N. 205 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 marzo 1993
N. 205 Ordinanza emessa il 18 marzo 1993 dal tribunale di Vicenza nel procedimento per la liquidazione del compenso spettantea Parise Francesco, n.q. di commissario liquidatore nella procedura di concordato preventivo Inteltrade s.a.s. Procedure concorsuali - Procedura di concordato preventivo con cessione dei beni - Compenso del commissario giudiziale - Determinazione in base a percentuali sull'ammontare dell'attivo e del passivo risultanti dall'inventario - Trattamento di privilegio rispetto al compenso spettante al curatore fallimentare determinato in base alle stesse percentuali, ma calcolate sull'ammontare dell'attivo realizzato e del passivo del fallimento - Irragionevole diverso trattamento dei due organi fallimentari in questione soprattutto in considerazione del maggior impegno e delle piu' gravi responsabilita' del curatore fallimentare. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 39, comb. disp. e 165, comb. disp.) (Cost., art. 3).(GU n.19 del 5-5-1993 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla richiesta del commissario giudiziale della procedura di concordato preventivo con cessione di beni cui e' stata ammessa la ditta Inteltrade S.a.s. presentata in data 17 marzo 1993; Premesso che con la citata richiesta il dott. F. Parise, chiede a questo tribunale la liquidazione del compenso per l'opera svolta quale commissario giudiziale della procedura di concordato preventivo della ditta Inteltrade S.a.s., relativamente alla fase della procedura fino all'omologa, avvenuta con sentenza del 10 luglio 1992, ai sensi del primo comma dell'art. 5 del decreto del Ministro di grazia e giustizia 28 luglio 1992, n. 570, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 6 marzo 1993 ed entrato in vigore il giorno successivo, riservandosi di chiedere in prosieguo il compenso per l'opera successiva all'omologa, ai sensi del secondo comma dello stesso art. 5; Ritenuto che la predetta richiesta e' conforme alle disposizioni citate; invero l'art. 5 del d.m. n. 570/1992, dopo l'attribuzione al commissario preposto al concordato preventivo di un compenso, determinato con le percentuali dell'art. 1, sull'ammontare dell'attivo e del passivo risultanti dall'inventario redatto ai sensi dell'art. 172 della legge fall., prevede al secondo comma che "al commissario giudiziale spettano i compensi anche per l'opera prestata successivamente all'omologazione del concordato preventivo, determinati secondo quanto previsto al primo comma ovvero con le percentuali di cui all'art. 1 sull'attivo della liquidazione, nei casi di cessione dei beni previsti dall'art. 182 del regio decreto n. 267/1942"; che, pertanto, e' indiscutibile che, in forza di tale normativa, al commissario giudiziale preposto ad una procedura di concordato preventivo competono due compensi: uno per l'attivita' prestata fino alla omologazione del concordato ed un altro per la fase successiva, per cui appare legittima la pretesa del commissario dott. Parise che gli sia liquidato il compenso per l'opera espletata fino al momento dell'omologa; che la recente normativa regolamentare, se ha avuto il pregio di risolvere il discusso (in dottrina) problema circa il momento in cui la liquidazione del compenso debba essere fatta (e' chiaro che essendo, ora, previsti un compenso fino all'omologa ed un altro per l'attivita' successiva, il primo debba essere liquidato dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologa e il secondo dopo l'accertamento dell'avvenuta esecuzione del concordato), crea una disparita' di trattamento retributivo con il curatore fallimentare e tra commissari stessi, a seconda che si tratti di concordato con garanzia o con cessione di beni, tale da giustificare il rinvio alla Corte costituzionale perche' esamini la conformita' al dettato costituzionale (art. 3) del combinato disposto degli artt. 165 e 39 della legge fall. nella parte in cui prevedono che il compenso al commissario giudiziale preposto al concordato preventivo sia liquidato "secondo le norme stabilite con decreto del Ministro per la grazia e giustizia". Con tale