N. 121 SENTENZA 25 - 29 marzo 1993

 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego pubblico -  Prestazione  di  servizio  da  parte  di  persona
 estranea  all'Amministrazione dello Stato - Prestazione saltuaria con
 utilizzo  per  esigenze  particolari  e  temporanee  dei  servizi   -
 Incarichi  a contenuto di lavoro subordinato - Diritto al trattamento
 di previdenza e di quiescenza e  all'indennita'  di  licenziamento  -
 Esclusione - Violazione dell'art. 36, primo comma, della Costituzione
 - Illegittimita' costituzionale parziale.
 "
 (Legge 23 giugno 1961, n. 520, art. 11)
 "
 (Cost., artt. 1 e 36).
(GU n.15 del 7-4-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge
 23 giugno 1961,  n.  520  (Disciplina  del  rapporto  di  lavoro  del
 personale  estraneo  all'Amministrazione  dello  Stato assunto per le
 esigenze dell'attivita' specializzata dei servizi del turismo e dello
 spettacolo, informazioni e proprieta'  intellettuale),  promosso  con
 ordinanza  emessa il 3 dicembre 1991 dal Consiglio di Stato - Sezione
 quarta giurisdizionale, sul ricorso  proposto  dalla  Presidenza  del
 Consiglio  dei  ministri contro Chibbaro Rita, iscritta al n. 422 del
 registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1992.
    Visto l'atto di costituzione di Chibbaro Rita;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  gennaio  1993  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Udito l'avv. Antonio Cochetti per Chibbaro Rita.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza del 3 dicembre 1991  (pervenuta  il  16  luglio
 1992  ed  iscritta  al  r.o.  con  il n. 422), il Consiglio di Stato,
 Sezione IV, ha sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  11 della legge 23 giugno 1961, n. 520 (recante "Disciplina
 del rapporto di lavoro  del  personale  estraneo  all'Amministrazione
 dello  Stato assunto per le esigenze dell'attivita' specializzata dei
 servizi del turismo e  dello  spettacolo  informazioni  e  proprieta'
 intellettuale").
    La  legge  suddetta  prevede  che  la Presidenza del Consiglio dei
 Ministri ed il Ministero  del  turismo  e  dello  spettacolo  possono
 avvalersi  dell'opera  di  persone estranee all'Amministrazione dello
 Stato,  particolarmente  esperte  nelle  materie  di  competenza  dei
 servizi delle informazioni e della proprieta' letteraria, artistica e
 scientifica  nonche' dei servizi del turismo e dello spettacolo. Tale
 personale si distingue in personale a contratto a termine rinnovabile
 e  personale  a  prestazione  saltuaria.  Riguardo  a   quest'ultimo,
 l'impugnato  art.  11  stabilisce  che  esso "non ha diritto ad alcun
 trattamento di previdenza e  di  quiescenza,  ne'  ad  indennita'  di
 licenziamento".
    Il  giudice  a  quo  dubita che tale norma sia compatibile con gli
 artt.  1  e  36  della  Costituzione,   che,   nel   vigente   ordine
 costituzionale,  fondato  sul  lavoro, garantiscono il diritto ad una
 retribuzione proporzionata  alla  quantita'  e  qualita'  del  lavoro
 prestato  e,  in ogni caso, sufficiente ad assicurare al lavoratore e
 alla sua famiglia  una  esistenza  libera  e  dignitosa.  Va  infatti
 considerato - precisa il Consiglio di Stato - che anche la pensione e
 l'indennita'   di  fine  rapporto  hanno  carattere  di  retribuzione
 differita e che la indicata  normativa  puo'  apparire  lesiva  della
 funzione  minima  della  retribuzione, che e' quella di sostentamento
 del lavoratore.
