N. 178 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 gennaio 1993

                                N. 178
 Ordinanza  emessa  il 9 gennaio 1993 dal tribunale di sorveglianza di
 Ancona nel procedimento per l'applicazione del  regime  detentivo  ex
 art.  41-bis,  secondo comma, della legge n. 354/1975, sul reclamo di
 La Montagna Giuseppe
 Ordinamento penitenziario - Condannati per determinati reati -
    Assoggettabilita',  con  decreto  ministeriale,   ad   un   regime
    carcerario  particolarmente restrittivo - Lamentata violazione del
    principio che non ammette restrizioni della liberta' personale  se
    non per atto motivato dell'autorita' giudiziaria - Incidenza sulla
    funzione rieducativa della pena.
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, secondo comma; d.l. 8
    giugno 1992, n. 306, art. 19, convertito, con modificazioni, nella
    legge 7 agosto 1992, n. 356).
 (Cost., artt. 13 e 27).
(GU n.18 del 28-4-1993 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Ha pronunciato la seguente ordinanza, per deliberare su: istanza di
 reclamo  ex  art. 41-bis, nei confronti di La Montagna Giuseppe, nato
 il 3 febbraio 1957 ad Afragola (Napoli), attualmente  detenuto  nella
 casa  di  reclusione  di  Fossombrone.  In  espiazione di pena per il
 seguente titolo: provvedimento cumulo della procura  generale  presso
 Corte  d'appello  di  Napoli  11  aprile  1991  che determina la pena
 residua espianda in a. 7, m. 3 e gg.  12,  L.A.  gg.  45.  Decorrenza
 pena: 6 settembre 1989. Fine pena: 3 novembre 1996.
                               F A T T O
    Con  provvedimento  in  data  25  novembre 1992, il vice direttore
 generale  del  dipartimento  dell'amministrazione  penitenziaria,  su
 delega del Ministero di grazia e giustizia, sospendeva, in attuazione
 dell'art.   41-bis,   secondo  comma,  o.p.,  cosi'  come  introdotto
 dall'art. 19 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella  legge
 7  agosto  1992,  n.  356,  nei  confronti  del  detenuto La Montagna
 Giuseppe (condannato tra l'altro per  associazione  a  delinquere  di
 stampo mafioso e rapina aggravata) l'applicazione di alcune regole di
 trattamento contemplate dall'attuale normativa penitenziaria.
 Detto  provvedimento  veniva  notificato  in  data  3  dicembre  1992
 all'interessato  il  quale,  con  atto  in  data  14  dicembre  1992,
 proponeva  impugnazione avverso l'applicazione nei suoi confronti del
 c.d. "regime speciale" previsto dall'art. 41-bis, secondo comma, o.p.
 Fissata  l'udienza avanti a questo tribunale di sorveglianza ai sensi
 dell'art. 14- ter o.p.,  l'amministrazione  penitenziaria  presentava
 articolata   memoria   difensiva.  All'esito  della  discussione  del
 reclamo,  le  parti  concludevano  come  da  verbale  d'udienza.   Il
 tribunale si riservava.
                             D I R I T T O
    A  scioglimento  della  riserva  di  cui  al  separato verbale, il
 collegio ritiene che sia non  manifestamente  infondata  e  rilevante
 l'eccezione  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  41-  bis,
 secondo comma, dell'o.p. per contrasto con l'art.  27,  terzo  comma,
 della   Costituzione  sollevata  dalla  difesa  del La Montagna e che
 ulteriore  censura  di  costituzionalita'  della  norma  citata,  con
 riferimento   all'art.   13   della   Costituzione,  debba  rilevarsi
 d'ufficio,  con  conseguente,  quindi,  sospensione  del  giudizio  e
 rimessione degli atti alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23
 della legge 11 marzo 1953, n. 87:
       A)  preliminarmente  all'esame  delle  prospettate questioni di
 legittimita' costituzionale, occorre, tuttavia, sgombrare il  terreno
 dai  dubbi,  adombrati  dall'amministrazione  penitenziaria, circa la
 titolarita' in capo all'a.g.o. di giurisdizione in  materia.  Con  la
 predetta  memoria  l'amministrazione  penitenziaria eccepiva, infatti
 che, l'art. 41- bis  dell'o.p.,  cosi'  come  recentemente  integrato
 dall'art.  19 del d.l. 8 giugno 1992 convertito in legge n. 386/1992
 non prevede per il detenuto alcun potere di impugnazione dinanzi alla
 magistratura di sorveglianza del provvedimento  ministeriale,  emesso
 in  forza  della  medesima  norma;  che,  non puo' ritenersi neppure,
 applicabile analogicamente, nel caso in  questione,  il  procedimento
 per   reclamo   contemplato  dall'art.  14-  ter  dell'o.p.  relativo
 all'istituto  della  sorveglianza  particolare,  attesi   i   diversi
 presupposti   di  quest'ultimo;  che,  pertanto,  ferma  restando  la
 facolta' per il detenuto  di  adire  il  t.a.r.  secondo  i  principi
 generali  che  regolano la giustizia amministrativa, l'a.g.o. difetta
 di giurisdizione nella specifica materia.
