N. 141 SENTENZA 1 - 6 aprile 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale -  Pretore  -  Pene  pecuniarie  -  Possibilita'  per
 l'imputato  e  il  p.m.  di chiederne al giudice l'applicazione nella
 specie e nella misura  concordata  -  Rispetto  della    ratio  della
 direttiva  n.  45  della  legge  delega  -  Richiamo alla sentenza n.
 148/1984 della Corte - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 444, primo comma).
 
 (Cost., art. 76).
(GU n.16 del 14-4-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo
 SPAGNOLI,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
 MENGONI, prof. Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
 VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  444, primo
 comma, del codice di procedura penale,  promossi  con  due  ordinanze
 emesse il 17 giugno 1992 dal Pretore di Torino, sezione distaccata di
 Moncalieri,  nei  procedimenti  penali  a carico di Gregorio Fabio ed
 altri e Pelassa Piergiorgio, rispettivamente iscritte ai  nn.  471  e
 472 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio  1993  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  due  ordinanze  di  contenuto  identico, il Pretore di
 Torino, sezione distaccata di Moncalieri, ha sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 444, primo comma, del codice di
 procedura  penale  "nella  parte  in cui prevede che l'imputato ed il
 pubblico ministero possano chiedere al giudice l'applicazione,  nella
 misura  indicata,  di una pena pecuniaria diminuita fino ad un terzo,
 in relazione all'art. 76 della Costituzione".
    Il remittente premette che la legge n. 81 del 1987  (legge-delega)
 all'art.  2,  punto  45,  contiene  il  seguente principio e criterio
 direttivo: "previsione che il pubblico  ministero,  con  il  consenso
 dell'imputato,  ovvero  l'imputato,  con  il  consenso  del  pubblico
 ministero,  possano  chiedere  al  giudice,  fino  all'apertura   del
 dibattimento,  l'applicazione  delle  sanzioni  sostitutive  nei casi
 consentiti, o della pena detentiva irrogabile  per  il  reato  quando
 essa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non
 superi  due  anni di reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena
 pecuniaria".
    Nell'enunciato non vi e', quindi, traccia  della  possibilita'  di
 chiedere  l'applicazione della sola pena pecuniaria diminuita fino ad
 un terzo.
    Cio' nonostante, il legislatore delegato  ha  ugualmente  previsto
 tale  possibilita',  motivando  questa  scelta con l'affermare (nella
 relazione al progetto preliminare) che: " ..la circostanza che  nella
 direttiva  45  non  si parli della pena pecuniaria non e' sembrata di
 ostacolo, perche' la menzione solo delle sanzioni sostitutive e della
 pena detentiva si puo' spiegare con la considerazione che per  queste
 il  legislatore  delegante  ha  ritenuto  di  dover fissare direttive
 specifiche: per le prime allo  scopo  di  chiarire  che  le  sanzioni
 sostitutive  su  richiesta sono applicabili nei soli casi attualmente
 previsti ..; per la seconda allo scopo di fissare i  limiti  entro  i
 quali   e'   ammesso  il  "patteggiamento"  in  relazione  alle  pene
 detentive. E' da ritenere quindi che la mancata menzione  della  pena
 pecuniaria  sia  dovuta  al fatto che il legislatore non ha avvertito
 alcun motivo per prenderla in considerazione e che percio'  abbia  un
 significato  non  di  esclusione ma di inserimento nel nuovo istituto
 senza limiti, che altrimenti sarebbero stati espressamente  previsti,
 come e' accaduto per la pena detentiva".
