N. 226 SENTENZA 23 aprile - 7 maggio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 "
 Previdenza  e  assistenza  -  Pensioni  -  Rapporto  con  la dinamica
 salariale - Disposizione  di  aumenti  proporzionali  ai  periodi  di
 riferimento   con   esclusione  della  riliquidazione  -  Difetto  di
 motivazione  -  Richiesta  di  pronuncia  additiva  -  Richiamo  alle
 sentenze  nn.  42/1993,  92/1991  e  337/1992 della Corte - Monito al
 legislatore,   con   riferimento   alla    costante    giurisprudenza
 costituzionale  (cfr.  sentenze  nn.  173/1986  e 119/1992), circa la
 proporzionalita' e l'adeguatezza dei trattamenti, nel pieno  rispetto
 della propria discrezionalita' - Inammissibilita'.
 "
 (Legge  28  dicembre 1988, n. 544, art. 5; d.-l. 22 dicembre 1990, n.
 409, art. 3, convertito, con modificazioni, nella legge  27  febbraio
 1991, n. 59).
 "
 (Cost., artt. 3, 36, 38 e 54)
(GU n.20 del 12-5-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato  GRANATA,  prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli  artt.  5  della  28
 dicembre 1988, n. 544 (Elevazione dei livelli dei trattamenti sociali
 e miglioramenti delle pensioni) e 3 del d.l. 22 dicembre 1990, n. 409
 (Disposizioni  urgenti  in  tema  di  perequazione dei trattamenti di
 pensione  nei   settori   privato   e   pubblico),   convertito   con
 modificazioni  nella  legge  27 febbraio 1991, n. 59, promossi con le
 seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa  il  25  gennaio  1991  dalla
 Corte  dei  conti  sui ricorsi riuniti proposti da Kronau Gertrude ed
 altri, iscritta al n. 519 del registro ordinanze  1991  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  33,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1991; 2) ordinanza emessa il 10 luglio 1991 dalla
 Corte dei conti  -  Servizio  giurisdizionale  per  la  Sardegna  sul
 ricorso  proposto  da  Boi  Giovanni  iscritta  al n. 49 del registro
 ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti gli atti di costituzione di Kronau  Gertrude  ed  altro,  di
 Rinaldo  Federico  e di Boi Giovanni, gli atti di intervento di Marre
 Maria ed altri nonche' gli atti  di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 23 marzo 1993 il Giudice relatore
 Renato Granata;
    Uditi gli avvocati Filippo de Jorio per Kronau Gertrude ed  altro,
 Filippo  de  Jorio e Michelangelo Pascasio per Rinaldo Federico e Boi
 Giovanni e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio in cui i ricorrenti Kronau Gertrude,
 Tortorella   Angelo   e   Federico   Rinaldo   avevano   chiesto   la
 riliquidazione delle loro pensioni, la Corte dei Conti - premesso  di
 aver   gia'   sollevato   questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 5 della legge 28 dicembre 1988, n. 544, in riferimento agli
 artt. 3, 36, 38 e 54 Cost., nella parte in cui  detta  norma  prevede
 soltanto  alcuni  aumenti  e  non la riliquidazione delle pensioni in
 rapporto alla dinamica salariale e preso  atto  altresi'  che  questa
 Corte  con  ordinanze  nn.  293  e  424  del  1990  aveva disposto la
 restituzione  degli  atti  alla  luce  delle  sopravvenute  leggi  27
 dicembre  1989  n.  407  e  27  dicembre  1989 n. 409 - ha nuovamente
 sollevato, con ordinanza del 25 gennaio 1991, la  medesima  questione
 (omettendo il riferimento all'art. 38 della Costituzione). Osserva la
 Corte rimettente che le leggi citate da ultimo, nonche' il successivo
 d.l.  22 dicembre 1990 n. 409 (che ha concesso incrementi percentuali
 correlati alla decorrenza delle pensioni) non hanno mutato i  termini
 della  questione  che  viene quindi riproposta ribadendo il dubbio di
 costituzionalita' in precedenza avanzato  e  richiamando  i  principi
 affermati  nelle  sentenze  n. 501 del 1988 e n. 1 del 1991 di questa
 Corte.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato   dall'Avvocatura   dello   Stato  che  ha  chiesto  la
 declaratoria di inammissibilita' ovvero di infondatezza.
