N. 240 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 1993

                                N. 240
 Ordinanza  emessa  il  24  febbraio  1993 dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Torino nel procedimento  penale  a
 carico di Di Forti Gianclaudio
 Processo penale - Misure cautelari - Divieto di custodia cautelare
    per  la  persona  affetta  da  HIV e nei casi di AIDS conclamata -
    Lamentata violazione del principio di tutela della collettivita' -
    Disparita'  di  trattamento,  in  punto  di  liberta'   personale,
    rispetto  a  soggetti  affetti  da  patologie altrettanto gravi ed
    irreversibili - Lesione del principio di corretta motivazione  dei
    provvedimenti  giurisdizionali  e  di  soggezione del giudice alla
    sola legge - Attuazione distorta del  principio  che  consente  la
    carcerazione  purche' effettuata in modo non contrario al senso di
    umanita' ne' lesivo del diritto alla salute.
 (C.P.P. 1988, art. 286-bis, aggiunto dal d.l. 12 novembre 1992, n.
    431; d.l. 12 gennaio 1993, n. 3).
 (Cost., artt. 2, 3, primo comma, 27, terzo comma, 32, primo comma,
    101, secondo comma, e 111, primo comma).
(GU n.22 del 26-5-1993 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Visti  gli  atti  del  proc.  di  cui  sopra  a carico di Di Forti
 Gianclaudio, nato a Caltanissetta il 5  dicembre  1957;  residente  a
 Torino,  via F.lli Garrone, 61/29, ivi agli arresti domiciliari; dif.
 di fid. avv. Anna Rosa Oddone, indagato, in ordine ai  reati  di  cui
 agli artt. 10, 12 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 e 23 della
 legge  18  aprile 1975, n. 110, per avere detenuto e portato in luogo
 pubblico un'arma comune da  sparo  Smith  e  Wesson  357  Magnum  con
 matricola  abrasa e quindi clandestina ed il relativo munizionamento;
 in Torino, il 13 gennaio 1993;
    Rilevato che il p.m., ravvisando sussistenti nella specie  ragioni
 cautelari  tali  da  imporre  l'applicazione  della misura coercitiva
 della custodia cautelare in carcere in  via  esclusiva,  chiedeva  in
 sede  di  udienza  per  la  convalida  dell'arresto,  oltre  a  detta
 convalida, l'applicazione dell'indicata misura a carico del Di Forti;
    Rilevato che lo stesso  p.m.,  nell'ipotesi  che  il  giudice,  in
 ossequio  all'art.  286- bis del c.p.p. (come risultante dal d.l. 12
 novembre 1992, n. 431, riscritto dal d.l. 12  gennaio  1993,  n.  3,
 recante,   tra   l'altro,   "disposizioni   urgenti   concernenti  il
 trattamento di persone detenute affette da infezione da HIV"), avesse
 stabilito la non applicabilita' della custodia cautelare  in  carcere
 ritenendo   eventualmente   di  applicare  la  misura  degli  arresti
 domiciliari, proponeva la questione di illegittimita'  costituzionale
 dello stesso art. 286- bis del c.p.p., riguardata sotto vari profili;
    Rilevato  che  questo  giudice  ha effetivamente ritenuto di dover
 dare applicazione all'art. 286- bis del c.p.p.  in  quanto  norma  in
 vigore  al  momento  della  decisione, ma condivide le argomentazioni
 sollevate dal p.m. anche sotto profili diversi rispetto a  quelli  da
 quest'organo esaminati;
                           OSSERVA IN FATTO
    In  data  13  gennaio  1993  verso  le  ore  10,45 personale della
 questura di Torino in servizio d'istituto notava in  v.  Bistagno  di
 Torino  un  uomo che si aggirava con fare sospetto tra le autovetture
 in sosta; costui, alla vista degli operanti, chinatosi, appoggiava un
 oggetto  a  fianco  di  un  veicolo  posteggiato  e,  rialzatosi,  si
 allontanava   frettolosamente;   l'oggetto,  prontamente  recuperato,
 risultava essere un revolver Smith e Wesson cal.  38  con  numeri  di
 matricola punzonati, avente nel tamburo n. 6 proiettili inesplosi del
 medesimo  calibro;  l'uomo,  raggiunto  nella  vicina  v. Mombarcaro,
 presentava ancora un lembo della camicia  fuoriuscito  dai  pantaloni
 con  tracce  visibili  di  ruggine  come se poco prima avesse portato
 un'arma, oltre ad una sciarpa scura avvolta intorno al volto.
