N. 19 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 13 marzo 1993
N. 19 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 13 marzo 1993 (della regione Lombardia) Impiego pubblico - Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego - Disciplina analitica dell'organizzazione degli uffici e previsione di poteri direttivi e sostitutivi nei confronti di organi regionali - Previsione altresi' di procedimenti (governati dallo Stato) di mobilita' del personale anche di regioni e di enti da esse dipendenti nonche' della stipulazione di contratti collettivi nazionali vincolanti anche per le regioni, ma con esclusione delle stesse dalla fase contrattuale - Nuova disciplina delle funzioni del commissario del Governo presso le regioni - Attribuzione al Ministro del tesoro della ripartizione delle risorse destinate a ciascun comparto della contrattazione collettiva - Asserita violazione della sfera di autonomia regionale in materia di organizzazione degli uffici e stato giuridico del personale da esse dipendenti e dell'autonomia finanziaria delle regioni - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 219/1984, 1001/1988, 407 e 410 del 1989. (D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, artt. 1, terzo comma, 13, 15, secondo comma, 18, primo comma, 26, 27, secondo e quarto comma, 28, 30, secondo comma, 31, 32, 33, 34, 35, 41, primo e terzo comma, 42, secondo comma, 43, 45, 47, 49, secondo comma, 50, 51, 52, 54, 60, 61, secondo comma, 63, secondo comma, 64, 65, 67, 70, secondo comma). (Cost., artt. 39, 76, 117, 118 e 119).(GU n.13 del 24-3-1993 )
Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale Fiorinda Ghilardotti autorizzata con delibera della giunta regionale n. 33676 del 2 marzo 1993, rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliata presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come da delega in calce al presente atto, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1 (terzo comma), 13, 15 (secondo comma), 18 (primo comma), 26, 27 (secondo e quarto comma), 28, 30 (secondo comma), 31, 32, 34, 33, 35, 41 (primo e terzo comma), 42 (secondo comma), 43, 45, 47, 49 (secondo comma), 50, 51, 52, 54, 60, 61 (secondo comma), 63 (secondo comma), 64, 65, 67, 70 (secondo comma), del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, recante "razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421", pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 30 del 6 febbraio 1993. 1. - Il decreto legislativo n. 29/1993, in attuazione della delega di cui all'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, detta una nuova disciplina dell'"organizzazione degli uffici" e dei "rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche" (art. 1, primo comma), con disposizioni espressamente dichiarate applicabili a tutte le "amministrazioni pubbliche", ivi comprese le regioni e gli enti publici non economici regionali, e le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale (art. 1, secondo comma). Questa Corte ha avuto modo, soprattutto nella sentenza n. 219/1984, e in seguito nella sentenza n. 1001/1988 ed in altre ancora, di chiarire i limiti e le condizioni alle quali una disciplina legislativa statale o una disciplina recata da accordi sindacali nazionali possono vincolare le regioni in ordine all'organizzazione degli uffici delle regioni medesime e degli enti strumentali di esse, nonche' al rapporto di impiego dei dipendenti delle regioni e degli enti strumentali di esse. In particolare la Corte ha ribadito che spetta alle regioni "la potesta' di emanare, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato, norme legislative relative agli ordinamenti degli uffici", e che, "nella sua operativita', il principio della disciplina in base ad accordi va conciliato col principio .. secondo il quale, nelle regioni, deve essere regolato con legge l'ordinamento degli uffici e del personale ad essi addetto, quanto agli ambiti di disciplina riservati alla legge"; onde "spetta alle leggi regionali non la pura e semplice riproduzione dell'accordo sindacale in sede nazionale, ma il suo adeguamento, quando sia necessario, alle peculiarita' dell'ordinamento degli uffici ed alle disponibilita' del bilancio regionale" (sent. n. 219/1984); e ha ritenuto non illegittimo il sistema delineato nella legge n. 93/1983 (una volta dichiarata, con la sentenza n. 219/1984, la parziale incostituzionalita' dell'art. 10, terzo comma) in quanto ciascuna regione viene "legittimata dalla stessa legge a partecipare in piena autonomia, ad ambedue le fasi fondamentali" del procedimento; e cioe' "sia la fase contrattuale, mediante la presenza di un proprio rappresentante nella delegazione di parte pubblica costituita per la stipula degli accordi ..; sia alla fase normativa, mediante l'approvazione con provvedimento regionale degli accordi stipulati, approvazione cui la legge subordina l'operativita' degli stessi accordi nell'ambito regionale" (sent. n. 1001/1988). Ora, il d.lgs. n. 29/1993 contiene numerose disposizioni, che