N. 10 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 19 marzo 1993
N. 10 Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato depositato in cancelleria il 19 marzo 1993 (del tribunale civile di Roma) Delibera del Senato della Repubblica in ordine alla recezione e conferma, in data 8 maggio 1987, della delibera adottata in precedenza dalla giunta per le immunita' parlamentari con la quale si era statuito che le asserzioni contenute nel libro (ed. Marsilio) scritto dal senatore Raimondo Ricci "I poteri occulti dello Stato", circa la pretesa partecipazione del sig. Nicola Falde ad attivita' politico-eversive della loggia massonica P2, per cui il primo (insieme con l'editore e il comune di Venezia) era stato citato per risarcimento di danni innanzi al tribunale ricorrente, ricadevano nella prerogativa di insindacabilita' sancita dall'art. 68, primo comma, della Costituzione - Ritenuta insufficienza, a giustificare tale insindacabilita', del motivo (corrispondenza delle censurate asserzioni al contenuto di atti della commissione parlamentare di inchiesta sulla suddetta loggia massonica) posto a base della impugnata delibera - Richiamo ai principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale n. 1150/1988 - Conflitto gia' discusso, in sede di ammissibilita', nella camera di consiglio del 16 dicembre 1992 e dichiarato ammissibile con ordinanza n. 68/1/993. (Delibera del Senato della Repubblica adottata l'8 maggio 1987). (Cost., art. 68, primo comma).(GU n.15 del 7-4-1993 )
Il tribunale civile di Roma sezione prima, riunito in camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado, iscritta al 12437 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 1986 posta in deliberazione all'udienza collegiale dal 20 gennaio 1992 e vertente tra Falde Nicola, elettivamente domiciliato in Roma, via G.B. De Rossi, 20/cz, presso lo studio del procuratore avv. Domenico De Marsico, che lo rappresenta e diffende per delega attore e Raimondo Ricci, elettivamente domiciliato in Roma, via Ovidio, 32, presso lo studio del procuratore avv. Marco Nuzzo che unitamente agli avvocati Adolfo Di Majo e Nicolo' Lipari lo rappresenta e difende per procura a margine della comparsa di risposta, convenuto, nonche' Marsilio Editori S.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, via G. D. Romagnosi, 1/b, presso lo studio del procuratore avv. Caro Capriolo e Sergio Smedile che la rappresenta e difendono per procura a margine della comparsa di risposta, convenuta, e il comune di Venezia, in persona del sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Barnaba Tortolini, 34, presso lo studio del procuratore avv. Nicolo' Paoletti che unitamente all'avv. Alberto Predieri lo rappresenta e diffende per procura a margine della comparsa di risposta, chiamato in causa, avente ad oggetto: risarcimento danni. Il tribunale letti gli atti; OSSERVA IN FATTO Con atto di citazione notificato il 28 aprile 1986 Nicola Falde esponeva che nel libro intitolato "I poteri occulti dello Stato" edito dalla Marsilio Editori S.p.a. era riportato uno scritto del sen. Raimondo Ricci nel quale si faceva riferimento ad una pretesa sua partecipazione ad attivita' politico-eversiva, poste in essere dalla loggia massonica P2, che si sarebbe estrinsecata da un lato, nell'ambito del c.d. "progetto per la stampa", nella sua nomina, decisa dai vertici della loggia, a direttore del settimanale O.P. di Mino Pecorelli, dall'altro nella costituzione insieme ad altri del Nuovo Partito Popolare nell'intento di creare un nuovo schieramento cattolico che ovviasse alle insufficenze delle Democrazia Cristiana; rappresentato che tali riferimenti costituivano "illeciti diffamatori e calunniosi" integrati reati penali ma azionabili anche autonomamente in sede civile, alla luce dell'ormai costante orientamento della s.c. seguito alla sentenza 23 ottobre 1984, n. 5259; lamentato che a seguito della pubblicazione del libro aveva subito gravi danni anche patrimoniali in relazione alla perdita di varie occassioni di lavoro, conveniva in giudizio l'autore dello scritto e la predetta casa editrice per sentirli condannare in solido al risarcimento in suo favore del predetto danno. Si costituiva in giudizio il sen. Raimondo Ricci il quale, oltre a chiedere nel merito il rigetto della domanda in quanto completamente infondata, rappresentava in limine che il contenuto dello scritto in questione riproduceva fedelemente in relazione da lui svolta nel convegno tenutosi in Venezia ed organizzato dal comune della citta' lagunare nel 1983 proprio sul tema riprodotto come titolo del libro; poiche' a tale convegno egli era stato inviato nella sua qualita' di parlamentare e specificamente di vice-presidente della Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2 ed il contenuto della sua relazione riproduceva gli atti e i documenti acquisiti dalla predetta Commissione d'inchiesta ne derivava, secondo il convenuto, che le opinioni espresse in tale sede dovevano ritenersi coperte dalla insindacabilita' parlamentare