N. 128 SENTENZA 25 marzo - 1 aprile 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Imposte in  genere  -  Regioni  Lombardia  e  Toscana  -  Imposta  di
 fabbricazione  sugli olii minerali - Anno 1992 - Quote - Decurtazione
 -  Disposizioni  miranti  al  contenimento  delle  spese,  non   solo
 regionali,  nell'ambito di una manovra complessiva di risanamento dei
 conti pubblici - Non fondatezza e inammissibilita'.
 
 (D.-L. 11 luglio  1992,  n.  333,  art.  1,  terzo  e  quarto  comma,
 convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359).
 
 (Cost., artt. 3, 81, quarto comma, 97, 117 e 119).
(GU n.15 del 7-4-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1, terzo e
 quarto comma, del  decreto-legge  11  luglio  1992,  n.  333  (Misure
 urgenti  per  il  risanamento  della finanza pubblica), nonche' della
 legge  8  agosto  1992,  n.  359,  nella  parte  in  cui  dispone  la
 conversione  delle disposizioni impugnate, promossi con ricorsi delle
 Regioni Lombardia  e  Toscana,  notificati  il  7,  10  agosto  e  12
 settembre  1992,  depositati  in  cancelleria  il  14, 18 agosto e 19
 settembre 1992 ed iscritti ai nn. 61, 62 e 65  del  registro  ricorsi
 1992;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  gennaio  1993  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi   l'Avvocato  Valerio  Onida  per  la  Regione  Lombardia  e
 l'Avvocato Alberto Predieri per la Regione Toscana e l'Avvocato dello
 Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ricorso regolarmente notificato e depositato la Regione
 Lombardia  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  1, terzo e quarto comma, del decreto-legge 11 luglio 1992,
 n. 333 (Misure urgenti per il risanamento  della  finanza  pubblica),
 convertito  con  modificazioni nella legge 8 agosto 1992, n. 359, per
 violazione degli artt. 117,  118,  119  e  81,  quarto  comma,  della
 Costituzione  (in connessione, sotto quest'ultimo profilo, con l'art.
 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468 e con  l'art.  3,  sesto  comma,
 della legge 14 giugno 1990, n. 158).
    1.1.  -  Secondo  la ricorrente, l'autonomia finanziaria garantita
 alle regioni  dall'art.  119  della  Costituzione  risulterebbe  lesa
 dall'art.  1,  terzo  comma,  del  decreto-legge contestato, il quale
 modifica l'art. 6, secondo e terzo comma,  della  legge  31  dicembre
 1991,  n. 415 (Legge finanziaria per il 1992), nel senso che la quota
 dell'imposta di fabbricazione sugli oli minerali, sui loro derivati e
 sui prodotti analoghi, e' decurtata per l'anno 1992  dall'11,678  per
 cento  al  10,50 per cento, con la consequenziale riduzione del fondo
 comune, sempre per l'anno 1992, da 6.957 miliardi a  6.632  miliardi.
 La   ricorrente   sottolinea   che  l'art.  119  della  Costituzione,
 nell'attuazione ad esso data dalle leggi nn. 281 del 1970 e  158  del
 1990, garantisce l'autonomia finanziaria anche mediante la previsione
 del conferimento in un fondo comune di quote di tributi erariali, tra
 cui rientra l'imposta di fabbricazione sugli oli minerali.
    Dopo  aver ricordato che negli ultimi anni il legislatore statale,
 in  contrasto  con  i  principi   stabiliti   dall'art.   119   della
 Costituzione, ha fatto ricorso all'espediente di fissare annualmente,
 in  sede  di  legge  finanziaria  o  di legge di accompagnamento o di
 legislazione  speciale,  la  quota  del   gettito   dell'imposta   di
 fabbricazione   sugli  oli  minerali  confluente  nel  fondo  comune,
 determinandola addirittura in cifra, la  ricorrente  osserva  che  la
 disposizione    impugnata   incide   sulla   predetta   quota,   gia'
 sensibilmente decurtata da una precedente riduzione  accettata  dalle
 regioni   in   spirito  di  collaborazione  nella  comune  azione  di
 contenimento del deficit statale, introducendo un elemento di novita'
 profondamente  lesivo  dell'autonomia   finanziaria   regionale:   la
 disposizione  impugnata,  infatti,  interviene  nel  luglio  del 1992
 pretendendo di ridurre per l'esercizio gia'  in  corso  dello  stesso
 anno  1992,  il fondo comune, peraltro gia' ripartito fra le regioni,
 destinato al finanziamento delle spese necessarie a far  fronte  alle
 normali   funzioni   regionali,   compresi  i  servizi  di  rilevanza
 nazionale. E tutto cio' avviene, precisa la ricorrente, nello  stesso
 momento   in   cui   questa   Corte   ha   auspicato   una   compiuta
 razionalizzazione del sistema di finanziamento  per  le  regioni,  al
 fine  di  assicurare  la  necessaria corrispondenza tra bisogni della
 collettivita' regionale e mezzi finanziari, e nel momento in  cui  la
 legge  n.  142  del 1990 ha affermato per le province e per i comuni,
 che non godono certo  dell'autonomia  finanziaria  costituzionalmente
 assicurata  alle  regioni,  l'esigenza di godere di risorse proprie e
 trasferite.
    In  secondo  luogo,  ad  avviso  della   Regione   Lombardia,   la
 disposizione  impugnata renderebbe evidente che il sistema di finanza
 regionale si basa su  una  finzione,  consistente  nel  continuare  a
 ritenere  che  il  fondo  comune  sia finanziato con quote di tributi
 erariali   (come   imposto  dall'art.  119  della  Costituzione).  La
 finzione,  osserva  la  Regione,  viene  disvelata   dal   meccanismo
 contenuto   nella  disposizione  contestata,  in  base  al  quale  il
 legislatore statale determina in cifra fissa l'importo del fondo, per
 commisurare poi a  questa  la  percentuale  della  quota  di  tributi
 erariali  conferiti  al  fondo  stesso.  In  tal  modo, non si ha una
 predeterminazione della  quota  e  l'attribuzione  alle  regioni  del
 gettito   effettivamente   corrispondente   a  quella  quota,  ma  si
 predefinisce l'entita' del fondo prescindendo del tutto  dal  gettito
 di  un  determinato tributo e si individua la quota in misura tale da
 creare un rapporto di corrispondenza con l'importo del fondo.
