N. 190 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 1993

                                N. 190
    Ordinanza emessa il 15-20 gennaio 1993 della Corte d'appello di
      Firenze nel procedimento penale a carico di Marini Roberto
 Processo penale - Codice abrogato - Giudici legati tra loro da
    rapporto di coniugio - Esercizio di funzioni giurisdizionali nello
    stesso procedimento anche se separate o diverse - Incompatibilita'
    - Lamentata omessa previsione - Irragionevole differenziazione tra
    situazioni  analoghe  -  Lesione  del  principio di soggezione del
    giudice alla sola legge.
 Processo penale - Codice abrogato - Nullita' - Lamentata omessa
    previsione per  le  incompatibilita'  previste  dall'art.  62  del
    c.p.p.  1930  - Violazione del principio del retto esercizio della
    giurisdizione.
 (C.P.P., artt. 62 e 185, primo comma, n. 1).
 (Cost., artt. 3 e 101).
(GU n.19 del 5-5-1993 )
                          LA CORTE D'APPELLO
    Riunita in Camera di Consiglio, ha emesso la seguente ordinanza.
    Nel proporre appello contro  la  sentenza  11  dicembre  1991  del
 tribunale  di  Grosseto  -  con  cui e' stato condannato alla pena di
 quattro anni di reclusione per il delitto continuato di cui  all'art.
 521 del c.p. - Marini Roberto ha enunciato a mezzo dei suoi difensori
 i   motivi,   pregiudizialmente  eccependo  l'inesistenza  ovvero  la
 nullita' della sentenza di primo grado.
    La ragione di tale  eccezione  risiede  nell'incompatibilita',  ex
 art.  62  del c.p.p. del 1930, tra uno dei giudici che componevano il
 tribunale (l'estensore della sentenza impugnata) e  il  pretore  che,
 giudicando  il Marini per il delitto previsto dall'art. 530 del c.p.,
 all'esito dell'istruzione dibattimentale aveva ritenuto  configurarsi
 quello di cui all'art. 521 del c.p., conseguentemente dichiarando con
 sentenza  del  5  marzo  1987 la propria incompetenza, e ordinando la
 trasmissione degli  atti  al  procuratore  della  Repubblica:  i  due
 giudici erano infatti legati da vincolo di coniugio.
    In   subordine   e'  stata  sollevata  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  all'art.  3   della   Costituzione,
 dell'art.  62  del  c.p.p.  del  1930, nella parte in cui non prevede
 (diversamente dall'art. 35 del  c.p.p.  del  1988)  che  non  possano
 esercitare   funzioni,   anche   separate  e  diverse,  nello  stesso
 procedimento,  giudici  che  sono  tra  loro  coniugi,  mentre   tale
 incompatibilita'  prevede per i giudici in rapporto di affinita' fino
 al secondo grado.
    Il  Marini,  ritualmente   citatovi,   e'   comparso   all'odierno
 dibattimento di secondo grado, ove, dopo la relazione della causa, il
 p.g.  ha concluso per la reiezione del gravame, mentre i difensori ne
 hanno  chiesto  l'accoglimento,  in  particolare  insistendo   l'avv.
 Agostino  Viviani  (autore  del  relativo  motivo  di  appello) sulla
 questione processuale e di costituzionalita' sopra indicata.
    Ritiene  questa   Corte   che   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  proposta dalla difesa dell'imputato - da integrare ed
 ampliare con la denuncia dell'art. 185, n. 1,  c.p.p.  del  1930,  in
 congiunto  con  il  menzionato  art.  62,  e  con  il  riferimento al
 parametro dell'art. 101, secondo comma della  Costituzione  -  superi
 agevolmente  il  vaglio di rilevanza e non manifesta infondatezza, di
 cui all'art. 23, secondo comma, legge n. 87/1953, e sia  pertanto  da
 sottoporre alla Corte costituzionale.
    In  punto di rilevanza, e' da premettere che non e' minimamente in
 dubbio il rapporto di coniugio tra  l'estensore  della  sentenza  del
 tribunale  e il pretore che ebbe a pronunciare la menzionata sentenza
 dibattimentale, dichiarativa dell'incompetenza per  materia  di  esso
 pretore: l'esistenza di tale rapporto di coniugio e' ormai notoria in
 questo   distretto,   ed   emerge   incontestabilmente   dagli   atti
 amministrativi giacenti presso la segreteria di questa  Corte,  cosi'
 da essere ultroneo qualsivoglia accertamento in proposito.
