N. 24 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 9 aprile 1993

                                 N. 24
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 9 aprile 1993 (dalla regione Toscana)
 Controlli amministrativi - Disposizioni a tutela della legittimita'
    dell'azione amministrativa - Attribuzione al procuratore regionale
    presso la Corte dei conti del potere di proporre ricorso al t.a.r.
    (nonche' di resistere ed intervenire nei giudizi innanzi a  questo
    pendenti  e  di  proporre  eventualmente  appello  al Consiglio di
    Stato) avverso atti e provvedimenti di pubbliche  amministrazioni,
    in   vista  dell'interesse  generale  al  buon  andamento  e  alla
    imparzialita'  delle   stesse,   a   tutela   della   legittimita'
    dell'azione  amministrativa  -  Interferenza di detta attivita' di
    controllo con quella  gia'  esercitata  in  via  preventiva  dalla
    commissione  statale  di  controllo  sugli  atti  della  regione -
    Indebita attribuzione ad un organo giurisdizionale del  potere  di
    attivazione  di  un giudice di un diverso ordine giurisdizionale -
    Invasione  della  sfera  di  autonomia  regionale  e  lesione  del
    principio  della tassativita' e insuscettibilita' di estensione da
    parte del legislatore dei controlli sulle regioni, affermato dalla
    giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 229/1989).
 (D.L. 8 marzo 1993, n. 54, artt. 3 e 5).
 (Cost., artt. 5, 97, 100, secondo comma, 115, 117, 118, 125, 126, 127
    e 134).
(GU n.17 del 21-4-1993 )
   Ricorso per la regione Toscana, in  persona  del  presidente  della
 Giunta  regionale,  rappresentata  e difesa per procura a margine del
 presente atto dall'avv. Alberto  Predieri  e  presso  il  suo  studio
 elettivamente  domiciliato  in  Roma,  via G. Carducci n. 4 contro il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  per  la  dichiarazione  di
 illegittimita'  costituzionale  degli artt. 3 e 5 del decreto-legge 8
 marzo  1993  n.  54  "Disposizioni  a   tutela   della   legittimita'
 dell'azione  amministrativa",  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
 56 del 9 marzo 1993.
    1. - Sulla Gazzetta Ufficiale n. 56 del  9  marzo  1993  e'  stato
 pubblicato il decreto-legge in oggetto.
    Esso  in  parte  riordina,  secondo un'articolazione regionale, le
 funzioni  giurisdizionali  della  Corte  dei  conti;  provvede   alla
 soppressione  di talune sezioni della Corte dei conti; riorganizza la
 funzione del pubblico ministero presso la Corte dei conti e i giudizi
 in materia pensionistica; introduce la  prescrizione  dell'azione  di
 responsabilita'  per  tutti  gli  amministratori  e  dipendenti delle
 pubbliche amministrazioni, gia' prevista dall'art. 58 della legge  n.
 142/1990  per i soli amministratori e il personale degli enti locali,
 nonche' l'obbligo di denuncia dei  fatti  dai  quali  e'  derivato  o
 potrebbe derivare un danno erariale, e degli atti e dei comportamenti
 di cui viene rilevata l'illegittimita'.
    2.  - In altra parte, e precisamente nell'art. 3, il decreto-legge
 introduce l'azione a tutela della legittimita' amministrativa.
    Il procuratore regionale presso la Corte dei  conti  puo'  in  via
 autonoma  proporre ricorso al t.a.r. "avverso atti e provvedimenti di
 pubbliche amministrazioni, in vista dell'interesse generale  al  buon
 andamento  e  all'imparzialita'  di esse, a tutela della legittimita'
 dell'azione amministrativa; puo' altresi' resistere e intervenire nei
 giudizi pendenti innanzi a detto tribunale" (art.  3,  primo  comma);
 puo'  (o,  in  alternativa,  il  procuratore  generale puo') proporre
 appello in Consiglio  di  Stato  nei  confronti  delle  sentenza  del
 t.a.r.,  il  quale,  come del resto il Consiglio di Stato, ha termini
 brevissimi per decidere incamera di  consiglio  (art.  3,  secondo  e
 terzo comma).