    Se il  sistema  delle  quote  di  gettito  confluenti  nel  fondo,
 continua   la   ricorrente,   e'  stato  giudicato  non  contrario  a
 Costituzione, sul presupposto che e' comunque assicurato l'ancoraggio
 del fondo stesso alla quota dei tributi erariali (v. sent. n. 382 del
 1990), la stessa  cosa  non  potrebbe  piu'  dirsi  di  fronte  a  un
 meccanismo,  come  quello  contenuto nella disposizione impugnata, in
 forza del quale, in corso d'anno e senza alcun nesso con  l'effettivo
 andamento  del gettito del tributo considerato, e' stata decurtata la
 quota da devolvere al fondo al solo fine di  ridurre  di  un  importo
 dato  e  prestabilito l'ammontare del fondo stesso. In altri termini,
 precisa la  Regione,  se  l'espressione  usata  nell'art.  119  della
 Costituzione,  per la quale "alle regioni sono attribuite ( ..) quote
 di tributi erariali", deve avere ancora un  qualche  significato,  e'
 chiaro  che, una volta determinata la quota di riparto, l'entita' del
 gettito   devoluto   non   puo'   che   essere   quello    risultante
 dall'applicazione   al   gettito   effettivo   della  percentuale  di
 devoluzione  stabilita  e  le  variazioni  successive   non   possono
 dipendere  da  interventi del legislatore statale ad nutum, ma devono
 seguire soltanto il dato fattuale dell'andamento del gettito.
    Dopo aver ricordato che in un caso del tutto analogo questa  Corte
 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della legge statale (v.
 sent.  n.  116 del 1991), affermando che una riduzione, effettuata in
 corso d'anno, di una somma da tempo stanziata per interventi connessi
 a   competenze   rimaste   invariate   determina    uno    squilibrio
 nell'autonomia   finanziaria   delle  regioni,  stante  la  possibile
 incidenza su programmi d'intervento e di spesa  gia'  adottati  e  in
 corso  di  svolgimento,  la  ricorrente  osserva  che la disposizione
 impugnata degrada le regioni a meri centri  di  spesa  statale.  Ne',
 sempre  a  suo  avviso,  la  norma contestata puo' esser giustificata
 dall'esigenza per lo Stato di contenere la spesa e di ridurre il def-
 icit,  poiche'  tale  incontestabile  obiettivo  non  potrebbe  esser
 perseguito  alterando  le  regole  dell'autonomia  finanziaria  delle
 regioni.  In  proposito,  la  ricorrente  sottolinea  come  la  spesa
 regionale  non  e'  assimilabile  a quella di altri settori, quali la
 sanita' e la previdenza, dove e' possibile contenere in  concreto  la
 spesa   riducendo   le   prestazioni  o  prevedendo  nuove  forme  di
 contribuzione. Al contrario, la riduzione della spesa regionale senza
 alcuna indicazione dei  comparti  nei  quali  dovrebbero  operare  le
 decurtazioni  non  sarebbe  altro  che  un trasferimento alle regioni
 dell'onere di fronteggiare lo squilibrio finanziario che sulla  carta
 si  e'  inteso  sanare.  La  semplice  riduzione  del fondo, anzi, si
 tradurrebbe immediatamente e  necessariamente  nell'addossamento  sui
 bilanci  regionali di un nuovo onere privo dell'indicazione dei mezzi
 per farvi fronte, con  conseguente  violazione  anche  dell'art.  81,
 quarto  comma,  della  Costituzione,  come  attuato,  per le regioni,
 dall'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468.
    1.2. - La Regione  Lombardia  contesta  altresi'  la  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1,  quarto comma, del decreto-legge n. 333
 del 1992, il quale stabilisce che "le misure  previste  dall'articolo
 4,  comma  5, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, si applicano, per
 l'anno 1992, anche in assenza dei  livelli  obbligatori  uniformi  di
 assistenza di cui al comma 1 dello stesso articolo".
    L'estensione  dell'operativita'  dell'art.  4, quinto comma, della
 legge n. 412 del 1991, che permette alle regioni  di  ricorrere  alla
 propria  e  autonoma  capacita'  impositiva  ovvero alle altre misure
 previste dall'art. 29 della legge  n.  41  del  1986  (erogazione  di
 prestazioni   in   forma  indiretta,  maggiorazione  delle  quote  di
 partecipazione dei cittadini al costo delle prestazioni, eliminazione
 di  alcune  prestazioni  o  loro  configurazione   come   prestazioni
 aggiuntive  a  carico  del bilancio regionale), pur in mancanza della
 fissazione,  ad  opera  del  Governo,  dei  livelli  obbligatori   di
 uniformita'   sull'intero   territorio  nazionale  e  degli  standard
 organizzativi e operativi da utilizzare per il calcolo del  parametro
 capitario  di  finanziamento  di  ciascun  livello  assistenziale per
 l'anno 1992, determinerebbe l'addossamento a carico delle regioni  di
 un  onere  indeterminato, non dipendente da decisioni imputabili alle
 regioni stesse. In altri termini,  conclude  la  ricorrente,  poiche'
 sussiste  uno  stretto rapporto tra i parametri fissati dallo Stato e
 la responsabilita' finanziaria delle regioni per la spesa  eccedente,
 in  conseguenza  della  mancanza  della  determinazione dei parametri
 corrispondenti ai livelli obbligatori uniformi si avrebbe la  duplice
 violazione  dell'autonomia  finanziaria  regionale  (art.  119  della
 Costituzione) e del vincolo dell'indicazione dei mezzi  di  copertura
 per nuovi oneri gravanti sui bilanci regionali.
