'avvocato Alfredo Cordone per Picciolo Guglielmo, ed altro,
 e  l'avvocato  dello  Stato  Gaetano  Zotta  per  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso di un giudizio sui ricorsi per l'annullamento di
 due decreti del Presidente della  Repubblica,  entrambi  in  data  30
 settembre  1991,  con  i  quali era stato disposto rispettivamente lo
 scioglimento del consiglio comunale di S.Andrea Apostolo dello  Jonio
 e  lo  scioglimento  del  consiglio  comunale di Trabia, il Tribunale
 amministrativo regionale per il Lazio, con  ordinanza  dell'8  luglio
 1992,  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97,
 113,  125  e  128  della  Costituzione,  questione  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  15-  bis della legge 19 marzo 1990, n. 55,
 che consente l'adozione di provvedimenti di scioglimento di  consigli
 comunali (e provinciali), con decreto del Presidente della Repubblica
 adottato  su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione
 del Consiglio dei Ministri,  allorche'  "  ..  emergono  elementi  su
 collegamenti   diretti   o  indiretti  degli  amministratori  con  la
 criminalita'  organizzata  o  su  forme  di   condizionamento   degli
 amministratori  stessi,  che  compromettono  la libera determinazione
 degli organi elettivi  e  il  buon  andamento  delle  amministrazioni
 comunali e provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi
 alle  stesse  affidati  ovvero che risultano tali da arrecare grave e
 perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica"  (comma
 1  dell'art. 15- bis della legge n. 55 del 1990, introdotto dall'art.
 1  del  decreto-legge  31  maggio  1991,  n.  164,   convertito   con
 modificazioni dalla legge 22 luglio 1991, n. 221).
    1.1.  -  Il  Tribunale  remittente,  in  relazione ad eccezione di
 inammissibilita' dei  ricorsi  (promossi  da  taluni  componenti  dei
 consigli  comunali  disciolti, uti singuli) sollevata dall'Avvocatura
 erariale  nel  giudizio  a  quo,   premette   innanzitutto   che   ai
 provvedimenti  impugnati  non  puo'  riconoscersi  la  natura di atti
 politici, come tali sottratti al sindacato giurisdizionale, dovendosi
 optare per una individuazione restrittiva della categoria degli  atti
 politici,  alla luce del principio costituzionale di indefettibilita'
 della  tutela  giurisdizionale  avverso  gli  atti   della   pubblica
 amministrazione,   e   per  la  necessaria  delimitazione  di  quella
 categoria ai  soli  atti  che  attengono  alla  direzione  suprema  e
 generale  dello  Stato,  considerato  nella  sua  unita';  connotati,
 questi,  non  ravvisabili,  per  il  giudice  a  quo,   nei   decreti
 presidenziali di scioglimento.
    2.  -  Nel  merito,  il  Tribunale amministrativo regionale dubita
 della legittimita' costituzionale della norma indicata, in quanto:
       a) consente di attribuire rilevanza a "collegamenti  indiretti"
 di taluni amministratori con la criminalita' organizzata;
       b) prevede lo scioglimento dell'intero organo elettivo anche in
 presenza  di  collegamenti  -  nel senso detto - riguardanti soltanto
 alcuni amministratori;
       c) stabilisce il permanere degli effetti dello scioglimento per
 un periodo da dodici a diciotto mesi.
    2.1. Il giudice remittente muove  dall'inquadramento  della  norma
 impugnata nel contesto delle disposizioni finalizzate - come quella -
 alla   difesa   delle   amministrazioni   locali   dall'ingerenza   o
 dall'influenza della criminalita': l'art. 40  della  legge  8  giugno
 1990,  n.  142,  di  riforma  delle  autonomie locali, che prevede la
 possibilita' di sospensione e rimozione  degli  amministratori  degli
 enti locali quando siano imputati di un reato previsto dalla legge 13
 settembre  1982,  n. 646 (legge che ha tra l'altro istituito il reato
 di associazione di tipo mafioso) o sottoposti a misura di prevenzione
 - generica, a norma della legge n. 1423 del 1956,  o  qualificata,  a
 norma della legge n. 575 del 1965 - o a misura di sicurezza; e l'art.
 15  della  legge 19 marzo 1990, n. 55, che ha previsto la sospensione
 obbligatoria degli amministratori  degli  enti  locali  sottoposti  a
 procedimento  penale per il delitto di associazione di tipo mafioso o
 per delitti di favoreggiamento commessi in relazione al primo, ovvero
 ancora  soggetti  all'applicazione,  anche  con   provvedimento   non
 definitivo,  di  una misura di prevenzione a norma della citata legge
 n. 575 del 1965.
   In questo contesto, la norma impugnata si caratterizza - ad  avviso
 del  giudice  a  quo  -  per  un  minore grado di spessore probatorio
 richiesto  quanto  al  presupposto  sostanziale  ivi  considerato  (i
 "collegamenti"   con  la  criminalita'  organizzata),  rispetto  agli
 elementi richiesti sia per il promovimento dell'azione penale sia per
 l'adozione della misura preventiva.
    In tal modo, l'apprezzamento della sussistenza di collegamenti tra
 l'organo elettivo e  la  criminalita'  organizzata  viene  ad  essere
 affidato  a  valutazioni,  di  consistenza  inferiore  anche a quella
 richiesta per gli elementi indiziari, che non consentono un  adeguato
 controllo in sede giurisdizionale; di qui il dubbio di conformita' ai
 principi  di  ragionevolezza  (art.  3  della Costituzione) e di buon
 andamento   della   pubblica   amministrazione   (art.    97    della
 Costituzione),  sia  nel raffronto con le altre norme sopra indicate,
 meno "afflittive" - in quanto limitate al singolo amministratore -  e
 tuttavia ancorate a presupposti maggiormente verificabili, sia per le
 insufficienti  garanzie  di  obiettivita'  e  coerenza  rispetto alla
 finalita' della norma.
    Ulteriore violazione del principio di ragionevolezza  della  legge
 e'  ravvisata dal tribunale remittente nel fatto che la norma prevede
 lo scioglimento dell'intero consiglio comunale, pur  in  presenza  di
 "collegamenti"   con  la  criminalita'  organizzata  solo  di  alcuni
 consiglieri comunali. Tale previsione, che caratterizza la misura  in
 senso   sanzionatorio,   finisce   per  colpire  anche  i  componenti
 dell'organo  che  sono  estranei  al  collegamento  con  il   crimine
 organizzato,   vulnerando   il   principio   di   personalita'  della
 responsabilita'.
    I profili critici indicati si riflettono poi, secondo il tribunale
 remittente,   anche   sulla  effettivita'  e  pienezza  della  tutela
 giurisdizionale (artt. 24 e 113 della  Costituzione)  riducendosi  la
 possibilita'  di  controllo  della  legittimita'  dell'operato  della
 pubblica amministrazione, tanto piu' quanto meno "percepibili" sono i
 dati e gli elementi assunti a base del giudizio di  collegamento  tra
 organo elettivo e criminalita' organizzata.
    Ulteriore parametro costituzionale violato, in questa prospettiva,
 e' ravvisato nell'art. 51 della Costituzione, giacche' la garanzia di
 accesso   alle  cariche  elettive  "non  puo'  non  includere  ..  il
 mantenimento della carica conseguita  e  l'esercizio  delle  relative
 funzioni";   la   norma   denunziata   non  rispetta  la  necessita',
 sottolineata dalla Corte  costituzionale,  che  la  disciplina  della
 materia,   affidata   dal   precetto  costituzionale  al  legislatore
 ordinario, sia immune da genericita' o indeterminatezza.
