N. 129 SENTENZA 25 marzo - 1 aprile 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Reato  concorrente  contestato  in  dibattimento  -
 Preclusione  dell'applicazione  della pena   ex art. 444 del c.p.p. -
 Contestazione suppletiva - Esclusione della rimessione in termini per
 la sua formulazione, per il reato per cui e' richiesto  il  rinvio  a
 giudizio  - Richiamo alla giurisprudenza della Corte in materia (cfr.
 sentenze  nn. 277 e 593 del 1990, 316/1992 e ordinanza n. 213/1992) -
 Discrezionalita' legislativa - Non fondatezza e inammissibilita'.
 
 (C.P.P., art. 446, primo comma, e 517).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.15 del 7-4-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 446, primo
 comma e 517 del codice di procedura penale, promossi con le  seguenti
 ordinanze:
      1)  ordinanza emessa il 16 giugno 1992 dal Tribunale militare di
 Padova  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Monticelli  Massimo
 Augusto,  iscritta al n. 496 del registro ordinanze 1992 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  40,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1992;
      2) ordinanza emessa il 10 luglio 1992 dal Tribunale di Nuoro nel
 procedimento penale a carico di Delussu Giovanni Antonio, iscritta al
 n.  528  del  registro  ordinanze  1992  e  pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 40,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1992;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 27  gennaio  1993  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Dovendo  decidere  sulla  richiesta di applicazione di pena
 concordata formulata a seguito della contestazione in udienza  di  un
 reato  concorrente, il Tribunale militare di Padova, ritenendo di non
 poterla accogliere per nessuno dei due reati in quanto non presentata
 prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ha  sollevato
 una  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 446, primo
 comma, del codice di procedura penale, assumendone il  contrasto  con
 l'art. 3 della Costituzione.
    Ad  avviso  del giudice a quo, il principio di uguaglianza sarebbe
 violato sia nella  parte  in  cui  preclude  il  c.d.  patteggiamento
 rispetto  al  reato  concorrente contestato nel corso dell'istruzione
 dibattimentale, sia nella parte in cui non consente la rimessione  in
 termine  per  effettuare  la  relativa  richiesta  rispetto  al reato
 contestato  originariamente.  Quanto  al  primo,  perche'  la   nuova
 contestazione  avviene  comunque  per  ragioni estranee alla volonta'
 dell'imputato.  Quanto  al   secondo,   perche'   la   richiesta   di
 applicazione   della   pena,  pur  riguardando  i  reati  nella  loro
 individualita', tiene conto nelle sue insindacabili motivazioni della
 complessiva situazione processuale. Per cui, mutando quest'ultima con
 la contestazione del reato concorrente, sarebbe irragionevole che non
 ne consegua la cennata rimessione in termine.
    1.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
 difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che la
 questione sia dichiarata inammissibile, sul rilievo che questa Corte,
 con la sentenza  n.  593  del  1990  ha  dichiarato  non  fondata  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 517 cod. proc.
 pen. nella parte in  cui  non  consente,  in  caso  di  contestazione
 suppletiva,  di  rimettere  in  termini  le  parti  per  la richiesta
 dell'adozione di un rito speciale e  che  l'ordinanza  in  esame  non
 prospetta alcun elemento di novita' rispetto alla citata decisione.
    2.  -  Nel  corso  di  un procedimento nel quale il giudice per le
 indagini preliminari aveva disposto il giudizio immediato  dopo  aver
 rigettato l'istanza di giudizio abbreviato proposta dall'imputato con
 il  consenso  del  pubblico  ministero  ed  in  cui  quest'ultimo, al
 dibattimento, aveva contestato un reato concorrente in  continuazione
 con   quelli   contestati  originariamente,  il  Tribunale  di  Nuoro
 riteneva, su richiesta dell'imputato, che il processo avrebbe  potuto
 essere  definito  allo  stato  degli atti dal giudice per le indagini
 preliminari (cfr. sentenza n.  23  del  1992)  e  che  fosse  percio'
 doverosa  la  decurtazione  di  un  terzo  della  pena  irroganda, in
 relazione ai reati per  i  quali  l'imputato  era  stato  rinviato  a
 giudizio.
    Poiche',  pero',  tale decurtazione non e' consentita per il reato
 contestato in dibattimento, il Tribunale ha sollevato, con  ordinanza
 del  10  luglio  1992,  una  questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 517 cod. proc. pen., "laddove non prevede o la possibilita'
 per l'imputato di poter chiedere il rito abbreviato, o la preclusione
 di contestazioni suppletive (cosi' come, invece,  previsto  dall'art.
 441, primo comma c.p.p.) nel caso di celebrazione del dibattimento, a
 seguito  di  rigetto  da  parte  del  G.I.P.  del rito alternativo in
 questione prescelto dall'imputato medesimo".
