N. 185 SENTENZA 19 - 23 aprile 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Edilizia  - Piano regolatore generale - Vincoli di inedificabilita' -
 Perdita di efficacia - Inedificabilita'  a  tempo  indeterminato  per
 l'inerzia  del  comune nel sostituire con nuovi strumenti urbanistici
 quelli  decaduti  -  Risarcimento  del  danno  -  Irrilevanza   della
 questione in relazione all'oggetto del giudizio  a quo - Richiesta di
 sentenza additiva - Discrezionalita' legislativa - Inammissibilita'.
 
 (Legge  28  gennaio 1977, n. 10, art. 4, ultimo comma, lett. b);legge
 19 novembre 1968, n. 1187,  art. 2).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 42).
(GU n.18 del 28-4-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
    Luigi MENGONI, prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2 della legge
 19  novembre  1968,  n.  1187  (Modifiche  ed integrazioni alla legge
 urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) e 4,  ultimo  comma,  lett.  b),
 della  legge  28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilita' dei
 suoli), promosso con ordinanza emessa il 28 febbraio 1992 dalla corte
 d'appello di Firenze nel  procedimento  civile  vertente  tra  Bianca
 Salani  Mungai  ed  il  comune  di  Viareggio, iscritta al n. 564 del
 registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Bianca Salani Mungai e del
 comune di Viareggio nonche' l'atto di intervento del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  febbraio  1993  il Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
    Uditi gli avvocati Carla Guidi e Giuseppe  Morbidelli  per  Bianca
 Salani  Mungai,  Renzo Vecoli per il comune di Viareggio e l'Avvocato
 dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La  corte  d'appello  di Firenze, con ordinanza 28 febbraio
 1992, ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
 disposto  dell'art.  2  della  legge  19  novembre  1968,  n.  1187 e
 dell'art. 4, ultimo comma, lett. b) della legge 28 gennaio  1977,  n.
 10.  La  prima  di tali norme stabilisce che le indicazioni del piano
 regolatore  generale, nella parte in cui incidono su beni determinati
 ed   assoggettano   i   beni    stessi    a    vincoli    preordinati
 all'espropriazione  od  a  vincoli che comportino l'inedificabilita',
 perdono ogni efficacia qualora,  entro  cinque  anni  dalla  data  di
 approvazione del piano regolatore generale, non siano stati approvati
 i   relativi  piani  particolareggiati  od  autorizzati  i  piani  di
 lottizzazione convenzionati e l'efficacia dei  vincoli  predetti  non
 puo'  essere  protratta  oltre  il  termine  di  attuazione dei piani
 particolareggiati e di lottizzazione.
    L'art. 4, ultimo comma, lett. b), della legge 28 gennaio 1977,  n.
 10,   dispone   che,   a   decorrere   dal  1›  gennaio  1979  (salva
 l'applicazione dell'art. 4 della legge 1› giugno 1971, n.  291),  nei
 comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali e, in mancanza
 di norme generali e fino all'entrata in vigore di queste, nell'ambito
 dei  centri  abitati  sono consentite soltanto opere di restauro e di
 risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria o  straordinaria,
 di consolidamento statico e di risanamento igienico.
    Nell'ordinanza  di  rimessione  la  corte  d'appello di Firenze ha
 esposto che  il  giudizio  a  quo  aveva  per  oggetto  un'azione  di
 risarcimento  danni  promossa  dalla  proprietaria di un'area sita in
 Viareggio, vincolata dal piano regolatore ad  attrezzature  comunali,
 che  il  comune,  dopo  la  decadenza  del  vincolo,  aveva omesso di
 espropriare o di destinare  ad  un  nuovo  uso  urbanistico  mediante
 apposita variante.
