N. 232 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 marzo 1993
N. 232 Ordinanza emessa il 4 marzo 1993 dalla corte di appello di Lecce nel procedimento civile vertente tra Matteo Pasquale ed altra e comune di Lecce Espropriazione per pubblico interesse - Espropriazioni per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici - Determinazione dell'indennita' di esproprio per le aree edificabili in base alla media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento - Esclusione dell'applicazione di detta disciplina ai procedimenti per i quali l'indennita' predetta sia stata accettata dalle parti o sia divenuta non impugnabile o sia stata definita con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della norma impugnata - Ingiustificato deteriore trattamento dell'espropriato che agisce giudizialmente rispetto a quello che ricorre alla cessione volontaria del bene espropriato, con conseguente incidenza sul diritto di difesa in giudizio - Violazione del principio, affermato nella giurisprudenza della Corte, che l'indennizzo debba costituire un serio ristoro dell'espropriazione - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 231/1984. (Legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 5-bis). (Cost., artt. 3, 24 e 42).(GU n.22 del 26-5-1993 )
LA CORTE DI APPELLO Ho pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 721 del ruolo generale delle cause dell'anno 1989, riservata alla udienza collegiale del 18 febbraio 1993 tra Matteo Pasquale e Centonze Concetta, elettivamente domiciliati in Lecce alla via B. Martello n. 36 presso lo studio dell'avv. Giovanni Pellegrino, dal quale sono rappresentati e difesi in virtu' di procura a margine dell'atto di opposizione, attori, e il comune di Lecce, in persona del sindaco pro-tempore Francesco Corvaglia, domiciliato in Lecce alla via Imbriani n. 37, presso lo studio del dott. proc. Antonella Maggio, dal quale e' rappresentato e difeso in virtu' di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta e di delibera di incarico n. 2265 del 3 novembre 1989, convenuto. Rileva, in fatto, che con atto notificato il 4 ottobre 1989 i coniugi Matteo Pasquale e Centonze Concetta, premesso che erano rispettivamente proprietario ed usufruttuaria di un compendio di aree ricadenti nell'immediata periferia dell'abitato urbano di Lecce, censite in catasto al foglio 198, part. n. 33 di mq. 16.240, part. n. 34 di mq. 48.308 e part. n. 20 di mq. 18.846; che tali aree avevano una naturale vocazione edificatoria, tanto che erano state destinate ad espansione residenziale dal programma di fabbricazione divenuto operativo per la citta' di Lecce il 19 settembre 1967; che le stesse erano state incluse, quasi per intero, con vincolo ablatorio nel pi- ano di zona per la edilizia economica e popolare - zona B della citta' di Lecce; che, disposta prima l'occupazione e poi la espropriazione definitiva (questa ultima con decreto n. 153 dell'11 luglio 1989) di mq. 11.982 e mq. 10.312, era stata determinata la indennita' di esproprio nella misura di L. 47 al mq.; tanto premesso, i coniugi Matteo-Centonze convenivano dinnanzi a questa corte di appello il comune di Lecce per sentir dichiarare illegittima la indennita' di espropriazione fissata dall'U.T.E. di Lecce e, quindi, calcolare detta indennita' sulla base dei valori di mercato. Sulla opposizione del comune, veniva ammessa ed epletata una C.T.U., la quale, riconosciuto il carattere edificatorio alle aree espropriate, fissava il valore delle stesse, sulla base dei valori di mercato in zona, nella misura di L. 2.443.122.200. La causa, quindi, veniva posta in decisione alla udienza del 18 febbraio 1993. Cio' premesso in fatto, la Corte rileva, in diritto, che la materia, dopo la rimessione della causa al collegio, e' stata innovata dall'art. 5- bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, il quale, al primo comma, dispone che fino all'emanazione di un'organica disciplina per tutte le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte e per conto dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali, o comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi dichiarati di pubblica utilita', l'indennita' di espropriazione per le aree edificabili e' determinata a norma dell'art. 13, terzo comma, della legge 15 gennaio 1885, n. 2892, sostituendo in ogni caso ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui agli artt. 24 e seguenti del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e che l'importo