    Quanto  alla  durata  dello  scioglimento  dell'organo   elettivo,
 fissata  dalla norma (comma 3 dell'art. 15- bis della legge n. 55 del
 1990)tra i dodici e i  diciotto  mesi,  il  Tribunale  Amministrativo
 Regionale  per  il  Lazio  dubita  che  la  previsione sia conforme a
 Costituzione per vari profili:
       a) perche' tale protratta efficacia dello scioglimento comporta
 la sospensione sia del diritto di elettorato attivo,  che  l'art.  48
 della   Costituzione  consente  di  limitare  solo  per  le  cause  -
 incapacita' civile, sentenza penale irrevocabile, indegnita' morale -
 ivi elencate, sia del diritto di elettorato passivo  (art.  51  della
 Costituzione);
       b)  perche' determina la "sospensione dell'autonomia degli enti
 locali", garantita dagli articoli 5 e 128 della Costituzione;
       c)    perche'    la    rimessione     alla     discrezionalita'
 dell'amministrazione  della  determinazione  in concreto della durata
 dello scioglimento, in difetto di un parametro normativo, sottrae  la
 scelta   al  sindacato  giurisdizionale,  violando  l'art.  24  della
 Costituzione  e  altresi'  gli  artt.  5,  48,  51  "e   125"   della
 Costituzione, per le ragioni gia' esposte riguardo agli altri profili
 della questione.
    3.  - Si sono costituiti in giudizio Guglielmo Picciolo e Giuseppe
 di Vittorio, ricorrenti nel  giudizio  a  quo  quali  componenti  del
 disciolto  consiglio  comunale di Trabia, i quali hanno ulteriormente
 sviluppato  le  argomentazioni  gia'   proposte   nell'ordinanza   di
 rimessione,   concludendo   per  una  richiesta  di  declaratoria  di
 illegittimita' costituzionale della norma impugnata.
    4. - E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha
 chiesto  che  la  questione venga dichiarata inammissibile e comunque
 infondata.
    4.1. - L'Avvocatura rileva che i ricorsi proposti nel  giudizio  a
 quo  sono  volti all'annullamento di decreti di scioglimento ai quali
 deve riconoscersi natura di atti politici,  contro  i  quali  non  e'
 consentito sindacato giurisdizionale, ai sensi dell'art. 31 del Testo
 Unico  delle leggi sul Consiglio di Stato 26 giugno 1924, n. 1054; di
 qui la richiesta di declaratoria di inammissibilita' della  questione
 per difetto di rilevanza nel giudizio medesimo.
    Alla  qualificazione  come  "atti  politici"  dei provvedimenti di
 rigore adottati a norma dell'art. 15-bis della legge n. 55 del  1990,
 l'Avvocatura  perviene  attraverso  una  ampia disamina dei caratteri
 qualificanti di tali misure, alla luce delle finalita' perseguite dal
 legislatore  e  del  tipo  di  procedimento  configurato  per la loro
 adozione.
   I  provvedimenti  in  questione  hanno  carattere  di   specialita'
 rispetto  alle ipotesi di scioglimento delle assemblee elettive degli
 enti locali  gia'  contemplate  nell'ordinamento;  tale  specialita',
 manifestata  dalla clausola di esclusione con cui la norma denunziata
 esordisce "Fuori dei casi contemplati  dall'art.  39  della  legge  8
 giugno  1990,  n.  142.."), attiene sia alle ipotesi piu' consuete di
 scioglimento per motivi amministrativi sia al  caso  di  scioglimento
 "per  gravi  motivi  di ordine pubblico", gia' previsto nell'art. 323
 del T.U. della legge comunale e provinciale n. 148 del  1915  e  oggi
 previsto  nel  citato  art.  39  della legge n. 142 del 1990, come e'
 comprovato dal fatto che, in situazioni di  concorso  di  ipotesi  di
 scioglimento  (  ex legge n. 142 del 1990 ed ex art. 15- bis legge n.
 55 del 1990) si fa comunque luogo alla piu' incisiva misura  prevista
 dalla norma impugnata (comma 6 dell'art. 15- bis citato).
    La finalita' che il legislatore ha avuto di mira, dunque, e' stata
 quella  di  superare  la  tradizionale  delimitazione del concetto di
 "ordine pubblico" gia' in precedenza  legittimante  provvedimenti  di
 scioglimento  di  organi  elettivi  locali,  concetto  riferito  alla
 sicurezza e alla quiete pubblica (Corte costituzionale, sent.  n.  40
 del 1961); l'emergenza rappresentata dal crescente condizionamento di
 organizzazioni  criminali  sui  pubblici  poteri  in ambito locale ha
 determinato la necessita' di un superamento di  quei  tradizionali  e
 limitati  istituti,  in  ragione  del  carattere  realmente  eversivo
 dell'operato della criminalita' organizzata di stampo mafioso.
    Le misure di  rigore  rispondono  cosi'  ad  esigenze  generali  e
 unitarie  di  difesa  dello  Stato  dall'aggressione di contro-poteri
 criminali; siffatte connotazioni si riflettono del  resto  -  osserva
 l'Avvocatura  - nel procedimento: l'adozione della misura e' affidata
 alla delibera del Consiglio dei Ministri - il cui intervento  non  e'
 viceversa previsto nelle ipotesi "ordinarie" di scioglimento - che e'
 trasmessa   al   Presidente   della  Repubblica  per  l'emanazione  e
 contestualmente   e'   trasmessa   alle    Camere,    prima    ancora
 dell'esecutivita'   del   provvedimento,  per  evidenti  esigenze  di
 controllo politico anticipato, laddove per l'art. 323 del T.U. n. 148
 del 1915 era previsto solo un sindacato a posteriori sull'operato del
 Governo, e per l'art. 39 della legge n. 142 del 1990 i  provvedimenti
 di  controllo  degli  organi  sono comunicati al termine dell'iter di
 formazione   degli   stessi.   Tali   peculiarita'   sostanziali    e
 procedimentali,  in  definitiva, rendono le misure di scioglimento in
 argomento  piuttosto  assimilabili  allo  scioglimento  dei  consigli
 regionali  per ragioni di sicurezza nazionale, a norma dell'art. 126,
 terzo comma, della Costituzione, misura cui si riconosce generalmente
 la natura di atto politico, non sindacabile in sede di  giurisdizione
 amministrativa  bensi'  in  sede di conflitto di attribuzioni dinanzi
 alla Corte costituzionale in virtu' dell'espresso disposto  dell'art.
 134  della  Costituzione (che in ogni caso non riguarda i comuni e le
 province).
    Del  resto  -  conclude  l'Avvocatura  -  se  autorevoli  opinioni
 attribuiscono  natura  di atto politico allo scioglimento di consigli
 comunali e provinciali per motivi di ordine  pubblico  gia'  previsto
 dall'art. 323 del T.U. n. 148 del 1915 e ora ridisciplinato dall'art.
 39  della  legge  n.  142  del 1990, a maggior ragione tale natura va
 riconosciuta al decreto emanato in base alla norma denunziata.
