N. 252 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 dicembre 1992
N. 252 Ordinanza emessa il 7 dicembre 1992 dal tribunale amministrativo regionale del Lazio - Roma, sul ricorso proposto dal Sindacato chimici dipendenti unita' sanitarie locali, in persona del segretario generale, in proprio e n.q., ed altri contro il Presidente del Consiglio dei Ministri ed altri. Sanita' pubblica - Servizi ospedalieri di analisi e virologia - Previsione che possano essere addetti a tali servizi gli assistenti medici - Violazione del principio dell'esame di Stato per l'esercizio delle professioni, sotto il profilo dell'inadeguatezza dell'esame sostenuto dai laureati in medicina e chirurgia rispetto ad attivita' professionale rientrante prevalentemente nell'ambito del corso di laurea in chimica e scienze biologiche - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 26 e 29 del 1990, 202/1987, 127/1985, 174 e 175 del 1980. (D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, artt. 16 e 23). (Cost., artt. 33, quinto comma, e 97).(GU n.23 del 2-6-1993 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 742 del 1991 proposto dal Sindacato italiano chimici dipendenti unita' sanitarie locali, in persona del segretario generale pro-tempore, dott. Giampaolo Fiorio, che agisce nella qualita' e in proprio, nonche' dei dottori Giovanni Imperato, Luigi Romano, Sergio Zofra, Alberto Accardo, Aniello De Vita, Francesco Infante, Claudio Bufi, Giuseppa Mobilia, Silvestro Bonanno, Salvatore Sambataro, Francesco Muccilli, Antonino Signorelli, Raimondo Germanotta, Signorino Barbaria, Alfredo Finocchiaro, Angelo Varelli, Vincenzo Zagami, Giuseppe Vernuccio, Francesca Longo, Maria Luisa Fichera, Guido Sippelli, Andrea Nastasi, Santo Pipito', Giovanni Giunta, Antonino Abate, Antonino Marchese, Maria Anna Fedele, Francesco Paolo Valentino, Margherita Sergi, Domenico Moscato, Antonino Dascola, Giuseppa Liliana Messineo, Beniamino Mazza, Anna Maria Bille', Francesco Costantino, Onofrio Lattarulo, Vito Michele Perrino, Giuseppe Montella, Giorgio Cavallo, Andrea Ottaviano, Emanuele Spadola, Giuseppe Vitale, Giuseppe Amico, Antonio Amico, Roberto Giua, Maria Spartera, Mario Mossone, Leonardo Merlini, Fausto Morini, Pietro Ruco, Omero Zampa, Piero Secondo Paolemili, Manola Castellani, Vanio Viola, Luigi Standoli, Raffaele Iodice, Michele Scotto Lavina, Elio Calabrese, Nicola De Giorgi, Cosimo Colonna, Antonio Inguscio, Vincenzo Colonna, Silvio Martina, Giacomo Greco, Pantaleo Azzollini, Gustavo D'elia, Daniela Ignazi, Domenico Tancre', Maurizio Antonio Giardino, Giacinto Muraca, Domenico Colosimo, Vincenzo Cristiano, Leonardo Lecce, Francesco D'Ambrosio, rappresentati e difesi dall'avv. Arturo Merlo e con lui elettivamente domiciliati presso lo studio dell'avv. Bruno Aguglia in Roma, via Cicerone, 44 contro: la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro-tempore; il Ministero della sanita', in persona del Ministro pro-tempore; il Ministero per la funzione pubblica, in persona del Ministro pro-tempore; il Ministero del tesoro, in persona del Ministro pro-tempore; il Ministero del bilancio e della programmazione economica, in persona del Ministro pro-tempore; il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato; per l'annullamento del d.P.R. 20 novembre 1990, n. 384, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 del 19 dicembre 1990 - Suppl. ord., recante il "Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 6 aprile 1990 concernente il personale del comparto del servizio sanitario nazionale, di cui all'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura generale dello Stato e la memoria da questa prodotta; Visti gli atti tutti di causa; Uditi nella pubblica udienza del 7 dicembre 1992 il relatore cons. Marzio Branca, l'avv. Arturo Merlo per i ricorrenti e l'Avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per l'amministrazione; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; F A T T O Con ricorso ritualmente notificato e depositato, un gruppo di chimici dipendenti di unita' sanitarie locali e il Sindacato chimici dipendenti unita' sanitarie locali (SICUS) hanno impugnato il d.P.R. 28 novembre 1990, n. 384, recante "Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 6 aprile 1990 concernente il personale dal comparto del servizio sanitario nazionale, di cui all'art. 6 del d.P.R. 5 marzo 1986, n. 68. Il provvedimento viene censurato sotto diversi profili. Con il primo mezzo di gravame si deduce un vizio di illegittimita' derivata, sostenendosi che il provvedimento impugnato