    Il  tribunale, adito quale giudice di primo grado, aveva rigettato
 la domanda, affermando che l'inerzia del comune non  puo'  costituire
 il  fondamento  di pretese risarcitorie, "potendo il privato reagire,
 unicamente  promuovendo  gli  interventi  sostitutivi  della  regione
 oppure  agendo  in  via  giurisdizionale seguendo il procedimento del
 silenzio rifiuto".
    L'attrice aveva  proposto  appello,  insistendo  nella  domanda  e
 sostenendo   che,  trascorso  il  termine  previsto  dalla  legge  in
 relazione all'imposizione del vincolo d'inedificabilita', in mancanza
 dell'espropriazione del bene aveva diritto al risarcimento del danno,
 senza dovere prima ricorrere all'impugnazione del silenzio rifiuto ed
 alla   declaratoria,   da   parte   del    giudice    amministrativo,
 dell'illegittimita' del comportamento della pubblica amministrazione.
    Il  comune  di  Viareggio,  costituitosi,  aveva  dedotto  che  il
 terreno, dopo la decadenza del vincolo, era  edificabile  nei  limiti
 previsti  dall'art. 4 della legge n. 10 del 1977 e che l'approvazione
 di nuovi  strumenti  urbanistici  non  costituisce  atto  dovuto,  ma
 esercizio  di  un  potere discrezionale, rispetto al quale sussistono
 solo interessi legittimi.
    Il giudice a quo osserva nell'ordinanza di rimessione che,  mentre
 l'efficacia  dei  vincoli  e degli strumenti urbanistici e' stabilita
 per legge, nessuna  norma  prevede  termini  perentori  al  protrarsi
 dell'inerzia   del   comune   nel   sostituire  con  nuovi  strumenti
 urbanistici quelli decaduti. Ne deriverebbe che l'art. 4 della  legge
 28  gennaio 1977, n. 10, non fissando alcun termine perentorio - dopo
 la scadenza del vincolo di inedificabilita' -  per  l'adozione  della
 necessaria  variante,  consente all'ente locale di mantenere, a tempo
 indeterminato,   situazioni   di   inedificabilita'   assoluta,   con
 conseguenze  patrimoniali pregiudizievoli per il proprietario a causa
 del protrarsi indeterminato dell'inerzia senza che sia previsto alcun
 indennizzo.
    Secondo il giudice a quo, la tutela del proprietario attraverso la
 formazione  del  silenzio  rifiuto, l'impugnazione dinanzi al giudice
 amministrativo e l'eventuale giudizio di  ottemperanza,  non  sarebbe
 idonea  a  soddisfare  il suo interesse, risolvendosi in una astratta
 affermazione dell'obbligo del comune di  provvedere  alla  disciplina
 urbanistica della zona. Conseguentemente, il combinato disposto degli
 artt. 2 della legge n. 1187 del 1968 e 4 della legge n. 10 del 1977 -
 nella  parte in cui non prevedono che il protrarsi dell'inerzia della
 p.a. dopo la scadenza del vincolo ed oltre un certo  lasso  di  tempo
 sia  di per se' sufficiente a determinare il diritto del proprietario
 all'indennizzo - contrasterebbe: a)  con  gli  artt.  3  e  42  della
 Costituzione,     consentendo     il    permanere    di    situazioni
 d'inedificabilita' assoluta a tempo indeterminato, con disparita'  di
 trattamento  tra  situazioni di proprieta' sostanzialmente identiche;
 b) con l'art. 24 della Costituzione, in  quanto  non  consentono  una
 tutela efficace del diritto di proprieta'.
    2.  -  Dinanzi  a  questa  Corte  e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
   Secondo l'Avvocatura dello Stato, la dedotta  violazione  dell'art.