rinvio, infatti, le citate norme legis- lative demandano all'organo amministrativo di fissare i parametri per la determinazione del compenso spettante al commissario giudiziale, sicche' l'atto del Ministro, diventando parte integrante del tessuto legislativo che lo recepisce aprioristicamente, acquista forza di legge, con conseguenziale possibilita' di censura da parte del giudice delle leggi. Del resto, se cosi' non fosse, il tribunale potrebbe disapplicare direttamente la disposizione contenuta nel decreto, ma, in tal caso, gli artt. 39 e 165 legge fallimentare resterebbero privi di contenuto e si attribuirebbe al giudice quel potere integrativo che la normativa fallimentare ha riservato al Ministro; Rilevato che la disparita' di trattamento tra il compenso dovuto al curatore fallimentare e quelli previsti per il commissario giudiziale, secondo i criteri di determinazione contenuti nel recente decreto del 1992, emerge dalle seguenti considerazioni: a) nel concordato preventivo, fino all'omologazione l'opera del commissario giudiziale e' ridotta ad una mera attivita' (penetrante, attenta, qualificata ma pur sempre) di controllo sulla gestione dell'attivita' del debitore, nel mentre il curatore fallimentare ha la gestione del patrimonio del debitore fallito (che, appunto, a differenza di quello concordatario, perde la disponibilita' e l'amministrazione dei suoi beni), con tutte le conseguenze in ordine all'impegno che tale gestione comporta. Eppure per il curatore viene previsto un compenso determinato secondo percentuali sull'attivo realizzato e sull'ammontare del passivo del fallimento (art. 1), nel mentre per il commissario e' previsto un compenso determinato secondo le stesse percentuali, ma sull'ammontare dell'attivo e del passivo risultanti dall'inventario redatto ai sensi dell'art. 172 della legge fallimentare (art. 5, primo comma). E si capisce agevolmente come non sia di poco conto porre a base del calcolo l'attivo effettivamente realizzato o quello inventariato, tanto piu' che e' ancora discusso se nell'ammontare dell'attivo realizzato si debba tener conto di quanto ricavato dalla vendita dei beni ipotecati o dati in pegno o dalla vendita in sede di esecuzione individuale iniziata prima del fallimento. Per quanto attiene, invece, al passivo, il raffronto potrebbe essere piu' favorevole al curatore in quanto il passivo posto a base del calcolo per l'organo fallimentare e' quello definitivo risultante dallo stato passivo, come modificato con le insinuazioni tardive opposizioni ecc., nel mentre quello accertato dal commissario nella relazione di cui all'art. 172 della legge fallimentare (cui evidentemente intende riferirsi il decreto ministeriale parlando impropriamente di passivo inventariato), e' determinato all'inizio della procedura ed ha carattere provvisorio, per cui e' suscettibile, come l'esperienza insegna, di modifiche (per lo piu') peggiorative sia in sede di votazione, ove il giudice delegato puo' ammettere ancora provvisoriamente i crediti contestati, sia in prosieguo; tuttavia, considerato che le percentuali sull'attivo sono di gran lunga superiori a quelle sul passivo, si vede come il maggior compenso derivante al curatore dal calcolo sul passivo non valga ad equilibrare lo svantaggio derivante dal calcolo sull'attivo realizzato, piuttosto che su quello inventariato. Un giusto equilibrio sembrava essere stato raggiunto sul punto con il d.m. 17 aprile 1987 - ora sostituito dal d.m. 28 luglio 1992 di cui si sta trattando - che conteneva la stessa disposizione di cui al primo comma dell'art. 5, ma aggiungeva che l'ammontare dell'attivo e del passivo andavano ridotti della meta'; questa limitazione e' scomparsa nel nuovo testo. Ne' e' di poco conto, in termini economici per l'avente diritto, che il curatore possa percepire il suo compenso solo alla fine della procedura dopo l'approvazione del conto della gestione, nel mentre il primo compenso al commissario vada liquidato dopo l'omologa del concordato, che normalmente interviene entro breve tempo dall'inizio della procedura concordataria; b) si potrebbe dire, se l'art. 5 si fermasse a questa disposizione, che