    Premesso che la riliquidazione conseguente alla  sentenza  n.  501
 del  1988 per i magistrati ha avuto decorrenza soltanto dal 1 gennaio
 1988, mentre per i dirigenti collocati a riposo prima del  1  gennaio
 1979  la  sentenza  n.  1  del  1991  ha riconosciuto il diritto alla
 riliquidazione soltanto dal 1 marzo 1990,  l'Avvocatura  rileva  come
 entrambe   tali   pronunce   si   siano  limitate  a  riconoscere  la
 riliquidazione quale effetto di  specifici  benefici  accordati  alle
 categorie interessate da particolari provvedimenti legislativi, senza
 realizzare   l'aggancio  automatico  delle  pensione  agli  stipendi,
 aggancio che dovrebbe necessariamente essere introdotto dalla  legge,
 subordinatamente   alla   disponibilita'   delle   relative   risorse
 finanziarie.
    3. - Si  sono  costituite  le  parti  private  insistendo  per  la
 declaratoria  d'illegittimita'.  La  difesa  delle parti qualifica la
 situazione delle stesse come affine  a  quella  di  altre  categorie,
 magistrati e dirigenti, beneficiarie delle sentenze n. 501 del 1988 e
 n. 1 del 1991. Inoltre - si sostiene in memorie - il Governo incamera
 i  contributi pensionistici sulle retribuzioni, senza accantonarli in
 alcun Fondo, per poi erogare le pensioni con le esigue disponibilita'
 di bilancio.
    Parimenti vengono richiamati gli artt. 36 e 38 Cost. che,  per  la
 loro  immediata  valenza precettiva, garantiscono che il diritto alla
 pensione, in quanto stipendio differito, non possa  svilire  nel  suo
 reale   potere  d'acquisto  finendo  per  divergere  enormemente  dal
 trattamento percepito in servizio.  Al  contrario  le  parti  private
 auspicano  una  norma che imponga la riliquidazione della pensione ad
 ogni variazione di  stipendio  ovvero  assicuri  un  coefficiente  di
 adeguamento ancorato a valori periodici e facilmente rilevabili.
    Concludono richiedendo la declaratoria d'illegittimita', oltre che
 della norma impugnata, anche degli artt. 1 e 2 della legge n. 177 del
 1976  (e  delle  collegate disposizioni di cui agli artt. 18, secondo
 comma, della legge 21 dicembre 1978 n. 843 ed alle leggi 29  febbraio
 1980 n. 33, 30 marzo 1981 n. 119, 26 aprile 1983 n. 130 e 27 dicembre
 1984  n. 730), nonche' degli artt. 1, 3, primo comma, e 6 della legge
 n. 141 del 1985, normativa tutta censurata sotto l'assorbente profilo
 dell'omessa previsione di un meccanismo di automatica perequazione.
    4. - Nel corso di un giudizio in cui il ricorrente  Boi  Giovanni,
 appuntato  della  Guardia di Finanza in congedo dal 4 settembre 1953,
 aveva impugnato tutti i provvedimenti di liquidazione della  pensione
 richiedendo la corresponsione della stessa sulla base del trattamento
 del  pari  grado  in  servizio con aggancio automatico ad ogni futuro
 incremento retributivo, la Corte dei Conti,  sezione  giurisdizionale
 per  la  Sardegna,  con  ordinanza  emessa  il  10  luglio  1991,  ha
 sollevato, in relazione agli  artt.  3  e  36,  primo  comma,  Cost.,
 questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 5, primo comma,
 della legge 29 dicembre 1988, n. 544 e 3 del d.l. 22 dicembre 1990 n.
 409, convertito con modificazioni, nella legge 27  febbraio  1991  n.
 59.