    Ritiene  questo  collegio che la sollevata eccezione di difetto di
 giurisdizione  della  magistratura  di  sorveglianza  sia  priva   di
 fondamento.
    Il  provvedimento  ministeriale  impugnato,  in applicazione della
 previsione di cui al  secondo  comma  dell'art.  41-  bis  dell'o.p.,
 sospende,  nei  confronti dell'istante, alcune regole del trattamento
 penitenziario,  introducendo  una  sorta  di  regime   speciale,   in
 particolare,  per  quanto  riguarda la possibilita' di partecipazione
 del detenuto al sorteggio mensile per la designazione  dei  distretti
 incaricati al controllo delle tabelle e della preparazione del vitto,
 della     gestione    del    servizio    di    biblioteca,    nonche'
 dell'organizzazione delle attivita' interne volte alla  realizzazione
 della  personalita' dei detenuti e degli internati che viene esclusa;
 i colloqui che, con frequenza ridotta, vengono  consentiti  solo  nei
 confronti  di  congiunti,  conviventi  e  difensori  e  sono  per  il
 compimento di atti giuridici con  altre  persone;  la  corrispondenza
 telefonica,  ugualmente limitata; quella epistolare e telegrafica che
 viene, consentita  solo  se  sottoposta  a  visto  di  controllo;  la
 permanenza  all'aria  aperta,  ridotta  a  sole due ore al giorno, la
 possibilita' di ricevere dall'esterno pacchi e somme di denaro,  pure
 limitata;  lo  svolgimento  di  determinate attivita' artigianali che
 viene escluso.  Risulta  di  tutta  evidenza  che  il  predetto  atto
 amministrativo  incide  in  modo  immediato  e  diretto  su posizioni
 giuridiche  soggettive  qualificabili   alla   stregua   di   diritti
 soggettivi  strettamente  inerenti  alla  persona  umana, che trovano
 riconoscimento  e  tutela  a  livello  costituzionale  (diritto  alla
 liberta'   personale,   art.   13,   primo  e  secondo  comma,  della
 Costituzione;   diritto   alla   corrispondenza,   art.   15,   della
 Costituzione; divieto di trattamenti penali disumani e non ispirati a
 finalita'  rieducative,  art.  27,  terzo comma, della Costituzione).
 Tali liberta' costituzionalmente garantite, sono protette  anzitutto,
 proprio   nei   confronti   dell'autorita'   amministrativa,  con  la
 previsione di riserva  giurisdizionale  per  cui  soltanto  per  atto
 dell'autorita'  giudiziaria,  nei  casi e con le forme previsti dalla
 legge, sono suscettibili di compressione. In nessun  caso,  pertanto,
 tali  situazioni giuridiche soggettive possono degradare ad interessi
 legittimi, difettando la p.a. in modo assoluto di poteri ablatori.
    Alla luce di quanto appena esposto, vertendosi in materia di  atto
 amministrativo   eventualmente   lesivo  di  diritti  soggettivi,  in
 ossequio al tradizionale criterio di riparto della giurisdizione  tra
 giustizia  ordinaria  ed  amministrativa, va affermato la ius dicendi
 nella materia de qua dell'a.g.o.
    Occorre, peraltro ricordare che gia' sotto il regime dell'abrogato
 art. 90 dell'o.p., il t.a.r. del Lazio, al vaglio del quale era stata
 sottoposta la legittimita' di provvedimento ministeriale  applicativo
 del  c.d.  regime  differenziato  introdotto  con la citata norma nel
 contenuto del tutto analogo  al  provvedimento  oggetto  dell'odierno
 giudizio  (v. d.m. 22 aprile 1982; cfr. inoltre: d.m. 28 aprile 1983)
 aveva escluso  la  propria  giurisdizione  in  favore  dell'a.g.o.  e
 specificamente  della  magistratura  di  sorveglianza sul presupposto
 che: "i provvedimenti  ministeriali  che  dispongono  la  sospensione
 temporanea delle regole di trattamento carcerario, ai sensi dell'art.
