N. 264 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 luglio 1992- 19 maggio 1993

                                N. 264
 Ordinanza   emessa   il   1    luglio   1992  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale  il  19  maggio  1993)  dal  tribunale  amministrativo
 regionale  del  Lazio  -  Roma,  sul  ricorso  proposto dalla regione
 Liguria contro  il  C.I.P.E.  -  Comitato  interministeriale  per  la
 programmazione economica ed altri.
 Edilizia popolare, economica e sovvenzionata - Assegnazione
    all'edilizia  residenziale  pubblica,  per  effetto della sentenza
    della  Corte  costituzionale  n.  241/1989,  dell'intero  gettito,
    anziche'  della  sola  quota residua dei contributi G.E.S.C.A.L. -
    Mancata  caducazione,  altresi',  della  norma  che   riserva   al
    Mezzogiorno  una  percentuale  non inferiore al quaranta per cento
    dei contributi in questione - Irragionevolezza  del  permanere  in
    vigore  di  una norma emanata sulla base di presupposti giuridico-
    normativi radicalmente modificati con  conseguente  produzione  di
    effetti   assolutamente  diversi  e  distorti  rispetto  a  quelli
    originariamente  perseguiti  dal  legislatore  -   Incidenza   sul
    principio di buon andamento della p.a.
 (Legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 22, secondo comma, terzo periodo).
 (Cost., artt. 3 e 97).
(GU n.24 del 9-6-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  3954/90
 proposto da regione Liguria, rappresentata e  difesa  dagli  avvocati
 Fortunato  Pagano  e Vitaliano Lorenzoni ed elettivamente domiciliata
 presso il secondo in Roma, via Alessandria, 130, contro  il  Comitato
 interministeriale  per la programmazione economica - CIPE, e Comitato
 per l'edilizia residenziale, in  persona  dei  rispettivi  presidenti
 pro-tempore, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi ex lege
 dall'Avvocatura  generale  dello  Stato e la Presidenza del Consiglio
 dei Ministri, in persona del Presidente del  Consiglio  dei  Ministri
 pro-tempore,  e  Ministeri  dei  lavori  pubblici  e  del  bilancio e
 programmazione economica, in persona  dei  rispettivi  ministri  pro-
 tempore,  non costituitisi in giudizio, e nei confronti della regione
 Campania,  in  persona  del  presidente   della   g.r.   pro-tempore,
 costituitasi  in  giudizio,  rappresentata  e  difesa dall'avv. Mario
 Gianni Bocchini e presso il  medesimo  elettivamente  domiciliata  in
 Roma,  via del Tritone, 61, e delle regioni: Abruzzo, Lazio, Toscana,
 Marche, Basilicata, Calabria,  Campania,  Molise,  Puglia,  Sardegna,
 Sicilia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore,
 non  costituitesi in giudizio, per l'annullamento della delibera Cipe
 26 giugno 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  n.  201  del  29
 agosto 1990 avente ad oggetto "Direttive per il programma di edilizia
 residenziale  pubblica  per il biennio 1988-89 ai sensi dell'art. 22,
 secondo comma, della legge 11 marzo 1988, n.  67",  nonche'  di  ogni
 atto al primo preordinato, connesso o conseguente, limitatamente alla
 riserva  a  favore  del  Mezzogiorno  del 70% dell'intero gettito dei
 contributi Gescal, ivi compresa la proposta del Ministero dei  lavori
 pubblici,  segretario  C.E.R., del Ministero del bilancio e il parere
 formulato dalla conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le
 regioni e le province autonome;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Cipe e Cer,  nonche'
 della regione Campania;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti di causa;
    Nominato  relatore,  alla  pubblica  udienza del 1› luglio 1992 il
 cons. Paolo Buonvino;
    Uditi, l'avv. Pagano per la regione ricorrente e  l'avv.  Bocchini
 per la regione Campania;
    Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con  sentenza  26  aprile 1989, n. 241, la Corte costituzionale ha
 dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  22,  secondo
 comma,  della  legge  11  marzo  1988, n. 67 (legge finanziaria 1988)
 nella parte in cui non assegna  all'edilizia  residenziale  pubblica,
 per  la  costruzione  di  abitazioni  per  i  lavoratori  dipendenti,
 l'intero gettito - e non le  sole  quote  residue  -  dei  contributi
 dovuti ai sensi del primo comma, lettere b) ed e), dell'art. 10 della
 legge 14 febbraio 1963, n. 60.