di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione; di qui l'eccezione di improponibilita' della domanda introdotta nei suoi confronti. Si costituiva in giudizio anche la societa' editrice per chiedere in principalita' il rigetto della domanda ed in subordine la chiamata in causa del comune di Venezia, in quanto comunque tenuto, in ipotesi di accoglimento della domanda attrice, a tenerla indenne dalle pretese risarcitorie avanzate nei suoi confronti. Autorizzata la chiamata, si costituiva in giudizio il predetto comune per chiedere a sua volta il rigetto della domanda formulata nei suoi confronti. All'udienza dell'8 maggio 1987 il convenuto Ricci depositava copia della delibera del Senato della Repubblica con la quale l'assemblea recepiva e confermava la decisione della giunta per le immunita' parlamentari del 16 aprile 1987, la quale aveva statuito all'unanimita' che i fatti per i quali era stata esperita nei confronti del sen. Ricci l'azione civile oggetto del presente giudizio ricadevano nella prerogativa della insindacabilita' sancita dall'art. 68, primo comma, della Costituzione. All'udienza del 22 giugno 1990, precisate le conclusioni, la causa veniva rimessa al collegio e da quest'ultimo trattenuta in decisione del 20 gennaio 1992. Tanto premesso il tribunale. RILEVA IN DIRITTO 1. - Va preliminarmente esaminata la rilevanza della delibera del Senato della Repubblica di cui in narrativa ai fini della decisione del presente giudizio. Si osserva al riguardo che la Corte costituzionale, pronunciando su un conflitto di attribuzione sollevato dalla corte di appello di Roma in analoga fattispecie, con decisione 29 dicembre 1988, n. 1150, ha affermato che l'art. 68, primo comma, della Costituzione attribuisce alla camera di appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata a un proprio membro, con effetto, qualora la stessa sia qualificata come ricompresa nell'esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire, in ordine ad essa, una diforme pronuncia giudiziale di responsabilita'. Facendo applicazione di tale principio al caso di specie ne discenderebbe che, poiche' la delibera sopra indicata riguarda espressamente il presente giudizio, questo tribunale sarebbe senz'altro tenuto a statuire l'improponibilita' della domanda introdotta nei confronti del senatore Ricci. Senonche' la Corte, nella medesima decisione, considerata l'estrema delicatezza della materia - la nostra Costituzione riconosce tra i diritti inviolabili quello all'onore ed alla reputazione -, ha contemporaneamente chiarito che tale potere valutativo delle camere "non e' arbitrario o soggetto soltanto ad una regola interna di self-restraint", ma deve essere correttamente esercitato. Di qui la conseguenza che qualora il giudice civile in una causa di risarcimento danni, promossa da una persona lesa da dichiarazioni asseritamente diffamatorie fatta da un deputato o senatore in sede extra parlamentare, reputi che la delibera della camera di appartenenza, che afferma l'irresponsabilita' di un parlamentare convenuto in giudizio, sia il risultato di un esercizio illegittimo (o come altri si esprime di "cattivo uso") del potere di valutazione, puo' provocare il controllo della Corte costituzionale sollevando davanti a questo conflitto di attribuzione, al fine di contestare l'altrui potere come in concreto esercitato; cio' sia per vizi in procedendo che per omessa o erronea valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti per il valido esercizio di esso. 2. - Questo tribunale in ottemperanza a quanto stabilito dalla stessa Corte costituzionale, nella consapevolezza della particolare rilevanza dei diritti in discussione, ritiene necessario sottoporre ad un sereno ma rigoroso esame la delibera in questione al fine di accertare se i principi affermati possano ritenersi conformi al dettato costituzionale. In esito a tale disamina il collegio ha maturato il convincimento che alcune delle affermazioni contenute nella delibera richiedano una verifica da parte della Corte regolatrice in ordine al corretto uso, nel caso di specie, del potere in questione. Le perplessita' riguardano i seguenti profili: a) si afferma nella delibera che il sen. Ricci era intervenuto al convegno di Venezia "in qualita' di vicepresidente della commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2". Poiche' certamente la partecipazione ad un convegno non rientra tra i compiti istituzionali del parlamentare, si rileva che detta partecipazione non puo' che essere avvenuta a titolo personale; la qualita' di Vice-Presidente della commissione di inchiesta, anche se annunciata nella presentazione del convegno, non puo' quindi essere stata, dal punto di vista funzionale, la veste nella quale il sen. Ricci ha letto la sua relazione. Sul problema della delimitazione del concetto di "funzione parlamentare" la dottrina prevalente, che questo collegio condivide, ritiene che la disposizione in questione, anche se non ha riprodotto il criterio spaziale previsto nello statuto Albertino - "nelle Camere" -, ha chiaramente voluto far riferimento alle