cosi' determinato va ridotto del 40%. La norma prevede anche l'applicabilita' dei nuovi criteri di determinazione dell'indennita' a tutti i procedimenti in corso, nonche' a quelli nei quali, pur essendo stati gia' definiti per effetto dell'emanazione del decreto espropriativo, l'indennita' non sia stata accertata o non sia divenuta inoppugnabile o, se opposta, non sia stata definita con sentenza passata in giudicato. La nuova norma prevede ancora che la riduzione del 40% non si applichi ove l'espropriato convenga la cessione volontaria del bene, possibile in ogni fase del procedimento espropriativo; che la valutazione edificatoria delle aree vada operata con riferimento alle "possibilita' legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'opposizione del vincolo preordinato all'esproprio" e che, infine, i criteri e i requisiti per la individuazione di tale edificabilita' di fatto debbano essere definiti da un emanando regolamento del Ministro dei lavori pubblici ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400. In comparsa conclusionale l'opponente ha prospettato vari motivi di incostituzionalita' della norma, motivi chiaramente rilevanti ai fini della decisione della presente causa, e la Corte ritiene che alcuni di essi non siano manifestamente infondati. In primo luogo, la norma appare in contrasto con l'art. 24 della Costituzione nella parte in cui, sostanzialmente penalizzando il soggetto che non sia addivenuto alla cessione volontaria del bene e che abbia scelto la via giudiziaria per la tutela del proprio diritto, stabilisce comunque per quest'ultimo una riduzione dell'importo indennitario in misura del 40%, riduzione non applicabile al cedente volontario. In questo modo, la norma si propone il chiaro scopo di scoraggiare ogni ricorso al giudice e, con la rilevante penalizzazione del 40%, costringere in pratica il privato a ricorrere alla cessione volontaria del bene. Vi e', quindi, una evidente violazione dell'art. 24, comma primo e secondo, della Costituzione, che consente a tutti di "agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi", rendendo "inviolabile" la difesa di tali diritti. L'art. 5- bis della legge n. 359/1992, inoltre, confligge anche con l'art. 3 della Costituzione, perche' crea una irragionevole disparita' di trattamento tra chi al momento della sua entrata in vigore ha avuto la .... fortuna di vedere definita la propria posizione con la vecchia normativa e chi, invece, per cause assolutamente indipendenti dalla sua volonta', tale posizione non ha visto definita in tempo. Non e' ammissibile, cioe', che rilevanti interessi economici di privati possano subire rilevanti penalizzazioni perche', ad esempio, si e' verificato che una udienza non si sia potuta tenere per un qualsiasi motivo e la causa sia stata poi rinviata a data successiva alla entrata in vigore della norma contestata, sicche', per eventi assolutamente fortuiti, alcuni cittadini abbiano potuto subire consistenti decurtazioni che altri, piu' fortunati, non hanno subito, pur trovandosi sia gli uni che gli altri nelle identiche condizioni di partenza. La norma in questione, tuttavia, confligge anche con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, che consente l'espropriazione per motivi d'interesse generale della proprieta' privata, ma solo "nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo". All'uopo, la Corte costituzionale, pur avendo in precedenza affermato che l'indennita' di espropriazione non deve essere necessariamente commisurata al valore di mercato del bene, ma puo' anche discostarsene, ha tuttavia ribadito il principio che al privato debba essere comunque garantito un "serio ristoro" (sentenza n. 231 del 30 luglio 1984); e non ritiene la Corte che tale possa ritenersi l'indennita' prevista dall'art. 5- bis della legge n. 359/1992, posto che il calcolo effettuato a norma del primo comma del suddetto articolo porterebbe, con la riduzione del 40%, ad una liquidazione pari a circa il 30% del valore venale del bene espropriato, e cioe' ad un "ristoro" chiaramente irrisorio e simbolico.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5- bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, con riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione e, previa sospensione del presente giudizio, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Lecce il 4 marzo 1993. Il presidente: ANGELELLI Depositato in cancelleria l'11 marzo 1993. Il direttore di cancelleria: MARGARITO 93C0529