    Dato che l'interesse dell'imputato a beneficiare dei vantaggi  che
 discendono  dall'instaurazione  del  rito  abbreviato - e tra questi,
 oltre alla riduzione della pena di un terzo, anche la preclusione per
 il pubblico ministero ad effettuare contestazioni nuove o  suppletive
 -  in  tanto rileva, in quanto egli rinunzi al dibattimento (v. Corte
 cost., sentenza n. 593 del 1990) e che invece, nel  caso  di  specie,
 l'imputato aveva chiesto l'applicazione di tale rito alternativo, che
 gli  era stata ingiustificatamente negata, il giudice a quo considera
 irragionevole  -  e  percio'  in  contrasto  con   l'art.   3   della
 Costituzione - l'esclusione dell'ulteriore vantaggio, rappresentato o
 dalla suddetta preclusione ovvero dalla possibilita' di usufruire del
 beneficio  della  diminuzione  di  pena  anche  per  il  nuovo  reato
 contestato; e parimenti  irragionevole  la  discriminazione  rispetto
 all'imputato  che,  per  propria  inerzia,  non  si sia avvalso della
 facolta' di richiedere il giudizio abbreviato. Per gli stessi motivi,
 sarebbe  altresi'  violato  il  diritto  di  difesa  (art.  24  della
 Costituzione).
    2.1.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che  la
 questione  sia  dichiarata  non  fondata,  osservando  che essa muove
 dall'erronea  premessa   di   confondere   il   diritto   di   difesa
 costituzionalmente  protetto  con l'interesse di fatto che l'imputato
 possa avere in ordine ad una fra le tante  "situazioni"  che  possono
 verificarsi  nel  corso  del  processo:  mentre  gli  "interessi" che
 muovono le parti in ordine alle  scelte  sui  riti  alternativi  sono
 riguardati  come un fenomeno normativamente indifferente, e come tale
 inidoneo a incidere sui rispettivi diritti o poteri processuali.
    Il legislatore e' quindi libero di stabilire specifici momenti che
 precludono alle parti ulteriori opzioni sul  rito  da  adottare,  nel
 quadro  di  una  necessaria  regolamentazione  delle  singole cadenze
 processuali:  e  di  conseguenza,  e'   da   escludere,   ad   avviso
 dell'Avvocatura,  la violazione tanto del principio di ragionevolezza
 che del diritto di difesa, posto che quest'ultimo mantiene inalterata
 la propria essenza e le relative garanzie, sia nel caso in cui  venga
 adottato  un  rito  alternativo,  sia, ed a fortiori, nell'ipotesi in
 cui, come nella specie, occorra procedere con il rito ordinario.
                        Considerato in diritto
    1. - Poiche' le due  ordinanze  indicate  in  epigrafe  propongono
 questioni analoghe, e' opportuna la riunione dei relativi giudizi.
    2.  -  Con  la  prima  di tali ordinanze, il Tribunale militare di
 Padova dubita che l'art. 446, primo comma, del  codice  di  procedura
 penale, in quanto prevede che la richiesta di applicazione della pena
 di   cui   all'art.  444  possa  essere  formulata  solo  "fino  alla
 dichiarazione  di  apertura  del dibattimento di primo grado" - e con
 cio' la preclude per il reato concorrente contestato in  dibattimento
 ed  esclude,  in  caso  di contestazione suppletiva, la rimessione in
 termini per formularla in relazione al reato oggetto della  richiesta
 di  rinvio a giudizio - contrasti con l'art. 3 della Costituzione. Ad
 avviso del Tribunale, tali preclusioni  sarebbero  irragionevoli,  in
 quanto  la  nuova  contestazione  avviene  per  ragioni estranee alla
 volonta'  dell'imputato   ed   altera   la   complessiva   situazione
 processuale sulla quale si misura la valutazione circa l'opportunita'
 di chiedere il c.d. patteggiamento.
    2.1. - La questione non e' fondata.
    Questa  Corte, infatti, ha piu' volte osservato, tanto a proposito
 dell'applicazione di pena concordata che del giudizio abbreviato, che
 l'interesse dell'imputato a beneficiare dei  vantaggi  conseguenti  a
 tali  giudizi in tanto rileva, in quanto egli rinunzi al dibattimento
 e venga percio' effettivamente adottata una  sequenza  procedimentale
 che  consenta  di  raggiungere  l'obiettivo di rapida definizione del
 processo perseguito dal legislatore con l'introduzione di detti  riti
 speciali.  Ed  ha  altresi'  ritenuto,  piu'  specificamente,  che la
 preclusione all'ammissione di tali giudizi in caso  di  contestazione
 dibattimentale  suppletiva  non  e' affatto irragionevole. Si tratta,
 infatti, di  un'evenienza  che  non  e'  infrequente  in  un  sistema
 processuale  imperniato  sulla formazione della prova in dibattimento
 ed e' - soprattutto -  ben  prevedibile,  dato  lo  stretto  rapporto
 intercorrente  tra  l'imputazione originaria ed il reato connesso; e,
 per contro, di un'evenienza che  e'  preclusa  ove  tali  riti  siano
 introdotti.  Di conseguenza, il relativo rischio rientra naturalmente
 nel calcolo in base al quale l'imputato si determina  a  chiederli  o
 meno,  onde  egli  non  ha  che  da  addebitare  a  se'  medesimo  le
 conseguenze della propria scelta (cfr., tra le tante, le sentenze nn.
