N. 174 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 1992- 5 aprile 1993
N. 174 Ordinanza emessa l'8 aprile 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 5 aprile 1993) dalla Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, sul ricorso proposto da Capogrosso Vincenzo contro il Ministero della difesa Impiego pubblico - Previdenza - Disciplina dell'equo indennizzo - Attribuzione delle controversie in materia, in mancanza di espresse disposizioni in proposito, secondo la giurisprudenza della Cassazione (ss.uu. 28 maggio 1986) alla giurisdizione esclusiva dei t.a.r. e del Consiglio di Stato, anziche' alla giurisdizione della Corte dei conti - Irragionevolezza dell'impugnata normativa con conseguente incidenza sul diritto di difesa in giudizio nonche' sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a., in considerazione della limitata cognizione del giudice amministrativo a fronte della cognizione piena della Corte dei conti, della specializzazione della stessa nelle controversie medico-legali in subiecta materia, nonche' della minore onerosita' dei giudizi innanzi alla Corte dei conti, per i quali non e' richiesta l'assistenza dell'avvocato. (R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 13; r.d. 27 giugno 1933, n. 703, art. 14; r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 72; d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 68). (Cost., artt. 3, 24, 97 e 113).(GU n.18 del 28-4-1993 )
LA CORTE DEI CONTI Uditi, nella pubblica udienza dell'8 aprile 1992, con l'assistenza del segretario dott. Laura Camilleri; il consigliere relatore; l'avv. Domenico Bonaiuti; il pubblico ministero in persona del v. procuratore generale dott. Laura Di Caro. Visto il ricorso iscritto al n. 125779 e gli atti relativi. Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso (n. 125779) proposto dal gia' coadiutore principale Capogrosso Vincenzo, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Grazioli Lante, 16, cap. 00195, presso il suo procuratore speciale avv. Domenico Bonaiuti, avverso il decreto del Ministro della difesa n. 150 del 3 marzo 1982. 1. - Con decisione emessa in pari data questa Corte ha respinto un primo ricorso del gia' coadiutore capo (Capogrosso Vincenzo n. 108026) attinente alla determinazione dell'ammontare della pensione spettante (percentuale applicata alla base pensionabile e alla misura di questa) dichiarando inammissibili altre collaterali doglianze. Sul presente ricorso (n. 125779) attinente all'equo indennizzo, ritiene invece di dover sollevare d'ufficio questioni di costituzionalita' in punto di giurisdizione. Infatti, nel quadro dell'attuale legislazione (v. l'art. 13 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; art. 14 del r.d. 27 giugno 1933, n. 703; legge 21 marzo 1953, n. 161; legge 25 aprile 1957, n. 283; legge 20 dicembre 1961, n. 1345; art. 68 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) nessuna norma prevede espressamente che la Corte dei conti decida ricorsi in materia di equo indennizzo. Inoltre, secondo l'orientamento della Corte di cassazione, si tratta di contenzioso appartenente alla giurisdizione del giudice del rapporto (t.a.r.; C.d.S.). Da cio' dovrebbe derivare necessariamente una pronunzia di difetto di giurisdizione da parte di questo giudice, il che evidenzia la rilevanza della questione ai fini del decidere. Le questioni che il Collegio intende sottoporre al vaglio della Corte verificatrice appaiono peraltro non manifestamente infondate alla luce delle considerazioni che seguono. La norma che istituisce l'equo indennizzo e' in effetti contenuta nello "statuto degli impiegati civili dello Stato". Pur tuttavia questa collocazione non giustifica che il relativo contenzioso debba essere affidato ai t.a.r. e al C.d.S. dovendo essere valutati altri aspetti come si vedra' piu' avanti. Infatti il t.u. n. 3/1957 disciplina la posizione del dipendente civile in tutti i suoi aspetti e ne costruisce lo status complessivo arrivando anche a prevederne e a disciplinarne partim il diritto a pensione dal che non si puo' certo desumere che il contenzioso relativo appartenga alla giurisdizione del giudice del rapporto. In sostanza la sedes materiae non puo' essere decisiva per stabilire la giurisdizione tanto piu' che l'equo indennizzo non ha carattere retributivo perche' risarcisce un danno mediante indennizzo; non possiede cioe' gli stessi elementi dello stipendio e delgi altri assegni corrisposti in attivita' di servizio poiche' per la sua determinazione si tiene conto esclusivamente di criteri riferiti quoad valetudimen. Esso ha in comune con la pensione privilegiata criteri di accertamento del diritto, i metri valutativi del danno nonche' gli organi chiamati a pronunciarsi. 