    2.  - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, che,  riservandosi  di  sviluppare  le  proprie  difese  in
 successivi  scritti,  ha  comunque chiesto che le questioni sollevate
 siano dichiarate inammissibili o infondate.
    3. - Con un distinto  ricorso,  contenente  gli  stessi  argomenti
 enunciati  nella  precedente  impugnazione,  la  Regione Lombardia ha
 sollevato identiche  questioni  di  legittimita'  costituzionale  nei
 confronti  della legge 8 agosto 1992, n. 359, la quale ha convertito,
 senza modificare le disposizioni impugnate, il decreto-legge  n.  333
 del 1992.
    4.  -  Costituitosi  anche  in  questo giudizio, il Presidente del
 Consiglio dei ministri ha  rinnovato  la  propria  richiesta  di  non
 fondatezza delle questioni di costituzionalita' sollevate.
    Riguardo   alle  contestazioni  mosse  all'art.  1,  terzo  comma,
 l'Avvocatura dello Stato  osserva  in  via  generale  che  i  rilievi
 concernenti  i  profili  quantitativi  degli  stanziamenti  statali -
 peraltro  irrilevanti   in   sede   di   giudizio   di   legittimita'
 costituzionale  -  non  tengono  conto del fatto che nel fondo comune
 sono confluiti altri finanziamenti settoriali (la qual  cosa  avrebbe
 giustificato   l'aumento  dell'aliquota  del  15  per  cento  fissata
 dall'art. 8 della legge n. 281 del 1970) e  che,  in  ogni  caso,  il
 fondo  comune  negli  anni  1982-1988 e' stato incrementato in misura
 pari  al  tasso  programmato  d'inflazione. Piu' in particolare, poi,
 l'Avvocatura dello Stato  rileva  come  la  disposizione  contestata,
 lungi  dal voler addossare alle regioni maggiori oneri sotto forma di
 minori entrate, ha invece inteso chiedere alle  stesse  un  doveroso,
 ancorche'  modesto,  contributo  per  il  risanamento  del  disavanzo
 pubblico, come, del resto, aveva gia' fatto la legge n. 415 del 1991,
 giudicata non incostituzionale con la sentenza n. 369 del 1992.  Ne',
 sempre  secondo  l'Avvocatura  dello  Stato,  potrebbe  portare a una
 pronunzia di accoglimento il fatto che la riduzione del fondo  comune
 sia avvenuta soltanto nel luglio del 1992, poiche' questa data, oltre
 ad  avere  una giustificazione nelle vicende relative alla fine della
 passata  legislatura  e   all'inizio   della   nuova,   risponderebbe
 all'esigenza  indilazionabile  di avviare una manovra di contenimento
 del disavanzo pubblico a  seguito  di  un  impegno  assunto  in  sede
 comunitaria. Tenuto conto che la spesa regionale e' stata tagliata in
 conseguenza  di  una  riduzione generalizzata in tutti i settori, non
 appare  conferente  all'Avvocatura  dello  Stato  il  richiamo   alla
 sentenza  n.  116  del  1991 di questa Corte, poiche' quest'ultima si
 riferiva a uno stanziamento gia'  disposto  da  tempo  da  una  legge
 pluriennale di spesa incidente in uno specifico settore di competenza
 regionale.  Nel  caso,  invece, oltre ad essere caratterizzata da una
 sostanziale  esiguita',  il  taglio  tocca  spese  in   buona   parte
 flessibili,  cioe' quelle di normale funzionamento, cosi' da esaltare
 le scelte della regione nelle riduzioni  da  apportare  al  fine  del
 contenimento del disavanzo pubblico.
    Relativamente  alle  contestazioni  riguardanti  l'art.  1, quarto
 comma, l'Avvocatura dello Stato osserva  che,  al  pari  dell'art.  4
 della   legge   n.   412  del  1991,  la  disposizione  impugnata  e'
 caratterizzata dall'urgenza e dalla provvisorieta', cosi' che non  e'
 possibile  prospettare  la lesione dell'art. 81 della Costituzione in
 presenza di oneri  non  esattamente  definibili,  ne'  la  violazione
 dell'art. 119 della Costituzione, considerato che la discrezionalita'
 delle  regioni  di avvalersi o meno delle misure previste dall'art. 4
 della legge n. 412 del 1991 non appare compromessa.
    5.  -  Le  stesse   questioni   di   legittimita'   costituzionale
 prospettate  dalla Regione Lombardia sono state sollevate anche dalla
 Regione Toscana con un distinto  ricorso  regolarmente  notificato  e
 depositato. Oltre alla violazione degli artt. 81, quarto comma, e 119
 della  Costituzione, la ricorrente lamenta la lesione di qualsivoglia
 criterio di ragionevolezza e del principio del buon  andamento  della
 pubblica amministrazione (artt. 3 e 97 della Costituzione).
    In  particolare,  tali  parametri  sarebbero  violati dall'art. 1,
 terzo comma, il quale dispone dall'oggi al domani una riduzione delle
 somme necessarie a far fronte all'esercizio  di  funzioni  attribuite
 dallo Stato alle regioni, senza che, restando invariati gli oneri e i
 compiti   attribuiti   alle   regioni,   sia  prevista  alcuna  forma
 sostitutiva di contributo statale. Anche  a  giudizio  della  Regione
 Toscana, il taglio di spesa regionale effettuato in corso d'anno, che
 importa  di  attingere retroattivamente ad erogazioni gia' impegnate,
 e' stato dichiarato incostituzionale dalle sentenze nn. 98 e 116  del
 1991   per  violazione  del  principio  della  programmazione  e  del
 bilancio, nonche' dell'autonomia finanziaria regionale.