si pretendono vincolanti per le regioni e per gli enti da esse dipendenti, in ordine all'organizzazione dei propri uffici e alla disciplina del relativo personale, le quali ledono l'ambito minimo garantito dell'autonomia regionale in questa materia, come tracciato nella ricordata giurisprudenza di questa Corte. In concreto, si tratta di disposizioni che disciplinano fin nell'estremo dettaglio aspetti dell'organizzazione degli uffici e della disciplina del personale; che prevedono poteri di direttiva e di sostituzione in capo a organi statali nei confronti delle regioni; che statuiscono procedimenti di mobilita' governati dallo Stato ma coinvolgenti in via obbligatoria anche il personale delle regioni e degli enti dipendenti; che disciplinano la stipulazione di contratti collettivi nazionali, vincolanti anche nei confronti delle regioni, con procedimenti che escludono del tutto le singole regioni dalla fase contrattuale, e non consentono alcuna autonomia nella fase successiva, in ordine all'applicazione degli accordi, eliminando anzi la fase "normativa" di attuazione degli accordi medesimi; che prevedono poteri di vincolo e di controllo dello Stato in ordine al controllo della spesa per il personale. Infine, e per soprammercato, il decreto detta una nuova disciplina delle funzioni del commissario del Governo presso le regioni e dei rapporti tra Governo e regioni, non conforme, ad avviso della ricorrente, ai principi costituzionali. Tali disposizioni appaiono pertanto illegittime e lesive dell'autonomia regionale per violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' dell'art. 76 della Costituzione, in relazione all'oggetto e ai criteri direttivi della delega, e dell'art. 39 della Costituzione. 2. - Ai sensi dell'art. 1, terzo comma, del decreto le disposizioni del medesimo "costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione" e "le regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto della peculiarita' dei rispettivi ordinamenti". A parte l'incertezza sul significato di quest'ultima, per la verita' oscura, proposizione, e' chiaro che tutte le disposizioni del decreto sono dichiarate espressamente vincolanti e non derogabili dalla regione. Ora, e' ben vero che lo stesso art. 2, secondo comma, della legge di delega n. 421/1992 prevedeva - con norma invero singolare, in quanto riferita a disposizioni future - che le disposizioni non solo dello stesso art. 2 ma anche "dei decreti legislativi in esso previsti" costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Ma e' altrettanto vero che, concretandosi ora il d.lgs. n. 29/1993 il contenuto della legislazione delegata, e risultando tale contenuto per piu' parti eccedente l'ambito e i limiti dei "principi fondamentali", la pretesa di vincolare le regioni all'osservanza di tutte le disposizioni del decreto, comprese quelle, in concreto, di estremo dettaglio, realizza l'attuale lesione dell'autonomia regionale. E cio' anche a prescindere dal pur legittimo interrogativo se una legislazione delegata, di per se' attuativa di principi e criteri direttivi e dunque avente carattere di dettaglio (soprattutto quando, come nella specie, i criteri della delega sono a loro volta particolareggiati e stringenti), e comunque eccedente i principi fondamentali, possa contenere disposizioni che pretendano invece di valere inderogabilmente nei confronti delle regioni alla stregua di principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Pertanto la chiesta dichiarazione di illegittimita' costituzionale dovra' investire anzitutto la disposizione dell'art. 1, terzo comma del decreto, quanto meno nella parte in cui tende a rendere vincolante nei confronti della regione tutte le disposizioni del decreto stesso, ivi comprese quelle aventi carattere di normativa di dettaglio e non di principio. 3. - Il capo II del titolo II (dedicato all'"organizzazione"), disciplina la "dirigenza". Stando al tenore letterale dell'art. 13, ai cui sensi "le disposizioni del presente capo si applicano alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, agli enti pubblici non economici nazionali, alle istituzioni universitarie ed alle amministrazioni, aziende ed enti del servizio sanitario nazionale", mentre "a tali disposizioni si attengono le amministrazioni degli enti locali, conformando a tale fine i propri ordinamenti", sembrerebbe doversi escludere che in detto capo siano contenute disposizioni destinate a valere anche nei riguardi delle regioni e della relativa dirigenza. Peraltro il decreto sembra contraddirsi, la' dove, in disposizioni successive, mostra di estendere invece alcune disposizioni del capo stesso alla dirigenza di tutte le "amministrazioni pubbliche", con l'esclusione solo di alcune categorie di personale statale, stabilendo che tale dirigenza si articoli sulla qualifica di "dirigente" (sembra di intendere, unica, mentre solo nelle amministrazioni statali o di enti pubblici non economici (espressione con la quale solitamente si designano gli enti funzionali, ma non le regioni e gli