 277 e 593 del 1990 e 316 del 1992, nonche'  l'ordinanza  n.  213  del
 1992).
    3.  -  Nell'ambito  della suddetta tematica, il Tribunale di Nuoro
 prospetta, con la seconda delle  ordinanze,  un'evenienza  del  tutto
 particolare,  e  cioe' che la contestazione dibattimentale suppletiva
 sia potuta avvenire non perche'  l'imputato  non  ha  tempestivamente
 chiesto  il  giudizio  abbreviato,  ma  perche' la richiesta e' stata
 rigettata dal giudice per le indagini  preliminari  e  che,  inoltre,
 tale   reiezione   sia   ritenuta   ingiustificata  dal  giudice  del
 dibattimento. La circostanza che  l'art.  517  cod.  proc.  pen.  non
 preveda, in relazione a quest'ipotesi, o la possibilita' di formulare
 la   richiesta  per  il  nuovo  reato  ovvero  la  preclusione  della
 contestazione suppletiva comporterebbe, ad avviso del Tribunale,  una
 violazione  degli  artt.  3 e 24 della Costituzione, dato che sarebbe
 irragionevole  -  e  violerebbe  il  diritto  di  difesa  -   privare
 l'imputato   tanto  di  tale  preclusione  che  del  beneficio  della
 riduzione della pena di un terzo e  che  egli  sarebbe  in  tal  modo
 discriminato  rispetto  all'imputato che, per propria inerzia, non si
 sia avvalso della facolta' di chiedere il giudizio abbreviato.
    4. - La questione e' inammissibile.
    Essa, infatti, e'  prospettata  in  modo  ancipite,  dato  che  il
 giudice  a  quo  propone  in via alternativa due soluzioni al quesito
 prospettato -  e  cioe'  o  che  sia  reso  ammissibile  il  giudizio
 abbreviato per il reato concorrente contestato in dibattimento ovvero
 che   sia   preclusa,   nell'ipotesi  considerata,  la  contestazione
 suppletiva  -  senza  concentrare  sull'una  o  l'altra  di  esse  la
 richiesta di una sentenza additiva.
    Nessuna delle due soluzioni, comunque, potrebbe essere considerata
 come costituzionalmente obbligata, e quindi suscettibile di dar luogo
 a tale tipo di pronuncia.
     La  prima, infatti, impinge nella discrezionalita' legislativa in
 quanto ipotizza che l'introduzione del  giudizio  abbreviato  per  il
 reato concorrente avvenga dinnanzi allo stesso giudice dibattimentale
 gia'  investito della cognizione del reato originariamente contestato
 -  anziche'  dinnanzi  al  giudice  per  le   indagini   preliminari,
 normalmente  deputato a tale incombente - e lascia comunque aperte le
 modalita' di inserimento dell'un giudizio nell'altro nonche'  i  loro
 reciproci rapporti.
    La  seconda  soluzione  -  quella,  cioe',  della  preclusione  di
 contestazioni suppletive - presuppone un'articolazione del  sindacato
 sul  provvedimento  del giudice per le indagini preliminari reiettivo
 della richiesta di giudizio abbreviato diversa da  quella  che  -  in
 base  alla  sentenza  n.  81  del 1991 - e' stata delineata da questa
 Corte con la sentenza n. 23 del 1992.
    Alla stregua di tale decisione, infatti, la valutazione sul se  il
 predetto  provvedimento  di  rigetto  fosse  o meno giustificato puo'
 effettuarsi solo all'esito del dibattimento. Di conseguenza, ancorare
 all'accertamento dell'erroneita' dell'apprezzamento del  giudice  per
 le indagini preliminari la preclusione delle contestazioni suppletive
 sarebbe  contraddittorio,  dato  che  queste possono farsi "nel corso
 dell'istruzione dibattimentale" (art. 517 cod. proc. pen. ).
    La problematica prospettata dal giudice a  quo  pertanto  richiede
 che  il  legislatore,  nel  rispetto  dei principi posti a base della
 sentenza n. 23 del 1992, opportunamente realizzi, per  ipotesi  quale
 quella   qui  considerata,  un  appropriato  congegno  normativo  che
 componga  le  interferenze  tra  giudizio   abbreviato   e   giudizio
 dibattimentale;  sempreche' la disciplina del giudizio abbreviato non
 venga modificata secondo le indicazioni contenute nella  sentenza  n.
 92 del 1992 di questa Corte.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.   446,   primo  comma,  del  codice  di  procedura  penale,
 sollevata,  in  riferimento  all'art.  3  della   Costituzione,   dal
 Tribunale militare di Padova con l'ordinanza in epigrafe;
      dichiara  l'inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art.  517  del  medesimo  codice,  sollevata,  in
 riferimento  agli  artt.  3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di
 Nuoro con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 1› aprile 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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