 24    della    Costituzione   non   sussiste,   poiche'   l'attivita'
 amministrativa  di  sostituzione  della   prescrizione   vincolistica
 decaduta,   con  altra  prescrizione  urbanistica  regolatrice  della
 destinazione  dell'area,  si   presenta   con   i   caratteri   della
 obbligatorieta',  essendo l'ente comunque tenuto a provvedere (salva,
 ovviamente, la discrezionalita' sul quomodo)  nel  termine  che  puo'
 essere  stabilito  dal  giudice mediante il procedimento del silenzio
 rifiuto: cio' per effetto dell'obbligo legale del comune  di  dotarsi
 dello  strumento  urbanistico generale e dell'obbligo di pianificare,
 con detto strumento, tutto il  territorio  comunale  (art.  7,  primo
 comma, della legge urbanistica).
    Tale  forma  di tutela sarebbe adeguata "alla condizione giuridica
 sostanziale  che,  nella  situazione  considerata,  il   proprietario
 dell'area  puo' vantare secondo un dettato normativo non confliggente
 con gli artt. 42 e 3 della Costituzione".
    Nell'atto d'intervento si  osserva  in  proposito  che  l'art.  4,
 ultimo  comma,  della legge n. 10 del 1977 non prevede una "misura di
 salvaguardia",  ma  attiene  allo  statuto  legale  della  proprieta'
 immobiliare, disponendo che, oltre i limiti fissati dallo stesso art.
 4  o  dalle  leggi  regionali  cui  e'  fatto  rinvio, non esiste una
 garanzia  incondizionata  dello  ius  aedificandi,  "in  quanto  ogni
 diversa   o   maggiore   utilizzazione   delle  aree  resta  affidata
 all'effetto   conformativo   della   proprieta'   da   parte    della
 pianificazione   urbanistica,  dove  si  realizza  la  subordinazione
 dell'interesse  proprietario  ad  un  regolato  uso  del   territorio
 conforme all'interesse generale della collettivita'".
    In  questo  contesto,  la  condizione  giuridica  in  cui  viene a
 trovarsi il proprietario di un'area liberata da un vincolo  venuto  a
 scadenza,  determina  una  situazione  generale  che  caratterizza la
 proprieta' immobiliare in carenza di pianificazione urbanistica,  con
 la  conseguente mancanza di ogni contrasto tra la normativa impugnata
 e gli artt. 3 e 42 della Costituzione.
    3. - Dinanzi a questa Corte si e' costituita anche la proprietaria
 dell'area,   chiedendo   che  le  norme  impugnate  siano  dichiarate
 costituzionalmente illegittime, ovvero che la questione sollevata sia
 dichiarata infondata previa affermazione  che  "in  base  al  diritto
 positivo    la   fattispecie   e'   gia'   coperta   dalla   garanzia
 dell'indennizzo".
    Nell'atto di costituzione, a sostegno delle  proprie  conclusioni,
 ha dedotto quanto segue.
    La  Corte  costituzionale  con  la sentenza n. 55 del 1968, ebbe a
 ritenere incostituzionali gli artt. 7, nn. 2, 3, 4 e 40  della  legge
 urbanistica,  nella  parte  in  cui non prevedevano un indennizzo per
 l'imposizione  di  limitazioni  operanti  immediatamente  e  a  tempo
 indeterminato  nei confronti dei diritti reali, quando le limitazioni
 stesse determinino l'assoluta  inedificabilita',  e  abbiano  percio'
 natura  espropriativa.  Per  porre  un rimedio alle conseguenze della
 dichiarazione di incostituzionalita', la legge 19 novembre  1968,  n.
 1187   introdusse   un   limite   di   durata   dei  vincoli  di  non
 edificabilita', i quali perdono efficacia qualora entro 5 anni  dalla
 data  di  approvazione  del piano regolatore generale non siano stati
 approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati  i  piani
 di  lottizzazione  convenzionati. Tale limite di efficacia e' tuttora
 vigente (sentenze n. 5 del 1980 e n. 92 del 1982).