    Gli stessi principi sarebbero violati, secondo la Regione Toscana,
 dall'art.  1, quarto comma, del decreto-legge impugnato, poiche' tale
 articolo, nel permettere il ricorso agli strumenti previsti dall'art.
 4  della  legge  n.  412  del  1991  anche  in  mancanza  di  livelli
 obbligatori  uniformi,  svincola  quel  potere regionale da parametri
 oggettivi capitari  di  finanziamento  del  servizio  e  finisce  con
 l'addossare  per  intero  alle  regioni  l'onere dell'eccedenza della
 spesa sanitaria sulla quota del fondo sanitario nazionale  attribuita
 dallo  Stato,  senza  che  la regione possa conservare quel potere di
 scelta che aveva indotto questa Corte a una pronunzia  d'infondatezza
 in  un caso simile (v.  sent. n. 356 del 1992). Anche la disposizione
 esaminata, pretendendo di operare in corso di esercizio  finanziario,
 sarebbe irragionevole per violazione di ogni logica programmatoria.
    Tutte e due le disposizioni impugnate, per il fatto di intervenire
 ad  anno  finanziario  inoltrato,  sarebbero, ad avviso della Regione
 Toscana,  contrarie  al  principio  dell'affidamento,  che,  a  norma
 dell'art.  3  della Costituzione, dovrebbe operare nei rapporti fra i
 soggetti pubblici in relazione ad attivita' regolate  da  una  logica
 programmatoria.
    6.  -  Anche in questo giudizio si e' costituito il Presidente del
 Consiglio dei ministri facendo riserva di svolgimento  delle  proprie
 difese  e chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o
 infondate.
    7. - In prossimita' dell'udienza la Regione Toscana ha  presentato
 una memoria con la quale ha sviluppato gli argomenti gia' addotti nel
 ricorso,  sottolineando  in  particolare  che, attesa la fondamentale
 funzione svolta dal fondo comune nel sistema della finanza regionale,
 le  disposizioni  impugnate  si  porrebbero  in  contrasto   con   la
 razionalizzazione finanziaria auspicata da questa Corte (sent. n. 369
 del 1992) e con i criteri minimi di una corretta programmazione e una
 sana politica di bilancio.
    8.  -  Anche l'Avvocatura dello Stato ha presentato in prossimita'
 dell'udienza   un'ulteriore   memoria,   nella   quale    sottolinea,
 soprattutto,  che  l'art. 119 della Costituzione enuncia due concetti
 in  contrasto  fra  loro:  l'autonomia  finanziaria  regionale  e  il
 coordinamento  di questa con la finanza statale e locale, da attuarsi
 con legge ordinaria. Di qui deriverebbe, secondo la difesa  erariale,
 l'insussistenza  di  una reale garanzia costituzionale dell'autonomia
 finanziaria  regionale,  essendo  possibile  per  la  legge   statale
 comprimere a suo piacimento la potesta' finanziaria delle regioni. In
 tal    senso,    sembrerebbe   muoversi   anche   la   giurisprudenza
 costituzionale, che  ha  sempre  negato  alle  regioni  una  garanzia
 quantitativa  di  risorse finanziarie e ha individuato il solo limite
 per il legislatore  statale  nel  mantenere  una  corrispondenza  fra
 bisogni e mezzi.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Con distinti ricorsi, regolarmente notificati e depositati,
 le  Regioni  Lombardia  e  Toscana  hanno  sollevato   questioni   di
 legittimita' costituzionale nei confronti dell'art. 1, terzo e quarto
 comma,  del  decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per
 il risanamento della finanza pubblica), convertito con  modificazioni
 nella legge 8 agosto 1992, n. 359. Mentre la Regione Toscana contesta
 la  legittimita'  costituzionale delle disposizioni appena menzionate
 in riferimento agli artt.  3,  81,  quarto  comma,  97  e  119  della
 Costituzione,  la  Regione  Lombardia  sospetta l'incostituzionalita'
 delle  medesime disposizioni di legge per violazione degli artt. 117,
 118 e 119 della Costituzione, nonche'  dell'art.  81,  quarto  comma,
 come  attuato,  per  quanto  riguarda  la finanza regionale e locale,
 dall'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n.  468  (Riforma  di  alcune
 norme  di contabilita' generale dello Stato in materia di bilancio) e
 dall'art. 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n.  158  (Norme
 di  delega  in  materia di autonomia impositiva delle regioni e altre
 disposizioni concernenti i rapporti finanziari  tra  lo  Stato  e  le
 regioni).  La  Regione Lombardia ha sollevato altresi' ricorso contro
 la legge di conversione del decreto-legge impugnato (legge  8  agosto
 1992,  n.  359),  nella parte in cui dispone la conversione in legge,
 peraltro senza modificazioni, dell'art. 1, commi terzo e quarto,  del
 decreto-legge gia' impugnato.
    Poiche'  i  ricorsi  hanno ad oggetto disposizioni identiche o fra
 loro connesse, i relativi giudizi possono essere riuniti  per  essere
 decisi con un'unica sentenza.
    2.  -  La  prima  delle  questioni  di legittimita' costituzionale
 sollevate dalle  ricorrenti  concerne  l'art.  1,  terzo  comma,  del
 decreto-legge  n.  333  del  1992,  il  quale  dispone:  "Nel comma 2
 dell'art. 5 della legge 31 dicembre 1991, n. 415, le parole '( ..) e'
 ridotta all'11,678 per cento' sono sostituite dalle parole '( ..)  e'
 ridotta  al  10,50  per cento'. E al comma 3 dello stesso articolo le
 parole '( ..) e'  stabilito  in  lire  6.957  miliardi  (  ..)'  sono
 sostituite con le parole '( ..) e' stabilito in lire 6.632 miliardi (
 ..)".