    Nel   ripartire   i   fondi   cosi'   recuperati   all'e.r.p.,  le
 amministrazioni interessate hanno,  peraltro  -  previo  parere,  sul
 punto,   del  Consiglio  di  Stato  -  conservato  alle  regioni  del
 Mezzogiorno la percentuale del 70% ad  esse  riservata  dallo  stesso
 citato art. 22, secondo comma.
    Assume  la regione ricorrente, con il primo motivo di ricorso, che
 la determinazione in tal  senso,  in  questa  sede  gravata,  sarebbe
 illegittima in quanto la pronuncia della Corte avrebbe travolto anche
 quella  parte  della  norma  che  riserva,  appunto, alle regioni del
 Mezzogiorno la citata percentuale del 70%, questa - una volta  caduto
 il  carattere  residuale delle somme destinate all'e.r.p. - dovendosi
 pure ritenere venuta meno ed  eliminata  dal  contesto  logico  della
 norma,  con la conseguente reviviscenza, in parte qua, del previgente
 tessuto normativo, che riservava alle  regioni  del  Mezzogiorno  una
 percentuale  non  inferiore  al  40%  dei  proventi in parola (c.d.d.
 contributi Gescal).
    Sostiene, in particolare, la ricorrente, che la Corte non e' stata
 investita dei problemi di ripartizione dei fonti; cio'  premesso,  si
 osserva ancora, la norma che disponeva la riserva del 70% delle quote
 residue  non  potrebbe che essere considerata una norma eccezionale e
 temporanea; essa, invero, sarebbe priva di  propria  autonomia  e  si
 presenterebbe,  piuttosto,  come  mera  appendice  della disposizione
 principale, ora cassata dalla  Consulta:  la  norma  di  decurtazione
 della  maggior parte dei contributi Gescal sottratti al finanziamento
 dell'edilizia  e  riservati  alle  entrate  ordinarie  del   bilancio
 statale.
    La  norma generale cui occorrerebbe ancora fare riferimento per il
 riparto dei contributi Gescal ora reintegrati  sarebbe,  percio',  la
 norma di cui alla lett. e) dell'art. 2 della legge n. 457/1978.
    E  sarebe  questa,  secondo  l'assunto attoreo, la disposizione da
 applicare  nella  specie;  disposizione  che,  invece,   risulterebbe
 violata  dalla deliberazione impugnata in quanto la parte del secondo
 comma dell'art. 22 della legge n. 67/1988, relativa alle quote  resi-
 due,   non   potrebbe   certo  considerarsi  autonoma  rispetto  alla
 precedente  parte  dello  stesso  comma,  e  quindi  non potrebbe che
 considerarsi anch'essa cancellata dall'ordinamento  in  seguito  alla
 sentenza della Corte.
    In  altri  termini,  si  deduce  ancora,  dal momento che l'intero
 gettito dei contributi deve essere utilizzato  ai  fini  di  edilizia
 residenziale  pubblica per lavoratori dipendenti, sarebbe venuta meno
 anche l'eccezionale disciplina del riparto delle quote residue; ormai
 non si avrebbero, infatti, piu' quote residue e, quindi, non potrebbe
 essere invocata la disciplina eccezionale  inserita  nella  legge  n.
 67/1988   ai   soli  fini  dell'utilizzazione  delle  quote  residue,
 disciplina non certo applicabile al riparto dell'intero  gettito  dei
 contributi Gescal.