    Secondo il Consiglio di Stato, per  effetto  della  decadenza  dei
 vincoli  le  aree  interessate  vengono  assoggettate  ai  limiti  di
 edificabilita' generali posti per le  aree  sprovviste  di  strumenti
 urbanistici  dall'art.  4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977,
 n. 10, con la conseguenza che nell'ambito dei centri abitati definiti
 ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, le aree sono
 inedificabili, essendo consentite soltanto opere  di  restauro  e  di
 risanamento  conservativo, di manutenzione ordinaria e straordinaria,
 di consolidamento statico e di risanamento igienico.
    In relazione a  tale  situazione  lo  stesso  Consiglio  di  Stato
 riconosce  ai  proprietari delle aree un interesse legittimo a che il
 comune adotti una nuova disciplina urbanistica dell'area in  oggetto,
 tutelabile  attraverso  il  meccanismo  della  messa  in  mora per la
 formazione del silenzio rifiuto.
    Tale rimedio, peraltro, e' di  dubbia  efficacia,  e  comunque  si
 prolunga  nel tempo, si' da superare ogni ragionevole tollerabilita',
 tanto piu' che  la  giurisprudenza,  tenendo  conto  delle  obiettive
 difficolta'  materiali  delle  amministrazioni  di  dare destinazione
 edificabile ad aree gia' destinate a servizi pubblici, in un  sistema
 organico  di scelte pianificatorie, tende a ritenere che l'obbligo de
 quo viene ottemperato gia' con la delibera d'incarico ai  tecnici  di
 redigere  il  nuovo strumento urbanistico e quindi a partire dall' an
 della nuova pianificazione.
    Rimedio idoneo sarebbe, viceversa, l'esperimento di  un'azione  di
 risarcimento  dei  danni  dinanzi  al giudice ordinario, a tutela del
 diritto di proprieta' leso  dalla  pubblica  amministrazione  con  la
 sostanziale  imposizione  di  un  vincolo a tempo indeterminato senza
 indennizzo.
    In favore di tale indennizzabilita', nell'atto di costituzione  si
 cita la giurisprudenza della Corte di cassazione fondata sui principi
 affermati  dalla  Corte costituzionale nelle sentenze n. 6 del 1966 e
 n. 55 del 1968, con le quali e'  stata  ritenuta  legittima,  in  via
 alternativa,  o  la  temporaneita' o la indennizzabilita' dei vincoli
 d'inedificabilita' assoluta su beni individuati.
   Da   qui   la   richiesta   della   deducente,   o   di   affermare
 l'esperibilita', ex artt. 42 della Costituzione e 2043 cod. civ.,  di
 un'azione  di  risarcimento dei danni conseguente all'imposizione, in
 mancanza di strumenti urbanistici, di un vincolo sulle aree esistenti
 nei  centri   abitati,   di   assoluta   inedificabilita'   a   tempo
 indeterminato;  oppure  di dichiarare l'illegittimita' costituzionale
 delle norme impugnate, in quanto consentono l'imposizione nei  centri
 abitati di vincoli d'inedificazione a tempo indeterminato.
    4.  -  Dinanzi  a questa Corte si e' costituito anche il comune di
 Viareggio, chiedendo che la questione sia dichiarata  non  fondata  e
 illustrando tale richiesta con una successiva memoria, nella quale ha
 sostenuto  che, nel caso di specie, non si verte in una situazione di
 assoluta  inedificabilita'  dell'area,  che  darebbe  luogo  ad   una
 espropriazione "sostanziale" senza indennizzo. Tratterebbesi, invece,
 di  una situazione temporanea di parziale edificabilita' (nei limiti,
 cioe', indicati dall'art. 4, ultimo comma,  della  legge  n.  10  del
 1977),  la  quale va rimossa dall'Amministrazione comunale - che puo'
 essere a cio' sollecitata anche dal privato (impugnando il  silenzio-
 rifiuto  del comune in relazione ad apposita diffida) - attraverso la
 adozione di una disciplina urbanistica di variante.  L'esistenza  per
 il  proprietario  del  suddetto  rimedio,  escluderebbe la violazione
 dell'art. 24 della Costituzione, mentre la  violazione  dell'art.  42
 della   Costituzione  sarebbe  a  sua  volta  esclusa,  mancando  uno
 svuotamento definitivo del diritto di proprieta'.