    Questa  disposizione, per divenire significativa, dev'essere posta
 in connessione con l'art. 5, secondo e terzo comma,  della  legge  n.
 415  del  1991,  nel  quale  sono  contenute le seguenti proposizioni
 normative. Nel secondo comma si stabilisce che: "Per l'anno  1992  la
 quota  del  15  per  cento  dell'imposta  di  fabbricazione sugli oli
 minerali, loro derivati e prodotti analoghi,  indicata  nell'art.  8,
 primo  comma,  lettera  a),  della  legge  16 maggio 1970, n. 281, e'
 ridotta all'11,678 per cento". Nel terzo comma dello stesso  articolo
 si dispone che: "Il fondo comune per l'anno 1992 e' stabilito in lire
 6.957 miliardi ( ..)".
    A seguito delle modifiche apportate all'appena citato art. 5 della
 legge  n.  415  del  1991  dalla  disposizione  impugnata, sono state
 prodotte   nell'ordinamento   due   distinte   norme,    della    cui
 costituzionalita'  dubitano  le  ricorrenti.  Innanzitutto, la quota,
 destinata a confluire nel  fondo  comune,  afferente  all'imposta  di
 fabbricazione  sugli  oli  minerali, sui loro derivati e sui prodotti
 analoghi indicata nell'art. 8, primo comma, lettera a),  della  legge
 n.  281  del  1970,  viene  decurtata,  con riferimento all'esercizio
 finanziario del 1992, dall'11,678 per cento al 10,50 per cento. Nello
 stesso tempo, sempre per l'esercizio  finanziario  1992,  l'ammontare
 globale  del  fondo  comune viene ridotto da 6.957 miliardi di lire a
 6.632 miliardi di lire.
    Ad  avviso  delle  ricorrenti,  nello  stabilire  le   norme   ora
 precisate,  l'art.  1, terzo comma, del decreto-legge n. 333 del 1992
 si pone in contrasto, prima di tutto, con l'art. 119, secondo  comma,
 della  Costituzione, il quale esige che alle regioni siano attribuite
 quote di tributi erariali. Per  la  Regione  Lombardia,  infatti,  la
 disposizione  contestata predeterminerebbe l'entita' del fondo comune
 indipendentemente dal gettito del tributo considerato, la  cui  quota
 da  devolvere al fondo stesso verrebbe definita soltanto a posteriori
 in modo da adeguarla  alla  cifra  assoluta  fissata  come  ammontare
 globale del fondo medesimo.
    In  secondo luogo - e questo e' un profilo sollevato da ambedue le
 ricorrenti - l'art. 1, terzo comma,  del  decreto-legge  n.  333  del
 1992,  intervenendo a esercizio finanziario inoltrato per ridurre una
 quota d'imposta destinata al fondo  comune,  renderebbe  evidente  la
 mancanza  di  qualsiasi nesso della determinazione della quota stessa
 con l'effettivo andamento del gettito  del  tributo  considerato,  di
 modo  che  la garanzia apprestata dall'art. 119, secondo comma, della
 Costituzione,  relativa  alla  certezza  delle  risorse   finanziarie
 assicurate  alle  regioni, risulterebbe svuotata da un intervento del
 legislatore statale di carattere arbitrario e  non  ancorato  a  dati
 oggettivi.  Di qui deriverebbe, secondo la Regione Toscana, anche una
 violazione del principio di ragionevolezza e del buon andamento delle
 amministrazioni pubbliche (artt. 3 e 97 della Costituzione), nonche',
 in   considerazione   della   natura   sostanzialmente    retroattiva
 dell'intervento,   una   lesione   del   principio  dell'affidamento,
 estensibile pure ai rapporti tra soggetti pubblici  operanti  secondo
 le regole della programmazione (art. 3 della Costituzione).
    Infine,   sempre   a   giudizio   di  ambedue  le  ricorrenti,  la
 disposizione contestata, non essendo accompagnata da una  correlativa
 riduzione delle funzioni poste a carico delle regioni, sarebbe lesiva
 tanto  del principio della programmazione finanziaria (art. 119 della
 Costituzione) quanto di quello del bilancio (art. 81,  quarto  comma,
 della   Costituzione),   sul   presupposto   che,   per   un   verso,
 interferirebbe in corso d'anno sullo svolgimento di progetti di spesa
 gia' avviati e, per altro verso, farebbe venir meno  retroattivamente
 la copertura finanziaria di interventi gia' deliberati.
    Va aggiunto che la Regione Lombardia afferma, nella parte finale e
 riassuntiva  del  ricorso,  di dubitare della costituzionalita' della
 disposizione impugnata anche sotto il profilo degli artt. 117  e  118
 della  Costituzione.  Ma,  poiche'  su  tali censure non si riscontra
 alcuno svolgimento argomentativo negli atti difensivi della  Regione,
 il ricorso, per la parte che le riguarda, va dichiarato inammissibile
 per  carenza  assoluta di motivazione (v., da ultimo, la sent. n. 343
 del 1991).
    3. - Le questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  dalle
 ricorrenti  nei confronti dell'art. 1, terzo comma, del decreto-legge
 n. 333 del 1992 per violazione dell'art. 119,  secondo  comma,  della
 Costituzione non sono fondate.