    Ritenuta rilevante tale questione di  legittimita'  costituzionale
 ai  fini  della  definizione  del  giudizio  -  avente ad oggetto una
 domanda di pagamento di differenze retributive e  dell'indennita'  di
 fine  rapporto,  nonche'  di  risarcimento  del  danno  per omissione
 contributiva, avanzata da  una  ricorrente  che  aveva  prestato  per
 quattordici   anni   consecutivi   la  propria  attivita'  presso  la
 Presidenza del Consiglio e presso la Prefettura di Palermo  rimanendo
 inquadrata fra il personale a prestazione saltuaria - il Consiglio di
 Stato l'ha rimessa all'esame della Corte.
    2. - Nel giudizio davanti alla Corte si e' costituita l'originaria
 ricorrente,  sig.ra  Rita  Chibbaro,  che  ha  chiesto  alla Corte di
 dichiarare l'illegittimita' costituzionale della norma denunziata.
                        Considerato in diritto
    1. - La questione sottoposta all'esame della Corte  nasce  da  una
 controversia  promossa nel 1977 da Rita Chibbaro che assumeva di aver
 prestato continuativamente per 14  anni  la  propria  attivita'  come
 schedarista  presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e presso
 la Prefettura di Palermo.
    Il Consiglio di  Stato,  davanti  al  quale  la  controversia  era
 approdata dopo una lunga e complessa vicenda processuale, ha rilevato
 che  il  rapporto  tra  la  ricorrente  e l'Amministrazione traeva la
 propria fonte e la  propria  qualificazione  in  una  serie  di  atti
 organizzativi  -  e  pertanto di carattere autoritativo - che avevano
 univocamente definito il rapporto stesso come "prestazione saltuaria"
 ai sensi dell'art. 10 della legge 23 giugno 1961, n. 520.
    La legge suddetta prevede,  all'art.  1,  che  la  Presidenza  del
 Consiglio   dei  ministri  ed  il  Ministero  per  il  turismo  e  lo
 spettacolo, per le esigenze dell'attivita' specializzata relativa  ai
 servizi delle informazioni e della proprieta' letteraria, artistica e
 scientifica,  nonche'  di  quella  relativa  ai servizi del turismo e
 dello spettacolo, possano avvalersi dell'opera  di  persone  estranee
 all'Amministrazione dello Stato particolarmente esperte nelle materie
 di  competenza  dei  servizi stessi. Tale personale viene distinto in
 due categorie: la prima  e'  quella  del  "personale  a  contratto  a
 termine   rinnovabile"   ed   il   relativo  rapporto  di  lavoro  e'
 disciplinato dagli articoli da 2 a 9 della medesima legge. La seconda
 categoria e' rappresentata dal "personale a prestazione saltuaria" ed
 il relativo rapporto di lavoro e' disciplinato dagli articoli da 10 a
 12.   Piu'  precisamente,  l'art.  10  prevede  che  il  personale  a
 prestazione saltuaria  sia  utilizzato  per  esigenze  particolari  e
 temporanee    dei    servizi   e   demanda   a   successivi   decreti
 interministeriali  la  determinazione  dei  criteri  concernenti   le
 prestazioni  e  i  relativi  compensi.  L'art.  11  stabilisce che il
 personale suddetto non ha diritto ad alcun trattamento di  previdenza
 e  di  quiescenza, ne' ad indennita' di licenziamento. Per l'art. 12,
 infine, "le prestazioni rese in applicazione della presente legge non
 fanno sorgere, in ogni caso, rapporto di pubblico impiego".
    Il Consiglio di Stato, con l'ordinanza gia' indicata in  epigrafe,
 chiede a questa Corte di esaminare la legittimita' costituzionale del
 citato  art.  11,  che  dispone  l'esclusione,  per  il  personale  a
 prestazione saltuaria, del diritto al trattamento di previdenza e  di
 quiescenza  e all'indennita' di licenziamento. Tale norma, secondo il
 giudice a quo, appare contrastare con  gli  articoli  1  e  36  della
 Costituzione, dovendosi considerare che la pensione e l'indennita' di
 fine rapporto hanno natura di retribuzione differita, si' che la loro
 esclusione   lede   il   diritto   costituzionalmente  garantito  del
 lavoratore  ad  una  retribuzione  proporzionata  alla  quantita'   e
 qualita'  del  lavoro  prestato  e,  in  ogni  caso,  sufficiente  ad
 assicurare al lavoratore stesso  e  alla  sua  famiglia  un'esistenza
 libera e dignitosa.
