N. 151 SENTENZA 1 - 8 aprile 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Sequestro - Convalida -  Trasmissione  del  verbale
 all'a.g. - Perentorieta' del termine - Omessa previsione - Previsione
 di  una fattispecie di restituzione autonoma rispetto a quella di cui
 all'art. 262 del  c.p.p.  -  Non  fondatezza  nei  sensi  di  cui  in
 motivazione.
 
 (C.P.P., art. 355).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 42).
(GU n.16 del 14-4-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 Nomposta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici:  dott.  Francesco  GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
 SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro  FERRI,  prof.  Luigi
 MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA, prof. Giuliano
 VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  355,  primo  e
 secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza
 emessa  il  13  marzo  1992 dal Tribunale di Bari nel procedimento di
 riesame di convalida di  sequestro  su  richiesta  di  De  Benedictis
 Gaetano,  iscritta al n. 314 del registro ordinanze 1992 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  25,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio  1993  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1. - In sede di riesame di un decreto di convalida di sequestro di
 cui si eccepiva l'inefficacia per mancato rispetto del termine di cui
 all'art.  355  cod.  proc.  pen.  (quarantotto  ore  successive  alla
 trasmissione  del   relativo   verbale   da   parte   della   polizia
 giudiziaria),  il  Tribunale di Bari, pur rilevando che in effetti il
 termine non era stato rispettato perche' la  convalida  del  pubblico
 ministero era intervenuta trentun giorni dopo il sequestro, osservava
 che i termini previsti da detta norma devono considerarsi ordinatori:
 e  cio' sia perche' per la loro inosservanza - a differenza di quanto
 stabilito  per   altri   provvedimenti   coercitivi   della   polizia
 giudiziaria,  quale il sequestro preventivo (art. 321, commi 3- bis e
 3- ter) - non  e'  stabilita  alcuna  sanzione  di  inefficacia,  sia
 perche'  non  e'  ravvisabile alcuna ipotesi di decadenza o nullita',
 essendo queste dichiarabili solo in caso di  espressa  previsione  di
 legge  (artt.  173 e 177 cod. proc. pen. ). Del resto, il termine per
 la convalida del sequestro era ritenuto ordinatorio anche nel  vigore
 del codice abrogato (art. 224- bis cod. proc. pen. del 1930).
    Tanto  premesso,  il  Tribunale ha sollevato, con ordinanza del 13
 marzo 1992, una questione di legittimita' costituzionale del predetto
 art. 355, "nella parte in cui non prevede come  perentori  i  termini
 entro   i  quali  il  verbale  di  sequestro  deve  essere  trasmesso
 all'autorita' giudiziaria  ed  entro  i  quali  deve  intervenire  la
 convalida",  assumendone  il contrasto con gli artt. 3, 24 e 42 della
 Costituzione.
    Ad avviso del giudice rimettente, la circostanza  che  il  termine
 per  la  convalida  sia  ordinatorio  e  che  percio' resti immune da
 censura il suo mancato rispetto, consente  che  i  beni  oggetto  del
 sequestro (nella specie, titoli di credito) vi restino sottoposti per
 un  tempo  non  breve  o  addirittura  indeterminato,  ed  e' percio'
 suscettibile di pregiudicare il diritto  di  proprieta'  dei  privati
 garantito dall'art. 42 della Costituzione.
    Inoltre, in caso di mancata convalida, potrebbe configurarsi anche
 una  violazione  dell'art.  24  della Costituzione in quanto, in base
 all'art. 355, comma terzo, cod proc. pen., mancherebbe ogni mezzo  di
 impugnazione  contro  l'atto  di  sequestro,  essendo la richiesta di
 riesame  prevista  solo  contro  il  decreto  di  convalida,  la  cui
 emanazione non e' soggetta ad alcun termine perentorio.
    In  riferimento, infine, alla diversa disciplina sul punto dettata
 in tema di  sequestro  preventivo,  il  giudice  a  quo  ravvisa  una
 disparita'  di  trattamento tra coloro che vedono sottoposti i propri
 beni a sequestro ad opera della polizia giudiziaria a  seconda  della
 finalita'   probatoria   o   preventiva  perseguita,  e  percio'  una
 violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    2. - Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
 difeso   dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,   sostiene   che
 quest'ultima censura e'  infondata  perche'  le  situazioni  poste  a
 confronto  non  sono  identiche,  essendo  diversi gli obiettivi e le
 finalita' perseguite con il sequestro  preventivo  (eliminazione  del
 pericolo  della  commissione  di  altri  reati o dell'aggravamento di
 quello commesso) da quelle proprie del sequestro in esame, che ha una
 funzione rilevante esclusivamente sul piano probatorio.