rientra nel potere discrezionale del legislatore - o dell'organo da lui demandato - determinare un compenso per il commissario superiore a quello che competerebbe al curatore nel caso lo stesso debitore fosse stato dichiarato fallito, ma anche l'esercizio del potere discrezionale e' sindacabile dalla Corte, come dalla stessa costantemente affermato, ove la disposizione avente forza di legge travalichi i limiti della ragionevolezza. Orbene, pare a questo collegio che tali limiti vengano superati con la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 5 del citato attuale d.m. (che costituisce una innovazione, non prevista dal precedente del 1987), che come detto, attribuisce un ulteriore compenso al commissario per la fase successiva alla liquidazione, determinato, nel caso di concordato con cessione di beni - che e' la fattispecie che interessa - con le percentuali di cui all'art. 1 sull'attivo della liquidazione; sennonche', la liquidazione dei beni e' compito del liquidatore e non del commissario, il quale, dopo l'omologa, deve solo sorvegliare l'adempimento del concordato (art. 185 legge fall.). A questo punto, comparando l'art. 1 del d.m., che riguarda il curatore, con il primo e il secondo comma dell'art. 5 dello stesso d.m., che riguardano il commissario, si ricava che il primo - il quale ha la gestione del patrimonio del debitore, collabora con il giudice delegato alla formazione dello stato passivo, provvede alla liquidazione dell'attivo e al riparto tra i creditori - ha diritto ad un unico compenso secondo percentuali calcolate sull'attivo realizzato e sul passivo accertato e il secondo - che esercita un controllo sulla gestione del debitore fino all'omologa e un controllo sull'adempimento del concordato nella fase successiva, ove e' il liquidatore a realizzare il valore dei beni ceduti e a ripartirne il ricavato - ha diritto a due compensi: uno determinato secondo le stesse percentuali calcolate sull'attivo e sul passivo inventariati ed un altro determinato sull'attivo liquidato. Ben sa questo collegio che il passaggio in giudicato della sentenza di omologa segna il momento conclusivo della procedura e che da questo momento si esauriscono le funzioni di ingerenza del commissario, che si trasformano in funzioni di mera sorveglianza sull'adempimento del concordato, per cui la previsione di due compensi, uno per ciascuna fase, ha una giustificazione giuridica; tuttavia quello che si intende mettere in evidenza non e' tanto la duplicita' del compenso quanto l'irragionevolezza dei criteri dettati per la determinazione degli stessi, l'applicazione dei quali comporta che il commissario giudiziale abbia diritto complessivamente ad un compenso (piu' o meno) doppio rispetto a quello del curatore, pur svolgendo un'attivita' sicuramente meno impegnativa, sia sotto il profilo gestionale che procedurale, e, normalmente, di durata piu' breve. In altre parole potrebbe anche essere opportuna una duplicazione del compenso al commissario, uno per ciascuna fase, ma bisognerebbe dettare dei criteri di determinazione che evitassero l'inconveniente evidenziato, facendo si' che al commissario venga complessivamente attribuita una retribuzione proporzionata al tipo di attivita' svolta e che non superi quella che competerebbe al curatore qualora lo stesso debitore fosse stato dichiarato fallito; c) le percentuali di cui all'art. 1 oscillano tra un minimo e un massimo, tra i quali il tribunale puo' graduare il compenso del curatore "tenendo conto dell'opera prestata, dei risultati ottenuti, dell'importanza del fallimento, nonche' della sollecitudine con cui sono state condotte le relative operazioni"; questi criteri non sono richiamati nell'art. 5 (ne' nel primo ne' nel secondo comma), per il quale i (due) compensi al commissario giudiziale sono "determinati con le percentuali di cui all'art. 1", sicche' la quantificazione di detti compensi prescinde completamente dai risultati ottenuti, dall'importanza della procedura ecc. ed e' affidata all'interprete una graduazione discrezionale tra l'utilizzazione delle percentuali al minimo o al massimo. Sarebbe arduo, infatti, ritenere applicabili per