2. - Occorre premettere che questa sezione, con decisione n. 42221 del 12 febbraio 1979, in fattispecie Alvino, ed altre successive (n. 42660/19 marzo 1979; n. 43412/28 maggio 1979; n. 47716/15 maggio 1981; n. 49327/19 febbraio 1982; n. 49688/2 aprile 1982; n. 51431/22 settembre 1982) affermo' la propria giurisdizione sulle controversie attinenti all'equo indennizzo senonche' - come gia' accennato - la Corte di cassazione in ss.uu. (regione Abruzzo c. Di Pietro avverso la decisione n. 51431/22 settembre 1982) dichiaro' la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo su tale contenzioso (sentenza n. 3601/28 maggio 1986). Osservo' la Corte suprema che la competenza giurisdizionale della Corte dei conti era delimitata dall'art. 14 del r.d. 27 giugno 1933, n. 703 per il che al giudice delle pensioni era precluso l'esame delle controversie relative all'equo indennizzo, istituto "che trova il proprio titolo immediato nella disciplina del rapporto d'impiego"; in tale sede la circostanza che i due trattamenti (equo indennizzo e pensione privilegiata) avessero come comune presupposto l'accertamento della causa di servizio fu ritenuta del tutto accidentale e ininfluente. 3. - La sezione, preso atto della pronuncia della Corte regolatrice, ritenne di dover tornare al proprio precedente indirizzo, che declinava la giurisdizione. Eppero' ricorrenti e mai sopite perplessita' inducono questo giudice a riconsiderare l'intera questione e a sottoporre alla Corte verificatrice evidenti e meditati profili di incostituzionalita'. L'equo indennizzo, istituto del tutto ignoto all'ordinamento anteriore, e' stato introdotto dal d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, il cui art. 68, ottavo comma, afferma testualmente: "Per l'infermita' riconosciuta dipendente da causa di servizio sono altresi', a carico dell'amministrazione, le spese di cura .. nonche' un equo indennizzo per la perdita dell'indennita' fisica eventualmete subita dall'impiegato". A questo punto la giurisdizione della Corte dei conti - anche in mancanza di una norma espressa - sarebbe sufficientemente giustificata da premesse sistematiche senonche' la Corte suprema ha ritenuto esaustivo e preminente il rilievo della sedes materiae in cui e' disciplinato l'equo indennizzo evidenziando cosi' la carenza di una specifica disposizione attributiva della giurisdizione. Ed e' quest'ultimo punto che questo giudice non puo' esimersi dal segnalare alla Corte verificatrice. 4.0. - L'irrazionalita' della omessa previsione e il conseguente vulnus di norme costituzionali emergono da tre distinti profili: a) il primo si fonda sugli svariati elementi di raccordo tra l'equo indennizzo e la pensione privilegiata, cosi' come normativamente disciplinati; b) il secondo evidenzia le incongruenze e le disfunzioni che l'attuale sistema produce nell'applicazione pratica; c) l'ultimo, ma non ultimo, attiene alla piu' ampia tutela che, rispetto al giudice del rapporto, puo' essere offerta dal giudice delle pensioni in materia medico-legale (accertamento dei "fatti di servizio" e sussistenza del nesso etiopatogenitico o causale; analisi di questioni di "classifica" e di "aggravamento" etc.). 4.1. - L'art. 68 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e l'art. 48 del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, prevedono che l'equo indennizzo e' concesso all'impiegato che, per infermita' contratta per causa di servizio, ha subito una menomazione dell'integrita' fisica ascrivibile ad una delle categorie di cui alle tabelle A e B annesse alla legge 10 agosto 1958 (si tratta di tabelle pensionistiche). L'art. 64 del t.u. delle pensioni 29 dicembre 1973, n. 1092, prevede a sua volta che "il dipendente statale che per infermita' o lesioni dipendenti da fatti di servizio abbia subito menomazioni dell'integrita' personale ascrivibili a una delle categorie della tabella A annessa alla legge 18 marzo 1968, n. 313, ha diritto alla pensione privilegiata qualora dette menomazioni lo abbiano reso inabile al servizio ..". 