N. 197 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 gennaio 1991- 14 aprile 1993

                                N. 197
       Ordinanza emessa il 30 gennaio 1991 (pervenuta alla Corte
 costituzionale il 14 aprile 1993) dal tribunale di Savona nella
 procedura fallimentare promossa da Banca d'America e d'Italia contro
 s.d.f. Barberis Franco e Pe' Cinzia
 Fallimento - Piccolo imprenditore - Nozione - Operativita' del
    concetto solo nel campo delle imprese individuali - Impossibilita'
    di considerare "piccolo imprenditore" la piccola  impresa  gestita
    in  societa'  - Conseguente obbligatorieta' della dichiarazione di
    fallimento esclusa solo  per  le  piccole  imprese  individuali  -
    Ingiustificata disparita' di trattamento.
 (R.D.L. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, secondo comma).
 (Cost., art. 3).
(GU n.19 del 5-5-1993 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella procedura fallimentare
 promossa dalla  Banca  d'America  e  d'Italia,  filiale  di  Albenga,
 elettivamente  domiciliata  in Savona p.zza Sisto IV nello studio del
 dott. proc. Antonello Tabbo', nei  confronti  della  s.d.f.  Barberis
 Franco e Pe' Cinzia, con sede in Albenga, via F.lli Ruffini n. 64;
    Visti gli atti, udito il giudice relatore,
                             O S S E R V A
    Dall'istruttoria  espletata,  e  segnatamente  dalle  informazioni
 fornite dalla Guardia di finanza e dalle stesse dichiarazioni rese al
 giudice delegato dai  soci  della  s.d.f.,  e'  emerso  lo  stato  di
 insolvenza dell'impresa.
    In  conformita' al prevalente orientamento della giurisprudenza in
 merito all'applicazione agli imprenditori sociali dell'art. 10  della
 legge fallimentare deve ritenersi che la societa', pur avendo cessato
 ogni  attivita'  nel  marzo  1989,  sia  tuttora  assoggettabile alla
 procedura fallimentare, non essendo intervenuta alcuna  attivita'  di
 liquidazione.
    Si tratta, senza dubbio, di piccola impresa, sia per l'entita' del
 capitale  investito, sia per modesta attrezzatura utilizzata, sia per
 il mancato utilizzo di scorte.
    Si  attagliano  perfettamente  al caso di specie le considerazioni
 svolte nela motivazione della  sentenza  13-22  dicembre  1989  della
 Corte  costituzionale, secondo la quale quando "imprese molto modeste
 incorrono nelle procedure fallimentare", "vengono meno  le  finalita'
 del  fallimento" poiche' "l'esiguo patrimonio attivo del fallito puo'
 rimanere interamente assorbito dalle spese della complessa  procedura
 e a volte risulta perfino insufficiente a coprire le spese anticipate
 dall'erario",  per cui "il fallimento finisce con l'essere un rimedio
 processuale impeditivo della tutela  dei  creditori  e  un  mezzo  di
 difesa insufficiente".
    La  citata  sentenza  della  Corte  ha dichiarato l'illegittimita'
 costituzionale del secondo comma dell'art. 1 della legge  finanziaria
 soltanto   nela   parte   in  cui  prevede  che  "quando  e'  mancato
 l'accertamento ai  fini  della  ricchezza  mobile,  sono  considerati
 piccoli   imprenditori   gli   imprenditori   esercenti  un'attivita'
 commerciale nella cui  azienda  risulta  investito  un  capitale  non
 superiore a lire novecentomila". Non e' coinvolta nella dichiarazione
 di  incostituzionalita' l'ultima proposizione del comma secondo: " ..
 In nessun caso sono  considerati  piccoli  imprenditori  le  societa'
 commerciali".