    Ritiene, in particolare, la ricorrente che potrebbe, tutt'al piu',
 considerarsi  conforme  ai  criteri  di  ragionevolezza ed in base al
 principio di solidarieta' la riserva a favore del Mezzogiorno di  una
 quota  del  40%  del  gettito  dei  contributi,  giusta  gli  assetti
 normativi sopra richiamati, in quanto tale  riserva  potrebbe  essere
 imputata  a una sorta di presunzione legislativa della sussistenza di
 un maggiore fabbisogno nell'indicata parte del territorio  nazionale;
 ma del tutto vani risulterebbero sforzi analoghi per giustificare una
 riserva  del 70%: a maggior ragione se, come nel caso di specie, tale
 percentuale deve essere considerata il 70% non  delle  quote  residue
 dei contributi, ma dell'intero monte contributivo.
    Si   solleva,   infine,  censura  di  violazione  alternativamente
 dell'art. 30 ovvero degli artt. 92 e 93 del trattato C.E.E. (legge 14
 ottobre 1957, n. 1203), il che comporterebbe o l'annullamento diretto
 da parte del giudice italiano chiamato e abilitato  ad  annullare  in
 via  diretta  gli  atti  amministrativi  in  contrasto con il diritto
 comunitario, ovvero la rimessione della  questione  incidentale  alla
 Corte  di  giustizia  della  Comunita'  ai  sensi  e  per gli effetti
 dell'art. 177 del trattato stesso, ovvero infine la  rimessione  alla
 Corte  costituzionale  per violazione dell'art. 11 della Costituzione
 da parte dell'art. 22 della legge n. 67/1988.
    In sostanza, assume ancora  la  ricorrente  regione,  malgrado  la
 Corte  costituzionale  non si sia pronunciata sulla parte del secondo
 comma dell'art. 22 relativo all'utilizzazione delle quote residue, la
 stessa (stante la sopra indicata sua  evidente  e  totale  dipendenza
 dalla  disposizione che dirottava sul bilancio dello Stato, nelle sue
 poste generali di entrata, larga parte dei prelievi)  sarebbe  venuta
 meno  per  l'effetto additivo principale, data l'impossibilita' della
 sua applicazione per scomparsa del soggetto e del quid cui  risultava
 riferita la disposta percentuale.
    Percio',   si   conclude,   avrebbe  dovuto  essere  applicata  la
 disposizione di cui al primo comma lett. e) dell'art. 2  della  legge
 n.   457/1978  in  relazione  alla  quota  di  riserva  destinata  al
 Mezzogiorno  nel  regime  precedente  la  legge  n.  67/1988,   cioe'
 determinandosi  detta  quota  nel  40%  dell'intero  ammortamento dei
 contributi Gescal.
    In   subordine,   denuncia    la    ricorrente    l'illegittimita'
 costituzionale  della  disposizione  di cui all'art. 22, primo comma,
 della legge n. 67/1988, ove dovesse  essere  interpretata  nei  sensi
 sopra contestati, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
    Sarebbe   palese,   infatti,  che  una  maggiore  e  differenziata
 assegnazione di fondi  destinati  a  determinare  maggior  volume  di
 investimenti in opere di edilizia residenziale pubblica nelle regioni
 del  Mezzogiorno,  si  tradurrebbe, inevitabilmente in un conseguente
 incremento di accessibilita' ai pubblici appalti, sia in  termini  di
 realizzazione  diretta  di  quelle  opere,  sia in termini indotti di
 forniture complementari in  favore  di  talune  imprese  rispetto  ad
 altre.