    Lo   stesso,    identificato    per    Di    Forti    Gianclaudio,
 pluripregiudicato per reati contro la persona, il patrimonio, in tema
 di  stupefacenti  e  di  armi,  veniva  arrestato  per  i  delitti di
 detenzione e porto illegali di arma comune da sparo clandestina.
    Nel medesimo contesto spaziale e temporale venivano arrestati, sia
 pure  separatamente  dal  Di  Forti,  altri  due  noti  e  pericolosi
 pregiudicati,    Alberga    Nicola   e   Tirletti   Giulio,   trovati
 rispettivamente in possesso di una pistola Smith e Wesson 357  Magnum
 con  relativo  munizionamento  e  matricola  abrasa, e di una pistola
 Ruger Sp 101 cal. 357 con relativo munizionamento e matricola abrasa.
    Il  quadro degli elementi complessivamente acquisiti (ivi compresa
 l'identificazione, nella zona ed in  atteggiamento  circospetto,  dei
 pluripregiudicati Rubinato Franco, cui veniva sequestrato un coltello
 a  serramanico  per  il  cui porto e' attualmente indagato, e Palomba
 Luigi) faceva fondatamente presumere che fosse  in  preparazione  una
 qualche  azione  delittuosa,  considerato  che  nel quartiere vi sono
 diversi obiettivi "a rischio", quali agenzie di istituti  bancari,  e
 che  l'Alberga  aveva  con  se'  una calza di nylon per travisamento,
 cosi' come parzialmente travisato era il Di Forti.
    Tenuto conto  della  gravita'  dei  reati  addebitatigli  e  della
 pericolosita'  dell'individuo,  del  tutto  corretta sotto il profilo
 logico giuridico appariva la richiesta del p.m. di applicazione della
 misura della custodia cautelare in carcere per Di  Forti;  ma  contro
 tale  logica  si  scontrava  la recente normativa in tema di soggetti
 affetti da infezione da HIV, in particolare da Aids conclamata  o  da
 deficit  immunitario  grave,  per i quali l'art. 286- bis del c.p.p.,
 recitando nel titolo "divieto di custodia cautelare",  stabilisce  ex
 lege   la  incompatibilita'  con  lo  stato  di  detenzione,  con  la
 conseguenza  che  detti  soggetti,  tutt'al  piu',   possano   essere
 sottoposti  alla  misura  degli  arresti  domiciliari  presso la loro
 abitazione: misura che,  appunto,  questo  giudice  applicava  al  Di
 Forti,  riservandosi  di  sollevare  la  questione  di illegittimita'
 costituzionale dell'art. 286- bis del c.p.p. suggerita dal p.m.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    La rilevanza della questione ai fini del decidere circa lo  status
 libertatis del Di Forti e' evidente.
    Sussistono pacificamente l'esigenza cautelare di cui all'art. 274,
 lett.  c)  - concreto pericolo che il Di Forti commetta gravi delitti
 con uso di armi .. o della stessa specie di quello per cui si procede
 - nonche' l'esigenza cautelare  di  cui  all'art.  274,  lett.  a)  -
 pericolo  di  inquinamento  probatorio  in  relazione  alle  indagini
 concernenti i legami tra i soggetti  arrestati  ed  identificati  nel
 contesto descritto ed il o i reati in corso di esecuzione -.
    Cio'   sarebbe  gia'  sufficiente  a  ritenere  misura  idonea  in
 relazione  alle   indicate   esigenze   cautelari   e   proporzionata
 all'entita'  del  fatto  ed  alla  sanzione che si ritiene irrogabile
 quella della custodia cautelare in carcere (art. 275, primo e secondo
 comma, del c.p.p.); ma vi e' di piu', posto che dovrebbe, nella  spe-
 cie,  trovare applicazione il dettato dell'art. 275, terzo comma, del
 c.p.p., che, eliminando ogni valutazione  discrizionale  del  giudice
 circa  la  gravita'  delle esigenze cautelari, impone, laddove queste
 siano  ravvisate  in  relazione  a  determinati  reati  (tra  cui  la
 detenzione  e  porto illegali di armi clandestine), di salvaguardarle
 unicamente con lo strumento della custodia in carcere.