    4.2. - Quanto al merito della questione, l'Avvocatura erariale  ne
 deduce l'infondatezza sotto vari profili:
       a) in quanto e' improprio il raffronto, istituito dal Tribunale
 remittente, tra la norma denunziata e gli artt. 40 della legge n. 142
 del  1990  e  15  della  legge  n. 55 del 1990, poiche' queste ultime
 disposizioni  concernono  ipotesi  di  rimozione  e  sospensione   di
 amministratori  locali sul piano individuale, laddove la prima regola
 situazioni di  inquinamento  dell'organo  come  tale.  Il  raffronto,
 quindi,  deve essere piu' correttamente istituito con l'art. 39 della
 citata legge n. 142 del 1990, che concerne  ipotesi  di  scioglimento
 del  consiglio  comunale  a  causa  di  anomalie o turbative riferite
 all'organo nella sua interezza, ipotesi in cui  lo  scioglimento  non
 puo'  essere  "frazionato"  a seconda della riferibilita' dei fatti o
 delle condizioni, assunti quali presupposti di scioglimento, a questo
 o quello dei componenti dell'organo: emblematico lo scioglimento  per
 "gravi  motivi  di  ordine  pubblico",  in  cui  non  si  ha riguardo
 all'imputazione soggettiva della turbativa,  che  puo'  anche  essere
 estranea all'agire dell'organo.
    La  norma  denunziata  da'  rilievo  a  un dato obiettivo e super-
 individuale,  un  "collegamento"  dell'organo  con  la   criminalita'
 organizzata  di  stampo  mafioso.  Non  pertinenti dunque risultano i
 riferimenti  del  giudice  a  quo  alla  responsabilita'   personale,
 giacche'  e'  diverso  il  segno delle norme poste a raffronto, ed e'
 altresi' inesatta l'argomentazione per cui  la  norma  sospettata  di
 incostituzionalita'  presupporrebbe  solo un diverso e minor grado di
 acquisizione probatoria a fronte delle prove o degli indizi richiesti
 per l'azione penale o per l'avvio del procedimento di prevenzione.
    La disomogeneita' dei termini posti a  raffronto  sottolinea,  per
 questo  primo  profilo,  l'infondatezza  della  questione rispetto al
 principio di ragionevolezza;
       b) il principio di buon andamento alla pubblica amministrazione
 e' invocato "a rovescio", posto che finalita' primaria della norma e'
 quella di tutelare il  corretto  operato  amministrativo  negli  enti
 locali;
       c)  in  ordine ai parametri della tutela giurisdizionale (artt.
 24 e 113  della  Costituzione),  l'Avvocatura  replica  che,  laddove
 venisse  esclusa  la  natura  politica  dei  provvedimenti,  la piena
 ricorribilita' che ne conseguirebbe sarebbe sufficiente per escludere
 la lesione di questi stessi parametri;
       d) quanto all'art. 51 della Costituzione, l'Avvocatura nega che
 esista  una  garanzia  costituzionale  per  il  "mantenimento"  delle
 funzioni  di consigliere comunale, e, quanto al diritto di elettorato
 attivo  (art.  48  della  Costituzione),  sottolinea  come  la  norma
 impugnata  tuteli  proprio  la  libera espressione del voto, evitando
 "sedimentazioni politico-amministrative di tipo illegale o conniventi
 con fattori criminali";
       e) contrariamente a quanto ritenuto dal  Tribunale  remittente,
 l'autonomia  comunale  non  solo  non  e'  lesa  ma  al  contrario e'
 valorizzata dalla introduzione di un effettivo  strumento  di  tutela
 della  libera  determinazione  degli  organi  elettivi  locali, cosi'
 frequentemente  eterodiretti  e  condizionati  dal  potere  criminale
 (artt. 5 e 128 della Costituzione);
       f)  non  e'  ravvisabile  violazione di principi costituzionali
 nella durata della sospensione, ne', infine, e' esattamente  invocato
 l'art. 125 della Costituzione, che concerne le - sole - regioni e non
 interferisce in alcun modo con la materia del giudizio a quo.
    4.3.  -  In  prossimita'  dell'udienza l'Avvocatura Generale dello
 Stato  ha  depositato  una  memoria  nella  quale,   sviluppando   le
 indicazioni gia' proposte nell'atto di intervento per la richiesta di
 declaratoria  di  inammissibilita'o  infondatezza della questione, ha
 sottolineato  ulteriori  profili   nella   medesima   direzione;   in
 particolare:
       a)  in  ordine  ai  presupposti dello scioglimento dei consigli
 comunali    e    provinciali    l'Avvocatura     ritiene     inesatta
 l'interpretazione   della   norma   denunziata  operata  dal  giudice
 remittente, che incentra la questione  -  solo  -  sulla  nozione  di
 "collegamenti",   diretti  o  indiretti,  tra  amministratori  locali
 criminalita' organizzata, laddove i  presupposti  richiesti  per  far
 luogo allo scioglimento sono, nella legge, ben piu' complessi: l'art.
 15-bis,  infatti,  da' rilievo a quegli elementi in quanto produttivi
 di una situazione di menomazione della  libera  determinazione  degli
 organi  elettivi, in una effettiva relazione causale tra i primi e la
 seconda. Non puo' quindi affermarsi la "labilita'"  delle  condizioni
 che  legittimano il provvedimento di rigore, consistendo queste nella
 rilevazione di una perdita o compressione dell'autonomia, politica  e
 funzionale,   degli  organi,  per  effetto  dei  citati  elementi  di
 "collegamento"; ne' d'altra parte  sarebbe  stato  possibile  per  il
 legislatore  predeterminare le modalita' con cui viene a manifestarsi
 il condizionamento  mafioso,  il  che  tuttavia  non  attribuisce  al
 Governo   un   potere   arbitrario   di  intervento,  attivandosi  il
 procedimento solo in presenza di elementi qualificati (risultanze  di
 indagini   penali,   accertamenti   in   sede   di  prevenzione),  ed
 articolandosi   il   procedimento   stesso   su    diversi    livelli
 istituzionali;
       b)  in  ordine alla censura circa la "rimozione indiscriminata"
 di tutti gli amministratori, l'Avvocatura erariale ribadisce  che  il
 provvedimento di scioglimento opera su un piano completamente diverso
 da  quello  che  attiene  alle misure individuali a carico di singoli
 componenti degli  organi  che  risultino  coinvolti  in  procedimenti
 penali   o  di  prevenzione;  la  norma  denunziata  rappresenta  uno
 strumento di "difesa  anticipata"  delle  istituzioni  locali,  e  si
 colloca  sul  terreno  della  prevenzione,  in cui acquistano rilievo
 elementi che, al di la' del grado di rilevanza probatoria che possono
 acquistare in  sede  processuale  ai  fini  della  individuazione  di
 responsabilita'  soggettive,  dimostrano  obiettivamente che l'azione
 dell'organo si e' allontanata dai canoni di legalita' e trasparenza;
       c)  in  ordine,  infine,  alla   durata   degli   effetti   del
 provvedimento  da  dodici  a  diciotto mesi, l'Avvocatura osserva che
 tale periodo, piu' lungo rispetto a quello contemplato nelle  ipotesi
 di  scioglimento  ex art. 39 della legge n. 142 del 1990, e' coerente
 con la finalita' della norma: la misura rischierebbe  di  essere  del
 tutto  superflua  qualora all'applicazione dello scioglimento dovesse
 seguire  un  immediato  rinnovo  del   disciolto   consiglio,   assai
 verosimilmente  riproducendosi la medesima situazione precedente allo
 scioglimento; la piu' lunga  gestione  commissariale  e'  finalizzata
 quindi  all'obiettivo  di risanamento della gia' inquinata situazione
 politico-amministrativa locale.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'articolo  15-  bis  della  legge  19 marzo 1990, n. 55 (articolo
 introdotto dall'art. 1 del decreto-legge  31  maggio  1991,  n.  164,
 convertito  con modificazioni dalla legge 22 luglio 1991, n. 221), il
 quale prevede che con decreto del  Presidente  della  Repubblica,  su
 proposta   del   Ministro   dell'interno,  previa  deliberazione  del
 Consiglio dei Ministri, possa  essere  disposto  lo  scioglimento  di
 consigli  comunali  e  provinciali  allorche'  "emergono  elementi su
 collegamenti  diretti  o  indiretti  degli  amministratori   con   la
 criminalita'   organizzata   o  su  forme  di  condizionamento  degli
 amministratori stessi, che  compromettono  la  libera  determinazione
 degli  organi  elettivi  e  il  buon  andamento delle amministrazioni
 comunali e provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi
 alle stesse affidati ovvero che risultano tali da  arrecare  grave  e
 perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica".