4.2. - In sostanza il requisito della causa di servizio e quello della ascrivibilita' dell'affezione sono comuni ai due istituti e vanno accertati secondo norme pensionistiche; non e' invece in comune il requisito della "inabilita' al servizio". Qualora pero' l'affezione che ha dato luogo ad equo indennizzo divenga inabilitante, il procedimento prosegue d'ufficio per la dispensa e il riconoscimento del diritto a pensione privilegiata. 4.3. - Per l'uno e l'altro beneficio sono previsti l'audizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie (art. 166 del t.u. n. 1092) nonche' la procedura di aggravamento (art. 56 del d.P.R. n. 686/1957 per l'e.i. e art. 70 del t.u. n. 1092/1973 per la p.p.o.). 4.4. - Se l'impiegato, al quale e' stato liquidato l'equo indennizzo, ottiene successivamente, e per lo stesso titolo, la pensione privilegiata, la meta' dell'equo indennizzo gia' corrisposto deve essere recuperata (artt. 50 e 60 del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686; art. 144 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092). 4.5. - In sostanza la domanda per l'e.i., il procedimento e il riconoscimento dei suoi presupposti sono in funzione di propedeuticita' e di collegamento con l'eventuale, futura pensione privilegiata che richiede gli stessi presupposti, oltre, ovviamente, all'inabilita' alle specifiche mansioni. E identici sono gli organi di accertamento, l'organo consultivo (il comitato per le p.p.o.) e lo stesso organo che formalizza il diniego o il riconoscimento. In un quadro siffatto appare del tutto illogico che i ricorsi avverso i provvedimenti di e.i. e di p.p.o. debbano essere proposti a giudici diversi. Tali istituti hanno in comune lo stesso fatto genetico - e cioe' la noxa patogena causata dal servizio - e le stesse premesse e le stesse vicende procedimentali, elementi di connessione che di per se' soli renderebbero auspicabile la concentrazione di tali questioni presso un umus judex. 4.6. - Ma v'ha di piu': mentre l'equo indennizzo puo' essere cumulato con lo stipendio, esso e' solo parzialmente cumulabile con la pensione privilegiata (art. 50 del d.P.R. n. 685/1957, art. 144 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092) il che dimostra che, mentre esso e' un aliud rispetto al trattamento di attivita', non lo e' completamente rispetto alla pensione al punto che in esso sono stati da taluno ritenuti sussistenti aspetti non dissimili dalle "indennita'" di cui all'art. 72 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, il cui contenzioso appartiene alla Corte dei conti. Non a caso il legislatore attribui' alla Corte dei conti (art. 11 della legge 10 gennaio 1929, n. 59) la giurisdizione in materia di "indennizzo privilegiato aeronautico", beneficio che, alla pari dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata, compensa il danno derivante da rischio specifico. Dagli esposti elementi deriva, ad avviso di questo giudice, che l'art. 72 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, l'art. 13 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 - attinenti alle materie attribuite alla Corte dei conti - e l'art. 68 del t.u. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, per il fatto di non prevedere, in deducta materia, la giurisdizione della Corte dei conti, si pongono in contrasto, anche sotto il profilo della razionalita', con l'art. 97 della Costituzione. Infatti i criteri di riparto della giurisdizione, nonche' l'attivita' e il funzionamento degli organi giurisdizionali non possono sfuggire a quelli stessi principi di "buon andamento" cui deve ispirarsi l'organizzazione degli uffici lato sensu della pubblica amministrazione. 5.0. - L'attuale sistema normativo si pone in contrasto con l'art. 97 della Costituzione perche' consente altre incongruenze e disfunzioni. Infatti ben puo' verificarsi che i procedimenti relativi ai due benefici abbiano sbocchi temporali contestuali e che l'amministrazione adotti un unico provvedimento, positivo o negativo. Sembra quindi irrazionale che l'atto amministrativo debba essere impugnato partim dinanzi al giudice del rapporto e partim dinanzi alla Corte dei conti. Cio' puo' dar luogo a procuncie giurisdizionali contrastanti ad es. in punto di causa di servizio o di classifica, oppure puo' verificarsi che la pronunzia dell'un giudice ostacoli l'esame di merito del punto specifico da parte dell'altro giudice. 