    Ad  avviso  del giudice a quo tale argomentazione non convince per
 almeno due motivi:
      1) poiche' la Costituzione prevede che la delega della  funzione
 legislativa  possa  avvenire  solo  con  determinazione di principi e
 criteri direttivi, ne consegue che, laddove  le  direttive  rilevanti
 (nella   specie,  direttiva  45)  non  contemplino  espressamente  la
 previsione di un istituto (nella specie  "richiesta  di  applicazione
 della  pena pecuniaria diminuita fino ad un terzo") tale istituto non
 possa ritenersi delegato;
      2)  l'argomentazione  addotta  nella  relazione  potrebbe essere
 valida se nella direttiva 45 fosse contemplato in generale l'istituto
 "richiesta di applicazione della pena diminuita fino  ad  un  terzo",
 con  previsione  di  un  limite massimo del richiedibile (due anni, a
 diminuzione  fino  ad  un  terzo  gia'  operata)  per  la  sola  pena
 detentiva;  in  tal  caso  infatti davvero vi sarebbe espressa delega
 anche alla previsione dell'istituto "richiesta di applicazione  della
 pena   pecuniaria   diminuita  fino  ad  un  terzo"  (necessariamente
 ricompreso nell'istituto generale "richiesta  di  applicazione  della
 pena  diminuita fino ad un terzo") e la mancanza di un limite massimo
 alla pena pecuniaria  richiedibile  potrebbe  essere  ragionevolmente
 interpretato  come  precisa volonta' del delegante a che detto limite
 non vi sia. E' d'altra parte di tutta evidenza che la  previsione  di
 limiti  ad  un  istituto  e'  logicamente  successiva,  conseguente e
 subordinata alla volonta' del legislatore di delegare  la  previsione
 dell'istituto   stesso,   di  talche'  appare  gravemente  viziato  e
 pericoloso ogni ragionamento che, in assenza di delega espressa di un
 istituto, la desuma dal silenzio sui limiti.
    Osserva, infine, il remittente che il legislatore delegato non  e'
 legittimato  a superare gli argini tracciati dalla delega neppure per
 motivi, magari anche condivisibili, di  opportunita'  e  razionalita'
 complessiva del sistema.
    2.  -  E'  intervenuto  in  entrambi  i  giudizi il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri,  concludendo   per   l'infondatezza   della
 questione.
    L'Avvocatura  dello  Stato osserva che la rilevata omissione nella
 legge-delega si comprende e si giustifica alla luce delle finalita' e
 degli obiettivi che il legislatore intendeva perseguire.
    La menzione delle sanzioni sostitutive e delle pene  detentive  si
 spiega  infatti  con  la considerazione che soltanto per queste si e'
 ritenuto di dover fissare direttive specifiche, e cio' allo scopo  di
 evitare,  per  le prime, un indebito ampliamento di utilizzazione per
 la  delegata  disciplina  degli  "altri  effetti  della   pronuncia",
 nonche',   per   le   seconde,   i   limiti   di  ammissibilita'  del
 patteggiamento in relazione alla entita' della pena detentiva.
    D'altro canto una diversa soluzione sarebbe  risultata  certamente
 priva  di razionalita', in quanto non e' ravvisabile alcun motivo per
 negare all'imputato che lo richieda gli effetti vantaggiosi  previsti
 dall'art.   444   del   codice   di  procedura  penale  nel  caso  di
 applicabilita' della sola pena pecuniaria.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Pretore di Torino, sezione distaccata di  Moncalieri,  con
 due ordinanze di identico contenuto - per cui va disposta la riunione
 dei  relativi  giudizi  -,  ha  sollevato  questione  di legittimita'
 costituzionale dell'art. 444, primo comma, del  codice  di  procedura
 penale,  nella parte in cui comprende, tra le categorie di pene delle
 quali l'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al  giudice
 l'applicazione  nella  specie e nella misura concordata, anche quella
 delle pene pecuniarie.
    Tale previsione, ad avviso  del  remittente,  sarebbe  viziata  da
 eccesso di delega (art. 76 della Costituzione), in quanto la legge di
 delegazione   16   febbraio  1987,  n.  81,  alla  direttiva  n.  45,
 nell'indicare le pene in ordine alle quali e' ammissibile il  ricorso
 al   c.d.   patteggiamento,   menziona   esclusivamente  le  sanzioni
 sostitutive e le pene detentive.
    2. - La questione non e' fondata.
    Va,  innanzitutto, ribadito che in materia di delega - come questa
 Corte ha costantemente affermato, anche con specifico riferimento  al
 nuovo codice di procedura penale (cfr. sentt. nn. 250 e 259 del 1991)
 -  quanto  piu'  i  principi  ed  i  criteri  direttivi impartiti dal
 legislatore  delegante  sono  analitici  e  dettagliati,  tanto  piu'
 ridotti   risultano   i   margini  di  discrezionalita'  lasciati  al
 legislatore delegato.
   Cio' posto, costituisce ulteriore costante orientamento  di  questa
 Corte  quello  secondo  cui,  per  valutare  di  volta in volta se il
 legislatore delegato abbia ecceduto tali - piu' o meno ampi - margini
 di discrezionalita', occorre individuare la ratio della delega, cioe'
 le ragioni e le finalita' che, tenendo anche conto del complesso  dei
 criteri direttivi impartiti, hanno ispirato il legislatore delegante,
 e  verificare se la norma delegata sia ad esse rispondente (cfr., tra
 le tante, sentt. nn. 158 del 1985, 40 e 205 del 1989,  e,  sul  nuovo
 codice  di procedura penale, oltre a quelle sopra richiamate, nn. 435
 e 496 del 1990, 68 e 176 del 1991, 4 e 261 del 1992, 41 del 1993).