    Ne consegue che  il  giudizio  sulla  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  286-  bis  del c.p.p., che vieta - come sopra s'e' visto -
 l'applicazione della misura della custodia  in  carcere  ai  soggetti
 affetti da Aids o da grave deficienza immunitaria, cosi' radicalmente
 mutando  la  normativa  di  cui  agli  artt.  274 e 275 del c.p.p. in
 riferimento appunto a tali soggetti, diventa  pregiudiziale  per  una
 corretta decisione circa la misura cautelare applicabile al Di Forti,
 persona affetta da Aids conclamata.
    Ne'  puo'  dirsi superata tale rilevanza dal fatto che il giudice,
 in sede di udienza di  convalida,  abbia  comunque  deciso  in  punto
 misura  cautelare,  dando  applicazione  all'art.  286-  bis c.p.p. e
 disponendo per  Di  Forti  gli  arresti  domiciliari  presso  la  sua
 abitazione;  invero,  il  giudice  era  tenuto  a  pronunciarsi sulla
 richiesta del p.m. entro cinque giorni dalla stessa (art. 299,  terzo
 comma,  del c.p.p.) e non poteva, pertanto, che definire la questione
 dello  status  libertatis  dell'indagato  sulla   base   dell'attuale
 normativa,   salvo   poi   eccepirne  l'incostituzionalita'.  Va  poi
 considerato che, col proseguire dell'indagine e  per  tutta  la  fase
 processuale per cui e' competente questo giudice, lo stesso e' tenuto
 a  riesaminare l'attualita' della propria decisione in punto liberta'
 personale con riferimento alle nuove e  diverse  esigenze  di  ordine
 cautelare  che  potranno di volta in volta presentarsi, di talche' la
 questione prospettata conserva tutta la sua  pregnanza  (cosi'  come,
 del  resto,  la  conserva  per  le ulteriori fasi processuali, fino a
 quella dell'esecuzione dell'eventuale  sanzione,  ove  va  riguardata
 sotto  il  profilo  del rinvio di detta esecuzione ex art. 146, n. 3,
 del c.p., introdotto dallo stesso d.l. 12 novembre 1992,  n.  431  e
 riscritto dal d.l. 12 gennaio 1993, n. 3).
    Quanto  poi  alla  fondatezza della questione, molteplici sono, ad
 avviso di questo giudice, i profili di incostituzionalita'  dell'art.
 286- bis del c.p.p.
    Esso  si  pone  innanzitutto  in  contrasto  con  l'art.  2  della
 Costituzione, che recita: "La Repubblica  riconosce  e  garantisce  i
 diritti  inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
 sociali ove si svolge la sua personalita', e  richiede  l'adempimento
 dei   doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,  economica  e
 sociale".
    Trattasi di  un  principio  fondamentale,  di  chiara  ispirazione
 giusnaturalistica,  per  cui  la  persona  umana  viene  ad avere una
 considerazione privilegiata poiche' i suoi diritti  sono  inviolabili
 in  quanto innati, tanto che la Costituzione si limita a dare atto di
 una situazione che preesiste ad essa ed a garantirla.
    Orbene, e' innegabile che tra i diritti inviolabili  dell'uomo  vi
 sia  quello  ad  essere  tutelati  nei  confronti di chi aggredisca i
 propri interessi, con  le  forme  ed  i  mezzi  che  si  addicono  in
 relazione  al  tipo  di  aggressione; le norme incriminatrici penali,
 dunque, non sono  che  un'esplicazione  di  tale  principio,  laddove
 prevedono, per determinati fatti ritenuti di rilevanza penale, deter-
 minate  sanzioni  che  implicano  anche la limitazione della liberta'
 personale; allo stesso modo, esplicazione del principio  in  discorso
 e'  l'insieme  delle  norme processuali penali in tema di limitazione
 della liberta' personale, che trae il suo  fondamento  da  una  delle
 norme  costituzionali direttamente derivate dal principio generale di
 cui all'art.  2,  ossia  quella  sull'inviolabilita'  della  liberta'
 personale  posta  dall'art.  13  della Costituzione, che attribuisce,
 infatti, soltanto alla legge la possibilita' di limitazioni e misura,
 persino in ore, gli interventi di carattere eccezionale ed urgente.
    E, allora, di tutta evidenza  come  l'art.  286-  bis  del  c.p.p.
 smentisca   l'assunto   di   una  generalizzata  tutela  dei  diritti
 inviolabili dell'uomo sancito invece dall'art. 2 della  Costituzione:
 esso,  invero,  stabilisce il venir meno di tale tutela nei confronti
 di coloro che abbiano visto aggrediti i propri interessi ad opera  di
 persone affette da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria.