    Il  significato  letterale  della  proposizione  normativa  sembra
 essere nel senso  che  il  concetto  di  "piccolo  imprenditore"  sia
 destinato  ad  operare solo nel campo delle imprese individuali e che
 una piccola impresa sociale sia inammissibile. In passato, accorta ed
 autorevole dottrina non ha mancato di rilevare come  possa  benissimo
 concepirsi  una piccola impresa nella quale sia investito un capitale
 minimo, che sia gestita da piu' persone in societa', ed ha  ravvisato
 la  giustificazione  razionale  della soluzione legislativa nel fatto
 che il legislatore avrebbe visto, nella costituzione di una societa',
 quell'elemento dell'organizzazione che, assunto  in  senso  rigoroso,
 distingue  l'impresa  normale  dalla  piccola  impresa.  Altri  ne ha
 individuato la ragione, "piu' semplicemente, nell'esigenza pratica di
 semplificare al massimo l'accertamento della qualita' di imprenditore
 soggetto al fallimento" (in  consonanza  con  la  ratio  generalmente
 attribuita  alle precedenti disposizioni del comma secondo), per cui:
 "avendo deciso di utilizzare a questi effetti l'accertamento fiscale,
 i  compilatori  della  legge  fallimentare  non  potevano   ammettere
 l'esistenza  di  piccole  imprese  sociali  sottratte  al fallimento,
 perche' cio' avrebbe impedito ai giudici di utilizzare l'accertamento
 fiscale che conduceva alla classificazione in categoria C1  solo  dei
 redditi delle persone fisiche ossia degli imprenditori individuali".
    Qualunque  sia  la  ratio della disposizione legislativa in esame,
 sembra al collegio non manifestamente infondato il dubbio che investe
 la sua legittimita' costituzionale con riferimento alle  societa'  di
 persone, per le quali (come nel caso di specie), vige la regola della
 illimitata  responsabilita'  patrimoniale  dei  soci,  per violazione
 dell'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione;  la  disparita'  di
 trattamento  tra  le due categorie di persone appare infatti priva di
 giustificazione razionale ove si rifletta che i soci  illimitatamente
 responsabili (anch'essi imprenditori, secondo la prevalente dottrina,
 come  gli  imprenditori individuali) sono esposti al fallimento, come
 conseguenza  automatica  del  fallimento  della  societa',  in  forza
 dell'art. 147, secondo comma della legge fallimentare.
    Tanto  piu'  e'  irrazionale tale disparita' se si tiene conto che
 vengano   sottratte   al   fallimento,   per   giurisprudenza   ormai
 consolitata,  accanto  agli  artigiani  imprenditori  individuali, le
 societa' artigiane, a meno che non espandano oltre  certi  limiti  le
 dimensioni  dell'impresa,  ed  e'  noto che, secondo la vigente legge
 quadro sull'artigianato, l'impresa  artigiana,  pur  prevedendo  come
 necessaria  la  partecipazione,  anche  manuale,  dell'artigianato al
 processo di lavorazione, e pur non potendo svolgere  una  lavorazione
 "del  tutto  automatizzata",  puo'  raggiungere  limiti  dimensionali
 decisamente elevati.
    Se - come indicato dalla Corte  costituzionale  nell'ordinanza  16
 giugno   1970   (di  rigetto  per  infondatezza  della  questione  di
 legittimita' costituzionale degli artt. 2221 del c.c. e 1 della legge
 fallimentare) - i limiti di assoggettabilita' al  fallimento  "devono
 essere     stabiliti     in     relazione    all'attivita'    svolta,
 all'organizzazione dei mezzi impiegati, all'entita'  dell'impresa  ed
 alle  ripercussioni  che il dissesto produce nell'economia generale",
 (avendo " .. le categorie di piccolo, medio e grande imprenditore  ..
 nell'ordinamento  economico  e  giuridico  ...  posizioni  nettamente
 differenziate"), non par dubbio che,  fermo  il  dato  delle  piccole
 dimensioni,   sia   irragionevole   la  discriminazione  tra  imprese
 individuali e sociali (nell'ipotesi, che qui interessa,  di  societa'
 di  persone),  e  conseguentemente,  tra  coloro  che  esercitano una
 piccola impresa in forma individuale e sociale.
    Non e' dubbia la rilevanza della prospettata questione nel caso di
 specie poiche'  dalla  sua  soluzione  dipende  la  dichiarazione  di
 fallimento o il rigetto dell'istanza.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara    non   manifestamente   infondata   la   questione   di
 costituzionalita' prospettata;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il
 controllo della legittimita' dell'art. 1, secondo comma, della  legge
 fallimentare  approvata  con  r.d.l.  16  marzo  1942,  n.  267, per
 contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso;
    Manda alla Cancelleria per la notifica della presente ordinanza al
 Presidente del Consiglio dei  Ministri  e  la  sua  comunicazione  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Savona, addi' 30 gennaio 1991
                        Il presidente: BECCHINO
                               Il collaboratore di cancelleria: GROSSO
    Depositato in cancelleria il 1½ febbraio 1991.
                Il collaboratore di cancelleria: GROSSO

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