    E'  poi  da  notare  che  il coniugio era sicuramente in essere al
 momento della pronuncia della  sentenza  impugnata,  cosi'  da  poter
 condizionare  il  componente  del collegio giudicante, nel momento in
 cui prendeva cognizione di una fattispecie in ordine  alla  quale  il
 suo  attuale  coniuge aveva in precedenza espresso una valutazione di
 probabile  sussistenza,  e  di  maggior   gravita',   rispetto   alla
 contestazione originaria.
    Si  rileva  peraltro  che l'espressione "funzioni anche separate o
 diverse" - che si legge nell'art. 62 del codice del 1930,  e  che  e'
 ripetuta  testualmente nell'art. 35 del codice del 1988, salvo inser-
 ire  una  virgola  dopo  il  sostantivo  -  e'   talmente   ampia   e
 omnicomprensiva,  che  in  essa  rientra  il  compimento di ogni atto
 proprio della funzione del giudice,  e  quindi  anche  gli  atti  non
 aventi  attitudine  a definire il procedimento, e che non decidono il
 merito della causa.
    Dunque il solo ostacolo all'inclusione della situazione denunciata
 tra le incompatibilita'  di  cui  all'art.  62  cit.  e'  che  questa
 disposizione  non contempla, tra i rapporti condizionanti juris et de
 jure l'obiettivita' del giudice, il rapporto di coniugio, limitandosi
 a prevedere  quelli,  fino  al  secondo  grado,  di  parentela  e  di
 affinita'.
    Tale  ostacolo  verrebbe  rimosso dall'accoglimento della relativa
 questione di costituzionalita' (secondo  lo  schema:  "l'art.  62  e'
 costituzionalmente illegittimo in quanto non prevede l'impossibilita'
 di  esercitare  nello  stesso procedimento funzioni, anche separate o
 diverse, per giudici  che  siano  tra  loro  coniugi").  E  l'effetto
 demolitorio  della  sentenza  di  primo  grado,  con  le  conseguenze
 previste   dall'art.   522,   secondo   comma,   c.p.p.   del   1930,
 conseguirebbbe   poi  dal  contestuale  accoglimento  della  connessa
 questione, rilevata d'ufficio, attinente al disposto  dell'art.  185,
 n.  1  del  c.p.p.,  laddove non prevede, per costante giurisprudenza
 della  Corte  di  cassazione,  che  l'incompatibilita'  attenga  alle
 condizioni  di  capacita'  del giudice, cosi' da determinare nullita'
 assoluta ed insanabile.
    In  ordine  alla  prima  questione,  si  osserva che in effetti il
 rapporto di coniugio tra  giudici  non  poteva  essere  previsto  dal
 codice  processuale  del  1930,  poiche'  le donne hanno accesso alla
 magistratura solo dal momento in cui entro'  in  vigore  la  legge  9
 febbraio  1963,  n.  66,  e  che  in  effetti il rapporto di coniugio
 determina un vincolo piu' stretto rispetto alla  affinita',  rapporto
 con i parenti del coniuge, che e' appunto conseguenza del matrimonio:
 insomma,  secondo  alcuni  interpreti,  il  legislatore  del 1930 non
 avrebbe mancato di includere tra le incompatibilita' il coniugio, che
 condiziona di piu'  dell'affinita',  e  l'omissione  e'  dovuta  solo
 all'impossibilita'  per  le  donne  di  accedere,  a quel tempo, alla
 magistratura; dunque nel piu', ovvero nel  rapporto  piu'  lontano  -
 l'affinita'  - starebbe il meno, ovvero il rapporto piu' stretto - il
 coniugio,  determinante  l'affinita'  -:  con  la   conseguenza   che
 all'inclusione del coniugio tra le cause d'incompatibilita' di cui si
 tratta  si  potrebbe  giungere  in  via  interpretativa, attraverso i
 passaggi ora schematizzati.
    Non  sfugge  a  questa  Corte  l'indubbia  logicita'   di   simile
 interpretazione  evolutiva:  ad  essa si oppone peraltro, il costante
 insegnamento della Corte di cassazione (da ultimo sez. prima  del  27
 novembre  1990,  n. 3330 e sez. quinta del 14 settembre 1991, n. 854,
 entrambe pronunciate in camera di consiglio), secondo il quale i casi
 di  incompatibilita'  sono   tassativamente   previsti,   costituendo
 eccezione  alla generale capacita' del giudice e alle norme dell'O.G.
 relative  alla  formazione  dei  collegi  giudicanti   (e,   potrebbe
 aggiungersi,  entrando  in  rotta  di collisione con il principio del
 giudice naturale precostituito per legge); le norme che li  prevedono
 sono  dunque  di  stretta  interpretazione, cosi' da non poter essere
 estese  per  analogia  o  per  argomento  "a  fortiori"  a  casi  non
 espressamente previsti.