altri enti territoriali), resterebbe, ove prevista in base a specifiche disposizioni legislative, la qualifica di "dirigente generale", articolata "nei livelli di funzioni previsti dalle vigenti disposizioni" (art. 25, secondo comma); o, ancora, la' dove si riferisce espressamente anche ai dirigenti della regione, stabilendo che "per le regioni, il dirigente cui sono conferite funzioni di coordinamento e' sovraordinato, limitatamente alla durata dell'incarico, al restante personale dirigenziale" (art. 27, secondo comma, seconda parte; cosi' confermando implicitamente, a quanto sembra, l'unicita' della qualifica dirigenziale nelle regioni, nonche' sancendo il carattere meramente funzionale e temporaneo degli incarichi di coordinamento, e disciplinando il rapporto fra coordinatori e altri dirigenti, e in tal modo pregiudicando fino al dettaglio la disciplina della dirigenza regionale). Si tenga presente che nelle regioni, e cosi' nella regione ricorrente, in base all'attuale disciplina la carriera dirigenziale e' articolata su due qualifiche diverse. Se le disposizioni ora richiamate si intendono nel senso che esse si applicano anche alla dirigenza regionale (il che, almeno nel caso dell'art. 27, secondo comma, e' addirittura affermato esplicitamete) ne conseguirebbe che le regioni sarebbero costrette a modificare il proprio ordinamento riducendo da due a una le qualifiche dirigenziali e disciplinando le funzioni di coordinamento nel modo specifico stabilito nella citata norma del decreto. Il che, peraltro, non potrebbe non configurarsi come una palese violazione della competenza e dell'autonomia regionale. 4. - L'art. 18, primo comma, stabilisce che, ai fini della verifica dei risultati conseguiti dai dirigenti, e' attribuito all'organismo di cui all'art. 2, primo comma, lett. mm), della legge n. 421/1992 (organismo interamente statale) il compito di definire, sulla base delle indicazioni del Ministero del tesoro, "i criteri e le procedure per l'analisi e la valutazione dei costi dei singoli uffici". A sua volta l'art. 28 del decreto (sempre compreso nel capo II) disciplina l'accesso alla qualifica di dirigente con disposizioni di estremo dettaglio, e attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di definire con proprio decreto le specifiche modalita' dei concorsi e delle selezioni (percentuale riservata al concorso per esame, percentuali di posti da riservare al personale di ciascuna amministrazione, criteri per la composizione e la nomina delle commissioni esaminatrici, modalita' di svolgimento delle selezioni, ecc.). Ove si ritenesse che tali disposizioni siano applicabili anche alla dirigenza delle regioni e degli enti da esse dipendenti, esse dovrebbero essere ritenute illegittime e lesive della competenza e dell'autonomia della regione. 5. - L'art. 13 del decreto, come si e' visto, riferisce l'applicabilita' di (tutte) le disposizioni del capo sulla dirigenza del medesimo decreto anche alle "amministrazioni, aziende ed enti del servizio sanitario nazionale, fatto salvo quanto stabilito per il ruolo sanitario nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502" (a sua volta impugnato dalla regione ricorrente in varie sue disposizioni, e in ogni caso contenente dettagliate disposizioni sul personale della sanita'). Ora, tale avocazione integrale allo Stato della competenza legislativa in ordine al personale, in ispecie dirigente, della sanita' poteva, entro certi limiti, comprendersi forse nel precedente sistema in cui le U.S.L. erano configurate come "strutture operative" dei comuni, e dunque il relativo personale poteva assimilarsi per certi versi al personale dei comuni: benche' questa Corte, nelle sentenze n. 307/1983 e n. 219/1984, avesse pure affermato che alla regione, in quanto titolare delle attribuzioni in materia di sanita', spetta uno spazio di autonomia e di competenza costituzionalmente garantito in tema di governo del personale del servizio sanitario. In ogni caso, una siffatta avocazione integrale allo Stato della disciplina del personale della sanita' non e' compatibile con l'odierna configurazione delle U.S.L. come enti strumentali dalla regione (art. 3, primo comma, d.lgs. n. 502/1992). La competenza regionale in materia di "ordinamento .. degli enti amministrativi dipendenti dalla regione" (art. 117 della Costituzione) non puo' non estendersi dunque oggi agli enti sanitari; e dunque la disciplina del relativo personale non puo' che spettare, entro i limiti dell'art. 117 della Costituzione, alla regione. L'art. 13 del d.lgs. n. 29/1993 e' pertanto illegittimo nella parte in cui estende tutte le disposizioni del capo II, titolo II, del decreto medesimo alle amministrazioni, aziende ed enti del servizio sanitario nazionale. 