    La  Corte  rimettente  premette  di  aver  gia'  sollevato analoga
 questione per la prima delle due norme e che la Corte costituzionale,
 con ordinanza n. 167 del 1990,  aveva  restituito  gli  atti  per  il
 riesame della rilevanza alla stregua della sopravvenuta seconda norma
 ora  censurata.  Quest'ultima  avrebbe  lasciato  intatto  il profilo
 d'illegittimita' a suo  tempo  denunziato,  consistente  nel  mancato
 automatico allineamento tra la pensione e la dinamica retributiva del
 personale in servizio.
    In  particolare  la  Corte  rimettente  stima del tutto inidonei a
 garantire tale allineamento i benefici disposti dell'art. 3 del  d.l.
 n.  409/90  cit.  che  pure ha previsto una riliquidazione sulla base
 della pregressa anzianita' sulla base di un sistema di  rivalutazione
 percentuale.
    Risulterebbero    pertanto    violati   i   menzionati   parametri
 costituzionali in un quadro normativo che assicura alle categorie  in
 servizio   il   ricorso   agli   accordi  sindacali  per  far  valere
 rivendicazioni   retributive,    mentre    espone    i    pensionati,
 potenzialmente  piu'  bisognosi di tutela, ad un sistema d'inadeguati
 interventi legislativi.
    5. - Anche in questo secondo giudizio e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 dello  Stato, che ha concluso per l'inammissibilita' o l'infondatezza
 della questione, anzitutto escludendo  l'esistenza  di  un  principio
 generale  di  adeguamento  costante  delle  pensioni ai mutamenti del
 potere di acquisto della moneta, in quanto il legislatore  ha  optato
 per il sistema delle riliquidazioni nelle misure ritenute di volta in
 volta compatibili con le risorse della finanza pubblica.
    Rileva poi l'Avvocatura come l'originario obiettivo, sancito dalla
 legge  29  aprile  1976  n.  177, di perequazione delle pensioni alle
 retribuzioni debba essere perseguito con la necessaria gradualita'.
    6. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituita la parte
 privata la quale ha insistito per la declaratoria  di  illegittimita'
 delle  norme  censurate  con argomentazioni analoghe a quelle esposte
 dalla difesa delle parti private nel precedente giudizio  incidentale
 di costituzionalita'.
    7.  - Con ordinanza istruttoria del 21 maggio 1992 questa Corte ha
 richiesto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dati informativi
 in ordine  essenzialmente  all'andamento  parallelo  dei  trattamenti
 retributivi   e   di  quiescenza  e  alla  misura  degli  scostamenti
 verificatisi  nel  tempo tra retribuzioni del personale in servizio e
 pensioni. In ottemperanza  alla  suddetta  ordinanza  istruttoria  la
 Presidenza  del  Consiglio  ha  trasmesso  una  comunicazione  del 26
 settembre 1992 della Ragioneria generale dello Stato contenente  dati
 contabili.
    8.   -   Rifissata  l'udienza  pubblica,  la  difesa  delle  parti
 costituite - nel ribadire le argomentazioni gia' svolte in precedenza
 - ha presentato una memoria in cui sostiene che i pensionati d'annata
 non dirigenti percepiscono una  pensione  sensibilmente  inferiore  a
 quella percepita dai colleghi pari grado in servizio. Inoltre afferma
 che la capitalizzazione dei contributi versati dai dipendenti statali
 (non  dirigenti)  durante  tutto il rapporto di lavoro e' superiore a
 quanto gli stessi riscuotono a titolo di  trattamento  di  quiescenza
 sicche'  somme,  che  avrebbero  dovuto  essere  intangibili  perche'
 finalizzate ad uno  scopo  garantito  dalla  Costituzione,  sarebbero
 state distolte dalla loro destinazione pensionistica.