e' il frutto della negoziazione avvenuta nella "apposita area" "per la professionalita' medica, concernente i medici chirurghi e veterinari", area individuata dall'art. 6 del d.P.R. 5 marzo 1986, n. 68. Quest'ultima disposizione, peraltro, risulterebbe adottata in violazione dell'art. 5, secondo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93, ad anzi, per tale motivo annullata dal t.a.r. Lazio, sezione prima, con sentenza 26 gennaio 1991, n. 95. Con il secondo motivo si sostiene l'illegittimita' degli artt. 58 e 124 dell'impugnato d.P.R. n. 384 del 1990, nella parte in cui ammettono i medici a condividere le competenze per l'attivita' prestata nei laboratori di analisi delle uu.ss.ll. in plus orario. Le disposizioni anzidette, pur risultando conformi agli artt. 16 e 23 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, verrebbero a cadere per illegittimita' derivata ove venisse dichiarata l'incostituzionalita' delle norme teste' richiamate. A tal fine si propone formale eccezione per contrasto delle medesime con gli artt. 33, quinto comma, e 97, primo comma, della Costituzione. Il terzo mezzo investe quelle disposizioni del d.P.R. n. 384 del 1990 che determinano un trattamento giuridico ed economico deteriore per il chimico rispetto al medico, in conformita', peraltro, a disposizioni di rango legislativo delle quali si eccepisce la illegittimita' costituzionale. In particolare si denunciano l'art. 47, terzo comma, nn. 4 e 5, che garantiscono solo ai medici il diritto all'esercizio della libera attivita' professionale, nonche' l'esercizio di attivita' didattiche e scientifiche, e gli artt. 35 e 36 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, che attribuiscono ai medici il diritto di scelta tra tempo pieno e tempo definito e conseguentemente di svolgere attivita' libero-professionale fuori delle strutture della unita' sanitaria locale. Queste disposizioni contrasterebbero con gli artt. 3, 33, quinto comma, 51 e 97 della Costituzione, perche' determinerebbero irrazionalmente una aprioristica discriminazione nel trattamento giuridico ed economico di talune categorie rispetto ad altre, benche' tutte si pongano su un piano di pari dignita' e rilevanza. Con il quarto motivo si censura l'art. 42 del d.P.R. n. 384 del 1990, che per il triennio di competenza ha riconosciuto al personale non medico una indennita' sostitutiva in luogo del sistema di progressione per classi stipendiali e scatti biennali, che viene invece conservato per il personale medico. La norma contrasterebbe con i principi enunciati dall'art. 4 della legge n. 93 del 1983, in materia di omogeneizzazione delle retribuzioni, e sarebbe affetta da eccesso di potere per ingiustizia manifesta e disparita' di trattamento. Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato, e, con successiva memoria hanno illustrato le ragioni dell'irrilevanza e della manifesta infondatezza delle proposte eccezioni di illegittimita' costituzionale. Alla pubblica udienza del 7 dicembre 1992, con dichiarazione inserita nel verbale, i ricorrenti hanno rinunciato al primo motivo di ricorso ed hanno poi insistito per l'accoglimento delle altre censure. Anche l'Avvocatura generale dello Stato insisteva nelle proprie conclusioni e la causa passava in decisione. D I R I T T O Con sentenza in pari data il tribunale, dato atto della rinuncia al primo motivo di ricorso, ha esaminato il terzo ed il quarto motivo ritenendoli infondati. Con il secondo e residuo mezzo di gravame si sostiene l'illegittimita' degli artt. 58, decimo comma, e 124, secondo comma, del d.P.R. 28 novembre 1990, n. 384, di recepimento dell'accordo 6 aprile 1990 concernente il comparto del servizio sanitario nazionale, i quali stabiliscono la partecipazione dei medici addetti ai servizi di analisi delle unita' sanitarie locali alla ripartizione degli introiti per le prestazioni di laboratorio svolte in plus orario. Le disposizioni anzidette sarebbero affette da illegittimita' derivata in quanto costituiscono applicazione degi artt. 16 e 23 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, dei quali si denuncia il contrasto con gli artt. 33, quinto comma, e 97, primo comma, della Costituzione. Le norme impugante, disponendo la preposizione al servizio di analisi (art. 16) ed al servizio di virologia (art. 23) di personale medico, ossia di personale privo della idoneita' professionale necessaria allo svolgimento delle attivita' di competenza dei predetti servizi, contrasterebbero: a) con l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, in base al quale