    La circostanza, poi, che il sequestro di un bene venga ad incidere
 sulla   relativa   disponibilita'   del   proprietario    rappresenta
 semplicemente  l'effetto di un atto legittimamente posto in essere in
 vista del conseguimento di obiettivi di giustizia ritenuti meritevoli
 di tutela: effetto, questo, del tutto  compatibile  con  la  funzione
 assegnata  all'istituto  della proprieta', attesi i limiti che l'art.
 42 della Costituzione consente di apporre al suo esercizio.
    Infine, ad avviso dell'Avvocatura, anche il diritto di  difesa  e'
 adeguatamente rispettato in virtu' della previsione di riesame per il
 solo  provvedimento  per  il  quale  puo'  effettivamente  sorgere un
 interesse attuale alla rimozione, e cioe' il decreto di convalida.
                        Considerato in diritto
    1. - L'art. 355 del nuovo codice di procedura penale prevede,  nei
 primi  due  commi,  che  nel caso in cui la polizia giudiziaria abbia
 effettuato un sequestro a fini probatori, essa debba  trasmettere  il
 relativo  verbale non oltre quarantotto ore al pubblico ministero del
 luogo ove il sequestro e'  stato  eseguito.  Il  pubblico  ministero,
 nelle  quarantotto  ore successive, con decreto motivato convalida il
 sequestro  se  ne  ricorrono  i  presupposti,   ovvero   dispone   la
 restituzione delle cose sequestrate.
    Il  Tribunale  di  Bari, chiamato a giudicare, in sede di riesame,
 della legittimita' di un decreto di  convalida  emesso  dal  pubblico
 ministero  a distanza di trenta giorni dal ricevimento del verbale di
 sequestro  eseguito   dalla   polizia   giudiziaria,   dubita   della
 legittimita'  costituzionale  delle  predette disposizioni, assumendo
 che esse, nella parte in cui non prevedono come perentori  i  termini
 entro   i  quali  il  verbale  di  sequestro  deve  essere  trasmesso
 all'autorita' giudiziaria  ed  entro  i  quali  deve  intervenire  la
 convalida, contrasterebbero:
       con l'art. 42 della Costituzione, perche' la natura ordinatoria
 del   termine  consente  il  protrarsi  teoricamente  indefinito  del
 sequestro e sarebbe percio' suscettibile  di  porre  in  pericolo  il
 diritto di proprieta';
       con  l'art.  24 della Costituzione, perche', essendo il riesame
 previsto solo contro il decreto di convalida, la  mancata  emanazione
 di  questo  precluderebbe ogni mezzo di impugnazione contro l'atto di
 sequestro;
       con   l'art.   3  della  Costituzione,  per  la  disparita'  di
 trattamento  conseguente  alla  diversa  disciplina   del   sequestro
 probatorio  rispetto  al sequestro preventivo, che prevede invece che
 la mancata osservanza dei termini per richiedere  o  provvedere  alla
 convalida  comporta  l'inefficacia  del sequestro (art. 321, commi 3-
 bis e 3-ter, cod. proc. pen.).
    2. - Va premesso che la  questione  e'  rilevante,  e  va  percio'
 esaminata,  solo in riferimento al termine previsto dal secondo comma
 dell'art. 355, dato che oggetto del riesame  era,  nella  specie,  il
 decreto  di  convalida  e che non risulta che il verbale di sequestro
 fosse stato trasmesso tardivamente dalla polizia giudiziaria.
    Nel merito, la Corte ritiene innanzitutto  che  la  diversita'  di
 disciplina,  quanto  ad  espressa  previsione  di  perentorieta'  dei
 termini, dettata, rispettivamente, per il sequestro preventivo e  per
 quello  probatorio  non  possa  essere  apprezzata  in riferimento al
 principio di uguaglianza.
    Il sequestro preventivo e',  invero,  un  atto  che,  per  la  sua
 finalizzazione alla prevenzione di un pericolo, ovvero alla confisca,
 la  legge  ha  inteso  riservare  al giudice: ed e' quindi logico che
 esso, quando venga, per ragioni di urgenza,  disposto  dalla  polizia
 giudiziaria   o   dal  pubblico  ministero,  costituisca  una  misura
 intrinsecamente   provvisoria,   destinata   ad   estinguersi   entro
 brevissimo termine se non confermata dal giudice.