6. - Risultano inoltre lesive dell'autonomia regionale le specifiche disposizioni che il decreto detta in tema di dirigenza del servizio sanitario nazionale. Tale l'art. 26, che detta norme transitorie per tale dirigenza, scendendo fino a stabilire che le posizioni funzionali corrispondenti al 10½ e all'11½ livello retributivo dei ruoli professionali, tecnico ed amministrativo sono conservate ad personam fino all'attribuzione della qualifica (unica, sembra di intendere) di dirigente (primo comma), e che i profili ricompresi nella nona posizione funzionale dei predetti ruoli sono soppressi (terzo comma, seconda parte); che i concorsi per le posizioni funzionali corrispondenti al 9½ livello sono revocati ove non siano iniziate le prove di esame (quarto comma); che fino alla ridefinizione delle piante organiche non puo' essere disposto alcun incremento delle dotazioni organiche per ciascuna delle attuali posizioni funzionali dirigenziali dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo, cosi' ledendo direttamente e gravemente la competenza riconosciuta dalla Corte alla regione, pur nel passato ordinamento del servizio sanitario, in tema di controllo degli organici delle U.S.L. (sentt. n. 307/1983; n. 219/1984; e cfr. art. 15, undicesimo comma, n. 4, della legge n. 833/1978). Ancora, l'art. 27, quarto comma, demanda bensi' alla regione la individuazione dell'organo competente a effettuare la verifica dei risultati dell'attivita' svolta dagli uffici ai fini della responsabilita' dei dirigenti, ai sensi dell'art. 20, secondo comma, ma prevede che, decorso inutilmente il termine di centottanta giorni, "provveda il Presidente del Consiglio dei Ministri in via sostitutiva": configurando cosi' un potere sostitutivo non ancorato alle condizioni, ai parametri e alle modalita' procedurali ritenute necessarie dalla giurisprudenza di questa Corte, in particolare non prevedendo alcuna previa diffida (tale norma sembra riferibile solo alla individuazione dell'organo competente per le amministrazioni, aziende ed enti del servizio sanitario nazionale, di cui e' parola in precedenti proposizioni dello stesso comma; che' se la si dovesse ritenere, invece, riferita anche agli uffici della regione, come potrebbe far pensare la sua collocazione alla fine del comma, dopo la menzione degli enti locali, ancora piu' grave e troppo evidente sarebbe la lesione della competenza e dell'autonomia regionale). Infine l'art. 28, decimo comma, disciplina dettagliatamente l'accesso al livello dirigenziale del ruolo professionale, tecnico ed amministrativo del servizio sanitario nazionale, nonche' i requisiti di ammissione, e la riserva di posti a favore del personale in servizio presso l'ente che bandisce il concorso: ancora una volta attraendo integralmente nell'ambito di una disciplina statale particolare la dirigenza di enti, come le U.S.L. e le aziende ospedaliere, ormai divenute per espressa volonta' del legislatore enti dipendenti della regione, e dunque rientranti pienamente nella competenza regionale di cui al primo alinea dell'art. 117 della Costituzione. 7. - Il capo III del titolo II del decreto si riferisce agli "uffici, piante organiche, mobilita' a' accesso", ed e' applicabile a tutte le amministrazioni pubbliche, dunque anche alle regioni ed agli enti da esse dipendenti. L'art. 30, secondo comma, imponendo una ridefinizione triennale degli uffici e delle piante organiche "secondo il disposto dell'art. 6" (che peraltro si riferisce solo alle amministrazioni dello Stato), prevede direttive del Dipartimento della funzione pubblica, di concerto col Ministro del tesoro. Se tale disposizione si ritenga applicabile anche alle regioni e agli enti dipendenti, la lesione dell'autonomia, insita soprattutto nel potere di direttiva accennato, attribuito ad un ufficio dell'amministrazione centale dello Stato, non potrebbe negarsi. A sua volta l'art. 31 disciplina, in sede di prima applicazione del decreto, la rilevazione del personale e la formazione di proposte di ridefinizione degli uffici e delle piante organiche (primo comma, lettere a) e b)), imponendo altresi' di "conseguire una riduzione per accorpamento degli uffici dirigenziali, e, in conseguenza, delle dotazioni organiche del personale dirigenziale, in misura non inferiore al 10 per cento", nonche' riservando un contingente di dirigente per l'esercizio delle funzioni di direzione e coordinamento di sistemi informatico-statistici e del relativo personale (primo comma, lett. b)). Le rilevazioni e le proposte sono trasmesse al dipartimento della funzione pubblica e al Ministro del tesoro (terzo comma), e cio' vale anche per le amministrazioni non statali - cui dunque tale disciplina si applica - come risulta dalla previsione di un potere sostitutivo del Presidente del Consiglio in ordine a tale trasmissione (quinto comma). All'approvazione delle proposte per le amministrazioni non statali si procede con i provvedimenti e nei termini previsti dai rispettivi ordinamenti (quarto comma); ma in caso di inerzia e' previsto, come si e' detto, un potere sostitutivo del Presidente del Consiglio, esteso alla stessa formulazione oltre che alla trasmissione delle proposte (quinto comma: per l'approvazione non si dice nulla). Infine si vieta l'assunzione di personale fino a che non siano state approvate le proposte in questione (sesto comma). Anche tale disciplina risulta lesiva dell'autonomia regionale, specie la' dove pretende di imporre riduzioni addirittura quantitativamente determinate (in termini percentuali, quale che sia la situazione attualeÝ) degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche, dove prevede un controllo su tali proposte da parte del dipartimento della funzione pubblica, nonche' un potere sostitutivo che inciderebbe su questioni di stretta pertinenza e interesse dell'ente decentrato (e cosi' dalla regione), e dove infine stabilisce un vero e proprio blocco temporaneo delle assunzioni (sesto comma). 