    Ai   sensi  dell'art.  8  della  legge  16  maggio  1970,  n.  281
 (Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle  regioni  a  statuto
 ordinario),  l'ammontare del fondo comune ivi previsto e' commisurato
 al gettito annuale delle quote dei tributi  erariali  indicate  nello
 stesso articolo, fra le quali e' ricompresa una quota dell'imposta di
 fabbricazione  sugli  oli  minerali, sui loro derivati e sui prodotti
 analoghi (lettera a). Dal 1982, cioe' da quando ha cessato  di  avere
 applicazione la legge 10 maggio 1976, n. 356, la determinazione delle
 risorse  da  devolvere  al fondo comune ai sensi del ricordato art. 8
 avviene  di  anno  in  anno,  generalmente  ad  opera   della   legge
 finanziaria,  secondo  un  sistema per il quale l'ammontare del fondo
 stesso  e'  stato  commisurato   all'entita'   fissata   per   l'anno
 precedente, maggiorata, almeno in via tendenziale, di un importo pari
 al  tasso  programmato  di  inflazione. Sebbene, nel corso degli anni
 successivi, siano confluiti nel fondo comune vari altri finanziamenti
 iscritti per l'innanzi in diversi capitoli del bilancio  statale  (ad
 esempio,  fondi  per  gli asili nido, per i consultori familiari, per
 l'Onmi) e sebbene lo stesso fondo subisca annualmente aggiustamenti o
 arrotondamenti, la base storica dell'ancoraggio del fondo medesimo  a
 quote di tributi erariali e' stata mantenuta nella sostanza. E, anche
 se  il  sistema  adottato rappresenta una soltanto delle possibilita'
 attuative dell'art. 119, secondo comma, della  Costituzione  poste  a
 disposizione     del    legislatore    nell'esercizio    della    sua
 discrezionalita'   politica   di    interpretazione    delle    norme
 costituzionali,  non  si puo' dire che, per l'aspetto considerato, il
 sistema di determinazione  degli  apporti  al  fondo  comune  risulti
 obiettivamene   disancorato  del  tutto  dall'ammontare  del  gettito
 annuale riferibile alle quote  di  tributi  erariali  indicate  dalla
 legge e debba, pertanto, esser dichiarato contrario a Costituzione.
    Nel  ridurre  la  quota  dell'imposta  di  fabbricazione sugli oli
 minerali e sui loro derivati e  prodotti  analoghi  da  devolvere  al
 fondo  comune  dall'11,678  per  cento  al  10,50  per  cento  e  nel
 determinare, consequenzialmente, l'ammontare globale del fondo per il
 1992  da  6.957  miliardi  di  lire  a  6632  miliardi  di  lire,  la
 disposizione  impugnata  si  uniforma  al  sistema  di determinazione
 seguito da piu' di un decennio per  la  definizione  delle  quote  di
 tributi  erariali  destinate  al  fondo comune. Piu' precisamente, la
 percentuale  ridotta  del  10,50  per  cento   e'   stata   applicata
 all'ammontare  dei  versamenti di due anni prima relativi all'imposta
 sugli oli minerali e sui loro derivati e prodotti analoghi, ai  sensi
 dell'art.  8,  secondo  comma,  della  legge  n.  281  del 1970, e la
 conseguente riduzione della quota di tributo erariale da destinare al
 finanziamento delle  funzioni  regionali  e'  stata,  poi,  calcolata
 sull'entita'  complessiva  del fondo comune gia' definita per il 1992
 allo scopo di rideterminare la cifra globale. In  altri  termini,  la
 vicenda  oggetto  della  presente impugnazione non e' sostanzialmente
 diversa, sotto il profilo ora considerato, da  quella  giudicata  non
 contraria  all'art. 119 della Costituzione con la sentenza n. 382 del
 1990, trattandosi in questo caso, come in quello, della riduzione  in
 termini  percentuali  della quota di un tributo erariale da devolvere
 al fondo  comune,  con  conseguente  rideterminazione  dell'ammontare
 globale  del  fondo  stesso  per  l'anno cui si riferisce la predetta
 riduzione.
    4. - La conclusione di non fondatezza non puo'  essere  modificata
 dalla  considerazione  della  circostanza  aggiuntiva  -  sulla quale
 insistono molto le ricorrenti - concernente il fatto che l'intervento
 del legislatore statale diretto a ridurre la quota  da  devolvere  al
 fondo  comune  e'  stato  posto in essere nel corso dello stesso anno
 finanziario cui si riferisce la decurtazione adottata.
    In proposito e'  opportuno  precisare  che  questa  Corte  e'  ben
 consapevole  di aver affermato in recenti pronunzie (v. sentt. nn. 98
 e 116 del 1991; v. anche sentt. 283 del 1991  e  356  del  1992)  che
 l'autonomia  finanziaria  garantita  alle regioni dall'art. 119 della
 Costituzione risulta  indubbiamente  violata  quando  il  legislatore
 statale,   intervenendo   nel  corso  di  svolgimento  dell'esercizio
 finanziario di un certo anno, procede alla riduzione  di  somme  gia'
 trasferite  alle regioni e da queste legittimamente impegnate o spese
 mediante   decisioni  adottate  nell'ambito  dello  stesso  esercizio
 finanziario (o, addirittura, di esercizi precedenti). La stessa Corte
 ha, anzi, precisato in quelle occasioni che una riduzione di  risorse
 disposta  nel  modo  indicato non puo' non determinare uno squilibrio
 nella sfera di autonomia  finanziaria  costituzionalmente  assicurata
 alle  regioni  e,  quindi, nei confronti di una corretta attivita' di
 bilancio, dovuto alla possibile interferenza di quegli interventi sui
 programmi di spesa gia' adottati e in corso di svolgimento. Tuttavia,
 occorre  sottolineare  che  la  questione   sottoposta   alla   Corte
 nell'attuale   giudizio  presenta  particolarita'  tali  che  non  ne
 permette l'assimilazione ai casi precedentemente giudicati.