    5. - La proprietaria dell'area ha depositato  memoria,  insistendo
 diffusamente nelle proprie richieste ed argomentazioni.
    In    particolare,   si   e'   soffermata   sulla   giurisprudenza
 costituzionale in tema di espropriazione non  traslativa,  sostenendo
 che,  in  base  ad  essa,  le  imposizioni  di inedificabilita' poste
 attraverso gli strumenti  urbanistici  non  attengono  al  regime  di
 appartenenza  o  ai  modi  di godimento dei beni, in quanto le scelte
 urbanistiche dipendono da valutazioni  discrezionali,  le  quali  non
 incidono in modo omogeneo su un'intera categoria di beni.
    Nella memoria si sottolinea che, in base alla giurisprudenza della
 Corte   di   cassazione  e  della  Corte  costituzionale,  la  natura
 edificatoria di un suolo,  come  qualita'  rilevante  ai  fini  della
 determinazione   della   misura  dell'indennizzo,  non  deriva  dalle
 previsioni dei piani urbanistici, ma inerisce in modo obbiettivo alla
 situazione di fatto del bene  (ubicazione,  sviluppo  edilizio  della
 zona, esistenza d'impianti e servizi pubblici, prossimita' con le vie
 di comunicazione). Si sottolinea ancora che la sentenza n. 5 del 1980
 della   Corte  costituzionale  ha  ribadito  la  inerenza  della  ius
 aedificandi al diritto di proprieta' dei suoli.
    In relazione a tali affermazioni, si  ritorna  diffusamente  sulla
 tesi  (gia'  sviluppata  nell'atto di costituzione) della inidoneita'
 della    procedura     dell'impugnazione     del     silenzio-rifiuto
 dell'amministrazione  a  provvedere  in  ordine  alla  programmazione
 urbanistica, quale rimedio  per  il  privato  di  fronte  al  vincolo
 d'inedificabilita'   conseguente   -   in  mancanza  degli  strumenti
 urbanistici - al disposto dell'art. 4, lett. b) della legge n. 10 del
 1977.  Si  sostiene,  al  riguardo,  che  la  tutela  manca  di  ogni
 "effettivita'" ed e' solo apparente, risolvendosi in un'inconcludente
 esperimento  di  un rimedio defatigante e privo di risultati pratici.
 In proposito si deducono, fra l'altro: a) la lunghezza del ricorso al
 tribunale   amministrativo  regionale;  b)  quella  del  processo  di
 appello;  c)  la  necessita'  di  un'azione  per   l'esecuzione   del
 giudicato;  e)  la  intrinseca  difficolta'  in  cui  si  trovera' il
 commissario  ad  acta,  eventualmente  nominato,  nel  surrogarsi  al
 consiglio  comunale  nella operazione di ponderazione degli interessi
 di carattere politico, sociale ed economico, sottesa alla  formazione
 di  un atto di pianificazione urbanistica; f) la possibilita' che non
 intervenga l'approvazione regionale del piano, con la  necessita'  di
 ricorrere   nuovamente   alla   impugnazione   del  silenzio-rifiuto,
 relativamente alla mancata approvazione regionale.
    La difesa della parte privata sottolinea  al  riguardo  di  avere,
 comunque,  iniziato  la  procedura  dell'impugnazione  del  silenzio-
 rifiuto, senza alcun risultato.