    Per   tornare   al  caso  di  specie,  il  diritto  costituzionale
 inviolabile  della  collettivita'  ad  essere   protetta   contro   i
 comportamenti  lesivi  del  Di Forti, che circolava armato di potente
 pistola clandestina carica,  all'evidente  scopo  di  commettere  una
 rapina o analogo reato contro il patrimonio e le persone, viene posto
 nel  nulla  da  una  norma  di  legge  che, impedendo la carcerazione
 dell'indagato, elimina ogni efficacia della tutela penale,  efficacia
 qui inevitabilmente connessa alla segregazione dell'indagato.
    Altro  principio  costituzionale con cui macroscopicamente collide
 l'art. 286- bis del c.p.p. e' quello di uguaglianza di  cui  all'art.
 3,  primo  comma;  non vi e', infatti, alcuna ragione, ne' logica ne'
 scientifica, per riservare ai soggetti affetti da Aids  conclamata  o
 da  grave  deficienza  immunitaria  un trattamento, in punto liberta'
 personale, diverso da quello  previsto  per  i  soggetti  affetti  da
 patologie  altrettanto  gravi,  irreversibili ed ingravescenti: per i
 quali ultimi, com'e' noto, nessuna statuizione di carattere  generale
 esclude la possibilita' della carcerazione, soltanto prevedendosi che
 questa   non   possa  attuarsi  in  caso  di  "condizioni  di  salute
 particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie  in  caso
 di  detenzione" (art. 275, quarto comma, del c.p.p.): il che implica,
 come diretta conseguenza e come la pratica  giudiziaria  insegna,  la
 necessita'  di  un accertamento medico legale che, esaminando il caso
 nella sua  attualita',  risponda  al  quesito  circa  la  particolare
 gravita'  delle  condizioni di salute dell'indagato od imputato anche
 in relazione all'ambiente carcerario; responso sulla base  del  quale
 il giudice potra' decidere se operi o meno il divieto di cui all'art.
 275, quarto comma, del c.p.p.
    L'avere, invece, stabilito un divieto assoluto di carcerazione per
 i  malati  di  Aids  conclamata  o di grave deficienza immunitaria e'
 evidente frutto di superficiale approccio al problema  giuridico  del
 loro  status  libertatis,  dipendente  da sostanziale ignoranza degli
 aspetti medico scientifici caratterizzanti le patologie in discorso.
    Appare, infatti, chiaro come gli ideatori della normativa  qui  in
 esame si siano limitati a recepire un ragionamento statistico, in se'
 corretto  anche  perche'  basato  su  rilevazioni effettuate su scala
 mondiale  e  dunque   di   notevole   attendibilita',   assolutamente
 inadeguato,  pero', alla trattazione e soluzione di un problema cosi'
 delicato e specifico quale quello della  restrizione  della  liberta'
 personale in caso di patologia da HIV in atto.
    Invero,  che  il  numero dei linfociti CD4 (T4), rappresentando la
 "risposta" dell'organismo all'infezione da  HIV,  costituisca  indice
 dello  stato  di  diffusione di tale infezione, e' dato reale, ma del
 tutto erroneo e' l'ancorare la valutazione della  maggiore  o  minore
 gravita'  della  patologia  unicamente  a  tale parametro valutativo,
 posto che essenziale, ai fini di detto giudizio, e'  l'individuazione
 del tipo e della localizzazione delle infezioni opportunistiche.
    In  altre  parole,  possono  esservi casi di persone con numero di
 linfociti T4 ben superiore alla soglia statisticamente ritenuta quale
 elemento di discrimine tra la deficienza immunitaria e la  deficienza
 immunitaria  grave,  che  pero',  non  essendo  affette  da infezioni
 opportunistiche   od   essendo    affette    da    lievi    infezioni
 opportunistiche,  non  versano obiettivamente in condizioni di salute
 particolarmente gravi. Cosi' come possono esservi casi di persone con
 un numero di linfociti ben inferiore alla  predetta  soglia  che,  in
 quanto   colpite   da  grave  infezione  opportunistica,  versano  in
 condizioni di salute obiettivamente gravi.