    Dopo   la   sentenza   della   Corte   costituzionale,  e  secondo
 l'interpretazione data dal provvedimento C.I.P.E. qui  impugnato,  il
 riparto  dei  contributi  Gescal configurerebbe, invero, un regime di
 vero e proprio aiuto discriminante,  costituente  misura  equivalente
 alle restrizioni quantitative alla libera circolazione dei beni e dei
 servizi (con violazione dell'art. 30 del trattato C.E.E.), o comunque
 favorente  talune  imprese e talune produzioni falsando o minacciando
 di falsare la concorrenza (con violazione  dell'art.  92),  o  infine
 costituente aiuto che e' attuato in modo abusivo (art. 93).
    Il Cipe ed il Cer, ritualmente costituitisi in giudizio insistono,
 in memoria, per il rigetto del ricorso.
    Del pari insiste per la reiezione del ricorso la regione Campania,
 pure  costituitasi  in  giudizio  per resistere alle avverse pretese,
 ampiamente ribadite dalla parte ricorrente anche in sede  di  memoria
 conclusionale.
                             D I R I T T O
    1.  -  Si  impugna,  con  il  ricorso in epigrafe, la delibera del
 C.I.P.E. del 26 giugno 1990  avente  ad  oggetto  "direttive  per  il
 programma di edilizia residenziale pubblica per il biennio 1988-89 ai
 sensi dell'art. 22, secondo comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67",
 limitatamente  alla  riserva,  a  favore  del  Mezzogiorno,  del  70%
 dell'intero gettito dei c.d. contributi Gescal.
    Prevedeva, in particolare, l'art. 22, secondo  comma,  cit.,  che,
 per l'anno 1988 i contributi di cui all'art. 10, primo comma, lettere
 b)  e c) della legge 14 febbraio 1963, n. 60, "dovuti con riferimento
 ai periodi di paga decorrenti dal  1›  gennaio  1988  sono  riversati
 dalla  Cassa depositi e prestiti all'entrata del bilancio dello Stato
 nella misura di lire 1.250 miliardi. Per l'anno 1989, e sino al 1992,
 essi sono riversati all'entrata del bilancio dello Stato nella misura
 di lire 1.000 miliardi annui.  Le  quote  residue  restano  assegnate
 all'edilizia  residenziale  pubblica per la costruzione di abitazioni
 per i lavoratori dipendenti, con una riserva del 70% per i  territori
 del Mezzogiorno".
    Sottoposta,   la   norma   anzidetta,   al   vaglio   della  Corte
 costituzionale, nella parte in cui  sottraeva  cospicue  somme  dalla
 destinazione  all'e.r.p. per destinarle al bilancio dello Stato, essa
 e' stata dichiarata  costituzionalmente  illegittima  -  sentenza  26
 aprile  1989,  n.  241  -  "nella  parte  in cui assegna all'edilizia
 residenziale  pubblica,  per  la  costruzione  di  abitazioni  per  i
 lavoratori dipendenti, l'intero gettito - e non le sole quote residue
 -  dei  contributi  dovuti ai sensi del primo comma, lettere b) e c),
 dell'art. 10 della legge 14 febbraio 1963, n. 60".
    A seguito della sentenza ora detta, il Cer,  nella  seduta  del  6
 luglio  1989,  ha  provveduto al riparto delle disponibilita' reinte-
 grate a seguito della sentenza stessa, destinando, alle  regioni  del
 Mezzogiorno,  una  quota  pari  al  48%, in applicazione del disposto
 dell'art. 2, lett. e), della legge 5 agosto  1978,  n.  457,  essendo
 venuta  meno  la  ratio  di riservare alle regioni meridionali il 70%
 previsto dalla legge, ma con riferimento alle quote residue.
    Il Ministero del bilancio e programmazione economica, peraltro, in
 considerazione  dell'incertezza  delle  norme  giuridiche   e   della
 delicatezza  della  materia,  ha  preferito  sottoporre  la soluzione
 adottata dal Cer al preventivo parere del Consiglio di Stato.