nessuna attivita' professionale puo' essere esercitata senza la previa abilitazione conseguita mediante esame di Stato, previa acquisizione di uno specifico diploma di laurea; b) con l'art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto l'utilizzazione di personale non abilitato ad esercitare prestazioni erogate da strutture pubbliche non e' conforme al principio del buon andamento. La proposta questione appare rilevante e non manifestamente infondata, nei termini piu' oltre precisati. In ordine alla rilevanza si osserva che la censura tendente all'annullamento delle norme regolamentari da cui consegue la attribuzione ai medici di quote incrementali del fondo di incentivazione derivanti da prestazioni di laboratorio, non puo' essere giudicata senza risolvere il dubbio sulla legittimita' costituzionale delle norme legislative che dispongono la presenza dei medici nei servizi di analisi e di virologia delle unita' sanitarie locali (artt. 16 e 23 del d.P.R. n. 128 del 1969). L'eliminazione delle anzidette disposizioni, infatti, verrebbe a privare dell'attuale fondamento giuridico le disposizioni regolamentari impugnate, aprendo la via all'accoglimento della censura formulata nel motivo in esame. Va dunque disattesa la tesi avanzata dall'Avvocatura generale dello Stato secondo cui i ricorrenti diferrerebbero di un interesse concreto e quindi di legittimazione a sollevare l'eccezione di illegittimita' costituzionale. Ove la proposta questione risultasse fondata, il personale medico non potrebbe piu' far parte della "equipe che ha reso le prestazioni aggiutive" di laboratorio, con evidenti riflessi sulla legittimita' delle norme regolamentari impugnate. Circa la non manifesta infondatezza della questione, il collegio osserva che il problema della competenza dei medici alla esecuzione delle analisi "chimico-cliniche e microbiologiche" rimane al centro di un vivace contrasto di opinioni. La sentenza 4 giugno 1990, n. 1341, con la quale le sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno stabilito che non e' configurabile a carico dei medici che eseguono le analisi in questione il reato di cui all'art. 348 del c.p., non ha esaurito la complessa tematica in discussione. Le sezioni unite, infatti, hanno dimostrato che l'ampio quadro normativo, che, a partire dal t.u. delle leggi sanitarie (c.d. 27 luglio 1934, n. 1256) fino al d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, consente ai medici di operare nei laboratori ospedalieri di analisi non puo' ritenersi abrogato dal d.m. 9 settembre 1957, n. 274, e successive modificazioni, che sopprime la prova pratica di laboratorio nell'esame di Stato per i laureati in medicina e chirurgia, e neppure dalla legge 27 maggio 1967, n. 398, istitutiva dell'albo professionale dei biologi, dalla quale non puo' desumersi (art. 3, u.c.) che le analisi microbiologiche siano state riservate a questi ultimi. Ma la valutazione circa la liceita' di una determinata condotta alla stregua della legislazione vigente non tocca e non pregiudica il diverso problema della compatibilita' dell'accennato assetto normativo con i principi costituzionali ed in particolare con l'art. 33, quinto comma, che subordina l'esercizio della professione al superamento dell'esame di Stato: problema che alle sezioni unite non e' stato proposto e che non risulta esaminato nella decisione ricordata. La Corte costituzionale, d'altra parte, e' stata recentemente investita di una questione, che, pur ricollegandosi alla tematica che si intende focalizzare, ha riguardato gli artt. 16 e 23 del d.P.R. n. 128 del 1969 "nella parte in cui prevedono che a posti di primario, aiuto e assistente previsti in organico nei servizi di analisi e virologia possano aspirare esclusivamente i medici con esclusione di biologi e chimici" (reg. ord. n. 398 del 1980 t.a.r. Sicilia - sezione Catania). La sentenza che ha deciso la questione (n. 29 del 1990) ha disposto un intervento additivo, dichiarando illegittimo l'art. 23 cit., nella parte in cui non prevede nell'organico del servizio di virologia le posizioni funzionali di biologo coadiutore e collaboratore e di chimico coadiutore e collaboratore. Le altre questioni sono state dichiarate inammissibili in base al rilievo che "l'inserimento dei biologi e dei chimici negli organici dei predetti servizi nei sensi invocati nell'ordinanza di rimessione .. deve ritenersi riservato all'intervento del legislatore". Puo' dunque concludersi che l'eccezione sollevata nel giudizio pendente dinanzi a questo giudice, pur riferendosi a disposizioni gia' esaminate