                        Considerato in diritto
    1. - Questa Corte e' chiamata a  decidere  se  il  disposto  degli
 artt.  2  della  legge  19  novembre 1968, n. 1187 e 4, ultimo comma,
 lett.  b)  della  legge  28  gennaio  1977,  n.   10   -   i   quali,
 rispettivamente,  fissano:  a) la durata massima dei vincoli connessi
 al piano regolatore preordinati all'espropriazione o  che  comportino
 l'inedificabilita'  dei  suoli:  b)  l'inedificabilita' dei suoli nei
 centri abitati, in mancanza di strumenti urbanistici - contrasti  con
 gli  artt.  3 e 42 della Costituzione. Si determinerebbe, infatti, il
 permanere  di  situazioni   d'inedificabilita'   assoluta   a   tempo
 indeterminato, con disparita' di trattamento tra posizioni identiche.
 Si  violerebbe  inoltre  l'art.  24  della  Costituzione,  in  quanto
 l'anzidetta normativa  non  consentirebbe  una  tutela  efficace  del
 diritto di proprieta'.
   Il  giudice  a quo osserva in proposito che l'art. 2 della legge 19
 novembre  1968,  n.  1187  dispone  che  le  indicazioni  del   piano
 regolatore  generale, nella parte in cui incidono su beni determinati
 assoggettandoli  a  vincoli  preordinati  all'espropriazione,  o  che
 comportino   l'inedificabilita',  perdono  efficacia  qualora,  entro
 cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale,
 non siano stati  approvati  i  relativi  piani  particolareggiati  od
 autorizzati  i  piani di lottizzazione convenzionati e, comunque, con
 la scadenza del termine di attuazione dei piani  particolareggiati  e
 di lottizzazione.
    La tutela, cosi' apprestata al diritto di proprieta', sarebbe resa
 vana  per i suoli situati nei centri abitati: l'art. 4, ultimo comma,
 lett. b) della legge 28 gennaio 1977, n. 10 prescrive, infatti,  che,
 in  mancanza  degli  strumenti  urbanistici generali "nell'ambito dei
 centri abitati definiti ai sensi dell'art. 17 della  legge  6  agosto
 1967,  n.  765,  sono  consentite  soltanto  opere  di  restauro e di
 risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria o  straordinaria,
 di  consolidamento  statico  e  di  risanamento  igienico".  I  suoli
 compresi nei predetti centri abitati sarebbero, quindi,  assoggettati
 ad  un  vincolo d'inedificabilita' a tempo indeterminato, non essendo
 stabiliti termini perentori in relazione  al  protrarsi  dell'inerzia
 del  comune  nel  sostituire  con  nuovi strumenti urbanistici quelli
 decaduti.
    A tale indeterminatezza dei vincoli non corrisponderebbe, poi,  la
 previsione  di  un  indennizzo,  alla  stregua  della  giurisprudenza
 costituzionale (cfr. sent. n. 55 del 1968).
    Secondo  il  giudice  a  quo, il diritto di proprieta' non sarebbe
 adeguatamente  garantito  e  tutelato  attraverso  il  rimedio  della
 diffida  al  comune  a  provvedere  alla  programmazione urbanistica:
 l'impugnazione  dinanzi  al  giudice  amministrativo   dell'eventuale
 silenzio-rifiuto   e   del   successivo   giudizio  di  ottemperanza,
 concretano rimedi defaticanti e di scarsa efficacia,  idonei  solo  a
 provocare   un'astratta   affermazione   dell'obbligo  del  comune  a
 provvedere alla strutturazione urbanistica della zona. Ne deriverebbe
 l'illegittimita' costituzionale degli artt. 2 della legge n. 1187 del
 1968 e 4 della legge n. 10 del 1977, nella parte in cui non prevedono
 "che il protrarsi  dell'inerzia  della  p.a.  dopo  la  scadenza  del
 vincolo, ed oltre un certo lasso di tempo, sia di per se' sufficiente
 a  determinare  il  diritto  del proprietario all'indennizzo" ed "una
 tutela tempestiva  ed  efficace,  dinanzi  all'autorita'  giudiziaria
 ordinaria, del diritto sacrificato".