5.1. - E' ovvio che l'inconveniente puo' verificarsi anche se l'amministrazione emette due decreti disgiunti. Per prevenire tali aberranti conseguenze il giudice del rapporto d'impiego ha, in qualche caso, emesso pronunzia anche in materia di pensione privilegiata ritenendo imprescindibile un'unica decisione, anche violando in parte le norme della giurisdizione. Tali inconvenienti possono essere eliminati attribuendo alla Corte dei conti - che ora si pronunzia solo dopo il collocamento a riposo del richiedente - anche il contenzioso in materia di equo indennizzo. Cioe' la Corte verificatrice dovrebbe dichiarare incostituzionali, per violazione dell'art. 97 della Costituzione, l'art. 72 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, l'art. 13 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, nonche' l'art. 68, ottavo comma, del t.u. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, perche' dette norme non prevedono la giurisdizione della Corte dei conti in materia di equo indennizzo. Ad una pronunzia siffatta non puo' essere di ostacolo l'assunto, per vero troppo enfatizzato (v. il prec. punto 3) che l'equo indennizzo "attiene alla disciplina del rapporto d'impiego". Infatti, si ripete, acquista carattere preminente l'aspetto risarcitorio che pone detto istituto, anche alla stregua di quanto finora detto, piu' nel campo previdenziale che in quello del rapporto d'impiego, nonostante la sua disciplina sia contenuta nel t.u. n. 3 e nel d.P.R. n. 686/1957. E poi non va sottaciuto che il contenzioso attualmente evoluto alla Corte dei conti puo' essere attivato anche da dipendenti in attivita' di servizio. Tralasciando i giudizi di responsabilita' - che sono iniziati ad istanza del procuratore generale e nei quali e' indifferente che i convenuti siano in servizio o a riposo - possono essere proposti ricorsi in materia di riscatto, ricongiunzione, riconoscimento di servizi, anche da dipendenti non ancora pensionati. Il legame che intercorre tra tali benefici e la futura pensione e' un nesso di propedeuticita' alla stessa guisa del rapporto che puo' intercorrere tra equo indennizzo e futura pensione privilegiata. Infatti l'equo indennizzo contiene il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e quindi di un "bene" da conservare a "futura memoria" per il futuro riconoscimento anche alla pensione privilegiata. 6. - Ma e' il terzo profilo che si pone con caratteri di preminenza. L'equo indennizzo e' un diritto soggettivo e, alla pari della pensione privilegiata e' qualificato da carattere patrimoniale e da rapporti peritetici tra dipendenti e p.a. Ma l'attuale tutela dinanzi al giudice e' del tutto inadeguata. E' ben noto infatti che le garanzie giurisdizionali previste dall'attuale assetto normativo - giurisprudenziale in materia di equo indennizzo consistono nel ricorso al t.a.r. e, eventualmente, al C.d.s., in grado di appello, cioe' ai giudici del rapporto d'impiego. Senonche' i poteri di tali giudici si esauriscono nelle cognizioni di eventuali vizi del procedimento o nel riscontro di macroscopiche illogicita' o inesattezze che portino all'annullamento dell'atto, giacche' non e' dato al t.a.r. o al C.d.s. - senza travalicare i limiti della giurisdizione di legittimita' - esporre apprezzamenti sostitutivi rispetto ai pareri espressi dagli organi tecnici della Pubblica amministrazione (commissioni mediche, ufficio M.L. del Ministero della sanita'). In altri termini le uniche garanzie di cui il dipendente dispone sugli aspetti strettamente medico-legali da valutarsi ai fini dell'equo indennizzo non sono connaturate al procedimento giurisdizionale in quanto si esauriscono all'interno del procedimento amministrativo e sono ivi limitate alla facolta' di richiedere, prima del provvedimento, una nuova visita o il parere di altro organo medico-legale (art. 68, nono comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3). Il giudice del rapporto d'impiego, infatti, non puo' sindacare i giudizi medico-legali in materia di causa di servizio o dissentire dagli organi tecnici circa gli aspetti inabilitanti di una determinata affezione ovvero in punto di classifica. Le vicende di servizio, la loro gravosita', l'accertamento del nesso causale e ogni altro elemento conoscitivo che confluisca in detta analisi sono infatti, in quella sede, argomenti d'indagine preclusi e quindi necessariamente ininfluenti. Tanto meno il giudice del rapporto potra' confrontare eventuali, contrapposte perizie. Si tratta quindi di una cognizione di mera legittimita' che attua una tutela del tutto imperfetta di un diritto soggettivo, ben lontana dalla vera tutela giurisdizionale di cui all'art. 24 della Costituzione che, ovviamente, deve intendersi nel senso pregnante e completo di "vera tutela" cioe' come diritto qualificato da pertinenti garanzie. L'art. 24 e' collocato nella parte prima della Costituzione (Diritti e doveri dei cittadini) e, del resto, il principio della tutela giurisdizionale e' riaffermato dal successivo art. 113. 