    Ed  e' la stessa Corte di cassazione - sezione prima cc. 2 ottobre
 1986, Alleruzzo, in Cas. pen. mass. ann., 1988, p. 890, m.  759  -  a
 dare  conto  di  cio',  allorche',  escluso  che  il  coniugio  possa
 rientrare tra i casi previsti dall'art. 62, ed  esclusa  altresi'  la
 sua  riconducibilita'  al  disposto  dell'art.  185, n. 1, c.p.p. del
 1930,  costruisce  in  proposito   un   caso   di   inesistenza   del
 provvedimento,  ritenendo  ricorrere  l'ipotesi  del "non judex sotto
 l'angolazione del difetto  di  legittimazione  a  giudicare,  per  il
 possibile   prevalere   dell'interesse   personale  -  'affettivo'  -
 sull'interesse superiore della giustizia" (cfr. ivi la motivazione).
    Dunque questa Corte, proprio perche' soggetta alla legge nel senso
 fatto proprio dall'art. 101, secondo comma  della  Costituzione,  non
 ritiene istituzionalmente corretto arbitrarsi il potere di operare la
 pur   ovvia   interpretazione  evolutiva  di  una  norma  di  stretta
 interpretazione, quale l'art. 62 cit.; ne' ritiene, in  presenza  del
 costante  orientamento  della  Corte  di  cassazione,  nel  senso  di
 escludere le incompatibilita' dal novero delle nullita'  assolute  ex
 art.  185,  n.  1  citato,  di  saltare  l'ostacolo,  per  giungere a
 ravvisare  nel  caso  di  specie  l'inesitenza:  cio'  in  quanto  la
 menzionata  costante  giurisprudenza  della  suprema  Corte,  cui  in
 prosieguo si fara' riferimento, inquadra  nell'ambito  dele  nullita'
 relative  incompatibilita'  determinate  da  rapporti suscettibili di
 produrre un condizionamento non  minore  di  quello  determinato  dal
 coniugio, come il rapporto tra ascendenti e discendenti.
    Concludendo  sull'art. 62, ritiene questa Corte di dover sollevare
 questione di legittimita' costituzionale di  tale  norma,  nel  senso
 precisato  nell'ultimo alinea della pag. 2 della presente sentenza, e
 con riferimento ai parametri costituzionali  degli  artt.  3  e  101:
 quanto  al  primo,  risulta infatti irragionevole la differenziazione
 tra  situazioni  analoghe,  e  semmai  l'una,  vale  a  dire   quella
 dell'imputato  in  procedimento  nel  quale svolgano funzioni giudici
 legati  tra  loro  da  rapporto  di  coniugio,  meritevole  di   piu'
 accentuata  tutela  rispetto  ad  altre (come quella dell'imputato in
 procedimento nel quale  svolgano  funzioni  giudici  legati  da  mero
 rapporto  di  affinita',  in  primo,  e  a maggior ragione in secondo
 grado); quanto al secondo parametro, e' noto che il  principio  della
 soggezione  del  giudice  soltanto alla legge si traduce nel precetto
 dell'assenza da qualsiasi vincolo o condizionamento idoneo a incidere
 sull'indipendenza di giudizio, questo  dovendo  discendere  solo  dal
 precetto  della  legge,  applicato al fatto per il solo tramite della
 libera coscienza del giudice: ne consegue l'impossibilita' di operare
 come  giudici  nello  stesso  processo  per   magistrati   che   sono
 suscettibili   di   reciproche   influenze  determinate  da  rapporto
 coniugale.
    Quanto  alle  conseguenze  dell'inclusione  del  coniugio  tra  le
 incompatibilita' di cui all'art. 62, si e' gia' rilevato come non sia
 consentito seguire l'isolato arresto della suprema Corte, secondo cui
 la  situazione  darebbe luogo all'inesisenza del provvedimento. Dalla
 giurisprudenza della  Corte  di  cassazione  -  con  l'eccezione  ora
 citata,   che   peraltro  muove  dall'esterno  rispetto  al  disposto
 dell'art. 62 - si ha un'indicazione del tutto costante: le  cause  di
 incompatibilita'  del  giudice  possono essere fatte valere solo come
 motivo di ricusazione, nelle forme e nei termini  prescritti  appunto
 per  la  ricusazione;  esse  infatti  non  rientrano  tra  i  difetti
 attinenti alla nomina  e  alle  altre  condizioni  di  capacita'  del
 giudice, poiche' le relative disposizioni sono meramente processuali,
 e non di ordinamento giudiziario.