    Allo  scopo  di  consentire  l'azione, e' fatto obbligo a tutte le
 amministrazioni pubbliche, di trasmettere  al  procuratore  regionale
 tutti  i  provvedimenti  dai  quali  derivi  per  l'erario  una spesa
 superiore a un miliardo, nonche' di tutti  quelli  di  pianificazione
 del  territorio,  di  programmazione  degli  interventi industriali e
 delle opere pubbliche, di rilascio delle concessioni  edilizie  e  di
 approvazione  di  concessioni  e contratti per l'esecuzione di opere,
 forniture e servizi (art. 3, quarto comma).
    I successivi commi contengono norme di procedura: tra le quali  va
 in  particolare  notata  quella  secondo  cui  "quando  ricorrono  le
 condizioni di cui al primo comma e risulta gia' pendente il giudizio,
 il procuratore regionale vi interviene con atto da notificare a tutte
 le parti; in  tali  casi,  il  giudice  amministrativo  decide  sulla
 legittimita'  dell'atto  o  del  comportamento impugnato anche quando
 ritiene  che   il   ricorso   sia   irricevibile,   inammissibile   o
 improcedibile,  ovvero  quando  il  ricorrente ha dichiarato di voler
 rinunziare all'impugnazione. In ogni caso, i termini processuali sono
 ridotti della meta'".
    3. - La  norma  censurata  viola,  sotto  molteplici  profili,  la
 normativa  costituzionale  incidendo,  in modo lesivo, sulla sfera di
 competenza regionale, e legittimando  di  conseguenza  la  regione  a
 impugnarla.
    In   primo   luogo,   l'attivita'  del  procuratore  regionale  si
 sostanzia,  al  momento  del  "prelievo"   dell'atto   amministrativo
 regionale,  ai  fini  della  valutazione  della  sua legittimita', in
 relazione allo svolgimento successivo  ed  eventuale  del  ricorso  o
 dell'intervento al t.a.r., nell'estrinsecazione di un giudizio che e'
 precisamente  quello  che  caratterizza  l'attivita' di controllo: la
 quale invece, ai sensi dell'art.  125  della  Costituzione,  e'  gia'
 esercitata  dall'organo individuato con la legge n. 62/1953 e succes-
 sive modifiche e integrazioni, nelle  forme  e  nei  modi  da  questa
 previsti,  e  cioe'  secondo  una  normativa  gia'  esistente  che il
 decreto-legge non abroga ne' potrebbe abrogare.
    E'  pacifico  che  appartenga  alla  nozione  di  controllo,  come
 elemento  essenziale,  il  giudizio  portato  sull'atto  oggetto  del
 controllo:  "c'e'  concordia  in  dottrina",   si   e'   recentemente
 ricordato,  "sul  punto che il controllo debba comprendere il momento
 del  giudizio,   come   valutazione   di   conformita'   dell'oggetto
 controllato  alla  sfera di valori che il controllante deve tutelare,
 momento che implicitamente  contiene  in  se'  l'altro  momento  c.d.
 ispettivo,  considerato  che  il giudizio comporta sempre la presa di
 conoscenza  della  materia  da  controllare"  (Tomei,  L'approvazione
 amministrativa,  Torino, 1990, p. 94). Controllo e' "la verificazione
 di conformita' a determinati  canoni  dell'operato  di  altre  figure
 soggettive" (Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano,
 1981,  p.  48;  Sepe,  Controlli.  I) Profili generali, in Enc. giur.
 Treccani):  cosicche'   la   fase   dell'accertamentoo   verifica   o
 valutazione   intesa   come  "esame  di  una  condotta  della  figura
 soggettiva controllata in ordine ad un canone"  (Crosetti,  Controlli
 amministrativi,  Dig.  disc.  pubbl.,  t. IV, Torino, 1989, p. 68) e'
 elemento e fase costitutivi del procedimento di controllo.