7. - A differenza del giudice del rapporto, il giudice delle pensioni - quale peritus peritorum - analizza la gravosita' delle specifiche mansioni, valuta e raffronta verbali, esamina la documentazione amministrativa e sanitaria, valuta le anamnesi e le contrapposte perizie, tiene conto di criteri etiopatogenetici e cronopatologici e non e' in alcuna guisa vincolato dai pareri tecnici, nemmeno da quelli dei propri consulenti (collegio medico- legale; Ministero della sanita'). Egli statuisce quindi sulla spettanza del denegato diritto sia che la controversia imponga nell'accertamento della sussistenza della causa di servizio, sia che si tratti di questione di classifica o di inabilita'. Non v'e' chi non veda quanto piu' ampia sia la tutela giurisdizionale offerta dal giudice delle pensioni, che l'esperienza continua arricchisce di professionalita' interdisciplinare. Dagli esposti elementi emergono opportunita' e necessita' che il contenzioso in materia di equo indennizzo sia affidato alla Corte dei conti potendo ivi essere realizzata la stessa ampiezza di tutela giurisdizionale della pensione privilegiata. E cioe' come realizzazione di giustizia, nello spirito degli artt. 24 e 113 della Costituzione. A cio' non contraddice l'art. 113, ultimo comma, della Carta costituzionale che, pur demandando al legislatore ordinario la determinazione degli organi che "possono annullare gli atti della p.a." chiaramente non autoriza, in siffatta scelta, ne' una qualsivoglia violazione di norme costituzionali ne' la mancata osservanza del principio della razionalita' cui deve attenersi la pur discrezionale previsione normativa. 8. - Inoltre va tenuto presente che dinanzi al giudice delle pensioni il ricorrente puo' stare in giudizio senza l'assistenza di avvocato e, godendo delle garanzie del contraddittorio, ottenere una decisione non ristretta ad aspetti formali o procedimentali. Il giudizio e' gratuito; rarissimamente vengono pronunziate condanne alle spese. Quest'ultimo aspetto non e' privo di rilievo per un lavoratore dalle modeste risorse che, nel sistema attuale, deve sobbarcarsi a spese consistenti per avere tutela giurisdizionale, imperfetta, in una controversia avente come contenuto la lesione della integrita' fisica, e cioe' di un diritto soggettivo primario. Anzi, nel sistema attuale, il dipendente spesso rinunzia ad imprendere la via giurisdizionale perche' troppo onerosa sia in assoluto sia in rapporto ad un beneficio quale l'e.i. di limitata consistenza finanziaria. 9. - Infine va considerato che la normativa attuale, come gia' detto, consente che sui presupposti dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata - che sono identici - si pronunzino rispettivamente il t.a.r. e la Corte dei conti. E' evidente che i differenti poteri di indagine su tali presupposti creano situazioni di disuguaglianza giuridica tra cittadini invalidi e determinano quindi vulnus dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ordina l'immediata trasmissione degli atti della Corte costituzionale perche' siano decise le - rilevanti e non manifestamente infondate - questioni di costituzionalita' degli artt. 13 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; 14 del r.d. 27 giugno 1933, n. 703; 72 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, nonche' 68 del t.u. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, in rapporto agli artt. 97; 24, primo e terzo comma; 3, secondo comma; nonche' 113, per la parte in cui le citate norme non attribuiscono alla giurisdizione della Corte dei conti il contenzioso in materia di equo indennizzo; Sospende ogni decisione sul giudizio in corso; Ordine che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alla parte ricorrente, al procuratore generale della Corte dei conti nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deliberato in Roma, nella camera di consiglio dell'8 aprile 1992. Il presidente: SARACENO 93C0401