    La  piu'  importante  differenza  risiede   nel   fatto   che   la
 disposizione  ora impugnata non contiene un intervento mirato al solo
 contenimento  delle  spese  regionali,   ma   prevede   una   manovra
 complessiva  diretta  a  imporre  un taglio generalizzato della spesa
 amministrata da tutti gli enti territoriali, al fine  di  coinvolgere
 questi  ultimi,  senza  eccezione  alcuna,  nella  difficile opera di
 risanamento dei conti pubblici. Piu' precisamente, mentre  l'art.  1,
 terzo  comma,  del  decreto-legge  n.  333  del  1992  provvede  alla
 riduzione del 5 per cento del fondo comune destinato alle  spese  per
 il  normale funzionamento delle regioni a statuto ordinario, il comma
 precedente dello stesso articolo  stabilisce  un'identica  detrazione
 riguardo ai finanziamenti a favore delle province e dei comuni. Nello
 stesso tempo, gli artt. 3 e 4 del medesimo decreto-legge intervengono
 sulla  spesa dello Stato operando un taglio di 1.500 miliardi di lire
 sul bilancio della difesa  per  l'anno  1992,  oltreche'  stabilendo,
 sempre  per  lo  stesso  anno,  il blocco della facolta' di impegnare
 somme per determinate spese e la destinazione ad economie di bilancio
 delle quote dei fondi globali non utilizzate alla data di entrata  in
 vigore  del  decreto-legge  medesimo.  In  definitiva,  quella ora in
 considerazione e' una  manovra  finanziaria  di  carattere  generale,
 diretta  a far fronte a una situazione di emergenza del disavanzo nel
 settore pubblico allargato, che, percio' stesso, richiede un  impegno
 solidale di tutti gli enti territoriali erogatori di spesa, di fronte
 al  quale la garanzia costituzionale dell'autonomia finanziaria delle
 regioni  non  puo'  fungere  da  impropria  giustificazione  per  una
 singolare esenzione.
    Inoltre,  non  e'  neppure  priva di rilievo la circostanza che, a
 differenza dei casi  precedenti,  la  riduzione  ora  contestata  non
 concerne  il  finanziamento  di  un  determinato  settore  o  di  una
 individuata erogazione, ma attiene a un fondo destinato a  finanziare
 le  spese  correnti  delle  regioni  a statuto ordinario (artt. 1 e 2
 della legge 14 giugno 1990, n. 158). La  commisurazione  dell'oggetto
 della  decurtazione  operata ad un fondo destinato a finanziare tutte
 le spese correnti - al cui interno, oltre a voci non comprimibili (ad
 esempio: salari, stipendi,  affitti),  sono  ricomprese  anche  spese
 suscettibili  di  graduazione  in  relazione  all'entita' delle somme
 disponibili (ad esempio: acquisti di forniture,  decisioni  di  nuove
 assunzioni,   svolgimento   di  missioni  o  di  straordinari)  -  e,
 conseguentemente, la relativa ampiezza dello spettro  delle  voci  di
 spesa  toccato  dalla  disposizione  impugnata, lasciano alle singole
 regioni un margine sufficiente per poter adeguare  gradualmente,  nel
 corso  dello  stesso anno, le necessarie misure di contenimento della
 spesa ai nuovi livelli di disponibilita' finanziarie, senza il minimo
 rischio  che la riduzione imposta possa determinare una paralisi o un
 serio intralcio nell'espletamento delle funzioni  regionali.  E  cio'
 vale  tanto  piu'  se  si  considera  che il taglio dei finanziamenti
 disposto dalla norma contestata, non riguardando spese destinate allo
 sviluppo,  bensi'  spese  dirette  al  normale  funzionamento  (sulla
 diversa   rilevanza   di   tali   spese  nell'ambito  di  manovre  di
 contenimento, v. sent. n. 476 del 1991, nonche' sent.  n.    307  del
 1983),  non  puo' comportare alcuna interferenza sulla programmazione
 degli interventi regionali o su una corretta attivita'  di  bilancio,
 ne' alcuna alterazione degli impegni di spesa legittimamente assunti.
    5.  -  Le  considerazioni  svolte  nei  due  punti  immediatamente
 precedenti conducono a rigettare  anche  le  censure  proposte  dalle
 ricorrenti sotto gli ulteriori profili prima indicati.
    In   particolare,   deve   assolutamente  escludersi  una  lesione
 dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, lamentata da  ambedue
 le  ricorrenti,  per il fatto che l'intervento contestato non produce
 alcuna modificazione nei compiti addossati sulle regioni ovvero negli
 oneri di gestione delle funzioni preesistenti.
    Ne'  e'  possibile  ipotizzare  fondatamente  una  violazione  del
 principio  di  ragionevolezza  o  dell'esigenza  che i rapporti tra i
 soggetti  pubblici  siano  improntati  al  criterio  dell'affidamento
 reciproco,  poiche',  per  le ragioni svolte nei punti precedenti, la
 riduzione della quota del tributo  erariale  disposta  con  la  norma
 contestata  e'  riconducibile  a  un  non irragionevole esercizio del
 potere  di  coordinamento  che  l'art.  119,   primo   comma,   della
 Costituzione    assegna   al   legislatore   statale   nel   rispetto
 dell'autonomia finanziaria  regionale.  Come  questa  Corte  ha  gia'
 affermato  (v.  sent.  n.  356  del  1992),  rientra  in  un corretto
 esercizio di quel potere la considerazione che il trasferimento delle
 risorse finanziarie alle regioni o una riduzione della disponibilita'
 delle stesse da parte delle regioni medesime non possano  prescindere
 dai  limiti  di  compatibilita' con i vincoli generali collegati alle
 complessive esigenze della finanza pubblica.
    6.  -  Non  fondate  sono  anche  le  questioni  di   legittimita'
 costituzionale   che   ambedue  le  ricorrenti  hanno  sollevato,  in
 riferimento  agli  stessi  parametri  invocati  per   la   precedente
 questione, nei confronti dell'art. 1, quarto comma, del decreto-legge
 n. 333 del 1992.
    Secondo  la  disposizione impugnata, "le misure previste dall'art.