   Ad   avviso  del  giudice  a  quo  tale  articolo,  consentendo  di
 attribuire rilevanza ai "collegamenti indiretti" con la  criminalita'
 organizzata  ed  estendendo  la  misura anche agli amministratori non
 direttamente interessati da quei  collegamenti,  contrasterebbe:  con
 l'art.  3  della  Costituzione,  nel  raffronto  con altre previsioni
 normative anch'esse dirette a reprimere la criminalita'  organizzata,
 dato  che queste non solo richiedono un maggior grado di acquisizione
 probatoria, ai fini dell'adozione di provvedimenti di  sospensione  o
 rimozione  di  amministratori di organi elettivi locali, ma producono
 effetti piu' ristretti,  in  quanto  possono  riguardare  soltanto  i
 soggetti  colpiti da condanne o misure di prevenzione e devono essere
 ancorati a dati probatori certi e verificabili; ancora con  l'art.  3
 della  Costituzione,  essendo irragionevole e lesiva del principio di
 "personalita' della  responsabilita'"  l'estensione  della  misura  a
 tutti   i   consiglieri  anche  estranei  ai  "collegamenti"  con  la
 criminalita'; con gli artt.  24  e  113  della  Costituzione  per  la
 ridotta   tutela   giurisdizionale   derivante   dalla  labilita'  ed
 incontrollabilita' degli  elementi  sui  quali  il  provvedimento  si
 fondi; con l'art. 51 della Costituzione, in quanto lesivo del diritto
 alla   prosecuzione  dell'esercizio  delle  funzioni  di  consigliere
 comunale, sulla base di  elementi  normativi  vaghi  e  generici  non
 rispondenti  alla  riserva di legge ivi prevista; con l'art. 97 della
 Costituzione, in quanto non aderente al principio costituzionale  sul
 piano  della  coerenza  tra mezzo e fine perseguito. Inoltre anche in
 quanto stabilisce il permanere degli effetti dello  scioglimento  per
 un  periodo  da  dodici  a  diciotto  mesi, la disposizione impugnata
 contrasterebbe  poi  con  gli  artt.  5  e  128  della  Costituzione,
 producendo  l'ulteriore  effetto  "di  una sorta di sospensione della
 autonomia degli enti locali .. della quale e'  necessario  corollario
 la rappresentativita' degli organi di amministrazione"; con l'art. 48
 della  Costituzione  perche'  "ne  deriva  ..  una sospensione .. del
 diritto di elettorato attivo"  fuori  dei  casi  ivi  contemplati  e,
 analogamente,  con l'art. 51 della Costituzione per quel che riguarda
 l'elettorato passivo; con l'art. 24 della Costituzione, in difetto di
 un parametro normativo di riferimento che possa far valutare in  sede
 di sindacato giurisdizionale la graduazione temporale della misura.
    2.  - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilita'
 sollevata dal Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  nell'assunto
 della  natura  politica  dei  provvedimenti di scioglimento impugnati
 dinanzi al giudice  rimettente  e  che  sarebbero  per  tale  ragione
 insuscettibili  di  sindacato  giurisdizionale, ai sensi dell'art. 31
 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054.
    Osserva in proposito la Corte che  l'ordinanza  di  rimessione  ha
 disatteso  in  modo  esplicito  la medesima eccezione - che era stata
 gia' dedotta nel giudizio a quo - nel "rilievo che la categoria degli
 atti politici, da individuare  con  criteri  restrittivi,  stante  il
 principio  della indefettibilita' della tutela giurisdizionale (artt.
 24 e 113 della Costituzione), include gli  atti  che  attengono  alla
 direzione suprema e generale dello Stato considerato nella sua unita'
 e  nelle  sue  istituzioni fondamentali". I provvedimenti adottati ai
 sensi  della  norma  impugnata,  si  soggiunge  nell'ordinanza,  "non
 presentano tali requisiti, giacche', da un lato la salvaguardia delle
 amministrazioni locali dalle ingerenze della criminalita' organizzata
 risponde  ad  un  interesse  specifico  e delimitato dello Stato, per
 quanto pressante e  necessaria  sia  l'esigenza  dell'intervento,  e,
 d'altro  lato, una volta che la norma abbia previsto i presupposti ed
 i contenuti del provvedimento,  le  valutazioni  di  ordine  politico
 devono intendersi esaurite nella sede legislativa, restando al potere
 esecutivo  il  compito,  che  e'  proprio della sfera di azione della
 potesta' amministrativa, di rendere operante il dettato  della  fonte
 primaria".  In  presenza  di  si'  precisa  ed  argomentata  presa di
 posizione del giudice a quo, circa  l'assoggettabilita'  a  sindacato
 giurisdizionale dei decreti del Presidente della Repubblica in quella
 sede    impugnati,    non   puo'   piu'   mettersi   in   discussione
 l'ammissibilita'  della   questione   incidentale   di   legittimita'
 costituzionale, essendo all'uopo sufficiente ricordare l'indirizzo di
 questa Corte (v. da ultimo sentenza n. 436 del 1992) secondo cui "una
 volta  che il giudice a quo abbia ritenuto di dover fare applicazione
 della  norma,  il  controllo  sull'ammissibilita'   della   questione
 potrebbe  far  disattendere  la premessa interpretativa (del medesimo
 giudice) solo quando questa dovesse risultare palesemente arbitraria,
 e cioe' in caso di assoluta reciproca estraneita' fra  oggetto  della
 questione  e  oggetto  del  giudizio  di provenienza (sent. n. 67 del
 1985) o quando l'interpretazione offerta dovesse risultare del  tutto
 non  plausibile."  Questi  presupposti  non si verificano nel caso di
 specie, il primo, perche' e' indubitabile la pertinenza  della  norma
 impugnata  rispetto al giudizio a quo, il secondo, perche' il giudice
 remittente  offre  un'interpretazione  di  per  se'  plausibile   sul
 problema  della  natura  politica  degli  atti  impugnati,  che viene
 esclusa, peraltro, alla stregua di argomenti sostenuti dalla dottrina
 e dalla giurisprudenza prevalente, ben tenuti presenti nel  dibattito
 parlamentare  sviluppatosi  sulla norma ora impugnata (relazione alla
 Camera dei Deputati - Commissione Affari Costituzionali, resoconto 18
 giugno 1991, Atto Camera n. 5723).
    3.1. - Nel merito le questioni non sono fondate.