dalla Corte, pone un problema sul quale la giurisprudenza costituzionale non si e' ancora pronunciata. Sul principio enunciato dall'art. 33, quinto comma, della Costituzione, la giurisprudenza costituzionale, sia con affermazioni di massima, sia con la soluzione adottata su singole fattispecie, ha elaborato un orientamento ampiamente consolidato, che occorre brevemente richiamare, per stabilire entro quali limiti la questione sia di ritenere non manifestamente infondata. La sentenza n. 26 del 1990, riassuntivamente, puntualizza l'indirizzo della Corte affermando che l'esame di Stato, al cui superamento e' subordinato l'eservizio delle professioni, deve soddisfare "l'esigenza di un serio ed oggettivo accertamento del grado di maturita' del discente e del concreto possesso da parte dello stesso della preparazione, attitudine e capacita' tecnica necessarie perche' dell'esercizio pubblico dell'attivita' professionale i cittadini possano giovarsi con fiducia. La determinazione dei criteri e del contenuto dell'esame di Stato resta quindi demandata al legislatore ordinario col solo vincolo di soddisfare ragionevolmente l'esigenza suindicata. Trattasi di materia nella quale non puo' non riconoscersi, anche in relazione ai diversi tipi di corsi di studio, e di professioni cui danno accesso - e cio' vale specialmente per studi e professioni ad accentuata caratterizzazione tecnico pratica - una discrezionalita' del legislatore notevolmente ampia". In linea con tali affermazioni, con la sentenza n. 29, gia' citata, come si e' visto, la Corte ha ritenuto di non potersi pronunciare in merito alla esclusione dei chimici e dei biologi dalle posizioni apicali nei laboratori ospedalieri di analisi, rientrando la scelta nella discrezionalita' del legislatore. L'ampiezza di tale discrezionalita' ha consentito alla Corte di ritenere legittima l'acquisizione della abilitazione alla professione anche nei casi in cui gli interessati non sostengono uno specifico esame di Stato. Tale e' il caso dei periti industriali, che conseguono l'abilitazione con il superamento del solo esame conclusivo del corso di studi (sentenza n. 26 del 1990); degli ufficiali superiori di artiglieria e del genio militare, che ottengono l'abilitazione alla professione di ingegnere senza essere in possesso della laurea e senza aver sostenuto l'esame di Stato (ordinanza n. 197 del 1988); dei magistrati, che possono iscriversi all'albo degli avvocati senza aver superato l'apposito esame, perche' la legge poteva ritenere la congruita' - ai fini dell'accertamento della capacita' professionale - del concorso sostenuto per l'ingresso in magistratura (sentenza n. 174 del 1980). Coerentemente, si e' considerato violato l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, quando l'abilitazione all'esercizio di una professione veniva accordata indipendentemente da qualunque forma di accertamento dalla capacita' e preparazione (sentenza n. 175 del 1980, n. 127 del 1985; n. 202 del 1987). Il richiamato assetto della giurisprudenza costituzionale sul puntuale argomento, da cui emerge che il nucleo strettamente precettivo della disposizione invocata va individuato nella necessita' non derogabile che la capacita' professionale nel settore specifico sia - pur nella varieta' dei meccanismi - seriamente accertata, va integrato con il rilievo che, ancora secondo l'insegnamento della Corte (sentenza n. 100 del 1989), il legislatore non puo' limitare ai soli iscritti ad un albo professionale l'esercizio di una determinata professoine se la stessa attivita' era consentita a seguito di una diversa abilitazione. La Corte ha infatti annullato le disposizioni (artt. 4, 5 e 20 della legge 24 luglio 1985, n. 409) non consentiva ai medici che si fossero iscritti al neo istituito albo degli odontoiatri di continuare a svolgere la professione di medico, con la conseguenza sostanziale che l'esercizio dell'odontoiatria continua ad essere consentito in base alla sola abilitazione medica. Cosi' delineato il quadro costituzionale di riferimento, il quesito proposto con l'eccezione in esame consiste nello stabilire se possa ritenersi che l'ordinamento non preveda adeguati sistemi di accertamento della specifica capacita' dei medici, che operano nel servizio sanitario nazionale, ad eseguire analisi chimico-cliniche e microbiologiche, sicche' le norme che prevedono la loro applicazone ai laboratori ospedalieri si potrebbero, in contrasto con il principio costituzionale in precedenza illustrato. La soluzione del quesito non puo' essere unitaria. Il sistema costituzionale, come