 4, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, si  applicano,  per
 l'anno  1992,  anche  in  assenza dei livelli obbligatori uniformi di
 assistenza di cui al comma 1 dello stesso articolo". Per  comprendere
 esattamente  il  senso  di  tale  disposizione, occorre ricordare che
 l'art. 4, primo comma, della legge n. 412 del  1991  prevede  che  il
 Governo,  d'intesa  con  la  "conferenza  Stato-regioni", determini i
 livelli di  assistenza  sanitaria  da  assicurare  in  condizioni  di
 uniformita'  su  tutto  il territorio nazionale, nonche' gli standard
 organizzativi e di attivita' da utilizzare per calcolare il parametro
 capitario di  finanziamento  di  ciascun  livello  assistenziale  per
 l'anno 1992. Lo stesso art. 4, al quinto comma, dispone, poi, che, in
 caso  di  spesa  sanitaria  eccedente quella determinata ai sensi del
 ricordato primo comma e non compensata da minori spese effettuate  in
 altri settori, le regioni possono fare ricorso alla propria capacita'
 impositiva ovvero possono prevedere l'erogazione di certe prestazioni
 in  forma  indiretta  o,  ancora,  maggiorare  le  vigenti  quote  di
 partecipazione dei cittadini al costo delle  prestazioni  o,  infine,
 eliminare  temporaneamente  alcune  prestazioni  dal novero di quelle
 erogate a  carico  del  "servizio  sanitario  nazionale".  Su  questa
 normativa  la disposizione impugnata interviene affermando che le al-
 ternative appena ricordate  possono  essere  adottate  dalle  regioni
 anche in mancanza della determinazione da parte del Governo, d'intesa
 con  la  "conferenza Stato-regioni", dei livelli obbligatori uniformi
 di assistenza e degli standard precedentemente indicati.
    Tutte le censure prospettate dalle ricorrenti all'art.  1,  quarto
 comma,  del  decreto-legge  n.  333  del 1992 muovono dal presupposto
 interpretativo   secondo   il   quale   la   disposizione   impugnata
 addosserebbe  alle regioni l'eccedenza della spesa sanitaria rispetto
 agli stanziamenti del fondo nazionale. Su tale  base,  infatti,  esse
 lamentano  la lesione dell'art. 119 della Costituzione, a causa della
 pretesa imputazione alle regioni di  oneri  non  dipendenti  da  loro
 decisioni,  nonche'  dell'art.  81,  quarto comma, della Costituzione
 (per  aver  consequenzialmente  previsto  nuovi  oneri  privi   della
 necessaria  copertura  finanziaria)  e,  limitatamente  alla  Regione
 Toscana,  dell'art.  97  della  Costituzione   (per   l'irragionevole
 mutamento, a distanza di pochi mesi, delle previsioni contenute nella
 legge  n.  412 del 1991). Tuttavia, la premessa interpretativa da cui
 muovono le ricorrenti non puo' essere ragionevolmente  ascritta  alla
 disposizione impugnata.
    Quest'ultima,  in  realta',  non  dissimilmente da un'ipotesi gia'
 sottoposta al giudizio di questa Corte  in  un  precedente  caso  (v.
 sent.  n.  284  del 1991), ha il solo scopo di rimuovere un limite di
 competenza  frapposto   all'adozione   dei   provvedimenti   indicati
 nell'art. 4, quinto comma, della legge n. 412 del 1991, nel senso che
 consente  alle  regioni  di  adottare i predetti interventi senza che
 siano piu' subordinati  alla  previa  determinazione,  da  parte  del
 Governo  (d'intesa  con  la  "conferenza Stato-regioni"), dei livelli
 obbligatori  uniformi  di   assistenza.   Contrariamente   a   quanto
 suppongono  le  ricorrenti,  pertanto,  la disposizione impugnata non
 stabilisce  alcunche'  sul  ripiano  dell'eventuale   maggior   spesa
 sanitaria  rispetto  agli  stanziamenti del fondo nazionale. E questa
 interpretazione trae un'agevole conferma  dall'art.  2  del  decreto-
 legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito dalla legge 18 marzo 1993, n.
 67,  il  quale e' diretto a regolare il suddetto ripiano prevedendone
 la copertura con oneri posti a carico dello Stato.
     Anche in relazione alle contestazioni mosse  all'art.  1,  quarto
 comma, del decreto-legge n. 333 del 1992, occorre, infine, dichiarare
 inammissibili,  per gli stessi motivi indicati nella parte finale del
 punto  n.  2   della   motivazione,   i   profili   di   legittimita'
 costituzionale,  sollevati  dalla  Regione  Lombardia,  relativi agli
 artt. 117 e 118 della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondate   le   questioni   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  1, terzo e quarto comma, del
 decreto-legge  11  luglio  1992,  n.  333  (Misure  urgenti  per   il
 risanamento  della finanza pubblica), convertito dalla legge 8 agosto
 1992, n. 359, sollevate con i ricorsi  indicati  in  epigrafe,  dalla
 Regione  Lombardia,  in riferimento all'art. 119 della Costituzione e
 all'art.  81,  quarto  comma,  della Costituzione (in connessione con
 l'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468 e l'art. 3, sesto  comma,
 della  legge  14 giugno 1990, n. 158), nonche' dalla Regione Toscana,
 in riferimento agli artt.  3,  81,  quarto  comma,  97  e  119  della
 Costituzione;
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 della legge 8 agosto 1992, n. 359, nella  parte  in  cui  dispone  la
 conversione  in  legge dell'art. 1, terzo e quarto comma, del decreto
 legge 11 luglio 1992, n. 333, sollevata dalla  Regione  Lombardia  in
 riferimento  agli  stessi parametri sopra indicati, con il ricorso di
 cui in epigrafe;
    Dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1, terzo e quarto comma, del decreto-legge n. 333 del  1992
 e,  in  parte  qua,  della  legge  di  conversione  n.  359 del 1992,
 sollevate dalla Regione Lombardia, in riferimento agli  artt.  117  e
 118 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 1› aprile 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0324