    2.  -  La  questione  e'  inammissibile,  essendo  irrilevante  in
 relazione  all'oggetto  del  giudizio  a  quo  e  risolvendosi  nella
 richiesta  di  una sentenza additiva, implicante scelte discrezionali
 che non spettano a questa Corte.
    Il giudizio a quo ha per oggetto il riconoscimento  all'appellante
 della pretesa di ottenere dal comune il risarcimento dei danni per il
 protrarsi  dell'inedificabilita'  di un'area, sita nel centro urbano,
 in conseguenza della mancata  adozione  dello  strumento  urbanistico
 dopo  la  decadenza di quello gia' in vigore. Pertanto, una pronuncia
 che, come richiede il giudice remittente, dichiari costituzionalmente
 illegittime  le  norme  impugnate,  in  quanto  non   prevedono   "un
 indennizzo" - in relazione al carattere sostanzialmente espropriativo
 del protrarsi dei vincoli d'inedificabilita', per i suoli situati nei
 centri  abitati  -  non  avrebbe alcuna influenza sul giudizio a quo,
 dato che esso verte sulla risarcibilita' conseguente  all'apposizione
 di  limiti  a  carattere  espropriativo,  che,  com'e' noto, non sono
 riconducibili,  nella  loro  configurazione  tipica,   ad   attivita'
 illecita  della  p.a.  Si'  che il rimedio risarcitorio domandato non
 concorda ne' col titolo ne' con l'oggetto della pretesa,  cosi'  come
 fatta valere.
    Una  pronuncia d'illegittimita' costituzionale, nei termini in cui
 la richiede il giudice remittente,  non  potrebbe,  quindi,  spiegare
 alcuna  influenza sul giudizio a quo, cosicche' la questione e' priva
 del carattere di pregiudizialita' richiesto dall'art. 23 della  legge
 11 marzo 1953, n. 87.
    3.  -  Il  giudice  remittente, inoltre, chiede come risultato del
 giudizio di questa Corte una previsione normativa diretta a stabilire
 che, ove l'inedificabilita' dei suoli nei centri abitati si protragga
 - per la decadenza degli strumenti urbanistici vigenti e  la  mancata
 adozione dei nuovi - "oltre un certo lasso di tempo", il proprietario
 abbia  diritto ad un indennizzo. Siffatto giudizio e il suo risultato
 implicano,  innanzitutto,  scelte  discrezionali   in   ordine   alla
 determinazione  del termine, decorso il quale si dovrebbe riconoscere
 titolo  all'indennizzo;  inoltre  lo  scrutinio  dei  diversi  rimedi
 possibili,    con    riguardo   al   protrarsi   e   alle   modalita'
 dell'inadempimento amministrativo, richiede valutazioni di  esclusiva
 competenza del legislatore.
    Della  discrezionalita' di esse appare ben consapevole l'ordinanza
 che con riferimento al quantum dell'indennizzo, richiama il  criterio
 del mancato godimento del bene, "non vertendosi in ipotesi ablativa".
 Anche  questo  (od altro eventuale modo di determinazione) appartiene
 alle scelte del legislatore, il quale, di fronte alla gravita' di una
 situazione come quella che ha  dato  luogo  all'attuale  vicenda,  e'
 tenuto  ad  intervenire  in modo tempestivo ed adeguato, per superare
 l'ingiustizia del regime  dei  terreni  situati  nei  centri  abitati
 sprovvisti di strumenti urbanistici.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 2 della legge 19 novembre 1968,  n.  1187  (Modifiche  ed
 integrazioni  alla  legge  urbanistica  17 agosto 1942, n. 1150) e 4,
 ultimo comma, lett. b), della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per
 la edificabilita' dei suoli), sollevata in riferimento agli artt.  3,
 24  e  42  della  Costituzione  dalla  corte d'appello di Firenze con
 l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 aprile 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: PESCATORE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 23 aprile 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0428