    La  rilevanza  della  questione  di  costituzionalita' della norma
 dell'art. 185 n. 1, interpretata come sopra, si  qualifica  anche  in
 riferimento  al  termine per la dichiarazione di ricusazione: infatti
 si potrebbe in teoria richiamare, nel caso  in  esame,  la  pronuncia
 della  Corte  di cassazione, sezione quinta, 4 gennaio 1984, n. 3475,
 secondo la quale la preclusione di cui all'art.  66  del  c.p.p.  del
 1930  non  opera  quando  l'interessato  non  abbia  avuto tempestiva
 conoscenza della composizione del collegio giudicante.  Qui'  infatti
 quello  dei  due  difensori che ha sollevato la questione sostiene di
 aver saputo casualmente del rapporto di coniugio tra il pretore e  il
 giudice  del Tribunale dopo che questo aveva pronunciato la sentenza,
 cosi' da poterne fare oggetto di  doglianza  solo  con  i  motivi  di
 gravame.  Ma  in  proposito  e' agevole rilevare che non e' possibile
 operare la scissione tra imputato e difensore che enuncia per  lui  i
 motivi,  ne'  tra  l'uno  e  l'altro  dei  due difensori estensori di
 separati motivi (quello che ha formulato la  doglianza  del  foro  di
 Milano,  l'altro del foro di Grosseto). Impugnazione e motivi, pur se
 proposta ed enunciati dal difensore o  dai  difensori,  sono  infatti
 direttamente  riferibili  all'imputato  (arg. dall'art. 93 c.p.p. del
 1930), senza possibilita' giuridica di  personalizzarli  in  capo  al
 singolo difensore.
    Si  torna dunque alla lettura dell'art. 185, n. 1, operata in base
 al suo tenere letterale, che fa appunto  riferimento  alla  nomina  e
 alle   altre   condizioni  di  capacita'  stabilite  dalle  leggi  di
 ordinamento gudiziario, e cosi' costante da costituire, come  si  usa
 dire  "diritto  vivente"  (cfr.  tra  le  altre  Cassazione,  sezione
 seconda, 12 aprile 1984,  n.  3344,  Cassazione,  sezione  sesta,  24
 dicembre 1985, n. 12441, Cassazione, sezione seconda, 9 ottobre 1987,
 n.  10608, Cassazione, cc. sezione quarta, 22 settembre 1989, n. 860,
 Cassazione, sezione quarta, 4 giugno 1990, n. 8108).
    Ritiene la Corte che l'interpretazione data  dalla  giurisprudenza
 di  legittimita'  sia  giuridicamente ineccepibile, in base al chiaro
 enunciato normativo, ma fondati  dubbi  siano  da  prospettare  sulla
 corrispondenza  della  disposizione  cosi'  interpretata al superiore
 precetto dell'art. 101 della Costituzione.
    In  proposito  e'  anzitutto  da  sottolineare  che  le  cause  di
 incompatibilita'di  cui  si  tratta, diversamente dalla maggior parte
 delle circostanze che comportano astensione e  ricusazione,  sono  di
 carattere  oggettivo,  cosi' da non richiedere alcun apprezzamento di
 merito, com'e' invece per l'"interesse personale", per  l'"inimicizia
 grave",  etc.  .. Ma, proprio sul piano testuale, importa soprattutto
 rilevare come l'art.  62  stabilisca  che  "non  possono"  esercitare
 funzioni  di giudice nello stesso procedimento coloro che sono legati
 dai vincoli giuridici ivi precisati.
    Che  tale  "impossibilita'"  venga  meno   perche'   non   dedotta
 tempestivamente,  e'  cosa che urta gravemente il senso di giustizia,
 il quale impone ai giudici non solo di essere intimamente imparziali,
 ma anche di apparire tali:  l'operativita'  del  divieto  e'  infatti
 rimessa  alla  coscienza  del  singolo  magistrato,  vale a dire allo
 stesso  destinatario  del  divieto,  ed  alla  casuale  ed  aleatoria
 conoscenza    della    situazione    d'incompatibilita'    da   parte
 dell'interessato. Se tali  momenti  di  controllo  nella  specie  non
 funzionano,  per distrazione o per altro, cio' che la legge prescrive
 non  poter  essere  acquisterebbe  invece  esistenza   giuridicamente
 valida.