8. - Gli artt. 32, 33, 34 e 35 disciplinano la mobilita' del personale tra diversi enti anche di diversi comparti di contrattazione. Questa Corte ha avuto modo, nelle sentenze nn. 407 e 410 del 1989, di precisare i limiti entro i quali la disciplina della mobilita' del personale fra diverse amministrazioni puo' trovare applicazione nei confronti delle regioni; essa ha ritenuto in particolare illegittime norme che escludano "qualsiasi intervento regionale in ordine alle decisioni circa i movimenti di personale da o verso le regioni" determinano cosi' "una penetrante interferenza nell'autonomia regionale, senza che, d'altra parte, esse "norme" possano ritenersi strettamente necessarie al fine di soddisfare l'interesse nazionale che le sorregge", nonche' violando il principio di leale cooperazione (sent. n. 407/1989); e ha affermato che non possono trovare applicazione nei confronti delle regioni norme "che impongono una serie di adempimenti specifici e puntuali a carico delle amministrazioni destinatarie" (sent. n. 4109/1989). Ora, invece, gli artt. 32, 33, 34 e 35 del decreto impugnato dettano una minuziosa disciplina della mobilita', estesa a quanto sembra anche alle regioni, e governata esclusivamente dagli organi centrali, senza alcun intervento delle regioni medesime. Cosi' si dispone la comunicazione al dipartimento della funzione pubblica della consistenza del personale e delle relative carenze ed esuberanze, con l'elenco nominativo dei dipendenti appartenenti alle qualifiche e ai profili che presentano esuberi (art. 32, primo comma), assoggettando questi ultimi a mobilita' per trasferimento a domanda o d'ufficio (secondo comma); la trasmissione al dipartimento della funzione pubblica dell'elenco nominativo delle domande di trasferimento (terzo comma), disponendo il divieto di assumere nuovo personale per le amministrazioni che non provvedano agli adempimenti predetti (quarto comma); e si estendono le disposizioni dell'art. 5 della legge n. 554/1988 agli enti strumentali e agli enti non economici dipendenti dalle regioni (quinto comma). Si attribuiscono poi ai comitati provinciali (statali) di cui all'art. 17 del d.l. n. 152/1991 il compito di formulare "proposte per la razionale redistribuzione del personale delle amministrazioni pubbliche presenti nella provincia" (art. 33, primo comma), e ai comitati metropolitani il compito di predisporre "progetti per una razionale redistribuzione del personale nei rispettivi ambiti provinciali" (secondo comma). I provvedimenti conseguenti di trasferimento del personale sono adottati con decreto del Presidente del Consiglio (terzo comma). Il personale che non ottemperi al trasferimento d'ufficio e' collocato in disponibilita' (art. 34). E' demandato infine ad un decreto del Presidente del Consiglio (qualificato "regolamento" all'art. 35, secondo comma) di disciplinare criteri e procedure per l'attuazione della mobilita' volontaria e d'ufficio, i criteri di coordinamento fra i trasferimenti a domanda e d'ufficio e fra le procedure di mobilita' e i nuovi accessi, le fasi dell'informazione e i contenuti generali oggetto dell'eventuale esame con le rappresentanze sindacali (art. 35, primo comma). Per l'attuazione della mobilita' esterna i trasferimenti sono disposti con decreto del Presidente del Consiglio (art. 35, quarto comma). Si noti, in particolare, che si prevede, ad opera del regolamento statale, la disciplina dei criteri e delle modalita' per la mobilita' del personale fra le strutture del servizio sanitario nazionale e i servizi sanitari centrali e periferici del Ministero della sanita' (art. 35, terzo comma): confermando cosi' l'"attuazione" nell'orbita statale del personale della sanita', addetto invece a enti strumentali della regione. Tale disciplina della mobilita', che non prevede nessun intervento della regione per i procedimenti di mobilita' da e verso la regione medesima, e attribuisce tutti i poteri a livello sia regolamentare, sia di amministrazione puntuale, agli organi statali, e' palesemente lesiva dei criteri affermati dalla Corte nelle citate sentenze nn. 407 e 410 del 1989. 