    L'attivita' del procuratore regionale, o del procuratore  generale
 in    caso   di   appello,   che   prendono   in   esame   gli   atti
 dell'amministrazione regionale e ne valutano il contenuto  "in  vista
 dell'interesse  generale al buon andamento e all'imparzialita'" della
 p.a. e "a tutela della legittimita' dell'azione amministrativa" (come
 afferma l'art. 3, primo comma, che in tal modo  esplicita  il  canone
 della  valutazione  affidata  al  procuratore  regionale) e' pertanto
 tipicamente  attivita'  di  controllo,  rientrando  pienamente  nella
 configurazione  dello stesso. E' infatti "ormai acquisito il concetto
 che  anche  nel  campo  pubblicistico   il   controllore,   allorche'
 riesamina,  anche  nei  limiti  del  solo  controllo di legittimita',
 un'attivita' amministrativa discrezionale, non si limita a verificare
 meccanicamente la conformita' alle norme ma compie  intellettualmente
 una   valutazione  dell'esercizio  dell'attivita'  discrezionale  del
 controllato  (accertamento  di  una  situazione  di  fatto  e   degli
 interessi  primari  e  secondari con essa connessi e ponderazione dei
 vari interessi) per pervenire ad un giudizio di valore (che  servira'
 anche  come  indirizzo  per  l'attivita'  futura da svolgere)" (Sepe,
 cit.; nonche' Levi, L'attivita' conoscitiva della P.A., Torino, 1967,
 221 ss.; Sepe, L'efficienza nell'azione amminsitrativa, Milano,
 1975, 173 ss.).
    Tale attivita' valutativa inoltre, non e' fine a se' stessa, ma e'
 orientata a provocare l'adozione di  una  misura  ostativa  al  pieno
 dispiegarsi degli effetti dell'atto, quale e' la sottoposizione dello
 stesso  al  vaglio  dell'organo  giurisdizionale. Al momento, o fase,
 accertativi,  segue  pertanto  un  momento  comminatorio,  che   pure
 appartiene  tipicamente  al  controllo  (cfr. gia' Forti, I controlli
 dell'amministrazione comunale, Tratt. orlando, II, 2,  Milano,  1915,
 508 ss.; e poi, soprattutto, Giannini, Recensione a Salvi, Riv. trim.
 dir. pubbl., 1958, p. 374; Id., Istituzioni .., cit., p. 48-49).
    Il  fatto  che  la  misura  ostativa (nella specie, l'annullamento
 dell'atto, che  costituisce  lo  specifico  petitum  del  ricorso  al
 tribunale  amministrativo  regionale)  non  sia direttamente prodotta
 dallo stesso soggetto controllante,  ma  venga  da  questi  provocata
 tramite la richiesta dello stesso ad un organo giurisdizionale terzo,
 non implica assenza di un elemento costitutivo del controllo, data la
 riconosciuta  estrema  varieta' e multiformita' della categoria della
 misura ostativa, che puo' risolversi anche nella  proposta  che  essa
 venga  adottata  da  altra autorita' (cosi' Giannini, Istituzioni ..,
 cit., p. 48), ossia in un atto di impulso affinche' un soggetto terzo
 emetta il provvedimento conseguente al giudizio di disvalore  che  il
 soggetto  controllante  (nella  specie  chiedendo  l'annullamento) ha
 pronunziato.
    4.  - In questa prospettiva, all'attivita' affidata al procuratore
 regionale presso la Corte dei conti deve pertanto riconoscersi natura
 di attivita' di controllo: con conseguente violazione  dell'art.  125
 della   Costituzione,   e   lesione  della  sfera  costituzionalmente
 garantita alla  regione  nella  misura  in  cui  si  risolve  in  una
 inammissibile  duplicazione  dei controlli di legittimita' sugli atti
 dell'amministrazione regionale, che l'art. 125 della Costituzione non
 consente, come meglio diremo in seguito.
    Come detto, il decreto-legge  54/1993  non  abroga  (ne'  potrebbe
 farlo) alcuna delle norme precedentemente in vigore (legge n. 62/1953
 e  successive modifiche e integrazioni), in base alle quali veniva (e
 viene tuttora) esercitato, ai sensi dell'art. 125 della Costituzione,
 il controllo di legittimita' sugli atti amministrativi della regione.
    Ne consgue che tale controllo e' adesso affidato,  dopo  l'entrata
 in  vigore  della  legge  n.  62/1953,  sia  in  via  preventiva alla
 commissione di controllo di cui agli artt.  41  ss.  della  legge  n.