si e' visto, non accoglie una concezione formalistica dell'esame di Stato ed ammette che la capacita' professionale sia accertata in modi diversi ed alternativi alla particolare procedura tipica di tale istituto. Ne consegue che il binomio titolo di studio-esame di Stato, che, secondo i ricorrenti, rappresenterebbe il riferimento insostituibile ai fini della individuazione del contenuto di una determinata abilitazione professionale, puo' assumere un rilievo preminente e forse esclusivo con riguardo alle professioni che sono svolte in forma privata, ossia al di fuori di qualsiasi altro controllo, ma non puo' ritenersi esauriente e decisivo quando il riscontro abbia ad oggetto le professioni esercitate presso le strutture pubbliche, alle quali, per principio costituzionale si accede per concorso. Il pubblico concorso infatti e l'istituto mediante il quale, talvolta congiuntamente all'esame di Stato, talvolta in alternativa ad esso (vedi Corte costituzionale n. 77 del 1964), l'ordinamento accerta la capacita' professionale degli aspiranti all'esercizio di pubbliche funzioni anche di tipo professionale. Puo' anzi ritenersi che il concorso, mirando alla copertura di un numero limitato di posti, e quindi implicando una selezione dei candidati necessariamente piu' rigorosa rispetto ad una prova di semplice idoneita', realizzi una verifica particolarmente accurata della preparazione professionale. Occorre pero' che il concorso sia disciplinato in modo da garantire un controllo sufficientemente specifico, ossia che preveda il superamento di prove strettamente attinenti ai compiti cui sara' applicato il personale assunto. L'idoneita' del concorso sostenuto dal personale medico per l'accesso al Servizio sanitario nazionale al fine dell'accertamento di una professionalita' specifica, deve essere valutata in base al d.m. 30 gennaio 1982 (Normativa concorsuale del personale delle unita' sanitarie locali, in Gazzetta Ufficiale suppl. ord. n. 51 del 22 febbraio 1982). Il decreto e' stato pazialmente modificato dall'art. 9 della legge 20 maggio 1985, n. 207, ma non nelle parti che qui interessano. Per quanto concerne le posizioni funzionali di primario ospedaliero e di aiuto corresponsabile ospedaliero (artt. 27 e 30 del d.m. citato) e' previsto che il concorso venga bandito per specifiche discipline, prescrivendosi, oltre una prova scritta una prova pratica "su tecniche e manualita' peculiari della disciplina oggetto del concorso". Il successivo art. 165 individua le discipline per le quali debbono essere banditi i concorsi, e, per l'area funzionale di medicina, indica al n. 12 "laboratorio analisi chimico-cliniche e microbiologia". Puo' dunque affermarsi che nel concorso sostenuto dai primari e dagli aiuti le prove risultano strettamente finalizzate ai compiti tipici dei servizi ospedalieri di analisi e di virologia, e, pertanto, puo' escludersi che l'ordinamento consenta l'esercizio di attivita' professionale non subordinata ad adeguato accertamento della necessaria capacita' e preparazione. In conclusione, con riguardo alle ricordate categorie di personale medico la questione va dichiarata manifestamente infondata. La disciplina, invece, dei concorsi per il personale che accede al profilo professionale di assistente, a differenza dai due precedentemente considerati, non reca alcun riferimento a discipline specifiche dell'area funzionale, potendo svolgersi indistintamente su tutte le materie ricomprese nell'area medesima (art. 35 del d.m. cit.). E poiche' gli assistenti, a norma dell'art. 17 del d.P.R. n. 761 del 1979, possono essere assegnati a prestare servizio presso i laboratori di analisi e di virologia senza un apposito accertamento in sede concorsuale della relativa preparazione, il dubbio sollevato dai ricorrenti circa la conformita' della normativa impugnata agli artt. 33, comma 5, e 97 della Costituzione, e' da ritenere non manifestamente infondato, posto che l'esame di Stato sostenuto dai laureati in medicina e chirurgia non offre al riguardo adeguata garanzia. Come ha ritenuto anche la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 43 del 1972), l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, ha recepito l'ordinamento dell'esame di Stato risultante dalla legislazione anteriore al 1948, e precisamente dal r.d. 31 giugno 1933, n. 1592 (t.u. delle leggi sull'istruzione superiore). Tale legislazione, per quello che qui interessa, esprime il principio che ai laureati ed ai diplomati non e' consentito scegliere liberamente l'esame di Stato cui sottoporsi (indipendentemene cioe' dal