    9.  -  Sono intervenuti con distinti atti cumulativi Marre Maria e
 altri  numerosi  pensionati   statali   sostenendo   l'illegittimita'
 costituzionale della normativa censurata.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Sono state sollevate - in riferimento agli artt. 3, 36 e 54
 Cost. (ma in realta' anche all'art. 38 Cost., per quanto si dira')  -
 questioni incidentali di legittimita' costituzionale:
      a)  dell'art. 5 legge 28 dicembre n. 544 (Elevazione dei livelli
 dei trattamenti sociali e miglioramenti delle pensioni)  nella  parte
 in  cui  in  luogo  di  disporre  la riliquidazione delle pensioni in
 rapporto  alla  dinamica   salariale   accorda   unicamente   aumenti
 proporzionali ai periodi di riferimento;
      b)  dello  stesso  art.  5,  comma 1, cit. e dell'art. 3 d.l. 22
 dicembre 1990 n. 409 (Disposizioni urgenti in  tema  di  perequazione
 dei   trattamenti  di  pensione  nei  settori  privato  e  pubblico),
 convertito con modificazioni nella legge  27  febbraio  1991  n.  59,
 nella  parte  in  cui  non  dispongono,  per  il personale di polizia
 collocato  a  riposo   anteriormente   al   1›   gennaio   1986,   la
 riliquidazione  della  pensione  sulla base del trattamento economico
 del personale in servizio.
    2.  -  Preliminarmente  i  giudizi  vanno   riuniti   e   trattati
 congiuntamente per identita' dell'oggetto.
    Va  poi  dichiarata, in via ancora preliminare, l'inammissibilita'
 degli atti di intervento dei soggetti privati in quanto - a parte  la
 tardivita' del loro deposito - nessuno di tali intervenienti e' parte
 nei giudizi a quibus.
   3.  -  Le  questioni  sollevate  dalla  Corte  dei conti con le due
 ordinanze sopra indicate sono riconducibili alla stessa matrice,  che
 e'  la  doglianza  di  inadeguatezza dei trattamenti pensionistici in
 relazione ai parametri costituzionali degli artt. 3, 36 e  38  Cost.;
 quest'ultimo   non   espressamente   citato,   ma   desumibile  dalla
 motivazione delle ordinanze stesse che peraltro richiamano  anche  le
 precedenti  ordinanze di rimessione (della medesima Corte) contenenti
 l'espresso riferimento a tale  parametro.  Invece  l'art.  54  Cost.,
 unicamente  citato nel dispositivo della prima ordinanza, e' privo di
 alcuna motivazione oltre a non essere comunque  conferente  al  thema
 decidendum   sicche',   in   relazione   ad  esso,  la  questione  e'
 inammissibile.
    4.  - Sull'asserito presupposto dell'inadeguatezza dei trattamenti
 pensionistici, in entrambe  le  ordinanze  si  chiede  una  pronuncia
 additiva  che  introduca  un aggancio automatico e costante di questi
 alla dinamica salariale, tale dovendo intendersi la  "riliquidazione"
 -  invocata  dalla  Corte  rimettente  -  che  renderebbe  il sistema
 conforme ai parametri invocati.
    In particolare lo sviluppo argomentativo della seconda  ordinanza,
 che  fa  riferimento  ai  miglioramenti  economici  previsti  per  il
 personale (nella specie, di polizia) in servizio  da  un  determinato
 accordo  sindacale (quello recepito con d.P.R. 10 aprile 1987 n. 150)
 consente di identificare - quale possibile meccanismo di perequazione
 invocato come contenuto di una pronuncia additiva - la riliquidazione
 dei trattamenti pensionistici  in  relazione  a  ciascun  determinato
 aumento  delle  retribuzioni  accordato  in  occasione  dei periodici
 rinnovi contrattuali.
    In  entrambe  le  ordinanze  poi  -  soprattutto  per  l'insistito
 richiamo  alla  decisione adottata con la sentenza n. 501 del 1988 "a
 fronte", come in particolare si sottolinea nella  seconda  ordinanza,
 "del  divario realizzatosi tra trattamento di pensione e di servizio"
 - puo' leggersi anche una  prospettazione  subordinata  tendente  non
 gia'  ad  introdurre  un  automatismo,  ma  unicamente  a riportare a
 livello di adeguatezza i trattamenti pensionistici  con  una  singola
 operazione  di  riliquidazione che riduca o azzeri il divario, almeno
 quando questo sia pervenuto ad  un  livello  assolutamente  non  piu'
 compatibile con i parametri costituzionali invocati.