    Molto concretamente, in altra ordinanza di rimessione degli atti a
 codesta  Corte  per  giudizio  di legittimita' costituzionale analogo
 (dell'art. 146, n. 3, del c.p. come modificato dal d.l. 12  novembre
 1992,  n.  431,  nella  parte  in  cui prevede il rinvio obbligatorio
 dell'esecuzione della pena per i soggetti affetti da infezione da HIV
 nei  casi  previsti  dall'art.  286-bis,  primo  comma,  del  c.p.p.;
 ordinanza  22  dicembre  1992 del tribunale di sorveglianza di Torino
 nel  procedimento  relativo  a  Bruschi  Valentino),  il   presidente
 estensore   cosi'   esemplifica:   "va   da  se'  che  una  polmonite
 interstiziale da pneumocystis carinii o da citomegalovirus,  con  una
 grave  compromissione  della  funzione  respiratoria,  o  una lesione
 neurologica da toxiplasma gondii, o una encefalite da cytomegalovirus
 o da virus erpetico, a parita' di numero di T4, sono ben  piu'  gravi
 di  una  esofagite da candida albicans, che offre, tra l'altro, buone
 prospettive di remissione".
    Orbene, per tornare al caso concreto che ci occupa, risulta  dagli
 atti  che  il Di Forti e' affetto da infezione da HIV notificato come
 caso  Aids  conclamata  in  data  14  novembre  1988   dai   sanitari
 dell'ospedale  di  Cisanello di Pisa in seguito ad infezione esofagea
 da candida; che in data 12  novembre  1992  venne  ricoverato  presso
 l'ospedale Amedeo di Savoia di Torino per deficit respiratorio acuto,
 cui  segui'  tracheotomia:  deficit  respiratorio  che,  a  detta dei
 sanitari  interpellati,  non  necessariamente  fu  conseguenza  della
 patologia  gia'  diagnosticata,  potendo anche derivare dall'abuso di
 stupefacenti da parte del soggetto;  che  nel  suo  secondo  ricovero
 all'Amedeo  di  Savoia,  subito dopo l'arresto per i fatti che qui ci
 occupano, fu riscontrata "solo la presenza di  candidosi  orofaringea
 anche  se e' presumibile la sua estensione a livello esofageo, pur in
 mancanza di accertamento".
    Trattasi, nei casi citati, di infezioni opportunistiche certamente
 non tali da dover comportare, per definizione, l'incompatibilita' col
 regime carcerario;  invero,  sempre  i  sanitari  interpellati  hanno
 chiarito  come tali infezioni siano favorite da un insieme di fattori
 che interagiscono, consistenti nel regime  di  vita  trasandato,  nel
 tipo  di  alimentazione  disordinata,  nell'igiene  approssimativa  e
 scarsa,  nell'uso  di  stupefacenti  che   spesso   determina   detti
 comportamenti:  hanno  altresi' specificato come le stesse infezioni,
 in  presenza  di  un  regime  di  vita  regolare,  di  una   corretta
 alimentazione e di una normale igiene generalmente regrediscano.  Del
 resto,  conferma che la natura ed entita' dell'infezione da candidosi
 orofaringea e forse esofagea  da  cui  il  Di  Forti  e'  attualmente
 affetto  non consentono di ritenerlo gravemente ammalato proviene dal
 fatto obiettivo che egli, pur colpito da tale  infezione,  circolasse
 munito  di pistola per commettere un reato che sicuramente lo avrebbe
 non poco impegnato sotto il profilo psicofisico.
    Eppure per Di Forti - e per tutti gli altri soggetti in situazione
 analoga alla sua - si e' venuta a creare una sostanziale "licenza  di
 delinquere"  posto che la diagnosi di Aids conclamata stabilita in un
 dato momento (per l'indagato, come s'e' visto, nel 1988)  costituisce
 di  per  se'  -  ed  a prescindere da qualsivoglia accertamento sulle
 attuali condizioni di salute - un "patentino"  per  l'esclusione  dal
 carcere,  benche'  in presenza di esigenze cautelari che imporrebbero
 la carcerazione. Tant'e' vero, come gia' s'e' detto, che il Di Forti,
 ammalato  di  Aids,  si  stava recando, armato, a commettere un grave
 reato.    Davvero  incomprensibili,  dunque,   se   non   ipotizzando
 operazioni  politiche  aventi bassi scopi demagogici, sono le ragioni
 dell'aver stabilito per legge l'equazione "Aids  conclamata  o  grave
 deficienza  immunitaria = divieto di custodia carceraria"; tanto piu'
 se si considera che la stessa  commissione  nazionale  per  la  lotta
 all'Aids (come pure ricordato nella citata ordinanza del tribunale di
 sorveglianza  di  Torino)  ha  esplicitamente  riconosciuto,  facendo
 riferimento all'"estrema dinamicita' e varieta'  di  situazioni"  che
 caratterizzano  il  quadro clinico delle infezioni da HIV, come unica
 seria   strada   percorribile   per   la   soluzione   del   problema
 dell'incompatibilita'  tra  stato detentivo e malattia in esame sia -
 appunto - la valutazione della situazione caso  per  caso.    Strada,
 questa,  che, mentre si fonda su precise cognizioni scientifiche, non
 confligge coi dettati costituzionali ed in particolare col  principio
 di  uguaglianza,  che  vuole  che situazioni identiche (nella specie,
 quanto a gravita', irreversibilita' ed ingravescenza delle  malattie)
 siano regolate in maniera uniforme.