9. - L'art. 41 demanda ad un regolamento del governo la disciplina dei requisiti di accesso all'impiego (compresa la "relativa documentazione"), dei contenuti dei bandi di concorso e delle modalita' di svolgimento delle prove concorsuali, delle categorie riservate e dei titoli di precedenza e di preferenza, delle procedure di reclutamento tramite liste di collocamento, della composizione e degli adempimenti delle commissioni giudicatrici (primo comma). Ove tale disciplina risulti applicabile anche per l'accesso agli uffici regionali e degli enti dipendenti dalla regione, nonche' agli uffici degli enti sanitari, essa appare gravemente lesiva dell'autonomia, comportando fra l'altro l'esercizio di una potesta' regolamentare del Governo in materia di competenza regionale (senza peraltro sufficienti criteri legislativamente fissati, e dunque altresi' in violazione del principio di legalita' sostanziale), in contrasto con la Costituzione e con il divieto di cui all'art. 17, seconda comma, lett. b), della legge n. 400/1988. 10. - L'art. 42, secondo comma, prevede direttive impartite dal dipartimento della funzione pubblica sui programmi di assunzione per portatori di handicap nelle amministrazioni pubbliche: anche in tal caso siamo in presenza di una potesta' di direttiva statale che si estende, illegittimamente, a materie di competenza regionale, come e' l'assunzione negli uffici della regione e degli enti dipendenti. 11. - L'art. 43 stabilisce che agli assunti all'impiego presso le amministrazioni pubbliche si applicano le disposizioni dell'art. 7, quinto e settimo comma, della legge n. 444/1985 (concernente la presentazione dei documenti e l'efficacia dei provvedimenti di nomina: la legge n. 444/1985 peraltro si riferisce ai posti disponibili nell'amministrazione statale e degli enti locali); e al secondo comma stabilisce che il personale e' tenuto a permanere nella sede di prima destinazione per almeno sette anni. Si tratta in entrambi i casi di disposizioni di stretto dettaglio, illegittimamente estese al personale della regione e degli enti dipendenti. 12. - Il titolo III disciplina la contrattazione collettiva e la rappresentanza sindacale. Rispetto alla preesistente disciplina della legge quadro n. 93/1983, si attua una profonda trasformazione. Le materie riservate alla legge sono ridotte e per tutte le altre "materie relative al rapporto di lavoro" si stabilisce che vale la contrattazione collettiva (art. 45, primo comma). I contratti collettivi nazionali, come gia' accadeva per gli accordi sindacali di cui alla legge n. 93/1983, sono stipulati per comparti della pubblica amministrazione (art. 45, seconda comma), dalle organizzazioni sindacali di comparto e dalle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (art. 45, settimo comma). Ma non e' piu' prevista una fase "normativa" di recepimento degli accordi: le amministrazioni pubbliche, semplicemente, "osservano gli obblighi assunti con i contratti collettivi" (art. 45, nono comma). In particolare, sono vincolanti, nel minimo, i trattamenti previsti dai contratti collettivi (art. 49, secondo comma). Cio' potrebbe sembrare conforme alla logica della contrattazione collettiva. Ma, in primo luogo, e' assai dubbio che gli enti pubblici dotati di autonomia costituzionalmente garantita possano essere assoggettati al vincolo di contratti collettivi "di categoria", specie se efficaci erga omnes. Inoltre - a parte i legittimi dubbi sulla conformita' di tale sistema, anche in ordine alla legittimazione a contrattare delle sole organizzazioni sindacali "maggiormente rappresentative", ai principi dell'art. 39 della Costituzione - in ogni caso il vincolo del singolo ente datore di lavoro al contratto collettivo in tanto si potrebbe giustificare, in quanto l'ente medesimo sia rappresentato o almeno possa essere rappresentato dalle organizzazioni stipulanti. Ora, pero', i contratti per il pubblico impiego sono stipulati non gia' da organizzazioni rappresentative degli enti pubblici datori di lavoro, e nemmeno da delegazioni di parte pubblica di cui facciano parte i rappresentanti di detti enti (come accadeva nel sistema della legge n. 93/1983), bensi' dalla neo-istituita "Agenzia per le relazioni sindacali", cui e' conferito ex lege il compito di rappresentare "in sede di contrattazione collettiva nazionale le pubbliche amministrazioni" (art. 50, secondo comma), attenendosi, nell'attivita' contrattuale, alle "direttive impartite dal Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la conferenza dei presidenti delle regioni per gli aspetti di interesse regionale" (art. 50, terzo comma), e dovendo solo tener conto, "in quanto compatibili" con dette direttive, delle "ulteriori indicazioni" espresse da varie rappresentanze fra cui la conferenza dei presidenti delle regioni (art. 50, quarto comma). L'agenzia e' un organismo strettamente statale, posto sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio (art. 50, primo comma) e disciplinato, quanto a organizzazione e funzionamento, da un regolamento del Governo (art. 50, settimo comma). Il direttore e' nominato dal Presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei Ministri (art. 50, nono comma), ed e' solo "coadiuvato", per le questioni relative al personale degli enti autonomi, da un "comitato di coordinamento" i cui membri