    A  tacer  d'altro, cioe' a ritenere che in concreto il giudice non
 abbia risentito, nell'accostarsi alla  fattispecie  processuale,  del
 previo approccio con essa del suo parente o affine o del suo coniuge,
 e'  certo  che  su un procedimento in tal guisa convalidato dalla non
 tempestiva  proposizione  della  ricusazione   per   incompatibilita'
 continua   per   sempre   a   gravare   l'ombra  di  quell'originaria
 impossibilita'. Ombra che si concreta, per usare  le  parole  -  gia'
 riferite  -  della sentenza 2 ottobre 1986 della Corte di cassazione,
 prima  sezione,  nel  difetto  di  legittimazione   (sostanziale)   a
 giudicare,  per  il  possibile  prevalere  dell'interesse  personale,
 affettivo, sull'interesse superiore della giustizia, e dunque per  la
 "situazione   di  compromissione  delle  componenti  di  obiettivita'
 (terzieta') da parte di chi deve esercitare il potere di  jus  dicere
 (sent. ora cit.).
    E'  evidente  che  la  soluzione  qui  invocata - la dichiarazione
 d'illegittimita' costituzionale dell'art. 185, n. 1  del  c.p.p.  del
 1930,  nella  parte  in cui non prevede l'incompatibilita' ex art. 62
 stesso  codice  come  causa  di  nullita'  assoluta  per  difetto  di
 costituzione  dell'organo  giudicante  -  confligge  con altri valori
 costituzionali: direttamente con quello di cui all'art. 25, comma  1,
 e  indirettamente, con quello di buona amministrazione, da osservarsi
 anche  nell'organizzazione del lavoro giudiziario, il cui ritmo viene
 ad   essere   alterato   dalla   tardiva   rilevazione    di    cause
 d'incompatibilita'.
    Ma ritiene questa Corte che il valore del principio costituzionale
 di  cui  al  citato  art. 101, secondo comma, sia un valore primario,
 fondandosi su di esso il retto esercizio della giurisdizione, che  e'
 tale  solo  in  quanto  sia ed appaia imparziale: le cause oggettive,
 suscettibili di intaccare tale imparzialita' - rapporto  diretto  tra
 legge  e fattispecie attraverso la libera coscienza del giudice - non
 possono dunque non attenere alle condizioni di capacita' del giudice,
 poiche' tali condizioni hanno significato effettivo  solo  in  quanto
 rendano  il  giudice  capace di svolgere la sua funzione al riparo da
 qualsiasi possibilita' di compromissione della sua terzieta'.
    Enfatizzando, e sintetizzando, si potrebbe dire che un giudice non
 sicuramente imparziale  non  e'  un  giudice,  e  a  fronte  di  cio'
 l'esigenza di rimediare alla situazione di incompatibilita' sta sopra
 ai  valori  della  naturalita'  e della precostituzione, nella specie
 incarnati in  quel  giudice,  e  legittima  il  relativo  momento  di
 disfunzione dell'organizzazione giudiziaria.
    Il  procedimento  penale  in  grado  d'appello  a carico di Marini
 Roberto deve quindi essere sospeso, e gli atti saranno immediatamente
 trasmessi  alla  Corte  costituzionale  per  la   risoluzione   delle
 questioni  di legittimita' costituzionale degli artt. 62 e 185 c.p.p.
 del 1930, in riferimento ai disposti degli artt. 3 e 101 della  Carta
 costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza;
    Solleva   questione   di   legittimita'  costituzionale,  aderendo
 all'eccezione del difensore dell'imputato, dell'art. 62 del codice di
 procedura penale del 1930, con riferimento agli artt. 3 e 101,  comma
 secondo,  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui non prevede che
 possono esercitare nello stesso procedimento funzioni anche  separate
 o diverse giudici che siano tra loro in rapporto di coniugio;
    Solleva    altresi',    d'ufficio,   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 185, primo comma, n. 1, codice di  procedura
 penale  del  1930,  con riferimento all'art. 101, secondo comma della
 Costituzione, nella  parte  in  cui  non  prevede  come  nullita'  le
 incompatibilita' stabilite dall'art. 62 dello stesso codice;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale, e sospende il giudizio in corso;
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata,  a  cura  della
 cancelleria,   al   Procuratore   Generale   presso  questa  Corte  e
 all'imputato e ai suoi difensori, nonche' al Presidente del Consiglio
 dei Ministri,  e  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
      Firenze, addi' 15-20 gennaio 1993
                        Il presidente: LA CAVA
                                       I consiglieri: CAMPO - SORESINA
    Depositato in cancelleria il 23 gennaio 1993.
                Il collaboratore di cancelleria: SARRI

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