N. 240 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 1993
N. 240 Ordinanza emessa il 24 febbraio 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Di Forti Gianclaudio Processo penale - Misure cautelari - Divieto di custodia cautelare per la persona affetta da HIV e nei casi di AIDS conclamata - Lamentata violazione del principio di tutela della collettivita' - Disparita' di trattamento, in punto di liberta' personale, rispetto a soggetti affetti da patologie altrettanto gravi ed irreversibili - Lesione del principio di corretta motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e di soggezione del giudice alla sola legge - Attuazione distorta del principio che consente la carcerazione purche' effettuata in modo non contrario al senso di umanita' ne' lesivo del diritto alla salute. (C.P.P. 1988, art. 286-bis, aggiunto dal d.l. 12 novembre 1992, n. 431; d.l. 12 gennaio 1993, n. 3). (Cost., artt. 2, 3, primo comma, 27, terzo comma, 32, primo comma, 101, secondo comma, e 111, primo comma).(GU n.22 del 26-5-1993 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Visti gli atti del proc. di cui sopra a carico di Di Forti Gianclaudio, nato a Caltanissetta il 5 dicembre 1957; residente a Torino, via F.lli Garrone, 61/29, ivi agli arresti domiciliari; dif. di fid. avv. Anna Rosa Oddone, indagato, in ordine ai reati di cui agli artt. 10, 12 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 e 23 della legge 18 aprile 1975, n. 110, per avere detenuto e portato in luogo pubblico un'arma comune da sparo Smith e Wesson 357 Magnum con matricola abrasa e quindi clandestina ed il relativo munizionamento; in Torino, il 13 gennaio 1993; Rilevato che il p.m., ravvisando sussistenti nella specie ragioni cautelari tali da imporre l'applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere in via esclusiva, chiedeva in sede di udienza per la convalida dell'arresto, oltre a detta convalida, l'applicazione dell'indicata misura a carico del Di Forti; Rilevato che lo stesso p.m., nell'ipotesi che il giudice, in ossequio all'art. 286- bis del c.p.p. (come risultante dal d.l. 12 novembre 1992, n. 431, riscritto dal d.l. 12 gennaio 1993, n. 3, recante, tra l'altro, "disposizioni urgenti concernenti il trattamento di persone detenute affette da infezione da HIV"), avesse stabilito la non applicabilita' della custodia cautelare in carcere ritenendo eventualmente di applicare la misura degli arresti domiciliari, proponeva la questione di illegittimita' costituzionale dello stesso art. 286- bis del c.p.p., riguardata sotto vari profili; Rilevato che questo giudice ha effetivamente ritenuto di dover dare applicazione all'art. 286- bis del c.p.p. in quanto norma in vigore al momento della decisione, ma condivide le argomentazioni sollevate dal p.m. anche sotto profili diversi rispetto a quelli da quest'organo esaminati; OSSERVA IN FATTO In data 13 gennaio 1993 verso le ore 10,45 personale della questura di Torino in servizio d'istituto notava in v. Bistagno di Torino un uomo che si aggirava con fare sospetto tra le autovetture in sosta; costui, alla vista degli operanti, chinatosi, appoggiava un oggetto a fianco di un veicolo posteggiato e, rialzatosi, si allontanava frettolosamente; l'oggetto, prontamente recuperato, risultava essere un revolver Smith e Wesson cal. 38 con numeri di matricola punzonati, avente nel tamburo n. 6 proiettili inesplosi del medesimo calibro; l'uomo, raggiunto nella vicina v. Mombarcaro, presentava ancora un lembo della camicia fuoriuscito dai pantaloni con tracce visibili di ruggine come se poco prima avesse portato un'arma, oltre ad una sciarpa scura avvolta intorno al volto. Lo stesso, identificato per Di Forti Gianclaudio, pluripregiudicato per reati contro la persona, il patrimonio, in tema di stupefacenti e di armi, veniva arrestato per i delitti di detenzione e porto illegali di arma comune da sparo clandestina. Nel medesimo contesto spaziale e temporale venivano arrestati, sia pure separatamente dal Di Forti, altri due noti e pericolosi pregiudicati, Alberga Nicola e Tirletti Giulio, trovati rispettivamente in possesso di una pistola Smith e Wesson 357 Magnum con relativo munizionamento e matricola abrasa, e di una pistola Ruger Sp 101 cal. 357 con relativo