sono designati dalle rappresentanze di tali enti, fra cui la conferenza dei presidenti delle regioni (art. 50, decimo comma). Il contratto concordato e' trasmesso dall'agenzia al Governo, che autorizza o meno la sottoscrizione, sentita la conferenza dei presidenti delle regioni per gli aspetti di interesse regionale (art. 51, primo comma). Inoltre e' previsto che il Ministero del tesoro quantifichi l'onere derivante dalla contrattazione collettiva, distintamente per il bilancio dello Stato e per quello delle altre amministrazioni, e che il Presidente del Consiglio impartisca "direttive" per i rinnovi contrattuali, "indicando in particolare le risorse complessivamente disponibili per i comparti, i criteri generali della distribuzione delle risorse al personale ed ogni altro elemento in ordine al rispetto egli indirizzi impartiti (art. 52, secondo comma). E' il Ministro del tesoro che, in esito alla sottoscrizione dei contratti di comparto, ripartisce con propri decreti le risorse destinate a ciascun comparto, ove sia previsto l'apporto finanziario dello Stato a copertura dei relativi oneri (art. 52, quarto comma). E' palese come tale sistema di contrattazione, applicato al personale delle regioni e degli enti dipendenti, sia tale da spogliare del tutto le regioni medesime della loro autonomia. Esse infatti non partecipano piu' alla fase contrattuale, demandata esclusivamente all'agenzia: le semplici "indicazioni" che la conferenza dei presidenti delle regioni puo' formulare, e l'apporto dei rappresentanti da questa designati nel comitato di coordinamento, non possono certo sostituire la partecipazione della singola regione ad una contrattazione i cui esiti sono peraltro per essa totalmente vincolanti. Per di piu' e' totalmente soppressa quella fase "normativa", mediante l'attuazione degli accordi ad opera della legge regionale, che consentiva alle regioni, secondo l'insegnamento della senenza n. 219/1984, la possibilita' di adeguare gli accordi "alle peculiarita' dell'ordinamento degli uffici ed alle disponibilita' del bilancio regionale", e che comunque conduceva a subordinare all'approvazione del provvedimento regionale l'operativita' degli accordi nell'ambito regionale (sent. n. 1001/1988). La regione e' percio' da un lato privata della sua potesta' legislativa in ordine alla disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti propri e degli enti strumentali; dall'altro lato e' privata della propria autonomia contrattuale poiche' e' vincolata all'osservanza di contratti collettivi alla cui stipulazione essa non puo' prendere parte in modo significativo e determinante. Sotto ogni profilo, dunque, la disciplina in esame appare contrastante con i principi costituzionali sull'autonomia regionale, nonche' con l'art. 39 della Costituzione, in quanto e' lesa altresi' l'autonomia sindacale e contrattuale della regione. A cio' si aggiunge che la contrattazione nazionale, vincolante e immediatamente operante nei confronti delle regioni, e' soggetta a poteri di autorizzazione, di direttiva e di controllo finanziario ad opera degli organi centrali dello Stato, ed e' invece sottratta ad ogni potere di determinazione di intervento e di controllo anche finanziario della regione: aggravando cosi' la lesione dell'autonomia. Va ancora notato che alcune materie specifiche, nonche' la durata dei contratti collettivi di comparto, possono essere disciplinate da "contratti collettivi quadro" (che verrebbero percio' a vincolare direttamente tutte le amministrazioni, ivi comprese le regioni), stipulati dall'agenzia statale e, per la parte sindacale, solo dalle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (art. 45, quinto e sesto comma). La contrattazione decentrata e' prevista, ma nei limiti dei contratti nazionali (art. 45, quarto comma), ed avviene ad opera di una rappresentanza del personale composta secondo modalita' definite dalla contrattazione nazionale (art. 45, secondo comma). La definizione della maggiore rappresentativita' sul piano nazionale delle organizzazioni sindacali e' determinata ad un apposito accordo tra il Presidente del Consiglio dei Ministri e le confederazioni sindacali, da recepire con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri (art. 47, primo comma); in attesa di tale decreto, si applicano le disposizioni di cui all'art. 8 del d.P.R. n. 395/1988 e le "conseguenti direttive emanate" dal dipartimento della funzione pubblica, che valgono anche in sede decentrata (art. 47, secondo comma). Anche qui, a parte i legittimi dubbi sulla conformita' di tale disciplina all'art. 39 della Costituzione, viene sottratta alle regioni ogni autonomia nel determinare le controparti contrattuali le quali stipuleranno i contratti nazionali, e anche quelli decentrati, per esse vincolanti. Il decreto, infine, disciplinando le aspettative e i permessi sindacali, prevede che i limiti massimi siano determinati in un apposito accordo stipulato fra il Presidente del Consiglio e le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, da recepire con decreto del Presidente del Consiglio, pre- via delibera del Consiglio dei Ministri; e demanda la ripartizione delle aspettative sindacali fra le confederazioni e le organizzazioni sindacali aventi titolo al dipartimento della funzione pubblica (art. 54). Anche tutti gli aspetti ora sottolineati comportano lesione dell'autonomia e delle competenze regionali. 