    Ora, dall'esame dei lavori parlamentari della citata direttiva  n.
 45  della  legge delega emerge con evidenza che l'iter legislativo e'
 stato caratterizzato - come sottolinea anche la relazione al progetto
 preliminare del codice - da un  progressivo  ampliamento  dell'ambito
 operativo  dell'istituto  del  "patteggiamento": basti considerare al
 riguardo che il limite della pena detentiva applicabile su  richiesta
 delle  parti  e'  stato  gradualmente elevato da tre mesi a due anni.
 Tale linea tendenziale si e' iscritta in  un  generale  orientamento,
 costantemente  espresso  durante  il  cammino parlamentare, di sempre
 maggiore favor per i riti differenziati, nella considerazione che  in
 ordine  ai  "reati  meno  gravi" dovessero essere adottati meccanismi
 processuali particolari che assicurassero la deflazione e  quindi  la
 rapida definizione dei processi.
    Da  cio'  deriva non solo che al silenzio della norma delegante in
 ordine all'applicabilita', su richiesta, delle  pene  pecuniarie  non
 puo'  certo  attribuirsi  il significato di volonta' contraria a tale
 previsione, ma che anzi  la  disposizione  impugnata  costituisce  un
 coerente   sviluppo   e   completamento  della  scelta  espressa  dal
 legislatore delegante e delle ragioni ad essa sottese.
    Ne' puo' condividersi, al riguardo, la tesi del remittente secondo
 cui la "richiesta di applicazione  della  pena  pecuniaria  diminuita
 fino  ad  un  terzo"  costituirebbe  un  "istituto" del tutto nuovo e
 diverso rispetto a quello previsto nella direttiva n.  45:  trattasi,
 viceversa,  evidentemente,  nel  caso  in  esame  (a  differenza,  ad
 esempio, di quello deciso con  la  sent.  n.  435  del  1990),  della
 semplice  estensione  dello  spazio  applicativo  del  rito  speciale
 delineato nella citata direttiva (in  particolare,  relativamente  al
 tipo di pena in presenza della quale e' possibile farvi ricorso), nel
 rispetto  - come si e' visto - della ratio della direttiva medesima e
 delle altre caratteristiche essenziali dell'istituto ivi indicate.
    3. - Ma v'e' anche  un  ulteriore  argomento:  questa  Corte,  con
 sentenza  n.  148  del  1984,  pur dichiarando inammissibile - per la
 pluralita' delle possibili soluzioni e la  conseguente  spettanza  al
 legislatore  delle  relative  scelte  -  la  questione  della mancata
 previsione della pena pecuniaria  tra  le  sanzioni  sostituibili  su
 richiesta  dell'imputato ex art. 77 della legge n. 689 del 1981, ebbe
 modo  di  affermare  che "una volta che il legislatore ha ritenuto di
 introdurre nell'ordinamento, sotto determinate condizioni, il ricorso
 a  misure  alternative,  potrebbe  non   sembrare   giustificata   la
 differenza fra il trattamento usato al cittadino autore di reato piu'
 grave,  ammesso  a  fruire  della particolare procedura, e quello che
 tocca a chi ne rimane escluso  pur  essendo  incorso  in  piu'  lieve
 infrazione,  se  questa  e' punita astrattamente, o viene comunque in
 concreto punita, con pena pecuniaria".
    Tali  considerazioni,  che   certamente   sarebbero   in   ipotesi
 riferibili  anche  all'istituto  ora  in  esame, valgono a dimostrare
 ulteriormente l'infondatezza della presente questione,  tenuto  anche
 conto  del fatto che nella prima parte dell'art. 2 della legge delega
 e' espressamente enunciato il principio  direttivo  generale  secondo
 cui  "il  codice  di  procedura  penale deve attuare i principi della
 Costituzione".
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondata   la   questione   di
 legittimita' costituzionale dell'art. 444, primo comma, del codice di
 procedura   penale,  sollevata,  in  riferimento  all'art.  76  della
 Costituzione,  dal  Pretore  di   Torino,   sezione   distaccata   di
 Moncalieri, con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 1› aprile 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 6 aprile 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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