munizionamento e matricola abrasa. Il quadro degli elementi complessivamente acquisiti (ivi compresa l'identificazione, nella zona ed in atteggiamento circospetto, dei pluripregiudicati Rubinato Franco, cui veniva sequestrato un coltello a serramanico per il cui porto e' attualmente indagato, e Palomba Luigi) faceva fondatamente presumere che fosse in preparazione una qualche azione delittuosa, considerato che nel quartiere vi sono diversi obiettivi "a rischio", quali agenzie di istituti bancari, e che l'Alberga aveva con se' una calza di nylon per travisamento, cosi' come parzialmente travisato era il Di Forti. Tenuto conto della gravita' dei reati addebitatigli e della pericolosita' dell'individuo, del tutto corretta sotto il profilo logico giuridico appariva la richiesta del p.m. di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per Di Forti; ma contro tale logica si scontrava la recente normativa in tema di soggetti affetti da infezione da HIV, in particolare da Aids conclamata o da deficit immunitario grave, per i quali l'art. 286- bis del c.p.p., recitando nel titolo "divieto di custodia cautelare", stabilisce ex lege la incompatibilita' con lo stato di detenzione, con la conseguenza che detti soggetti, tutt'al piu', possano essere sottoposti alla misura degli arresti domiciliari presso la loro abitazione: misura che, appunto, questo giudice applicava al Di Forti, riservandosi di sollevare la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 286- bis del c.p.p. suggerita dal p.m. OSSERVA IN DIRITTO La rilevanza della questione ai fini del decidere circa lo status libertatis del Di Forti e' evidente. Sussistono pacificamente l'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. c) - concreto pericolo che il Di Forti commetta gravi delitti con uso di armi .. o della stessa specie di quello per cui si procede - nonche' l'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. a) - pericolo di inquinamento probatorio in relazione alle indagini concernenti i legami tra i soggetti arrestati ed identificati nel contesto descritto ed il o i reati in corso di esecuzione -. Cio' sarebbe gia' sufficiente a ritenere misura idonea in relazione alle indicate esigenze cautelari e proporzionata all'entita' del fatto ed alla sanzione che si ritiene irrogabile quella della custodia cautelare in carcere (art. 275, primo e secondo comma, del c.p.p.); ma vi e' di piu', posto che dovrebbe, nella spe- cie, trovare applicazione il dettato dell'art. 275, terzo comma, del c.p.p., che, eliminando ogni valutazione discrizionale del giudice circa la gravita' delle esigenze cautelari, impone, laddove queste siano ravvisate in relazione a determinati reati (tra cui la detenzione e porto illegali di armi clandestine), di salvaguardarle unicamente con lo strumento della custodia in carcere. Ne consegue che il giudizio sulla legittimita' costituzionale dell'art. 286- bis del c.p.p., che vieta - come sopra s'e' visto - l'applicazione della misura della custodia in carcere ai soggetti affetti da Aids o da grave deficienza immunitaria, cosi' radicalmente mutando la normativa di cui agli artt. 274 e 275 del c.p.p. in riferimento appunto a tali soggetti, diventa pregiudiziale per una corretta decisione circa la misura cautelare applicabile al Di Forti, persona affetta da Aids conclamata. Ne' puo' dirsi superata tale rilevanza dal fatto che il giudice, in sede di udienza di convalida, abbia comunque deciso in punto misura cautelare, dando applicazione all'art. 286- bis c.p.p. e disponendo per Di Forti gli arresti domiciliari presso la sua abitazione; invero, il giudice era tenuto a pronunciarsi sulla richiesta del p.m. entro cinque giorni dalla stessa (art. 299, terzo comma, del c.p.p.) e non poteva, pertanto, che definire la questione dello status libertatis dell'indagato sulla base dell'attuale normativa, salvo poi eccepirne l'incostituzionalita'. Va poi considerato che, col proseguire dell'indagine e per tutta la fase processuale per cui e' competente questo giudice, lo stesso e' tenuto a riesaminare l'attualita' della propria decisione in punto liberta' personale con riferimento alle nuove e diverse esigenze di ordine cautelare che potranno di volta in volta presentarsi, di talche' la questione prospettata