    La  convalida  del  sequestro  probatorio  operato  dalla  polizia
 giudiziaria e', viceversa, atto proprio del pubblico  ministero  dato
 che  ha  la  stessa  funzione  del  decreto con cui costui dispone il
 sequestro, mirando non solo al controllo dell'operato  della  polizia
 giudiziaria  ma anche al mantenimento della misura: mentre il compito
 attribuito al giudice in sede di riesame del decreto di convalida  e'
 di  verificare  non  la  legittimita'  dell'iniziativa  della polizia
 giudiziaria,  ma   la   necessita'   delle   cose   sequestrate   per
 l'accertamento dei fatti (art. 253, primo comma, cod. proc. pen.).
    3.  -  Quanto  alle  censure  riferite  agli  artt.  42 e 24 della
 Costituzione, la Corte ritiene che esse discendano da una  inadeguata
 percezione del contenuto precettivo della disposizione impugnata.
    Questa,  in  effetti,  non  puo' che essere letta in armonia con i
 disposti costituzionali regolanti la materia, i quali impongono  che,
 qualora  la  legge  conferisca  alla polizia giudiziaria il potere di
 sacrificare la liberta' personale e domiciliare - e quindi  anche  il
 sequestro  di  beni  appresi nel domicilio della persona - deve anche
 prevedere un  intervento  dell'autorita'  giudiziaria  nei  ristretti
 termini che la stessa norma censurata prevede (art. 13, secondo comma
 e  14, secondo comma, della Costituzione). Il sequestro operato dalla
 polizia giudiziaria e' quindi, per sua  natura,  atto  provvisorio  e
 l'intervento su di esso dell'autorita' giudiziaria atto urgente.
    Ma  la  norma  impugnata,  stabilendo  che "il pubblico ministero,
 nelle quarantotto ore successive, con decreto motivato  convalida  il
 sequestro   se   ne   ricorrono   i  presupposti  ovvero  dispone  la
 restituzione delle cose sequestrate", a ben  vedere  non  viola  tali
 garanzie.  Essa,  in effetti, impone al pubblico ministero un duplice
 obbligo, in via alternativa, che va adempiuto, in  entrambi  i  casi,
 "nelle  quarantotto  ore"  successive  alla  ricezione del verbale di
 sequestro: e cioe', o di convalidare  il  sequestro  (ricorrendone  i
 presupposti) o di disporre la restituzione delle cose sequestrate. Di
 conseguenza,  la  possibilita'  di  optare  per  la convalida, ove ne
 ricorrano i presupposti, si consuma ove il termine di quarantotto ore
 sia  inutilmente  spirato,  ed  in tal caso sorge in capo al pubblico
 ministero  l'obbligo,  conseguente   alla   mancata   convalida,   di
 provvedere  alla restituzione delle cose sequestrate, a seguito della
 sopravvenuta inefficacia del sequestro. La norma, cioe', prevede  una
 fattispecie  di  restituzione  -  autonoma  rispetto  a quella di cui
 all'art. 262 del codice di rito, e regolata nelle modalita'  applica-
 tive  dall'art.  263 - che si perfeziona non solo ove non ricorrano i
 presupposti per la convalida, ma anche quando questa  non  intervenga
 nel termine di quarantotto ore.
    Ne  deriva  che,  ove  la  convalida  non  intervenga  nel termine
 perentorio sopra indicato, l'interessato ha la facolta'  di  attivare
 la procedura di restituzione e di reagire contro il diniego di questa
 da parte del pubblico ministero, ai sensi del quinto comma del citato
 art.  263:  e  percio' stesso resta priva di base la censura riferita
 dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione e,  conseguentemente,
 anche quella di cui all'art. 42.
    La  norma impugnata, dunque, se intesa nel senso suddetto - che e'
 il solo coerente ai principi costituzionali  -  sfugge  alle  censure
 mossele: onde la questione va dichiarata infondata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di  legittimita' costituzionale dell'art. 355 del codice di procedura
 penale sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24  e  42  della
 Costituzione, dal Tribunale di Bari con ordinanza del 13 marzo 1992.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 1› aprile 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria l'8 aprile 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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