    Questo  discorso, del resto, porta all'immediata individuazione di
 un ulteriore principio costituzionale gravemente leso  dall'art.  28-
 bis  del  c.p.p.,  vale  a  dire quello, sancito dall'art. 111, primo
 comma,  della  Costituzione,  secondo  cui  "tutti  i   provvedimenti
 giurisdizionali devono essere motivati".
    E',  infatti,  di  tutta  evidenza  come  nel  caso  che ci occupa
 l'eventuale incompatibilita' tra lo stato detentivo  e  lo  stato  di
 malattia  del  Di Forti, che questo giudice avrebbe dovuto valutare e
 dichiarare, sia gia' stata decretata  dal  legislatore,  per  cui  la
 motivazione  del  provvedimento (in questo caso, di concessione degli
 arresti domiciliari)  e'  soltanto  apparente,  limitandosi  l'organo
 giurisdizionale a recepire quanto, a priori, stabilito ex lege.
    Ne', in tal caso, puo' sostenersi cio' che codesta Corte dichiaro'
 nella  sentenza  n.  313/1990 a proposito del c.d. patteggiamento, in
 ordine al rilievo secondo cui la sentenza prevista dall'art. 444  del
 c.p.p.  prescinderebbe  completamente  da  qualsiasi  valutazione  di
 merito da parte del giudice e, quindi, dal suo libero  convincimento,
 essendo  arduo  attribuire valore di motivazione all'enunciazione nel
 dispositivo che vi e' stata richiesta delle parti; in detta sentenza,
 invero, la Corte ha potuto agevolmente sottolineare come il  giudice,
 nella  pronuncia  ex  art.  444  del c.p.p., sia tenuto a valutare la
 correttezza  o  meno  della  definizione  giuridica  del  fatto   che
 scaturisca   dalle   risultanze,   nonche'  le  ragioni  per  cui  le
 circostanze, attenuanti od aggravanti,  e  l'eventuale  prevalenza  o
 equivalenza  delle  une  rispetto  alle  altre,  siano o non ritenute
 plausibili nei sensi prospettati nella  consensuale  richiesta  delle
 parti;  dal  che  consegue  come l'esigenza della motivazione non sia
 esclusa dalla  particolare  configurazione  della  sentenza  prevista
 dall'art.  444  del  c.p.p., anche se ovviamente debba essere ad essa
 ragguagliata.
    Nulla di tutto cio' e' possibile  dire,  invece,  con  riferimento
 alla  motivazione  del  provvedimento  che  revochi  o non imponga la
 custodia cautelare in carcere per un ammalato di Aids conclamata o di
 grave deficienza immunitaria, posto che  non  si  vede  quale  libero
 convincimento  possa esprimere il giudice che deve operare sulla base
 dell'equazione "Aids conclamata  o  grave  deficienza  immunitaria  =
 divieto di custodia in carcere".
    Il che induce a ritenere violato dalla normativa in esame anche un
 altro  fondamentale  principio costituzionale, quello di cui all'art.