conserva tutta la sua pregnanza (cosi' come, del resto, la conserva per le ulteriori fasi processuali, fino a quella dell'esecuzione dell'eventuale sanzione, ove va riguardata sotto il profilo del rinvio di detta esecuzione ex art. 146, n. 3, del c.p., introdotto dallo stesso d.l. 12 novembre 1992, n. 431 e riscritto dal d.l. 12 gennaio 1993, n. 3). Quanto poi alla fondatezza della questione, molteplici sono, ad avviso di questo giudice, i profili di incostituzionalita' dell'art. 286- bis del c.p.p. Esso si pone innanzitutto in contrasto con l'art. 2 della Costituzione, che recita: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale". Trattasi di un principio fondamentale, di chiara ispirazione giusnaturalistica, per cui la persona umana viene ad avere una considerazione privilegiata poiche' i suoi diritti sono inviolabili in quanto innati, tanto che la Costituzione si limita a dare atto di una situazione che preesiste ad essa ed a garantirla. Orbene, e' innegabile che tra i diritti inviolabili dell'uomo vi sia quello ad essere tutelati nei confronti di chi aggredisca i propri interessi, con le forme ed i mezzi che si addicono in relazione al tipo di aggressione; le norme incriminatrici penali, dunque, non sono che un'esplicazione di tale principio, laddove prevedono, per determinati fatti ritenuti di rilevanza penale, deter- minate sanzioni che implicano anche la limitazione della liberta' personale; allo stesso modo, esplicazione del principio in discorso e' l'insieme delle norme processuali penali in tema di limitazione della liberta' personale, che trae il suo fondamento da una delle norme costituzionali direttamente derivate dal principio generale di cui all'art. 2, ossia quella sull'inviolabilita' della liberta' personale posta dall'art. 13 della Costituzione, che attribuisce, infatti, soltanto alla legge la possibilita' di limitazioni e misura, persino in ore, gli interventi di carattere eccezionale ed urgente. E, allora, di tutta evidenza come l'art. 286- bis del c.p.p. smentisca l'assunto di una generalizzata tutela dei diritti inviolabili dell'uomo sancito invece dall'art. 2 della Costituzione: esso, invero, stabilisce il venir meno di tale tutela nei confronti di coloro che abbiano visto aggrediti i propri interessi ad opera di persone affette da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria. Per tornare al caso di specie, il diritto costituzionale inviolabile della collettivita' ad essere protetta contro i comportamenti lesivi del Di Forti, che circolava armato di potente pistola clandestina carica, all'evidente scopo di commettere una rapina o analogo reato contro il patrimonio e le persone, viene posto nel nulla da una norma di legge che, impedendo la carcerazione dell'indagato, elimina ogni efficacia della tutela penale, efficacia qui inevitabilmente connessa alla segregazione dell'indagato. Altro principio costituzionale con cui macroscopicamente collide l'art. 286- bis del c.p.p. e' quello di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma; non vi e', infatti, alcuna ragione, ne' logica ne' scientifica, per riservare ai soggetti affetti da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria un trattamento, in punto liberta' personale, diverso da quello previsto per i soggetti affetti da patologie altrettanto gravi, irreversibili ed ingravescenti: per i quali ultimi, com'e' noto, nessuna statuizione di carattere generale esclude la possibilita' della carcerazione, soltanto prevedendosi che questa non possa attuarsi in caso di "condizioni di salute particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie in caso di detenzione" (art. 275, quarto comma, del c.p.p.): il che implica, come diretta conseguenza e come la pratica giudiziaria insegna, la necessita' di un accertamento medico legale che, esaminando il caso nella sua attualita', risponda al quesito circa la particolare gravita' delle condizioni di salute dell'indagato od imputato anche in relazione all'ambiente carcerario; responso sulla base del quale il giudice potra' decidere se operi o meno il divieto di cui all'art. 275, quarto comma, del c.p.p. L'avere, invece, stabilito un divieto assoluto di carcerazione per i malati di Aids conclamata o di grave deficienza immunitaria