13. - L'art. 60, nel disciplinare l'orario di servizio e l'orario di lavoro, si spinge fino a stabilire che "l'orario di servizio si articola di norma su sei giorni, di cui cinque anche nelle ore pomeridiane, con un'interruzione di almeno un'ora": cosi' interferendo in aspetti della disciplina strettamente legati alle esigenze e alle condizioni locali. Anche tale determinazione di estremo dettaglio appare lesiva dell'autonomia. 14. - L'art. 61, secondo comma, prevede che le amministrazioni adottino le misure per attuare le direttive delle Comunita' europee in materia di pari opportunita' "sulla base di quanto disposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica". Tale potere di direttiva, fra l'altro privo di ogni criterio legislativo e dunque contrastante col principio di legalita' sostanziale, e' a sua volta lesivo dell'autonomia regionale in quanto si indirizzi anche alle regioni. 15. - Gli artt. 63, 64 e 65 stabiliscono disposizioni in materia di controllo della spesa per il personale. Anche a tale proposito si assoggetta la regione a poteri di direttiva, di determinazione e di controllo di organi centrali, in contrasto con le esigenze dell'autonomia. Cosi' l'art. 63, secondo comma, stabilisce che tutte le amministrazioni pubbliche impiegano strumenti di rilevazione e sistemi informatici e statistici definiti dall'organismo statale previsto dall'art. 2, primo comma, lett. mm), della legge n. 421/1992, sulla base delle indicazioni del Ministero del tesoro. L'art. 64 prevede che le amministrazioni trasmettano ai Ministeri del tesoro e del bilancio gli elementi per la rilevazione e il controllo dei costi; che il Ministero del tesoro definisca procedure interne e tecniche di rilevazione, e provveda ad una articolazione dei bilanci a carattere sperimentale; che con decreto del Presidente del Consiglio siano elaborati i progetti di articolazione sperimentale dei bilanci pubblici; e che per la "omogeneizzazione delle procedure presso i soggetti pubblici diversi dalle amministrazioni sottoposti alla vigilanza ministeriale" la Presidenza del Consiglio adotti "apposito atto di indirizzo e coordinamento": potere, quest'ultimo, in particolare, esercitato con procedura anomala e non vincolato a criteri di legge, e dunque in contrasto anche col principio di legalita' sostanziale. L'art. 65 attribuisce al Ministero del tesoro il compito di definire un modello di rilevazione del personale e delle relative spese, vincolante per la presentazione a nnuale del conto delle spese di personale (secondo comma). Infine l'art. 70, secondo comma, prevede che l'applicazione dei contratti collettivi sia oggetto di verifica del Ministero del tesoro e del dipartimento della funzione pubblica. Tutti i poteri e i controlli indicati appaiono ingiustificati e lesivi dell'autonomia in quanto si esplichino anche nei confronti delle regioni. 16. - L'art. 67 del decreto stabilisce che "il commissario del Governo rappresenta lo Stato nel territorio regionale"; che egli e' responsabile nei confronti del Governo del flusso di informazioni degli enti pubblici operanti nel territorio (il che sembrerebbe suggerire una qualche sua ingerenza presso gli enti stessi); e che "ogni comunicazione del Governo alla regione avviene tramite il commissario del Governo". Questa configurazione estensiva del ruolo e dei compiti del commissario non corrisponde a quanto disposto dall'art. 124 della Costituzione, secondo cui al Commissario del Governo - oltre alle funzioni specifiche previste dall'art. 127 - spetta solo il compito di sopraintendere alle funzioni amministrative esercitate in periferia da organi dello Stato e di coordinarle con quelle esercitate dalla regione. Nessun ruolo di rappresentanza generale dello Stato, dunque (in un ordinamento regionalistico, lo "Stato" nella sua unita' articolata e' "rappresentato" in periferia dagli organi degli enti territoriali), nessuna responsabilita' per i flussi informativi provenienti dagli enti autonomi, nessuna esclusiva nei rapporti fra il Governo e la regione. Al contrario i rapporti fra il Governo e la regione debbono instaurarsi a livello degli organi costituzionali, come ha chiarito questa Corte quando ad esempio ha escluso la legittimita' di poteri sostitutivi statali nei confronti della regione esercitati dal Commissario del Governo (sent. n. 177/1988). Anche l'art. 67 del decreto appare pertanto illegittimo.
P. Q. M. La regione ricorrente chiede che la Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni in epigrafe indi- cate del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29. Roma, addi' 6 marzo 1993 Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA 93C0282