 62/1953, sia in via successiva, e nella forma dell'accertamento della
 illegittimita' dell'atto, e dell'impulso ad un organo giurisdizionale
 terzo  perche'  proceda al suo annullamento, al procuratore regionale
 presso la Corte dei conti.
   Ad  un  controllo  esercitato  da  un  organo  dell'amministrazione
 statale,   se  ne  aggiunge  un  altro,  esercitato  da  un  soggetto
 qualificato per essere titolare di  funzioni  di  pubblico  ministero
 (art.  2,  secondo  comma),  che  svolge  il  controllo  assumendo la
 qualita'  di  parte  di  un  procedimento  giurisdizionale  destinato
 anch'esso  ad un sindacato di legittimita' qual'e' quello del giudice
 amministrativo.
    La  natura  del  controllo  resta  la  stessa,  perche'  tanto  la
 commissione  di  cui  al  capo II della legge n. 62/1953 e successive
 modifiche e integrazioni, quanto il procuratore regionale, esercitano
 un controllo che viene esplitamente qualificato di legittimita'.
    L'identita' di tale natura conferma la reale sostanza  di  vera  e
 propria  duplicazione  del controllo, che si pone in aperto contrasto
 con l'art. 125 della Costituzione, a norma del quale il controllo  di
 legittimita'  e'  esercitato  da  un organo dello Stato (e non da una
 pluralita' di organi, ciascuno dei quali avente  la  possibilita'  di
 riformulare ex novo il controllo).
    E'   evidente   altresi'   e   rileva   sotto   il  profilo  della
 legittimazione al ricorso, la lesione della sfera  costituzionalmente
 garantita  alla  regione,  dal momento che l'illegittima duplicazione
 del controllo determina un'indebita  ingerenza  dello  stesso,  e  la
 conseguente coartazione della sfera costituzionalmente riservata alla
 regione,  in  tutte  le materie nelle quali si estrinseca la potesta'
 amministrativa  regionale  per  gli  atti  di  cui  al  quarto  comma
 dell'art.   3,   tra   i  quali  stanno  certamente  atti  rientranti
 nell'ambito  delle  competenze  trasferite,  come  -  a  puro  titolo
 esemplificativo  -  quelli  attinenti  alla  materia urbanistica, o a
 quella dei lavori pubblici di interesse regionale.
    5. - Per effetto della norma denunciata, viene in sostanza lesa la
 stessa  essenza   del   sistema   autonomistico   configurato   dalla
 Costituzione  (art.  5),  dal  momento  che  si  incide sul carattere
 costituzionale dell'autonomia regionale sancita dall'art.  115  della
 Costituzione,   in   particolare   con  riferimento  alla  disciplina
 costituzionalizzata  degli   elementi   fondamentali   di   tutti   i
 procedimenti di controllo sull'attivita' e sugli organi della regione
 (artt.  125,  126  e 127 della Costituzione), nonche' con riferimento
 alla sussistenza, ugualmente costituzionalizzata, di una possibilita'
 generale di controllo giurisdizionale e di conflitto di  attribuzione
 sollevabile   innanzi  alla  Corte  costituzionale  (art.  134  della
 Costituzione), nel rispetto delle forme e dei  limiti  fissati  dalle
 diverse  procedure,  che  concerne qualunque atto della regione e che
 comporta che esso non goda di nessuna sorta di immunita' da forme  di
 sindacato concernenti la sua legittimita' successive all'inizio della
 sua efficacia, e suscettibile di condurre al suo annullamento.