 90  della  legge  26 luglio 1975, n. 354, incidono in via immediata e
 diretta su posizioni giuridiche soggettive qualificabili come diritti
 di liberta' costituzionalmente garantiti e come tali non  degradabili
 ad  interessi  legittimi,  .. la distinzione tra carenza del potere e
 scorretto esercizio dello stesso puo' costituire un  valido  criterio
 di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario ed
 amministrativo  nei casi in cui si controverte in ordine a situazioni
 soggettive  degradabili  per  effetto  di  poteri  ablatori  di   cui
 l'amministrazione  risulta  titolare,  ma  non puo' essere utilizzata
 quando   la   posizione   oggettiva   incisa   dalla   determinazione
 autoritativa  si configura come un diritto di liberta' che per la sua
 assolutezza ed attinenza alla persona umana non  e'  suscettibile  di
 affievolimento" (sentenza 13 settembre 1984, n. 771).
    Va,  da  ultimo,  considerato  che  l'attribuzione  all'a.g.o. del
 sindaco  giurisdizionale  sui  provvedimenti  applicativi  di  regime
 carcerario "speciale" risponde, altresi', a criteri di opportunita' e
 logica  del sistema, atteso che la magistratura di sorveglianza, e in
 virtu' della titolarita' di una sorta di giurisdizione  esclusiva  su
 tutta  la  materia  penitenziaria e in considerazione della specifica
 competenza  ed  esperienza  professionali  appare  come   l'autorita'
 giudiziaria meglio indicata a conoscere dei provvedimenti che abbiano
 a destinatari i ristretti negli istituti di pena;
       B)  risulta  positivamente  la  questione  della giurisdizione,
 occorre esaminare quella della competenza,  ossia  individuare  quale
 organo  della  magistratura  di  sorveglianza se quello monocratico o
 quello collegiale sia, in concreto, competente a decidere sul reclamo
 in questione.
    Ritiene questo collegio di dover affermare al riguardo la  propria
 competenza.  A  favore della competenza nella materia di cui trattasi
 del tribunale di sorveglianza,  depone  il  fatto  che  l'ordinamento
 penitenziario  gia'  prevede  il sindacato dell'organo collegiale sui
 reclami avverso i provvedimenti  di  sottoposizione  dei  detenuti  a
 sorveglianza  particolare  (artt.  14-  bis e segg. dell'o.p.). Detto
 ultimo istituto della sorveglianza particolare, pur  affatto  diverso
 quanto  a  presupposti  rispetto  a  quello  di cui all'art. 41- bis,
 secondo comma, dell'o.p., viene, nella sua concreta applicazione,  ad
 assumere   un   contenuto   largamente   coincidente  con  il  regime
 differenziato introdotto con il provvedimento di sospensione parziale
 del trattamento penitenziario, oggetto di doglianza. Puo',  pertanto,
 argomentarsi  in  via  analogica,  che, se il legislatore ha ritenuto
 preferibile che il controllo giurisdizionale, in sede di reclamo,  su
 provvedimenti,  gravemente  incidenti  sulla  vita del detenuto, come
 quelli di sottoposizione a sorveglianza  speciale,  fosse  attribuito
 all'organo  collegiale  a  maggior  ragione  il  tribunale,  e non il
 magistrato di sorveglianza, dovra' ritenersi competente ad  esaminare
 le  impugnazioni  dei  provvedimenti  di  sospensione delle regole di
 trattamento ex art. 41- bis, secondo comma,  dell'o.p.,  nella  parte
 prescrittiva assimilabile ai primi in pejus;
       C)  nella  gradata  disamina  delle questioni pregiudiziali qui
 condotta, va ora affrontata quella dell'ammissibilita'  del  reclamo.
 All'affermazione  della  competenza  nella  materia de qua agitur del
 tribunale di sorveglianza  in  applicazione  analogica  del  disposto
 degli   artt.   14-   bis   e   segg.   dell'o.p.,   consegue   anche
 l'adattabilita', sempre in via analogica, per l'impugnazione  di  cui
 trattasi, delle forme procedurali in previse.