   Per quel  che  riguarda  l'asserito  contrasto  della  disposizione
 impugnata con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui
 essa   attribuisce   rilevanza   "ai  collegamenti  indiretti"  degli
 amministratori con la criminalita' organizzata, l'ordinanza di rinvio
 sostiene in primo luogo che tale disposizione, rispetto  al  contesto
 normativo  nel  quale deve essere inquadrata, finalizzato alla difesa
 delle amministrazioni locali dalle infiltrazioni  della  criminalita'
 organizzata  (art.  40  della  legge  8 giugno 1990, n. 142; legge 13
 settembre 1982,n. 646; legge 27 dicembre  1956,  n.  1423;  legge  31
 maggio  1965,  n. 575 e successive modificazioni; art. 15 della legge
 19 marzo 1990,n.  55;  art.  416-  bis  del  codice  penale)  sarebbe
 caratterizzata,  nelle  premesse  costitutive  del  provvedimento ivi
 contemplato, da una "diversa intensita' delle acquisizioni probatorie
 circa  i  rapporti   degli   amministratori   con   la   criminalita'
 organizzata".   Difatti,   si   sostiene   che,  alla  stregua  della
 disposizione impugnata, allo scioglimento  dei  consigli  comunali  e
 provinciali  potrebbe  addivenirsi  "anche  in  presenza  di elementi
 insufficienti  sia  per  la  promozione  dell'azione  penale  sia,  e
 soprattutto,  per l'adozione della misura preventiva". Di conseguenza
 si assume che, mentre le misure di prevenzione  possono  fondarsi  su
 situazioni   e   circostanze   "aventi  semplice  valore  indiziario,
 l'apprezzamento dei collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata"
 (richiesto  per  l'applicazione  della  norma impugnata) risulterebbe
 "affidato ad elementi che presentano  un  grado  di  significativita'
 inferiore  a  quello degli indizi e che, pertanto, mal si prestano ad
 un procedimento logico di tipo induttivo e ad un successivo controllo
 in sede giurisdizionale".
    3.2. - Cio' premesso, rileva la Corte che l'ordinanza  di  rinvio,
 nel prospettare tali dubbi di costituzionalita', muove da una lettura
 parziale  della  disposizione impugnata perche' sembra soffermarsi su
 uno solo dei suoi aspetti (quello dei  collegamenti  indiretti  degli
 amministratori  con  la  criminalita'  organizzata) senza tener conto
 della struttura complessiva del  citato  art.  15-  bis  che  e'  ben
 diverso  da  come viene inteso dal giudice a quo. Si sostiene difatti
 che esso sarebbe tale da consentire di  prescindere  "dall'osservanza
 del canone di congruita' argomentativa" perche' prevederebbe che quei
 provvedimenti possano basarsi "su presunzioni aprioristiche", onde la
 sua   "dubbia   aderenza  ai  principi  di  ragionevolezza  ..  e  di
 imparzialita' .. per le insufficienti garanzie di obbiettivita' e  di
 coerenza .. rispetto al fine perseguito".
    Osserva  in  proposito  la  Corte che la disposizione impugnata e'
 invece formulata in modo da assicurare il rispetto dei  principi  che
 si  assumono  violati,  e contiene in se' tutti gli elementi idonei a
 garantire obiettivita' e coerenza nell'esercizio dello  straordinario
 potere  di scioglimento degli organi elettivi conferito all'autorita'
 amministrativa. Quel potere e' previsto nella  ricorrenza  di  talune
 situazioni,  fra  loro alternative, quali a) i collegamenti diretti o
 indiretti degli amministratori con la criminalita' organizzata, b) le
 forme di condizionamento degli amministratori, ma sempre che  risulti
 che l'una o l'altra situazione compromettano la libera determinazione
 degli  organi  elettivi  e  il  buon  andamento delle amministrazioni
 comunali e provinciali nonche' il regolare funzionamento dei  servizi
 loro  affidati,  ovvero quando il suddetto collegamento o le suddette
 forme  di  condizionamento  risultino  "tali  da  arrecare  grave   e
 perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica".
    La  norma  esige,  percio',  una  stringente consequenzialita' tra
 l'emersione, da un  lato,  di  una  delle  due  situazioni  suddette,
 "collegamenti"  o  "forme  di condizionamento", e, dall'altro, di una
 delle due evenienze, l'una in atto,  quale  la  compromissione  della
 liberta'  di  determinazione  e  del  buon  andamento  amministrativo
 nonche' del regolare funzionamento dei servizi,  l'altra  conseguente
 ad  una  valutazione  di  pericolosita',  espressa dalla disposizione
 impugnata con la formula (che ha come premessa i "collegamenti" o  le
 "forme  di  condizionamento")  "tali  da  arrecare grave e perdurante
 pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica".
    3.3. - Non puo' percio' condividersi,  alla  stregua  dell'analisi
 della  disposizione  impugnata,  l'assunto del giudice a quo, secondo
 cui l'applicazione dell'art. 15- bis della legge in questione sarebbe
 affidata ad elementi "che presentano  un  grado  di  significativita'
 inferiore  a  quello degli indizi e che, pertanto, mal si prestano ad
 un procedimento logico di tipo induttivo e ad un successivo controllo
 in sede giurisdizionale"; ne' puo' aderirsi alla sua opinione secondo
 cui la disposizione stessa potrebbe legittimare provvedimenti fondati
 su "convincimenti che, prescindendo  dall'osservanza  del  canone  di
 congruita'   argomentativa   e   conclusiva,   possono   basarsi   su
 considerazioni  aprioristiche".  E'   invece   la   stessa   prevista
 connessione  tra  situazione  emersa  ed evenienza pregiudizievole ad
 esigere, nella motivazione del provvedimento, la  dimostrazione  che,
 muovendo dalla accertata constatazione della sussistenza di una delle
 due  situazioni  anzidette,  possano  farsi  risalire  ad essa quella
 compromissione o  quel  pregiudizio  cui  il  legislatore  ha  inteso
 ovviare nel prevedere la misura. Un obbligo, quello della adeguatezza
 della  motivazione, che, anche prima di essere espressamente previsto
 in via generale dall'art. 3 della legge n. 241  del  1990,  era  gia'
 imposto dalla costante giurisprudenza amministrativa in modo rigoroso
 per gli atti amministrativi - come quelli previsti dalla disposizione
 impugnata  - restrittivi della sfera giuridica dei destinatari. Si e'
 difatti sempre affermato il principio che in questo particolare  tipo
 di  atti  si  debba  adeguatamente  dar  conto  della sussistenza dei
 presupposti di fatto, del nesso logico fra questi e le determinazioni
 che,  muovendo  da  essi,  vengono  adottate,  della  congruita'  dei
 sacrifici operati in relazione alle finalita' da perseguire.
    3.4. - Ad escludere che la norma, intesa in modo conforme alla sua
 struttura  complessiva  ed agli scopi che si propone, possa dar luogo
 ad  interpretazioni  tali  da  dar  corpo  ai  sollevati   dubbi   di
 costituzionalita'   relativamente  ai  parametri  invocati,  soccorre
 d'altronde il significato che  ad  essa  e'  stato  attribuito  dalla
 circolare  esplicativa (n. 7102 M/6 del 25 giugno 1991) del Ministero
 dell'Interno, sul punto dei  presupposti  che  debbono  sorreggere  i
 provvedimenti di scioglimento. In tale circolare si afferma che dagli
 "elementi"  oggetto  di  valutazione  debba  emergere "chiaramente il
 determinarsi di uno stato di  fatto  nel  quale  il  procedimento  di
 formazione  della  volonta'  degli amministratori subisca alterazioni
 per effetto dell'interferenza di fattori,  esterni  al  quadro  degli
 interessi locali, riconducibili alla criminalita' organizzata".
    Vi  e' dunque la piena consapevolezza, da parte dell'autorita' che
 deve applicare la norma, che questa renda possibile lo  straordinario
 potere  di  scioglimento  solo  in  presenza  di  situazioni di fatto
 evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive  risultanze
 che  rendano  attendibili  le  ipotesi  di collusioni anche indirette
 degli organi elettivi con la criminalita' organizzata, si' da rendere
 pregiudizievole per i legittimi interessi delle comunita'  locali  il
 permanere  di  quegli  organi  alla  guida degli enti esponenziali di
 esse.