    Come  la  Corte ha chiaramente detto, nella sentenza 229 del 1989,
 richiamando "i principi affermati  dalla  Costituzione  a  fondamento
 dell'ordinamento  delle  autonomie  territoriali  e  che connotano la
 stessa forma di  Stato  italiana  come  Stato  regionale",  la  norma
 fondamentale "al di la' delle enunciazioni piu' generali tracciate in
 tema di autonomia e decentramento dall'art. 5 della Costituzione puo'
 essere  individuata nell'art. 115 della Costituzione, secondo cui "le
 regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri secondo  i
 principi  fissati  nella  Costituzione": norma ben differenziata, nei
 suoi contenuti, da quella espressa con l'art. 128 della Costituzione,
 dove si qualificano le  province  e  i  comuni  come  "enti  autonomi
 nell'ambito  dei principi fissati da leggi generali della Repubblica,
 che ne determinano le  funzioni".  Tale  diversita'  di  formulazione
 mette   pertanto  in  luce  la  natura  costituzionale  (o  politica)
 dell'autonomia regionale, nonche' l'attribuzione alle stesse  Regioni
 della    qualita'   di   soggetti   non   solo   amministrativi,   ma
 costituzionali, investiti tra l'altro di una  funzione  quale  quella
 legislativa,   tradizionalmente   riservata,  nel  modello  di  Stato
 liberale a impianto centralista, allo Stato-persona.
    La  natura  costituzionale  che  risulta  conferita  all'autonomia
 regionale  comporta, come prima conseguenza, che il complesso sistema
 delle relazioni tra Stato e regioni debba trovare la sua base diretta
 nel tessuto della Costituzione, cui spetta il compito di fissare,  in
 termini  conclusi,  le stesse dimensioni dell'autonomia, cioe' i suoi
 contenuti e i suoi confini. L'ulteriore conseguenza sara' che ad ogni
 potere di intervento dello Stato, suscettibile di  incidere  su  tale
 sfera  costituzionalmente  garantita,  in  modo  da  condizionarne in
 concreto - cosi' come accade con le forme puntuali del controllo - la
 misura e la portata,  non  potra'  non  corrispondere  un  fondamento
 specifico nella stessa disciplina costituzionale".
    Traendo  da  cio' le conseguenze in tema di controlli, la Corte ha
 sottolineato con assoluta chiarezza che la disciplina  dell'art.  125
 della  Costituzione  "al  pari  di  quella espressa sempre in tema di
 controlli  negli  artt.  126  e  127  della  Costituzione   viene   a
 presentarsi  come  tassativa  e insuscettibile di estensione da parte
 del legislatore ordinario, in quanto posta a garanzia di un'autonomia
 compiutamente definita in sede costituzionale".
    In questa prospettiva', appare manifesta e  gravemente  lesiva  la
 norma denunciata.
    6.  -  Ne'  l'illegittimita' costituzionale della norma denunciata
 potrebbe venir meno qualora si negasse la sussistenza di un'attivita'
 di controllo  in  ragione  della  qualita'  soggettiva  del  soggetto
 controllante,  che  non  appartiene  alla  p.a.,  non  e'  un  organo
 amministrativo, ma e'  un  organo  giurisdizionale,  appartenente  al
 subsistema  della  Corte  dei  conti,  e  al quale l'art. 3 del d.l.
 conferisce una particolare legittimazione ad agire.
    Da  un  lato,  infatti,  negare  la  sussistenza  di  un'attivita'
 oggettiva  di  controllo  in  ragione  della  natura  soggettiva  del
 controllante non appare conferente.
    Se   l'attivita'   di  controllo  e'  tale  per  sue  connotazioni
 strutturali oggettive, come risulta dalla concorde dottrina, il fatto
 che  una  norma  l'abbia  attribuita  ad  un  soggetto   appartenente
 all'ordine  giudiziario  non  fa  cessarne  la natura di attivita' di
 controllo, con le conseguenze, in tema di  violazione  dell'art.  125
 della  Costituzione  e  di  lesione della integrita' delle competenze
 regionali che abbiamo gia' sottolineato.
    D'altro lato e comunque,  la  considerazione  che  il  procuratore
 regionale  e  il procuratore generale presso la Corte d'appello hanno
 funzioni di pubblico ministero (art. 2, primo comma), ossia  funzioni
 che  la  stessa  Corte dei conti (nella sentenza 298/A del 6 febbraio
 1982) e la dottrina riconducono  all'esercizio  della  giurisdizione,
 aggrava  l'illegittimita'  costituzionale  della norma. Anche qualora
 (in denegata ipotesi) si  ammetta  che  l'attivita'  del  procuratore
 regionale  e  quella  del procuratore generale in sede di appello non
 costituiscono  nulla   piu'   che   l'esercizio   di   una   funzione
 giurisdizionale,  resta  che  l'iniziativa di impulso giurisdizionale
 viene  affidata  al  procuratore  non  gia'   tramite   l'attivazione
 dell'organo   giudicante   presso  il  quale  gli  e'  consentito  di
 esercitare le funzioni di  pubblico  ministero,  ma  con  un  ricorso
 introdotto ad un giudice appartenente ad una giurisdizione estranea a
 quella  presso  cui il procuratore esercita le funzioni di iniziativa
 proprie della sua qualita' di pubblico ministero.