titolo di studio posseduto) ma che puo' sostenersi soltanto l'esame di Stato relativo alla laurea corrispondente, essendo anche necessario che siano stati superati determinati esami di profitto (art. 172 del t.u. cit.). Il collegamento tra un determinato esame di Stato ed il titolo accademico di ammissione e' sempre stato rigidamente codificato come risulta dalle tabelle annesse al r.d. del 1933 e al r.d. 31 dicembre 1923, n. 2909. Tali tabelle hanno stabilito e stabiliscono che la laurea in medicina e chirurgia e' requisito di ammissione esclusivamente all'esame di Stao per l'abilitazione all'esercizio della professione di medico chirurgo, mentre le lauree in chimica consentono di partecipare soltanto all'abilitazione di chimico. Si individua, quindi, una sequenza tra corso universitario, la laurea che lo conclude e l'esame di Stato, nella quale quest'ultimo e' preordinato a fornire una ulteriore verifica della capacita' professionale, alla cui acquisizione tendono per legge (art. 1 del t.u. 1933) gli studi universitari. Ne consegue che l'abilitazione ricollegata all'esame in questione ha ad oggetto un ambito di attivita' i cui confini sono segnati dalla formazione impartita dal corso universitario concluso dalla laurea corrispondente. Orbene, ne' il curriculum universitario, ne' conseguentemente l'esame di Stato assicurano ai medici la padronanza delle metodiche necessarie alla esecuzione delle analisi di laboratorio, che sono metodiche chimiche e biologiche in costante evoluzione tecnologica. La laurea in medicina e chirurgia e' conseguita al termine di un corso, nel quale la chimica e la biologica hanno un peso del tutto marginale, secondo trattazioni di livello preminentemente informativo, come emerge dal raffronto con il corso di laurea in chimica e in scienze biologiche (v. Tabelle allegate al r.d. 30 settembre 1938, n. 1652). La tesi che qui si accoglie, secondo cui i medici ospedalieri con qualifica di assistente non possono considerarsi - in base al solo esame di Stato - abilitati alle prestazioni proprie dei servizi di analisi e virologia trova conferma nella circostanza che la normativa per i concorsi di accesso a tali strutture ha costantemente previsto lo svolgimento di prove su materie strettamente attinenti alle prestazioni in questione. Gia' il r.d. 11 marzo 1935, n. 281, all'art. 73, prevedeva che nei concorsi per i posti di assistente "presso il reparto medico micrografico nei laboratori provinciali di igiene e profilassi" si sostenessero tre prove pratiche, riguardanti la microbiologia, la microscopia e parassitologia e la clinica applicata all'igiene; l'istologia normale e patologica la chimica clinica; oltre cio' una prova scritta riguardante le malattie infettive di origine alimentare e parassitaria. Analogamente, il r.d. 30 settembre 1938, n. 1631, all'art. 65, lett. o): " ..per il concorso ai posti di assistente presso gli istituti laboratori o gabinetti speciali, di una prova prativa della materia relativa al posto messo a concorso". Non diversamente il d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, all'art. 91, prevedeva, tra l'altro, "due prove pratiche relative alla disciplina messa a concorso". Il criterio dell'accertamento della professionalita' specifica imposto dall'art. 33, quinto comma, della Costituzione, non risulta invece osservato, come si e' visto dal d.m. 30 gennaio 1982, emanato in applicazione dell'art. 12 del d.P.R. n. 761 del 1979, per quanto concerne il concorso degli assistenti medici. Tale inosservanza si riverbera sugli artt. 16 e 23 del d.P.R. n. 128 del 1969, che prevedono l'impiego di assistenti nei laboratori ospedalieri di analisi e virologia. Tale normativa si pone anche in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, risultando non conforme al principio di buon andamento dell'amministrazione la preposizione ad organismi pubblici di personale non fornito della necessaria preparazione professionale.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 33, quinto comma, e 97, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 16 e 23 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, nella parte in cui consentono che gli assistenti medici siano applicati ai servizi ospedalieri di analisi e di virologia; Dispone la sospensione del giudizio e ordina la remissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che a cura della segreteria la presente ordinanza, sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del 7 dicembre 1992. Il presidente: JUSO Il consigliere: RULLI Il consigliere estensore: BRANCA 93C0558