analogia al commissario i criteri di cui all'art. 1 dettati per il curatore dal momento che l'art. 5, come visto, richiama l'art. 1 ma solo per quanto riguarda le percentuali ivi indicate. Peraltro i criteri dettati dall'art. 1 non sempre sarebbero applicabili al commissario; ad esempio il riferimento ai risultati ottenuti - con cui chiaramente si intende adeguare il compenso del curatore all'entita' della ripartizione fatta ai creditori - non e' utilizzabile nella liquidazione del compenso dovuto al commissario fino all'omologa ne' nella liquidazione del secondo compenso (quello dopo l'omologa) perche' il commissario non procede alla liquidazione e al riparto, per cui, ove se ne tenesse conto, si utilizzerebbero i risultati ottenuti dal liquidatore; d) disparita' di trattamento ricorre anche nel caso che il curatore e il commissario cessino dalle loro funzioni prima della chiusura delle operazioni; in ambedue le ipotesi e' previsto che il compenso venga liquidato "tenuto conto dell'opera prestata", con la determinante differenza che per il primo vanno utilizzati "i criteri indicati nell'art. 1" (art. 2 primo comma) e per il secondo "i criteri fissati" (art. 5, quarto comma). Cio' significa che il curatore, se cessa anticipatamente dalle sue funzioni, ha diritto sempre ad un unico compenso parametrato all'opera prestata, nel mentre se nelle stesse condizioni si viene a trovare il commissario bisogna distinguere se questi cessi dalle sue funzioni prima o dopo l'omologa. Avendo, infatti, la normativa in esame distinto queste due fasi e richiamando l'art. 5, quarto comma, i criteri fissati evidentemente nei commi precedenti dello stesso articolo, ne deriva che, se l'attivita' del commissario cessa dopo l'omologa, egli ha diritto al compenso pieno per la prima fase, a norma del primo comma dell'art. 5, e ad un secondo compenso in relazione all'opera prestata nella seconda. Il che, tra l'altro, crea anche una disparita' di trattamento economico a seconda del momento in cui il commissario cessa dalle sue funzioni, non essendo la determinazione del compenso correlata all'entita' dell'opera prestata nell'arco dell'intera procedura come, invece, accade per il curatore; e) nel caso il fallimento si chiuda con concordato, il compenso dovuto al curatore e' sempre uno solo ed e' determinato secondo le percentuali sull'attivo e sul passivo di cui all'art. 1, "calcolate sull'ammontare complessivo di quanto col concordato viene attribuito ai creditori" (art. 2, secondo comma, del d.m.); al contrario, al commissario del concordato preventivo - ove, dopo l'omologa, i suoi compiti sono simili a quelli del curatore dopo l'omologa del concordato fallimentare - compete, solo per questa fase, un compenso che si aggiunge a quello per l'opera prestata antecedentemente all'omologa. Cosicche', considerato che il termine finale per la presentazione della proposta di concordato fallimentare, nel silenzio dell'art. 124 legge fallimentare (che pone solo il termine iniziale), e' individuabile nell'emanazione del decreto di chiusura del fallimento, il curatore potrebbe aver svolta tutta l'attivita' gestoria e liquidatoria fallimentare e poi trovarsi a svolgere quella di sorveglianza concordataria percependo sempre un unico compenso calcolato sull'ammontare complessivo di quanto col concordato viene attribuito ai creditori, nel mentre, al commissario giudiziale ne competono sempre due, calcolati uno sull'attivo e sul passivo inventariati e l'altro sull'attivo realizzato. Ed e' facile immaginare come nelle stesse condizioni patrimoniali - salvo casi eccezionali di un fallimento con attivo ridotto in cui col concordato vengano pagati i creditori con alte percentuali - l'importo complessivo del compenso spettante al commissario sia sempre piu' elevato di quello liquidabile al curatore; f) la disparita' di trattamento retributivo e' ancor piu' eclatante se si prende in esame la posizione del commissario preposto ad un concordato con garanzia, che non interessa il caso di specie, ma rileva per evidenziare, da un lato, la perversita' del sistema posto dall'art. 5 e, dall'altro, una disparita' di trattamento tra commissari