e' evidente frutto di superficiale approccio al problema giuridico del loro status libertatis, dipendente da sostanziale ignoranza degli aspetti medico scientifici caratterizzanti le patologie in discorso. Appare, infatti, chiaro come gli ideatori della normativa qui in esame si siano limitati a recepire un ragionamento statistico, in se' corretto anche perche' basato su rilevazioni effettuate su scala mondiale e dunque di notevole attendibilita', assolutamente inadeguato, pero', alla trattazione e soluzione di un problema cosi' delicato e specifico quale quello della restrizione della liberta' personale in caso di patologia da HIV in atto. Invero, che il numero dei linfociti CD4 (T4), rappresentando la "risposta" dell'organismo all'infezione da HIV, costituisca indice dello stato di diffusione di tale infezione, e' dato reale, ma del tutto erroneo e' l'ancorare la valutazione della maggiore o minore gravita' della patologia unicamente a tale parametro valutativo, posto che essenziale, ai fini di detto giudizio, e' l'individuazione del tipo e della localizzazione delle infezioni opportunistiche. In altre parole, possono esservi casi di persone con numero di linfociti T4 ben superiore alla soglia statisticamente ritenuta quale elemento di discrimine tra la deficienza immunitaria e la deficienza immunitaria grave, che pero', non essendo affette da infezioni opportunistiche od essendo affette da lievi infezioni opportunistiche, non versano obiettivamente in condizioni di salute particolarmente gravi. Cosi' come possono esservi casi di persone con un numero di linfociti ben inferiore alla predetta soglia che, in quanto colpite da grave infezione opportunistica, versano in condizioni di salute obiettivamente gravi. Molto concretamente, in altra ordinanza di rimessione degli atti a codesta Corte per giudizio di legittimita' costituzionale analogo (dell'art. 146, n. 3, del c.p. come modificato dal d.l. 12 novembre 1992, n. 431, nella parte in cui prevede il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena per i soggetti affetti da infezione da HIV nei casi previsti dall'art. 286-bis, primo comma, del c.p.p.; ordinanza 22 dicembre 1992 del tribunale di sorveglianza di Torino nel procedimento relativo a Bruschi Valentino), il presidente estensore cosi' esemplifica: "va da se' che una polmonite interstiziale da pneumocystis carinii o da citomegalovirus, con una grave compromissione della funzione respiratoria, o una lesione neurologica da toxiplasma gondii, o una encefalite da cytomegalovirus o da virus erpetico, a parita' di numero di T4, sono ben piu' gravi di una esofagite da candida albicans, che offre, tra l'altro, buone prospettive di remissione". Orbene, per tornare al caso concreto che ci occupa, risulta dagli atti che il Di Forti e' affetto da infezione da HIV notificato come caso Aids conclamata in data 14 novembre 1988 dai sanitari dell'ospedale di Cisanello di Pisa in seguito ad infezione esofagea da candida; che in data 12 novembre 1992 venne ricoverato presso l'ospedale Amedeo di Savoia di Torino per deficit respiratorio acuto, cui segui' tracheotomia: deficit respiratorio che, a detta dei sanitari interpellati, non necessariamente fu conseguenza della patologia gia' diagnosticata, potendo anche derivare dall'abuso di stupefacenti da parte del soggetto; che nel suo secondo ricovero all'Amedeo di Savoia, subito dopo l'arresto per i fatti che qui ci occupano, fu riscontrata "solo la presenza di candidosi orofaringea anche se e' presumibile la sua estensione a livello esofageo, pur in mancanza di accertamento". Trattasi, nei casi citati, di infezioni opportunistiche certamente non tali da dover comportare, per definizione, l'incompatibilita' col regime carcerario; invero, sempre i sanitari interpellati hanno chiarito come tali infezioni siano favorite da un insieme di fattori che interagiscono, consistenti nel regime di vita trasandato, nel tipo di alimentazione disordinata, nell'igiene approssimativa e scarsa, nell'uso di stupefacenti che spesso determina detti comportamenti: hanno altresi' specificato come le stesse infezioni, in presenza di un regime di vita regolare, di una corretta alimentazione e di una normale igiene generalmente regrediscano. Del resto, conferma che la