 101, secondo comma, della  Costituzione,  per  cui  "i  giudici  sono
 soggetti soltanto alla legge".  Invero, nel momento in cui il giudice
 deve   attenersi,   per  la  propria  decisione,  non  gia'  ai  dati
 derivantegli da un completo ed attuale accertamento  sanitario  sulle
 condizioni  di  salute dell'indagato-imputato colpito da infezione da
 HIV, comunque liberamente valutabili, ma  ad  una  diagnosi  di  Aids
 conclamata  o  di  grave  deficienza immunitaria posta dai sanitari e
 divenuta immutabile (come sopra s'e' visto), appare chiaro come detto
 giudice   sia   sostanzialmente   vincolato   da   un   provvedimento
 amministrativo,  qual e' la diagnosi medica, tra l'altro - come detto
 - di per se' non significativo di un'effettiva  ed  attuale  gravita'
 della situazione tale da renderla incompatibile con la carcerazione.
    Ne'  vale  obiettare  che  in questo caso il vincolo di soggezione
 soltanto alla legge sarebbe rispettato poiche'  l'incompatilita'  con
 la  carcerazione  e'  appunto stabilita ex lege in presenza di quelle
 diagnosi: cosi' ragionando, infatti, si attribuirebbe a tale  vincolo
 un  valore  meramente  formale  che nulla ha a che fare con la regola
 sostanziale che la Costituzione voleva porre.
    Infine, va detto come l'indicato contrasto dell'art. 286- bis  del
 c.p.p.  con  i  quattro  principi  costituzionali  citati  non appaia
 superabile  nemmeno  ricorrendo  al  criterio  del  bilanciamento  di
 interessi  di  pari portata, in ossequio al quale, tra piu' interessi
 aventi medesimi tutela e  rango  nell'ordinamento  (in  questo  caso,
 rango  costituzionale)  si sceglie di farne prevalere uno, poiche' la
 situazione,  complessivamente  considerata,   impone   di   stabilire
 comunque  delle  priorita'  e  quindi di privilegiare la tutela di un
 dato interesse a discapito di un altro pur parimenti rilevante.    Si
 vuol  fare  riferimento,  in particolare, ai principi di cui all'art.
 27, terzo comma, e 32, primo comma, della Costituzione,  secondo  cui
 "le  pene  non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
 umanita' e devono tendere alla rieducazione  del  condannato"  e  "la
 Repubblica  tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo
 e  interesse  della  collettivita'":  al  proposito  e'   sufficiente
 ribadire  come l'estrema dinamicita' e varieta' di situazioni cui da'
 luogo l'infezione dal HIV  importino  che  soltanto  un  accertamento
 medico  sulle  attuali  condizioni di salute dell'indagato o imputato
 consenta di affermare se la restrizione carceraria si risolva  in  un
 trattamento  contrario  al  senso  di umanita' o leda il fondamentale
 diritto alla salute; senza contare che, come e' ben noto a tutti  gli
 operatori  del  settore, spesso il detenuto ammalato riceve piu' cure
 ed e' sottoposto a maggiori controlli per opera  dell'amministrazione
 penitenziaria  di  quanto sicuramente accadrebbe in stato di liberta'
 per proprio interessamento.
    Non puo', dunque, ritenersi che  la  normativa  in  esame  sia  in
 contrasto  con  i  principi  costituzionali  indicati al fine di dare
 attuazione ad altri principi  costituzionali  che  si  e'  scelto  di
 tutelare  in  via  privilegiata. Anzi e' da ritenersi che pure questi
 ultimi siano lesi da una norma che, stabilendo l'errata equazione  di
 cui  s'e'  detto  (Aids  conclamata  o grave deficienza immunitaria =
 divieto di  carcerazione),  da'  loro  un'attuazione  sostanzialmente
 distorta.
    Deve,  pertanto,  affermarsi  l'assoluta  illegittimita' dell'art.
 286- bis del c.p.p. con riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 27,
 terzo comma, 32, primo comma, 101, secondo comma, e 111, primo comma,
 della Costituzione, come sopra lumeggiato.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge  11  marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  286-  bis  del  c.p.p.  come
 introdotto  dai  d.l. 12 novembre 1992, n. 431 e 12 gennaio 1993, n.
 3, con riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 27, terzo comma, 32,
 primo  comma,  101,  secondo  comma,  e  111,  primo   comma,   della
 Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Ordina la notifica della  presente  ordinanza  al  Presidente  del
 Consiglio  dei Ministri nonche' all'indagato ed alla procura generale
 di Torino;
    Manda alla cancelleria per la comunicazione  ai  Presidenti  delle
 due Camere;
    Dispone  la  sospensione del giudizio sulla liberta' personale del
 Di Forti.
      Torino, 24 febbraio 1993
                          Il giudice: MASI'A
                                                Il segretario: SANTORO
 93C0537