attivita' tipiche del parlamentare e non ha inteso recepire quella nozione estensiva, sostenuta da parte minoritaria della dottrina, secondo cui in tale funzione siano da ricomprendere genericamante tutte le attivita' latu senso politiche del deputato o senatore; b) l'affermazione secondo cui l'irresponsabilita' dovrebbe essere affermata per il fatto che vi sarebbe sostanziale identita' tra i fatti esposti dal sen. Ricci nel convegno e "quelli riportati negli atti e documenti della commissione d'inchiesta sulla loggia massonica P2 dai quali le affermazioni del senatore Ricci furono desunte". A prescindere dalla verifica della fondatezza di tale assunto, cio' che lascia perplessi e la conseguenza che dallo stesso si ritiene di dover trarre; affermare infatti che dalla su riferita identita' si dovrebbe desumere che le opinioni espresse nella relazione al convegno siano da ricondurre nella prerogativa della insindacabilita' di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione, significa dare di tale disposizione ancora una volta un'interpretazione estensiva, che non trova riscontro nella formulazione letterale dell'articolo in questione e che non risulta essere mai stata sostenuta ne' in dottrina ne' in giurisprudenza. Si e' infatti discusso, in alcune decisioni dei giudici ordinari, sulla possibilita' di far rientrare nell'insindacabilita' le affermazioni contenute in una intervista rilasciata ad un giornale ove le stesse riproducano fedelmente il contenuto ad es. un interrogazione o interpellanza presentata dal parlamentare (in tale senso si veda trib. di Roma 7 novembre 1986, n. 15326, in Foro it. 1988, I. 587: trib. di Milano 21 luglio 1983 in Foro pad., 1905,265). Ma una corrispondenza siffatta e all'evidenza cosa ben diversa dalla mera riscontrabilita' tra le affermazioni fatte nella sede extraparlamentare ed atti e documenti parlamentari, ritenuta dal Senato come rilevante ai fini della insindacabilita' nella delibera in esame; e cio' sia perche' gli atti non provengono dallo stesso soggetto autore della relazione (si tratta infatti di relazioni elab- orate da un organo collegiale quale e' da considerare la Commissione parlamentare di inchiesta) e sia perche' i documenti (rapporti, fascicoli, verbali etc.) sono stati semplicemente acquisiti agli atti della commissione e non quindi tecnicamente da definire come atti parlamentari; cio' che piu' conta e in ogni caso che ne' gli atti ne' i documenti contengono personali "opinioni espresse" dall'autore della relazione - e delle quali quest'ultima possa definirsi come una mera riproduzione -; c) il Senato non si e' limitato ad effettuare un'esame di carattere funzionale, ma affermando la corrispondenza tra le opinioni espresse nella relazione e gli atti e documenti della commissione d'inchiesta, ha finito per esprimere il proprio giudizio sulla non esistenza del carattere diffamatorio nelle affermazioni contenute nel libro e quindi in ultima analisi si e' pronunciato sul merito della domanda proposta davanti a questo tribunale. Detto giudizio coincide infatti con l'accertamento sulla esistenza del requisito della verita' quanto meno putativa delle affermazioni contenute nella relazione del convegno che il tribunale sara' comunque chiamato ad effettuare. In questa sede non interessa esaminare il merito delle conclusioni raggiunte sul punto del Senato; il quesito che invece questo tribunale ritiene di dover sottopporre all'esame della corte e' se attraverso l'iter argomentativo sopra riferito il Senato non abbia finito per esercitare una funzione giurisdizionale che in tale materia la Costituzione non sembra gli attribuisca. Tale ultimo profilo rende opportuno tra l'altro disporre la sospensione del giudizio anche nei confronti degli altri convenuti; pur non essendo agli stessi estensibile la garanzia in questione, e' evidente la rilevanza di una decisione della Corte che riconosca il potere della camera di appartenenza di uno dei convenuti di pronunciarsi anche nel merito della domanda. La sospensione deve pertanto investire l'intero processo in attesa che la Corte, cui gli atti andranno trasmessi ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dirima il conflitto scaturente dalle considerazioni di cui sopra.
P. Q. M. Visto l'art. 134 della Costituzione e l'art. 37 della legge 1½ marzo 1953, n. 87; Solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in ordine al corretto uso del potere di decidere sulla imperseguibilita' stabilita dall'art. 68, primo comma, della Costituzione cosi' come esercitato dal Senato della Repubblica con la delibera adottata l'8 maggio 1987 in riferimento al giudizio civile incardinato davanti al tribunale di Roma da Nicola Falde nei confronti dal sen. Raimondo Ricci; Sospende il presente giudizio ed ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione del conflitto; Manda alla cancelleria di eseguire le notifiche di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del tribunale il 20 febbraio 1992. Il presidente: LO TURCO Il direttore di cancelleria dirigente: PODRINI 93C0284