natura ed entita' dell'infezione da candidosi orofaringea e forse esofagea da cui il Di Forti e' attualmente affetto non consentono di ritenerlo gravemente ammalato proviene dal fatto obiettivo che egli, pur colpito da tale infezione, circolasse munito di pistola per commettere un reato che sicuramente lo avrebbe non poco impegnato sotto il profilo psicofisico. Eppure per Di Forti - e per tutti gli altri soggetti in situazione analoga alla sua - si e' venuta a creare una sostanziale "licenza di delinquere" posto che la diagnosi di Aids conclamata stabilita in un dato momento (per l'indagato, come s'e' visto, nel 1988) costituisce di per se' - ed a prescindere da qualsivoglia accertamento sulle attuali condizioni di salute - un "patentino" per l'esclusione dal carcere, benche' in presenza di esigenze cautelari che imporrebbero la carcerazione. Tant'e' vero, come gia' s'e' detto, che il Di Forti, ammalato di Aids, si stava recando, armato, a commettere un grave reato. Davvero incomprensibili, dunque, se non ipotizzando operazioni politiche aventi bassi scopi demagogici, sono le ragioni dell'aver stabilito per legge l'equazione "Aids conclamata o grave deficienza immunitaria = divieto di custodia carceraria"; tanto piu' se si considera che la stessa commissione nazionale per la lotta all'Aids (come pure ricordato nella citata ordinanza del tribunale di sorveglianza di Torino) ha esplicitamente riconosciuto, facendo riferimento all'"estrema dinamicita' e varieta' di situazioni" che caratterizzano il quadro clinico delle infezioni da HIV, come unica seria strada percorribile per la soluzione del problema dell'incompatibilita' tra stato detentivo e malattia in esame sia - appunto - la valutazione della situazione caso per caso. Strada, questa, che, mentre si fonda su precise cognizioni scientifiche, non confligge coi dettati costituzionali ed in particolare col principio di uguaglianza, che vuole che situazioni identiche (nella specie, quanto a gravita', irreversibilita' ed ingravescenza delle malattie) siano regolate in maniera uniforme. Questo discorso, del resto, porta all'immediata individuazione di un ulteriore principio costituzionale gravemente leso dall'art. 28- bis del c.p.p., vale a dire quello, sancito dall'art. 111, primo comma, della Costituzione, secondo cui "tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati". E', infatti, di tutta evidenza come nel caso che ci occupa l'eventuale incompatibilita' tra lo stato detentivo e lo stato di malattia del Di Forti, che questo giudice avrebbe dovuto valutare e dichiarare, sia gia' stata decretata dal legislatore, per cui la motivazione del provvedimento (in questo caso, di concessione degli arresti domiciliari) e' soltanto apparente, limitandosi l'organo giurisdizionale a recepire quanto, a priori, stabilito ex lege. Ne', in tal caso, puo' sostenersi cio' che codesta Corte dichiaro' nella sentenza n. 313/1990 a proposito del c.d. patteggiamento, in ordine al rilievo secondo cui la sentenza prevista dall'art. 444 del c.p.p. prescinderebbe completamente da qualsiasi valutazione di merito da parte del giudice e, quindi, dal suo libero convincimento, essendo arduo attribuire valore di motivazione all'enunciazione nel dispositivo che vi e' stata richiesta delle parti; in detta sentenza, invero, la Corte ha potuto agevolmente sottolineare come il giudice, nella pronuncia ex art. 444 del c.p.p., sia tenuto a valutare la correttezza o meno della definizione giuridica del fatto che scaturisca dalle risultanze, nonche' le ragioni per cui le circostanze, attenuanti od aggravanti, e l'eventuale prevalenza o equivalenza delle une rispetto alle altre, siano o non ritenute plausibili nei sensi prospettati nella consensuale richiesta delle parti; dal che consegue come l'esigenza della motivazione non sia esclusa dalla particolare configurazione della sentenza prevista dall'art. 444 del c.p.p., anche se ovviamente debba essere ad essa ragguagliata. Nulla di tutto cio' e' possibile dire, invece, con riferimento alla motivazione del provvedimento che revochi o non imponga la custodia cautelare in carcere per un ammalato di Aids conclamata o di grave deficienza immunitaria, posto che non si vede quale libero convincimento possa esprimere il giudice