    A  parere  di  questo  collegio  il  reclamo proposto dal detenuto
 La Montagna deve senz'altro ritenersi ammissibile. Non osta, infatti,
 a   tale   conclusione   la   considerazione  che    la     suddetta
 impugnazione -  come evidenziata nella parte narrativa - sia stata
 proposta  oltre  il termine  di  giorni  dieci  dalla  comunicazione   del
 provvedimento, oggetto di gravame, previsto dall'art. 14- ter, primo
 comma dell'o.p. che, diversamente ritenendo, si infrangerebbe il
 divieto di applicazione analogica in malam partem della norna penale,
 cui quella penitenziaria e' senz'altro assimilabile;
       D)  ritenuta  l'ammissibilita' del reclamo, il collegio ritiene
 non poter allo stato  procedere  all'esame  nel  merito  del  gravame
 dovendosi previa sospensione del giudizio, sottoporre al vaglio della
 Corte   costituzionale   le   agitate   questioni   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p.
    Quanto alla rilevanza di tali questioni ai fini  della  decisione,
 essa  risulta  di  tutta  evidenza.  La  norma della cui legittimita'
 costituzionale si  discute,  e',  infatti,  la  fonte  normativa  del
 provvedimento  ministeriale  oggetto  di  reclamo  ed e', pertanto di
 applicazione indispensabile per la definizione dell'odierno giudizio.
    La soluzione della questione di legittimita' costituzionale appare
 pregiudiziale  alla  decisione  al   reclamo   proposto   in   quanto
 l'eventuale  pronuncia di illegittimita' costituzionale dell'art. 41-
 bis,  secondo  comma,  dell'o.p.  comporterebbe  la   decadenza   del
 provvedimento  impugnato  e,  quindi, la cessazione della materia del
 contendere.
    Sulla non manifesta infondatezza delle sopraccennate questioni  di
 legittimita' costituzionale, valgano le considerazioni che seguono.
    L'art.  41-  bis,  secondo  comma,  dell'o.p.  appare  illegittimo
 costituzionalmente per contrasto  con  l'art.  13,  primo  e  secondo
 comma,  della Costituzione nella parte in cui attribuisce al Ministro
 di grazia e giustizia (e non all'autorita'  giudiziaria)  in  potere,
 mediante  la  sospensione  totale  o parziale dell'applicazione delle
 regole di trattamento  e  degli  istituti  previsti  dall'ordinamento
 penitenziario,  di  introdurre  nei  confronti dei detenuti ulteriori
 restrizioni della liberta' personale.  Secondo  l'insegnamento  ormai
 consolidato   della   piu'  autorevole  dottrina  costituzionalistica
 (Vassalli, Pace, Basile)  il  concetto  di  liberta'  personale  deve
 intendersi  in  senso  lato  come, peraltro si desume dalla locuzione
 "qualsiasi altra restrizione  della  liberta'  personale"  usata  dal
 costituente,  non  soltanto  come  liberta'  fisica,  ma  anche  come
 liberta' morale si' che il singolo individuo non ha solo  un  diritto
 alla  liberta' da ogni costrizione fisica, ma anche da ogni pressione
 tendente a ridurre la  liberta'  di  pensiero  e  di  espressione,  a
 condizionarne  la  volonta', ad incidere sul suo stato psichico. Alla
 luce di quanto appena detto non puo' dubitarsi che anche il detenuto,
 sebbene privato della liberta' fisica a cagione della sua  condizione
 detentiva,  conservi pur sempre un diritto, pur se compresso, ad ogni
 altra espressione della liberta'  personale,  la  cui  inviolabilita'
 resta  garantita  dalla  riserva di legge e da quella giurisdizionale
 previste dall'art. 13 della Costituzione. Viziata  da  illegittimita'
 costituzionale  appare  pertanto,  la  norma in esame che attribuisce
 all'autorita' amministrativa, con proprio  atto  e  al  di  fuori  di
 qualsiasi  controllo  giurisdizionale,  il  potere  di  ulteriormente
 aggravare, l'ordinario regime detentivo previsto dalla  legge  ed  in
 concreto  applicato  con l'ordine di esecuzione della condanna emesso
 dal  giudice,  comprimendo  i residui spazi di liberta' personale del
 recluso.
    Ulteriore censura di illegittimita' costituzionale della norma  in
 esame  va  mossa  con  riferimento  all'art.  27,  terzo comma, della
 Costituzione che contempla il divieto di trattamenti penali  contrari
 al senso di umanita' e non ispirati a finalita' rieducativa.