preposti a diversi tipi di concordato preventivo. Invero, per la liquidazione del compenso al commissario del concordato con garanzia sono dettati gli stessi criteri che per il commissario del concordato con cessione, con l'unica differenza che, per il primo, il compenso per la fase successiva all'omologa e' determinato secondo le modalita' di cui al comma 1½, cioe' con le percentuali dell'art. 1 sull'ammontare dell'attivo e del passivo risultanti dall'inventario. Ossia, in caso di concordato con garanzia, anche il secondo compenso va liquidato sull'attivo e sul passivo inventariati e non soltanto sull'attivo della liquidazione come per l'ipotesi del concordato con cessione di beni (e non potrebbe essere diversamente perche' nel concordato con garanzia non vi e' una fase liquidatoria); il che significa che, nel primo caso, il compenso e' piu' alto che nel secondo (sia perche' va calcolato sull'attivo e sul passivo, sia perche', normalmente, l'attivo liquidato e realizzato e' inferiore a quello preventivato), pur essendo notorio che l'opera di sorveglianza sull'adempimento di un concordato con garanzia richiede un impegno meno intenso e piu' limitato nel tempo rispetto a quello necessario, non solo per portare a termine la procedura fallimentare, ma anche rispetto a quello richiesto per il controllo sull'adempimento del concordato con cessione. In sostanza, il sistema posto dall'art. 5 del d.m. del 1992 e' tale da creare delle ingiustificate disparita' di trattamento retributivo non solo tra il commissario e il curatore, ma tra gli stessi commissari, a seconda che siano preposti ad un concordato con garanzia o con cessione di beni; distinzione quest'ultima che potrebbe anche essere opportuna ai fini retributivi, purche' si risolva, in considerazione dell'impegno richiesto, in un compenso piu' vantaggioso per il commissario del secondo e non per quello del primo, come invece accade in applicazione dell'art. 5 in esame. Ritenuto, in conclusione, che l'art. 5 del d.m. 29 luglio 1992 ha forza di legge in quanto integra l'art. 165 della legge fallimentare, che richiama l'art. 39 della stessa legge; che non e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della citata norma per l'ingiustificata disparita' di trattamento retributivo che crea tra il commissario giudiziale preposto al concordato preventivo e il curatore fallimentare, nonche' tra gli stessi commissari, a seconda che si tratti di concordato con garanzia o con cessione di beni; che la questione e' rilevante nel presente giudizio camerale di liquidazione del compenso richiesto dal commissario giudiziale del concordato preventivo Inteltrade S.a.s. perche' costui fonda la propria domanda, per l'attivita' svolta fino alla omologa del concordato (ed ha gia' preannunciato la richiesta del secondo compenso per la fase successiva, quando sara'), proprio sul disposto del citato art. 5;
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 39 e 165 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui, prevedendo che il compenso al commissario giudiziale preposto al concordato preventivo sia liquidato "secondo le norme stabilite con decreto del Ministro per la grazia e giustizia", recepiscono l'art. 5 del decreto del Ministro di grazia e giustizia 28 luglio 1992, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 6 marzo 1993, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione; Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia trasmessa alla Corte costituzionale, unitamente alla richiesta del commissario giudiziale dott. F. Parise depositata il 17 marzo 1993; Dispone che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata al dott. F. Parise, al pubblico ministero in sede, e al Presidente del Consiglio dei Ministri; Dispone che a cura della cancelleria la presenta ordinanza sia comunicata ai Presidenti delle due camere del Parlamento; Dispone la sospensione del presente giudizio camerale di liquidazione del compenso fino alla decisione della Corte costituzionale. Cosi' deciso addi' 18 marzo 1993 Il presidente: DE ROBERTIS Depositata il 22 marzo 1993. Il collaboratore di cancelleria: (firma illeggibile) 93C0459