N. 173 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 gennaio 1993
N. 173 Ordinanza emessa il 22 gennaio 1993 dal tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Greco Franco Processo penale - Dibattimento - Contestazione di fatto nuovo risultante dal dibattimento - Consenso dell'imputato alla contestazione - Mancata previsione della possibilita' di procedere con il rito abbreviato con conseguente inapplicabilita' dell'attenuante di cui all'art. 444 del c.p.p. - Irragionevolezza con incidenza sul diritto di difesa. (C.P.P. 1988, art. 446, primo e terzo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.17 del 21-4-1993 )
IL TRIBUNALE Ha emesso all'udienza del 22 gennaio 1993 la seguente ordinanza. Nel corso del procedimento penale a carico di Greco Franco - imputato del reato di rapina aggravata dall'avere usato come minaccia una siringa (arma impropria) e dall'avere agito unitamente ad un complice (non identificato), in danno di Voghera Massimiliano da cui si faceva consegnare una banconota da L. 50.000 - il p.m., a seguito delle risultanze dibattimentali, chiedeva, a norma dell'art. 518.2 del c.p.p., di essere autorizzato alla contestazione in udienza al medesimo Greco del reato di cui all'art. 73 del t.u. stupefacenti per avere ceduto a Giustiniani Carmine (il preteso complice finallora non identificato nel reato di rapina) meta' di una dose di eroina. Il fatto contestato in udienza e' indubitabilmente "nuovo", nel senso che non e' connesso a quello di cui alla originaria imputazione di rapina, non risultando gli estremi di cui all'art. 12 del c.p.p. L'imputato, presente, ha accettato la contestazione, ed ha quindi proposta istanza di "patteggiamento" ex art. 444 del c.p.p., cui il p.m. ha aderito. A questo punto il tribunale ha ordinato la separazione del procedimento originario per rapina (sul quale ha poi pronunciato sentenza assolutoria del Greco) da quello instaurato in corso di giudizio per il nuovo reato di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, per la duplice ragione che il Greco era in stato di detenzione per l'originaria imputazione onde urgeva decidere anche ai fini dello status libertatis, e che la richiesta di applicazione della pena per il nuovo reato contestato, promossa dall'imputato ed alla quale il p.m. aveva prestato consenso, urtava contro il disposto dell'art. 446, primo e quarto comma, del c.p.p. E' chiara la rilevanza della questione, in presenza di una richiesta di applicazione di pena da parte dell'imputato, cui presta consenso il p.m., formulata oltre il momento in cui e' stato aperto il dibattimento, nel senso che il tribunale, dovendo respingere la richiesta ex art. 446 del c.p.p., si pone il quesito se tale norma e' conforme a Costituzione nella parte in cui non prevede la possibilita' per le parti di formulare la richiesta di applicazione di pena e correlativamente di prestare il consenso in una situazione quale e' quella prevista dall'art. 518.2 del c.p.p. In punto non manifesta infondatezza i profili si devono riscontrare in relazione al principio di eguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, al diritto alla difesa di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Sotto il profilo del principio di eguaglianza appare di tutta evidenza che la legge viene a trattare in maniera diseguale due situazioni fra loro estremamente simili, ed anzi a trattare in maniera piu' "punitiva" quella nella quale l'imputato, accettando la contestazione di un fatto nuovo di dibattimento e proponendo istanza di patteggiamento, rende il piu' agevole possibile il compito della giustizia, consentendo di giungere immediatamente ad una decisione e rinunciando al limite al mezzo di impugnazione costituito dall'appello. Non vale, ad avviso del tribunale, rilevare che l'alternativa consentita dalla legge e' pur sempre quella del procedimento nelle forme ordinarie, cosi' che per il fatto nuovo di cui il p.m. chiede la contestazione in udienza, l'imputato presente (se intende formulare richiesta a norma dell'art. 444 del c.p.p.) deve semplicemente esprimere il dissenso verso la contestazione immediata; con la conseguenza del ritorno del procedimento alla fase delle indagini preliminari e con ogni possibilita' di fare richiesta di applicazione di pena fino all'apertura dell'eventuale nuovo dibattimento. Questa era una via che il tribunale conosceva, ma ha preferito escluderla di fronte ad esigenze di economia processuale e di concentrazione del dibattimento, in cio' sollecitato dallo stesso disposto dell'art. 518.2. Invero o si afferma che il tribunale deve sempre - di fronte ad una contestazione ex art. 518 del c.p.p. - rimettere gli atti al p.m. in sede di indagini preliminari per consentire di ripercorrere l'intero iter processuale nel quale e' prevista anche l'ipotesi di cui all'art. 444 del c.p.p.; ovvero non si puo' disconoscere che, se sono vere le esigenze di speditezza menzionate dall'art. 518.2 del c.p.p., all'imputato (quando accetti la contestazione) non deve essere preclusa la