    Si  e'  in  presenza  percio'   di   una   misura   di   carattere
 sanzionatorio,  che  ha come diretti destinatari gli organi elettivi,
 anche se caratterizzata da rilevanti aspetti di  prevenzione  sociale
 per  la  sua  ricaduta  sulle  comunita'  locali che la legge intende
 sottrarre,  nel  loro  complesso,  all'influenza  della  criminalita'
 organizzata.   Una   misura   di   carattere  straordinario,  dunque,
 rigorosamente ancorata alle  finalita'  enunciate  nel  titolo  della
 legge  22  luglio  1991,  n. 221, di conversione del decreto-legge 31
 maggio 1991,  n.  164  che  la  qualifica  come  "misura  urgente  ..
 conseguente ai fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo
 mafioso".  Tale qualificazione, collegando la misura ad una emergenza
 straordinaria, attribuisce a quell'emergenza il valore di limite e di
 misura del potere, esercitabile percio' solo  nei  luoghi  e  fino  a
 quando si manifesti tale straordinario fenomeno eversivo.
    3.5.  -  Le  considerazioni  che  precedono mettono in evidenza la
 specificita' della previsione e giustificano cosi'  compiutamente  le
 sue  peculiarita'  anche  rispetto  al  restante  contesto  normativo
 finalizzato  alla  difesa  della  collettivita'  dalle  infiltrazioni
 mafiose.  Cio'  induce  a disattendere il dubbio di costituzionalita'
 prospettato in riferimento al principio  di  ragionevolezza  (art.  3
 della  Costituzione) e di imparzialita' (art. 97 della Costituzione),
 sotto il profilo delle insufficienti garanzie di obbiettivita'  e  di
 coerenza   rispetto   sia   al   fine   perseguito,  sia  al  modello
 procedimentale  previsto  dalle  altre  disposizioni  assunte   quali
 termini  di confronto. Queste collegano la sospensione e la rimozione
 degli  amministratori  all'avvenuta  irrogazione  di   altra   misura
 preventiva,  limitandole  solo  a coloro cui questa sia stata appunto
 irrogata, e subordinandole  a  "riscontri  probatori  meno  labili  e
 verificati dall'osservanza del principio del contraddittorio".
    Osserva  al  riguardo  la  Corte  che la rilevata diversita' della
 misura in esame, rispetto ai modelli procedimentali previsti da altre
 disposizioni invocate a  raffronto,  non  e'  irragionevole,  ove  si
 consideri  l'enunciata  specificita'  della  misura  che,  come si e'
 rilevato in precedenza  (punto  3.4),  ha  natura  sanzionatoria  nei
 confronti  dell'organo  elettivo,  considerato  nel suo complesso, in
 ragione della sua inidoneita' ad  amministrare  l'ente  locale.  Tale
 natura  del  provvedimento  di scioglimento e la specificita' del suo
 destinatario  (organo  collegiale)  impediscono  percio'   di   poter
 assumere  a  termine  di  raffronto  i modelli che riguardano persone
 singole ed in particolare quelli che prevedono la loro sospensione  o
 la  rimozione  da  cariche  pubbliche  a seguito della irrogazione di
 condanne penali o di misure preventive.
    3.6. - La irragionevolezza della norma impugnata non puo'  neppure
 sostenersi sotto il profilo, prospettato nell'ordinanza di rinvio, di
 eccessivita'  del  mezzo rispetto al fine, ravvisabile nella prevista
 possibilita' di estensione della misura a tutti  gli  amministratori,
 pur  in  presenza  del  collegamento  solo  di  alcuni di essi con la
 criminalita' organizzata.  In  proposito  e'  sufficiente  richiamare
 quanto  osservato  in  precedenza,  circa  il carattere sanzionatorio
 della misura che ha come destinatari  non  tutti  i  consiglieri,  ma
 l'organo  collegiale  considerato nel suo complesso, in ragione della
 sua inidoneita' a gestire la cosa pubblica. Un rilievo,  questo,  che
 fa  perdere  ogni consistenza sia al profilo della eccessivita' della
 misura rispetto al fine, sia al profilo del carattere personale della
 responsabilita',  che  non  puo'  essere  riferito   ad   un   organo
 collegiale,in  particolare  nell'ipotesi,  alternativa a quella della
 collusione, del "condizionamento" dell'organo  da  parte  dei  gruppi
 criminali;  situazione questa che puo' profilarsi non necessariamente
 in  conseguenza   di   comportamenti   illegali   di   taluno   degli
 amministratori.
    Avendo  dunque come destinatari i consigli comunali e provinciali,
 la misura puo' essere per molti versi assimilata  a  quella  prevista
 dall'art.  39,  comma  1, lettera a, della legge n. 142 del 1990, che
 contempla lo scioglimento dei consigli comunali  e  provinciali  "per
 gravi motivi d'ordine pubblico".
    Per  il comune fondamentale connotato della regolazione di ipotesi
 di diminuita o cessata idoneita' dell'organo collegiale come  tale  e
 non   di   suoi   singoli  componenti,  e  per  l'analoga  previsione
 collaterale di uno strumento di controllo parlamentare  sull'adozione
 del   provvedimento  (rispettivamente,  comma  2  della  disposizione
 denunciata e art. 39, comma 6, della legge n. 142 del 1990),  anzi,la
 misura  in  argomento  puo' considerarsi una specificazione di quella
 contemplata nell'art. 39 citato, per la cui  irrogazione  neppure  e'
 previsto,   nella   fase  amministrativa,  "il  contraddittorio".  Un
 elemento questo con cui l'ordinanza di rinvio ha inteso probabilmente
 riferirsi  alla  preventiva  contestazione  degli  addebiti  e   alla
 possibilita' di dedurre in ordine ad essi nel corso del procedimento.
 La  mancanza  di  tale  previsione  nel  procedimento  amministrativo
 relativo alle  ipotesi  di  scioglimento,  cosi'  assimilate,  appare
 giustificata   dalla   loro   peculiarita',   essendo  quelle  misure
 caratterizzate dal fatto di costituire la  reazione  dell'ordinamento
 alle  ipotesi di attentato all'ordine ed alla sicurezza pubblica. Una
 evenienza dunque che esige interventi rapidi e decisi, il che esclude
 che  possa  ravvisarsi  l'asserito  contrasto  con  l'art.  97  della
 Costituzione,  dato che la disciplina del procedimento amministrativo
 e' rimessa alla discrezionalita' del  legislatore  nei  limiti  della
 ragionevolezza  e  del  rispetto degli altri principi costituzionali,
 fra i quali, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sent.  n.  23
 del  1978;  ord. n. 503 del 1987), non e' compreso quello del "giusto
 procedimento" amministrativo, dato che  la  tutela  delle  situazioni
 soggettive e' comunque assicurata in sede giurisdizionale dagli artt.
 24 e 113 della Costituzione.
    4.  - Alla luce di quanto precede devono essere disattese anche le
 censure che invocano come parametro di riferimento gli artt. 24 e 113
 della Costituzione e che sono svolte nell'assunto  che  "le  indicate
 carenze  si riflettono in senso riduttivo sulla pienezza della tutela
 giurisdizionale,  perche'  quanto  meno  e'  percepibile  l'efficacia
 rappresentativa  degli  elementi  sui quali poggia l'accertamento dei
 rapporti con la criminalita' organizzata, tanto  piu'  si  riduce  la
 possibilita'  di controllare, nel giudizio di legittimita', l'operato
 dell'amministrazione".