    2.  -  La  questione prospettata dal Consiglio di Stato presuppone
 che la sopra descritta normativa relativa al "personale a prestazione
 saltuaria" sia ritenuta applicabile (anche) rispetto  a  rapporti  di
 lavoro  che  presentino  i  caratteri  oggettivi  propri  del  lavoro
 subordinato. Qualora, infatti, la normativa stessa  fosse  riferibile
 esclusivamente  a  rapporti  di  lavoro  autonomo,  il  richiamo alla
 garanzia costituzionale del diritto ad una  retribuzione  adeguata  e
 comunque   sufficiente  non  avrebbe  ragion  d'essere  nel  caso  di
 conformita' del rapporto concreto alla  fattispecie  legale,  mentre,
 nel  caso  di un rapporto che abbia assunto in via di mero fatto - ed
 in contrasto con l'atto che  lo  ha  costituito  -  le  modalita'  di
 svolgimento  concreto  proprie del rapporto di lavoro subordinato, si
 avrebbe invalidita' del rapporto, ma il  diritto  del  dipendente  di
 mero  fatto  alle  prestazioni  retributive  e  previdenziali sarebbe
 salvaguardato dall'art. 2126 cod. civ. (Consiglio di Stato,  adunanza
 plenaria, 29 febbraio 1992 nn. 1 e 2 e 5 marzo 1992 nn. 5 e 6).
    Non   vi   sono   motivi   per   disattendere   in   questa   sede
 l'interpretazione che  il  Consiglio  di  Stato  ha  dato  in  ordine
 all'ambito  di applicazione della normativa riguardante il "personale
 a prestazione  saltuaria".  Puo'  osservarsi,  al  riguardo,  che  la
 sussumibilita'   in  tale  categoria  anche  di  rapporti  di  lavoro
 subordinato  appare  consentita  dalla  assoluta  genericita'   della
 definizione  normativa  della  fattispecie,  mentre  non  puo' essere
 considerata di ostacolo la  sola  menzione  del  carattere  saltuario
 della   prestazione,   non   essendo   tale   carattere  di  per  se'
 incompatibile con la configurabilita' del rapporto come  rapporto  di
 lavoro subordinato allorquando tra una prestazione e l'altra permanga
 il  vincolo  di  disponibilita'  per  il lavoratore e vi sia comunque
 l'inserimento  di  quest'ultimo  nell'organizzazione  del  datore  di
 lavoro  (Cass., 8 gennaio 1987, n. 51; 1› settembre 1986, n. 5363; 1›
 marzo 1984, n. 1457 e numerose altre).
    Ne'  e'  di  ostacolo la norma contenuta nell'art. 12, secondo cui
 "Le prestazioni rese in applicazione della medesima legge  non  fanno
 sorgere,  in  ogni caso, rapporto di pubblico impiego". Con tale for-
 mula, infatti, il legislatore ha inteso escludere non gia' la  natura
 subordinata   dei   rapporti   di   lavoro   in  questione,  ma  solo
 l'applicabilita' ai medesimi delle particolari norme sostanziali  che
 disciplinano  il rapporto di pubblico impiego: cio' e' reso evidente,
 del resto, dal fatto che la norma si riferisce anche ai  contratti  a
 termine  rinnovabili,  per i quali la qualificazione come rapporti di
 lavoro subordinato non puo' essere messa in  discussione.  Ed  e'  da
 precisare  che  non sarebbe comunque consentito al legislatore negare
 la qualificazione giuridica  di  rapporti  di  lavoro  subordinato  a
 rapporti  che  oggettivamente abbiano tale natura, ove da cio' derivi
 l'inapplicabilita' delle norme inderogabili previste dall'ordinamento
 per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai  diritti  dettati
 dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato.