che deve operare sulla base dell'equazione "Aids conclamata o grave deficienza immunitaria = divieto di custodia in carcere". Il che induce a ritenere violato dalla normativa in esame anche un altro fondamentale principio costituzionale, quello di cui all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, per cui "i giudici sono soggetti soltanto alla legge". Invero, nel momento in cui il giudice deve attenersi, per la propria decisione, non gia' ai dati derivantegli da un completo ed attuale accertamento sanitario sulle condizioni di salute dell'indagato-imputato colpito da infezione da HIV, comunque liberamente valutabili, ma ad una diagnosi di Aids conclamata o di grave deficienza immunitaria posta dai sanitari e divenuta immutabile (come sopra s'e' visto), appare chiaro come detto giudice sia sostanzialmente vincolato da un provvedimento amministrativo, qual e' la diagnosi medica, tra l'altro - come detto - di per se' non significativo di un'effettiva ed attuale gravita' della situazione tale da renderla incompatibile con la carcerazione. Ne' vale obiettare che in questo caso il vincolo di soggezione soltanto alla legge sarebbe rispettato poiche' l'incompatilita' con la carcerazione e' appunto stabilita ex lege in presenza di quelle diagnosi: cosi' ragionando, infatti, si attribuirebbe a tale vincolo un valore meramente formale che nulla ha a che fare con la regola sostanziale che la Costituzione voleva porre. Infine, va detto come l'indicato contrasto dell'art. 286- bis del c.p.p. con i quattro principi costituzionali citati non appaia superabile nemmeno ricorrendo al criterio del bilanciamento di interessi di pari portata, in ossequio al quale, tra piu' interessi aventi medesimi tutela e rango nell'ordinamento (in questo caso, rango costituzionale) si sceglie di farne prevalere uno, poiche' la situazione, complessivamente considerata, impone di stabilire comunque delle priorita' e quindi di privilegiare la tutela di un dato interesse a discapito di un altro pur parimenti rilevante. Si vuol fare riferimento, in particolare, ai principi di cui all'art. 27, terzo comma, e 32, primo comma, della Costituzione, secondo cui "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato" e "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita'": al proposito e' sufficiente ribadire come l'estrema dinamicita' e varieta' di situazioni cui da' luogo l'infezione dal HIV importino che soltanto un accertamento medico sulle attuali condizioni di salute dell'indagato o imputato consenta di affermare se la restrizione carceraria si risolva in un trattamento contrario al senso di umanita' o leda il fondamentale diritto alla salute; senza contare che, come e' ben noto a tutti gli operatori del settore, spesso il detenuto ammalato riceve piu' cure ed e' sottoposto a maggiori controlli per opera dell'amministrazione penitenziaria di quanto sicuramente accadrebbe in stato di liberta' per proprio interessamento. Non puo', dunque, ritenersi che la normativa in esame sia in contrasto con i principi costituzionali indicati al fine di dare attuazione ad altri principi costituzionali che si e' scelto di tutelare in via privilegiata. Anzi e' da ritenersi che pure questi ultimi siano lesi da una norma che, stabilendo l'errata equazione di cui s'e' detto (Aids conclamata o grave deficienza immunitaria = divieto di carcerazione), da' loro un'attuazione sostanzialmente distorta. Deve, pertanto, affermarsi l'assoluta illegittimita' dell'art. 286- bis del c.p.p. con riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 27, terzo comma, 32, primo comma, 101, secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, come sopra lumeggiato.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 286- bis del c.p.p. come introdotto dai d.l. 12 novembre 1992, n. 431 e 12 gennaio 1993, n. 3, con riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 27, terzo comma, 32, primo comma, 101, secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' all'indagato ed alla procura generale di Torino; Manda alla cancelleria per la comunicazione ai Presidenti delle due Camere; Dispone la sospensione del giudizio sulla liberta' personale del Di Forti. Torino, 24 febbraio 1993 Il giudice: MASI'A Il segretario: SANTORO 93C0537