    Osserva in proposito la Corte che, come e' stato chiarito in altre
 occasioni (sent. n. 409 del 1988), gli interessi legittimi  correlati
 all'azione  amministrativa  non  hanno  una soglia costituzionalmente
 garantita, ma sono configurabili, nella loro  effettiva  consistenza,
 in  relazione alla disciplina sostanziale di rango ordinario di volta
 in volta presa in considerazione.
    Di    conseguenza,   una   volta   salvaguardati   nei   confronti
 dell'amministrazionei  diritti  fondamentali  ed  il   principio   di
 uguaglianza,  ed  assicurata  la relativa tutela giurisdizionale, gli
 interessi procedimentali (cioe' quelli che attengono alla regolarita'
 formale dell'azione amministrativa) assurgono ad interessi  legittimi
 alla  stregua  della disciplina che li contempla, perche' e' essa che
 ne definisce la misura ed il contenuto in base ai quali  possono  poi
 essere  fatti  valere  dinanzi  al giudice. I modelli organizzativi o
 procedimentali, come e' stato chiarito (sent. n. 409 del 1988  cit.),
 sono  molteplici  ed  articolati, per cui la legittimita' delle norme
 che li prevedono  non  puo'  essere  affermata  solo  allorche'  essi
 consentano  un sindacato il piu' penetrante possibile, ma deve essere
 considerata  nel  contemperamento  con  tutti  gli   altri   principi
 costituzionali.
    Cio'  premesso,  va richiamato quanto si e' osservato, secondo cui
 l'adozione dei provvedimenti di scioglimento  degli  organi  elettivi
 locali  e'  ancorata alla ricorrenza di alcune situazioni di fatto in
 connessione  con  il  verificarsi  di  certe   conseguenze   reputate
 pregiudizievoli.  Si  e'  anche  osservato che la norma impugnata non
 esclude affatto che il provvedimento  di  scioglimento  debba  essere
 motivato  con  riferimento  a risultanze obbiettive circa l'effettiva
 sussistenza  di  quelle  situazioni,  nonche'  argomentato  in   modo
 plausibile  sulle  conseguenze  che  da esse siano derivate o possano
 derivare sul piano della funzionalita' e  della  imparzialita'  degli
 organi  stessi  o  su  quello della sicurezza pubblica. Ma appare pur
 sempre evidente che, una volta assicurati  quegli  adempimenti,  deve
 ritenersi,  in armonia con i principi costituzionali, che l'autorita'
 che deve provvedere sia dotata di poteri latamente discrezionali  per
 valutare  -  nel suo prudente apprezzamento e con riferimento a tutto
 il contesto delle circostanze prese in considerazione, nel quadro del
 particolare fenomeno della criminalita' organizzata - le  conseguenze
 pregiudizievoli  che ritenga si siano prodotte o possano prodursi sul
 terreno degli interessi pubblici da salvaguardare.
    Orbene, anche in presenza di tale latitudine di apprezzamenti,  la
 garanzia   della   tutela   giurisdizionale  appare  sufficientemente
 assicurata dalla possibilita',  per  il  giudice  amministrativo,  di
 verificare  la  sussistenza  degli  elementi  di  fatto  - "precisi",
 secondo  quanto  affermato  nella  citata  circolare  del   Ministero
 dell'Interno - quali vengono asseriti nella motivazione, che all'uopo
 deve  essere  fornita  dall'organo  che  emana  il  provvedimento  di
 scioglimento, nonche' di valutare, sotto il profilo della  logicita',
 il  significato attribuito agli elementi di fatto su cui ci si fondi,
 e l'iter seguito per pervenire a certe  conclusioni.  Del  resto,  la
 consistenza   fattuale   degli   "elementi"   su  cui  le  misure  di
 scioglimento devono  essere  fondate  si  accentua  ulteriormente  in
 rapporto alle fonti informative da cui quegli elementi sono rilevati,
 trattandosi  di  risultanze  che  conseguono a poteri di accesso e di
 verifica delle autorita' preposte alla tutela dell'ordine pubblico  e
 alla lotta contro i fenomeni di criminalita' organizzata. Tali poteri
 a   loro  volta  sono  puntualmente  disciplinati  e  delimitati  nei
 rispettivi presupposti sostanziali di esercizio: accesso del prefetto
 presso gli enti territoriali e locali, i cui  amministratori  vengono
 raggiunti  da provvedimenti di sospensione o decadenza per effetto di
 condanne  penali  o  misure  di  prevenzione  (art.  15,  comma 5, in
 relazione al comma 1, della  legge  n.  55  del  1990);  accesso  del
 Ministro  dell'interno,  del  direttore della Direzione investigativa
 antimafia o del prefetto nell'ambito  di  pubbliche  amministrazioni,
 allorche'   siano   riscontrate   "infiltrazioni"   di  tipo  mafioso
 nell'ambito dell'attivita' contrattuale concernente  opere  o  lavori
 pubblici (art. 16, legge n. 55 del 1990 cit., in relazione all'art. 2
 del  d.l.  29  ottobre  1991,  n. 345 convertito in legge 30 dicembre
 1991, n. 410); analogo intervento, dei medesimi  organi,  nell'ambito
 delle  verifiche previste dagli artt. 1 e 1- bis del d.l. 6 settembre
 1982, n. 629, convertito in legge  12  ottobre  1982,  n.  726,  gia'
 istitutivo  dell'Alto  Commissario  per  il coordinamento della lotta
 contro la delinquenza mafiosa.
    Tutta una serie di elementi,  questi,  che  portano  ad  escludere
 anche  il  ravvisato  dubbio di costituzionalita' in riferimento agli
 artt. 24 e 113 della Costituzione.
    5.1. - Altro gruppo di censure riguarda la parte dell'art. 15- bis
 che prevede la protrazione degli effetti dello  scioglimento  per  la
 durata  da  dodici a diciotto mesi. Questa previsione contrasterebbe,
 per il  giudice  remittente,  come  si  e'  gia'  ricordato,  con  il
 principio  di  ragionevolezza  (art.  3  della Costituzione) sotto il
 profilo "dell'adeguatezza del mezzo al fine"; con l'art. 48,  secondo
 comma,  della  Costituzione,  poiche'  limiterebbe,  per  la prevista
 durata, il diritto di elettorato attivo al di la' delle ipotesi  con-
 template  da  esso;  con  l'art.  51  della Costituzione, ponendo non
 consentiti limiti all'elettorato passivo; con gli artt. 5 e 128 della
 Costituzione, poiche' da tale protrazione deriverebbe  una  sorta  di
 sospensione   dell'autonomia   degli  enti  locali,  della  quale  e'
 tradizionale e  necessario  corollario  la  rappresentativita'  degli
 organi  di amministrazione; con l'art. 24 della Costituzione, perche'
 la durata  degli  effetti  dello  scioglimento  dell'organo  elettivo
 sarebbe      rimessa      alla     insindacabile     discrezionalita'
 dell'amministrazione, mancando qualsiasi parametro normativo  per  la
 graduazione temporale della misura.