    Gli  stessi  decreti interministeriali 2 luglio 1962 e 12 dicembre
 1966 con i quali sono  stati  stabiliti  i  "criteri  concernenti  le
 prestazioni   saltuarie   del   personale   utilizzato  per  esigenze
 particolari e temporanee dei servizi, di cui all'art. 10 della  legge
 520" del 1961 non arrecano specificazioni rilevanti per escludere che
 nella  categoria  dei rapporti a prestazione saltuaria possano essere
 compresi anche rapporti di lavoro subordinato. Vi e' anzi da rilevare
 che vi si prevede che l'osservanza  dell'orario  di  ufficio  non  e'
 richiesta  in  via  normale:  il  che lascia spazio ad ipotesi in cui
 l'osservanza di tale orario sia invece richiesta.  Non  rilevante  e'
 invece  la  formulazione,  contenuta  in tali decreti, secondo cui le
 prestazioni del personale in questione non fanno sorgere rapporto  di
 impiego,  ne'  pubblico  ne'  privato: non rientra infatti nei poteri
 della  pubblica  Amministrazione,  essendo  invece  prerogativa   del
 legislatore,  nel  rispetto  dei  limiti  gia'  detti,  stabilire  la
 qualificazione giuridica dei rapporti.
    L'interpretazione presupposta dal Consiglio  di  Stato  trova  poi
 indiretta conferma nella legge 20 dicembre 1965, n. 1435, che, per la
 categoria  di personale in oggetto, previde che coloro che prestavano
 la loro opera da almeno un anno potessero, a domanda, essere  assunti
 con  contratto  a  termine  rinnovabile,  con  cio'  evidenziando  la
 consapevolezza da parte del legislatore della  possibile  omogeneita'
 delle  due  categorie  di  personale  previste dalla legge n. 520 del
 1961. Dalla  documentazione  che  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
 ministri  ha  fornito a questa Corte risulta, del resto, che rapporti
 instaurati ai sensi dell'art. 10 della  legge  n.  520  del  1961  si
 riferivano   anche   a   personale   adibito   a  prestare  "servizio
 continuativo e a pieno tempo" presso l'Amministrazione.
    3. - Tanto premesso in ordine  all'ambito  di  applicazione  della
 disciplina  in  esame,  la  questione  di legittimita' costituzionale
 formulata dal Consiglio di Stato  e'  fondata,  ma  solo  per  quanto
 attiene  all'applicabilita'  del  denunziato  art.  11  ad  incarichi
 destinati a dar luogo a rapporti che presentino i caratteri oggettivi
 propri del lavoro subordinato. Per tal genere di  rapporti,  infatti,
 l'esclusione del diritto al trattamento di previdenza e di quiescenza
 e   all'indennita'   di  licenziamento  costituisce  palesemente  una
 violazione  dell'art.  36,  primo  comma,  della  Costituzione.  Tale
 violazione  non  e' invece configurabile con riferimento ad incarichi
 di  lavoro  autonomo,  dato  che  il  diritto  al trattamento di fine
 rapporto e al trattamento previdenziale  e'  garantito  dall'art.  36
 solamente per il lavoratore subordinato.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 11 della legge
 23 giugno 1961,  n.  520  (Disciplina  del  rapporto  di  lavoro  del
 personale  estraneo  all'Amministrazione  dello  Stato assunto per le
 esigenze dell'attivita' specializzata dei servizi del turismo e dello
 spettacolo, informazioni e proprieta' intellettuale), nella parte  in
 cui  si  applica  anche ad incarichi aventi ad oggetto prestazioni di
 lavoro subordinato.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 29 marzo 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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