    In tal modo, ad un organo che svolge istituzionalmente la  propria
 attivita' requirente presso la Corte dei conti (come confermato dallo
 stesso  art. 2 del d.l. 54), vengono conferiti poteri di impulso che
 presuppongono  un'attribuzione  di  funzioni  totalmente  diverse  da
 quelle  che  alla  Corte  dei  conti  e ai suoi organi sono riservate
 dall'art. 100, secondo comma, della Costituzione.
    Per effetto di una norma avente forza e valore di legge ordinaria,
 vengono  pertanto   attribuite,   a   singoli   soggetti   inquadrati
 nell'ambito dell'attivita' della Corte dei conti, organo di rilevanza
 costituzionale,  funzioni estranee a quelle che, ai sensi della norma
 costituzionale ora citata, spettano a tale organo: in violazione  del
 principio  in  base  al  quale  e' vietato sopprimere o modificare le
 funzioni di un organo a rilevanza costituzionale con legge ordinaria.
    Non appare costituzionalmente legittimo che un organo che esercita
 le proprie funzioni all'interno  di  una  giurisdizione  (e  tale  e'
 definita,  dalla  VI  disp.  trans.  della Costituzione, quella della
 Corte dei conti, non meno di quella del Consiglio  di  Stato),  possa
 esercitarle anche all'interno di una giurisdizione diversa, divenendo
 titolare del potere di promuovere l'azione indifferentemente nell'una
 e nell'altra.
    Cio' e' invece precisamente quanto avviene nel caso di specie, con
 la  conseguente violazione dell'art. 100 della Costituzione, dato che
 alla Corte dei conti vengono attribuite funzioni non solo estranee  a
 quelle  che  le  sono  proprie ai sensi di tale norma, ma addirittura
 stravolgenti rispetto ad esse, data la novita' del potere  attribuito
 ad un organo della Corte dei conti di attivare la giurisdizione di un
 organo estraneo, appartenente ad una diversa giurisdizione.
    La regione Toscana e' legittimata a far valere il carattere lesivo
 che tale violazione determina sulla sfera delle proprie attribuzioni,
 dal momento che la predetta violazione interferisce gravemente - come
 detto   -   con  l'intero  svolgimento  delle  attivita'  di  propria
 competenza.
    7.   -   A   tali   indicazioni,   coerenti   nel   senso    della
 incostituzionalita'   del   decreto,  vanno  aggiunte  quelle  -  che
 comportano la  violazione  dell'art.  97  della  Costituzione  e  del
 principio  del buon andamento dell'amministrazione, che ugualmente la
 regione e' legittimata a far valere dati gli effetti del controllo in
 tal modo istituito sulla  sfera  delle  proprie  attribuzioni  -  che
 derivano  dalla possibile contraddittorieta' dell'esito del controllo
 positivo della C.C.A.R. (di cui, com'e' noto, ai sensi della legge n.
 62/1953, art. 41, lett. b), fa parte anche un magistrato della  Corte
 dei  conti)  e  di  quello del procuratore regionale presso la stessa
 Corte dei conti, che manifesti un'opinione  diversa  e  inizi  il  (o
 intervenga nel) ricorso giurisdizionalmente amministrativo.
                               P. Q. M.
    Si  chiede che la Corte costituzionale dichiari costituzionalmente
 illegittimo l'art. 3 (e conseguenzialmente  l'art.  5)  del  d.l.  8
 marzo  1993,  n. 54, e lo annulli, per contrasto con gli artt. 5, 97,
 100, secondo comma,  115,  117,  118,  125,  126,  127  e  134  della
 Costituzione.
      Roma, addi' 2 aprile 1993
                         Avv. Alberto PREDIERI

 93C0383