    Soltanto  nei  limiti  cosi' fissati dalle ordinanze di rimessione
 deve essere esaminata la legittimita' costituzionale della  normativa
 censurata  non  potendo  essere  prese  in  considerazione  ulteriori
 questioni  prospettate  dalle  parti  private  alle  quali   non   e'
 consentito  ampliare  il  thema  decidendum nel giudizio innanzi alla
 Corte (v., da ultimo, sent. n. 114 del 1993).
    5. - La valutazione della  questione  di  costituzionalita',  come
 sopra  posta, deve muovere dal suo inquadramento nella giurisprudenza
 di questa Corte in tema di adeguatezza dei trattamenti pensionistici.
    Da una parte  va  innanzi  tutto  ricordato  che  con  la  recente
 sentenza  n.  42  del 1993 la Corte ha ritenuto che "esula dai limiti
 del controllo di legittimita' l'operazione additiva  richiesta  dalle
 rimettenti  sezioni  della  Corte dei conti", ossia la riliquidazione
 automatica  delle  pensioni  come  conseguenza   dell'aumento   delle
 retribuzioni;  quindi  il  fatto che il legislatore, nel prevedere un
 meccanismo  di  adeguamento  delle  retribuzioni  del  personale   in
 servizio,  non  abbia  parallelamente  esteso  analogo adeguamento ai
 trattamenti pensionistici della medesima  categoria  non  rappresenta
 vulnerazione di alcun canone costituzionale, bensi' atto di esercizio
 legittimo  di  " una discrezionalita' sua propria". In senso conforme
 possono richiamarsi anche l'ordinanza  n.  92  del  1991  -  dove  si
 puntualizza   che   l'estensione  alle  pensioni  del  meccanismo  di
 adeguamento periodico delle retribuzioni rappresenta un'"attivita' ..
 certamente estranea al sindacato  di  costituzionalita'  e  viceversa
 propria del legislatore" - e la sentenza n. 337 del 1992, secondo cui
 "l'art.  38  Cost.  non  esige  che  l'adeguamento  delle prestazioni
 previdenziali ai  mutamenti  del  potere  di  acquisto  della  moneta
 proceda mediante meccanismi automatici", potendo "esso ...avvenire" -
 aggiunge  la Corte - " anche con interventi legislativi periodici, la
 scelta  dell'uno   o   dell'altro   metodo   essendo   rimessa   alla
 discrezionalita'del legislatore".
    D'altra  parte pero' la Corte (sent. n. 173 del 1986) ha affermato
 che "la proporzionalita' e l'adeguatezza devono sussistere  non  solo
 al   momento   del  collocamento  a  riposo  ma  vanno  costantemente
 assicurati anche nel prosieguo, in relazione al mutamento del  potere
 di  acquisto  della moneta". E successivamente, nella sentenza n. 501
 del 1988, ha ribadito che dal canone  dell'art.  36  Cost.  "consegue
 l'esigenza  di una costante adeguazione del trattamento di quiescenza
 alle  retribuzioni  del  servizio  attivo".  Ma  questa  garanzia  di
 adeguatezza  della  pensione  non  si  traduce  necessariamente in un
 rigido meccanismo di perequazione;  la  stessa  sentenza  n.  173/86,
 appena  citata,  ha  infatti  puntualizzato  che l'attuazione di tale
 garanzia "non comporta .. la necessaria ed integrale coincidenza  tra
 la  pensione  e l'ultima retribuzione, ne' un costante adeguamento al
 mutevole potere di acquisto della moneta, specie  per  effetto  della
 svalutazione  monetaria,  ma  sussiste  una sfera di discrezionalita'
 riservata  al  legislatore  per  l'attuazione  graduale   dei   detti
 precetti". Anche la sentenza n. 20 del 1991 ha affermato che "rientra
 nel  potere  discrezionale  del  legislatore  la determinazione delle
 misure e dei criteri di  adeguamento  dei  trattamenti  pensionistici
 alla  variazione  del  costo  della  vita  nonche' delle modalita' di
 perequazione degli stessi".