    L'obiettivo  della  rieducazione  puo'  essere perseguito soltanto
 attraverso un'attivita' trattamentale che sia veramente tale, che non
 si sostanzi, cioe', soltanto nella mera custodia del detenuto.
    Nel momento in cui il legislatore, con la norma in esame,  prevede
 la  possibilita' di sospensione, addirittura integrale, nei confronti
 di alcuni detenuti, delle regole  di  trattamento  e  degli  istituti
 dell'ordinamento  penitenziario  rinuncia rispetto a questi ultimi al
 perseguimento  della  finalita'  rieducativa,  in  una  inammissibile
 deroga al precetto costituzionale.
    Ma  anche  sotto  altro  riguardo  la  normativa  oggetto di esame
 risulta in contrasto con il parametro costituzionale di cui  all'art.
 27, terzo comma, della Costituzione.
    Il  c.d.  regime  speciale,  maggiormente  restrittivo  rispetto a
 quello ordinario, la cui possibilita' di applicazione  a  determinati
 detenuti   viene   introdotta   dall'art.  41-  bis,  secondo  comma,
 dell'o.p., seppure puo' essere giustificato da specifiche esigenze di
 ordine e di sicurezza dettate dalla considerazione della  particolare
 pericolosita'    sociale    espressa   dai   destinatari,   confligge
 insanabilmente con il principio  della  finalita'  rieducativa  della
 pena, ed, in particolare, con quello della c.d. "individualizzazione"
 del  trattamento,  imprescindibile corollario del primo, (v. artt. 1,
 primo comma, e 13 dell'o.p., diretta emanazione dell'art.  27,  terzo
 comma,  della  Costituzione)  laddove  se  ne  consente un'attuazione
 indiscriminata nei confronti di  reclusi  individuati  unicamente  in
 base al titolo detentivo.
    L'art. 41- bis, secondo comma, della Costituzione individua, quali
 presupposti  per  farsi  luogo  a  sospensione  parziale o totale del
 trattamento, la ricorrenza di gravi  motivi  di  ordine  e  sicurezza
 pubblica e la sussistenza di titolo detentivo per taluno dei reati di
 cui al primo comma dell'art. 4- bis dell'o.p.
    Va  osservato,  quanto  al primo presupposto, indicato nella norma
 del tutto genericamente, che i gravi motivi  di  ordine  e  sicurezza
 pubblica  possano  anche addursi - come di fatto e' avvenuto nel caso
 di specie - in relazione a situazioni di emergenza e  di  particolare
 allarme  sociale esterne alla realta' carceraria ed a questa estranee
 o,  quanto  meno,  non  necessariamente  collegate.  Il  legislatore,
 inoltre,  non indica alcun criterio per l'esercizio della facolta' di
 sospensione di regole trattamentali ed istituti penitenziari.
    Viene   cosi'   legittimata,   in    violazione    del    precetto
 costituzionale,  un'applicazione del regime speciale nei confronti di
 detenuti  selezionati  esclusivamente  con  riferimento   al   titolo
 detentivo,  a  prescindere,  quindi,  da  qualsiasi valutazione delle
 condizioni e bisogni soggettivi, del grado di  pericolosita'  sociale
 esplicitato,     dell'evoluzione    della    personalita',    nonche'
 dell'eventuale  percorso  rieducativo  compiuto  che   verrebbe,   in
 ipotesi, vanificato.
    Per  quanto  sin  qui  esposto,  risultano,  pertanto,  fondate le
 censure di legittimita' costituzionale  dell'art.  41-  bis,  secondo
 comma,  dell'o.p.  per  contrasto  con  gli artt. 13, primo e secondo
 comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ordina la rimessione degli atti alla Corte costituzionale  per  la
 decisione    della    questione    pregiudiziale    di   legittimita'
 costituzionale, con conseguente sospensione del presente giudizio;
    Si notifichi  alle  parti  ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Si comunichi, inoltre, ai presidenti delle Camere.
      Ancona, addi' 9 gennaio 1993
                        Il presidente: GALASSI
    Depositato in cancelleria il 19 gennaio 1993.
                              Il collaboratore di cancelleria: MARCONI
   Tranne  i  punti  in  cui viene indicato il nome dell'imputato ("La
 Montagna Giuseppe" anziche' "Castaldo Giuseppe") il seguito del testo
 dell'ordinanza  e'  perfettamente  uguale  a  quello   dell'ordinanza
 pubblicata in precedenza (Reg. Ord. n. 176/1993).
 93C0405