possibilita' di avvalersi della facolta' prevista dall'art. 444 del c.p.p. La soluzione, quale oggi e' cristallizzata nelle norme esaminate, non convince punto sotto un profilo di ragionevolezza e di garanzia della speditezza processuale, che costituisce uno dei cardini del nuovo processo. Posto che, come nel caso, si e' in presenza della contestazione di un fatto nuovo risultante dal dibattimento (a norma dell'art. 518 del c.p.p.), che il presidente del collegio ha autorizzato la relativa contestazione nella medesima udienza, che l'imputato ha prestato consenso alla contestazione a tutto vantaggio della speditezza del procedimento, non si comprende la ragionevolezza dell'inibire in questa sede (consenzienti le parti) il ricorso all'art. 444 del c.p.p. Il tribunale non ignora la giurisprudenza della Corte costituzionale, in particolare la sentenza 8 luglio 1992, n. 316, che ha deciso un caso analogo, relativo alla contestazione nel corso del dibattimento di un fatto concorrente ex art. 517 del c.p.p. e di contestuale richiesta di rito abbreviato da parte dell'imputato, sulla base del principio dell'imputet sibi, ossia rilevando che l'imputato ben poteva prevedere la nuova contestazione "dato lo stretto rapporto intercorrente tra l'imputazione originaria ed il reato connesso". Ma ha anche presente che diverso e' il caso del rito abbreviato rispetto al patteggiamento, e soprattutto che diversa e' l'ipotesi di contestazione di reato concorrente di cui all'art. 517 del c.p.p. e di contestazione di fatto nuovo di cui all'art. 518 del c.p.p. Ragion per cui non ritiene che le due situazioni siano tra loro assimilabili. Sotto il profilo del diritto alla difesa il tribunale ravvisa a conforto della tesi qui sostenuta argomenti adottati in altro contesto dlla stessa Corte costituzionale. Infatti nella sentenza 28 dicembre 1990, n. 593 (che richiama espressamente altri precedenti) si legge testualmente: "l'interesse dell'imputato a beneficiare dei vantaggi che discendono dall'instaurazione di tale rito speciale (abbreviato) in tanto rileva, in quanto egli rinunzi al dibattimento, accettando di essere giudicato sostanzialmente sulla base degli elementi raccolti dall'organo dell'accusa - senza partecipare alla formazione della prova in contraddittorio - e di subire limiti alla proponibilita' dell'appello. L'interesse dell'imputato trova cioe' tutela solo in quanto la sua condotta consenta l'effettiva adozione di una sequenza procedimentale che, evitando il dibattimento e contraendo le possibilita' di appello, permette di raggiungere quell'obiettivo di rapida definizione del processo che il legislatore ha inteso perseguire con l'introduzione del rito abbreviato e piu' in generale dei riti speciali". La medesima decisione citata aggiunge che "quando per l'inerzia dell'imputato tale scopo non puo' essere pienamente raggiunto - in quanto si e' gia' pervenuti al dibattimento - sarebbe del tutto irrazionale consentire che, ciononostante, a quel giudizio si addivenga in base alle contingenti valutazioni dell'imputato sull'andamento del processo". Ora, nel caso in esame, ci si trova in una situzione simmetrica- opposta. La condotta dell'imputato che accetta in udienza la contestazione del "fatto nuovo" viene penalizzata dalla esclusione del patteggiamento, quando questo permetterebbe di raggiungere quell'obiettivo di rapida definizione del processo che il legislatore ha inteso perseguire con l'applicazione di pena su richiesta della parte. Ed all'opposto, se l'imputato sa che e' preclusa la via della richiesta di applicazione di pena, non potra' fare altro che moltiplicare i tempi del processo, preferendo che si proceda anche per il fatto nuovo con le vie ordinarie, cosi' da potere fruire in futuro della possibilta' di patteggiare la pena, giovandosi della sua procedente inerzia. Ne' valgono le altre considerazioni aggiuntive della citata sentenza della Corte, in quanto di fronte al fatto nuovo contestato in udienza non si puo' argomentare che l'imputato abbia scelto una determinata via in base a contingenti valutazioni sull'andamento del processo. E' ovvio che l'eccezione puo' anche essere letta nel senso della illegittimita' costituzionale dell'art. 518, secondo comma, del c.p.p. nella parte in cui non dispone (in deroga all'art. 446 del c.p.p.) che l'istanza di patteggiamento puo' essere fatta valere nell'ipotesi in cui, autorizzata la contestazione del fatto nuovo da parte del presidente, l'imputato consenta alla contestazione stessa.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 446, primo e terzo comma, del c.p.p. - nella parte in cui non prevedono che le parti possano formulare la richiesta di cui all'art. 444, primo comma, e reciprocamente dare il consenso nella situzione di autorizzazione alla contestazione in udienza di un fatto nuovo con relativo consenso dell'imputato ex art. 518, secondo comma, del c.p.p. - pre contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Torino, addi' 22 gennaio 1993 Il presidente estensore: AMBROSINI 93C0382