    5.2.  -  Osserva  la  Corte,  per quel che riguarda l'art. 3 della
 Costituzione, che la possibilita' del protrarsi degli  effetti  dello
 scioglimento,  al  di  la'  dei  tre mesi previsti dall'art. 39 della
 legge n. 142 del 1990, non appare irragionevole, perche' e' collegata
 alla peculiarita' del fenomeno, in  ragione  del  quale  e'  prevista
 nelle more la ricostituzione dell'organo elettivo per un periodo piu'
 lungo   rispetto   a   quello   indicato  per  le  altre  ipotesi  di
 scioglimento, non legate al fenomeno  della  criminalita';  cio'  che
 trova una sua ragionevole giustificazione nell'esigenza di evitare il
 riprodursi  del fenomeno, ove si sia manifestato: un'evenienza questa
 che  sarebbe  certamente  piu'  probabile   ove   la   ricostituzione
 dell'organo   fosse  immediata.  Il  protrarsi  degli  effetti  dello
 scioglimento puo' difatti consentire, nel frattempo,  di  intervenire
 sul  terreno del ripristino della legalita', della eliminazione degli
 effetti prodotti  dall'inquinamento  criminoso,  della  creazione  di
 condizioni   nuove  che,  avvalendosi  della  precedente  esperienza,
 permettano  la  ripresa  della  vita  amministrativa  al  riparo  dai
 collegamenti  e  dai condizionamenti cui si era voluto ovviare con lo
 scioglimento.   Coerente   con   questa   finalita',   sottesa   alla
 determinazione  legale  della  durata  minima e massima della misura,
 risulta  del  resto la prevista prevalenza dello scioglimento in base
 alla norma denunziata, allorche' con esso  concorra  una  ipotesi  di
 scioglimento  dell'organo  a  norma del gia' richiamato art. 39 della
 legge n. 142 del 1990,  secondo  quanto  dispone  il  comma  6  della
 disposizione   censurata:  tale  previsione  -  che  rappresenta  una
 ulteriore conferma del rapporto  di  sostanziale  specificazione  che
 intercorre  tra  i  due  istituti  - mira ad evitare che lo strumento
 dello scioglimento adottato ex art. 15- bis possa  essere  vanificato
 dalle  dimissioni  di  almeno  la  meta'  dei  consiglieri,  le quali
 comporterebbero lo svolgimento di nuove elezioni  appunto  entro  tre
 mesi, a norma dell'art. 39, legge n. 142 del 1990.
    5.3.  -  Quanto all'asserito contrasto con gli artt. 48 e 51 della
 Costituzione, la censura e' manifestamente inammissibile in quanto  i
 parametri   costituzionali   invocati   sono  completamente  estranei
 all'ipotesi in esame. L'art.  48,  terzo  comma,  della  Costituzione
 prevede  la  possibilita'  di  limitazioni  del diritto di elettorato
 attivo con riferimento a situazioni  che  riguardano  la  persona  di
 ciascun  elettore,  singolarmente considerato. Cosi' parimenti l'art.
 51, primo  comma,  posto  anche  in  relazione  con  l'art.  3  della
 Costituzione,  tende  ad  evitare ogni discriminazione fra i soggetti
 dell'ordinamento, quanto alla possibilita'  di  accesso  agli  uffici
 pubblici ed alle cariche elettive. Nella specie non si e' in presenza
 ne'  di  limitazioni  legate  al  diritto di voto del singolo, ne' di
 limitazioni  all'accesso  alle   cariche   elettive,   derivanti   da
 condizioni personali del cittadino, bensi' di effetti indiretti della
 misura sanzionatoria in questione che, come si e' detto, e' diretta a
 colpire   non   i  singoli  componenti  dei  consigli  elettivi  ne',
 tantomeno, i cittadini, singolarmente considerati, del comune o della
 provincia, bensi' l'organo elettivo nel suo complesso, al verificarsi
 di  taluni  presupposti  di  fatto,   valutati   in   ragione   delle
 pregiudizievoli  evenienze  che possono produrre. Una misura, quindi,
 che solo indirettamente si riflette su  tutti  i  cittadini  di  quel
 determinato  comune  o  di  quella  determinata  provincia,  non  per
 conculcare i diritti di ciascuno di essi ma, al contrario, proprio in
 vista della gia' ravvisata esigenza di preservare la parte sana della
 comunita' locale dall'influenza delle organizzazioni criminali.
    5.4. - Quanto poi al prospettato contrasto con gli artt. 5  e  128
 della Costituzione della censurata durata, per un periodo da dodici a
 diciotto  mesi,  degli  effetti  dello  scioglimento, la questione e'
 infondata perche', pur essendosi in presenza di una misura  che  puo'
 essere annoverata nella categoria del controllo sugli organi, essa e'
 ispirata  -  a differenza che in altre ipotesi di scioglimento in cui
 e' previsto un minor intervallo temporale per  la  ricostituzione  di
 quelli disciolti - dalla particolare esigenza piu' volte qui messa in
 evidenza.   Si   giustifica   percio'  che  l'aspetto  proprio  delle
 autonomie, quale quello  della  rappresentativita'  degli  organi  di
 amministrazione,   possa   temporaneamente   cedere  di  fronte  alla
 necessita' di assicurare  l'ordinato  svolgimento  della  vita  delle
 comunita'  locali,  nel rispetto delle liberta' di tutti ed al riparo
 da soprusi e sopraffazioni, estremamente probabili  quando  sui  loro
 organi  elettivi  la  criminalita'  organizzata  possa immediatamente
 riprendere ad esercitare pressioni e condizionamenti.
    5.5.  -  Infondata  e'  anche  la censura formulata in riferimento
 all'art. 24 della Costituzione. Diversamente da quanto  si  asserisce
 nell'ordinanza, se e' vero che la durata degli effetti e' determinata
 sulla  base  di  un potere discrezionale dell'amministrazione, la sua
 latitudine  e'  pur  sempre  delimitata   dalla   valutazione   della
 situazione   in  concreto  riscontrata  in  relazione  all'estensione
 dell'influenza criminale cosi' come manifestatasi.
    La determinazione della durata e', percio', per sua natura  legata
 alla  valutazione  di  cui  si  deve  dare necessariamente conto alla
 stregua dei principi generali  in  tema  di  motivazione  degli  atti
 amministrativi:   il  che  costituisce  sicuro  limite  al  possibile
 arbitrio, condizionando il potere dell'organo che deve determinare la
 durata degli effetti dello scioglimento  e,  quindi,  consentendo  il
 sindacato   giurisdizionale   sulla   congruita'  e  logicita'  della
 valutazione compiuta anche per questa parte del provvedimento.
    5.6.  -  Relativamente  alla  previsione  per  ultimo   presa   in
 considerazione,  l'ordinanza  fa anche riferimento all'art. 125 della
 Costituzione, senza svolgere alcun argomento che  possa  giustificare
 tale richiamo. La questione e' pertanto manifestamente inammissibile,
 non   ravvisandosi   alcuna   attinenza   con   essa   del  parametro
 costituzionale invocato.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara manifestamente inammissibili le questioni di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  15-  bis  della legge 19 marzo 1990, n. 55
 (Nuove disposizioni per la  prevenzione  della  delinquenza  di  tipo
 mafioso  e  di  altre  gravi forme di manifestazione di pericolosita'
 sociale), introdotto dall'art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1991, n.
 164 (Misure urgenti per  lo  scioglimento  dei  consigli  comunali  e
 provinciali  e  degli  organi  di  altri  enti  locali, conseguente a
 fenomeni di infiltrazione e  di  condizionamento  di  tipo  mafioso),
 convertito  con  modificazioni  dalla  legge  22 luglio 1991, n. 221,
 sollevate  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe   dal   Tribunale
 amministrativo  regionale del Lazio, in riferimento agli artt. 48, 51
 e 125 della Costituzione;
    Dichiara non fondate le questioni di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 15- bis sopraindicato, sollevate con la stessa ordinanza in
 riferimento agli artt. 3, 5, 24, 97, 113 e 128 della Costituzione.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 marzo 1993.
                        Il presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 19 marzo 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0275