   Ha poi precisato la Corte (sent. 119 del 1992) che  i  principi  di
 adeguatezza  e  proporzionalita'  della pensione (ex art. 36 Cost.) -
 pur non comportando "che  sia  garantita  in  ogni  caso  l'integrale
 corrispondenza  fra  retribuzione  e pensione" - richiedono pero' una
 "commisurazione del trattamento di quiescenza al reddito percepito in
 costanza di rapporto  di  lavoro";  commisurazione  questa  che  puo'
 essere  variamente  attuata "secondo determinazioni discrezionali del
 legislatore" e la non vincolatezza del quomodo di tale commisurazione
 e' in fondo conseguenza del bilanciamento complessivo dei  valori  in
 gioco  che  deve  operare  il  legislatore  tenendo conto anche della
 "concreta ed attuale disponibilita' delle risorse finanziarie".
    6. - Questo sviluppo della giurisprudenza trova infine la sua piu'
 recente affermazione nella gia' citata sentenza n. 42/93,  che,  dopo
 aver   escluso   che   i  trattamenti  pensionistici  possano  essere
 "cristallizzati", prefigura - nella evenienza che " l'andamento delle
 retribuzioni" pervenga a "discostarsi dalle pensioni bene al  di  la'
 di  quel ragionevole rapporto di corrispondenza, sia pure tendenziale
 ed imperfetto, a suo tempo richiesto da questa Corte ex artt. 3 e  36
 della  Costituzione  (cfr.  sentenza n. 119 del 1991)" - il possibile
 insorgere di una questione di  costituzionalita'  (sotto  il  profilo
 della  lesione  del  principio  di  adeguatezza)  in  relazione  alla
 "mancata previsione di un qualsivoglia  meccanismo  di  raccordo  fra
 variazioni  retributive  indotte dagli aumenti del pubblico impiego e
 computo delle pensioni". Mancata previsione che e' esaltata nel  caso
 di radicale ristrutturazione del sistema retributivo del personale in
 servizio,  quale quello preso in considerazione dalla citata sentenza
 n. 501 del 1988, la quale pertanto, sotto il profilo della parita' di
 trattamento, non e' utilmente invocabile nella attuale vicenda in cui
 viceversa si controverte  degli  ordinari  miglioramenti  retributivi
 conseguenti ai rinnovi contrattuali.
    Va  quindi  ribadito  che  la scelta in concreto del meccanismo di
 perequazione e' riservata  al  legislatore  chiamato  ad  operare  il
 bilanciamento  tra  le  varie  esigenze  nel  quadro  della  politica
 economica generale e delle concrete disponibilita'  finanziarie  (non
 senza  tener  conto  che  -  secondo  la  giurisprudenza della Corte:
 sentenza n. 173 del 1986; sentenza n.  30  del  1976  -  nel  vigente
 sistema pensionistico, ispirato anche al principio solidaristico, non
 e'   richiesta   una  rigorosa  corrispondenza  tra  contribuzione  e
 prestazione   previdenziale,   con   il    limite,    pero',    della
 ragionevolezza,  soprattutto  se  si tien conto che alla solidarieta'
 tra lavoratori  e  pensionati  si  affianca  sempre  e  comunque  una
 solidarieta'  piu'  ampia  dell'intera  collettivita'); bilanciamento
 questo che peraltro ha l'ineludibile vincolo di scopo  di  consentire
 una  ragionevole  corrispondenza  (evitando  che  si determini un non
 sopportabile scostamento) tra  dinamica  delle  pensioni  e  dinamica
 delle retribuzioni.
    In  questa  complessiva  valutazione  il  legislatore  deve  tener
 presente la necessita' di un  raccordo  tra  dinamica  retributiva  e
 dinamica  pensionistica  non  nel  senso  di  un costante o periodico
 allineamento delle pensioni alle retribuzioni, ma nel  senso  che  il
 verificarsi  di  una  evenienza  siffatta  (irragionevole scostamento
 anziche' ragionevole  corrispondenza)  e'  indice  sintomatico  -  in
 mancanza  di  una sostanziale modifica della prestazione lavorativa -
 della non idoneita' del meccanismo in concreto prescelto a preservare
 la costante sufficienza della pensione ad "assicurare  al  lavoratore
 ed  alla  sua  famiglia  mezzi adeguati alle esigenze di vita per una
 esistenza libera e dignitosa" (v. sent. 173/86 sopra cit. e, in senso
 conforme, sent. n. 243 del 1992).
    7. - Sotto quest'ultimo  profilo  le  informazioni  fornite  dalla
 Presidenza  del Consiglio a seguito dell'ordinanza istruttoria del 21
 maggio 1992 consentono  alla  Corte  di  conoscere  che  fino  al  31
 dicembre  1984  si e' realizzato (con graduali incrementi destinati a
 raggiungere il loro completamento al 1›  gennaio  1994)  il  recupero
 alle   pensioni  dei  miglioramenti  attribuiti  sui  trattamenti  di
 servizio sino alla data del 1› febbraio 1981 e che lo scostamento  si
 manifesta  essenzialmente  con la tornata contrattuale 1985-1987 e si
 accentua con quella successiva. Peraltro tale scostamento risulta  in
 parte  recuperato  anche  per effetto dell'operare della perequazione
 automatica introdotta dall'art. 21 legge 27  dicembre  1983  n.  730,
 comprensiva  del  limitato aggancio alla dinamica salariale di cui al
 primo comma dell'art. 10 legge n. 160  del  1975  esteso  anche  alle
 pensioni  del  settore pubblico (di cui all'art. 1 della legge n. 177
 del 1976) dall'art. 14, comma 5, d.l. n. 663 del 1979  convertito  in
 legge  n.  33  del  1980; perequazione che - in quanto collegata alla
 dinamica  inflattiva  -   ha   costantemente   comportato   periodici
 incrementi dei trattamenti pensionistici.
    In  questa  situazione  la  Corte  ritiene  che  i  dati contabili
 complessivi forniti dalla Presidenza del Consiglio non dimostrano che
 lo scostamento sia di  tale  entita'  da  indurre  a  dubitare  della
 idoneita'  -  a  questo  momento - del meccanismo perequativo in atto
 prescelto dal legislatore  a  garantire  un  sufficiente  livello  di
 adeguatezza delle pensioni.
    Peraltro,  il  divario  allo  stato  esistente,  da  un lato, puo'
 assumersi come indice rivelatore della opportunita' di perseguire  un
 piu' avanzato livello di raccordo il cui raggiungimento rientra nella
 discrezionalita'  del  legislatore  nel  piu'  ampio  contesto  della
 generale politica economica e nei limiti delle  risorse  disponibili;
 dall'altro  puo' e deve richiamare l'attenzione del legislatore sulla
 necessita' di sorvegliare l'andamento del fenomeno al fine di evitare
 che esso possa  pervenire  a  valori  critici,  tali  che  potrebbero
 rendere inevitabile l'intervento correttivo della Corte.
    Ma nel presente giudizio, una volta verificata la non inidoneita',
 al momento, del meccanismo perequativo predisposto dal legislatore, i
 correttivi  chiesti  alla Corte - miranti, tutti, sia pure per strade
 diverse, ad una puntuale parametrazione delle pensioni  alle  attuali
 retribuzioni - rientrano nella discrezionalita' del legislatore, onde
 si impone la pronuncia di inammissibilita' delle questioni proposte.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara  inammissibili  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 5  legge  28  dicembre  n.  544
 (Elevazione dei livelli dei trattamenti sociali e miglioramenti delle
 pensioni)  e  dell'art.  3  decreto  legge  22  dicembre  1990 n. 409
 (Disposizioni urgenti in tema  di  perequazione  dei  trattamenti  di
 pensione   nei   settori   privato   e   pubblico),   convertito  con
 modificazioni nella legge 27 febbraio 1991  n.  59,  sollevate  -  in
 riferimento  agli  artt.  3,  36,  38 e 54 della Costituzione - dalla
 Corte dei conti con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 7 maggio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0499