    Il supremo organo consultivo ha espresso, sul punto,  il  seguente
 avviso: "la riserva del 70% per i territori del Mezzogiorno del monte
 contributivo  di cui all'art. 10 della legge 14 febbraio 1963, n. 60,
 venne stabilita dall'ultima parte  del  secondo  comma  dell'art.  22
 della  legge  11  marzo  1988,  n.  67,  per  tutto  il periodo della
 prolungata validita' di tale obbligo contributivo  per  i  lavoratori
 dipendenti,  ovvero  sino  al periodo di paga in corso al 31 dicembre
 1992.
    Si deve quindi in primo luogo osservare che  la  tesi  secondo  la
 quale  la  detta  riserva  risponde  a  degli  obiettivi  di politica
 economica  in  base  a  priorita'  contingenti  e'   smentita   dalla
 pluriannualita' della previsione che ne fa sostanzialmente una misura
 di  medio  periodo,  come  tale non piu' legata a fattori transeunti.
 Ne' d'altro canto ritiene la sezione che la ratio legis possa  essere
 identificata   nella   volonta'   di   attribuire  alle  regioni  del
 Mezzogiorno  una  riserva  superiore  al  40%  previsto  come  minimo
 dall'art.  107  del  d.P.R. 6 marzo 1978, n. 213, solo in connessione
 con  la  contemporanea  sottrazione  al  monte  contributivo  di  una
 cospicua  somma  (1.250  miliardi  per  il  1988 e 1.000 per gli anni
 successivi sino al 1992), quasi cioe' a voler "compensare" le regioni
 meridionali in un periodo di stretta finanziaria. Tale tesi non  puo'
 essere  condivisa proprio in virtu' del meccanismo agevolativo che la
 legge ha previsto per le  regioni  meridionali  a  fronte  del  resto
 d'Italia.  In  altri  termini il legislatore non ha mai inteso, nella
 normativa precedente, attribuire al Mezzogiorno somme in assoluto de-
 terminate, ma ha sempre voluto solo garantire che una parte cospicua,
 predeterminata e  proporzionalmente  maggiore  di  fonti  finanziarie
 fosse  riservata alle regioni ricomprese in una determinata area, con
 cio'   prescindendo    dall'effettivo    ammontare    assoluto    del
 finanziamento,  ma  comunque  garantendo  una voluta sproporzione tra
 nord e sud atta a privilegiare quest'utimo rispetto a regioni a torto
 o ragione considerate piu' ricche.
    L'abbandono di un tale criterio proporzionalistico  non  e'  certo
 interdetto  al  legislatore,  ma sicuramente esso andrebbe perseguito
 con una normativa piu'  chiara  ed  esplicita,  che  non  si  ritiene
 affatto  di  individuare  in  una norma che continua ad esprimersi in
 termini di percentuale riservata.  Nulla pertanto induce a  ritenere,
 ne'  nella  lettera,  ne' nella ratio della norma, che la percentuale
 del 70% di riserva ivi esplicitamente prevista possa essere  in  sede
 di  interpretazione ridotta ad una misura in sostanza arbitraria, sol
 perche' a seguito della sentenza della Corte  costituzionale  n.  241
 del 13-26 aprile 1989 l'ammontare in termini assoluti dell'intero sia
 lievitato.  Si deve pertanto concludere che la riserva del 70% di cui
 al  secondo  comma dell'art. 22 in esame sia da applicare altresi' in
 occasione della ripartizione  delle  somme  ritornate  disponibili  a
 seguito della sentenza citata.  Per l'effetto, il Cer ha rinnovato la
 propria  proposta attenendosi al parere come sopra espresso e ad esso
 si e' uniformato il Cipe nell'emanare il provvedimento gravato con il
 ricorso in epigrafe.
    2.  -  Assume  la  regione  ricorrente  l'illegittimita'  di  tale
 determinazione,  in  quanto  la  pronuncia   additiva   della   Corte
 costituzionale  avrebbe  travolto  anche quella parte della norma che
 riserva alle regioni del Mezzogiorno la percentuale del 70%, questa -
 una volta venuto meno il carattere residuale  delle  somme  destinate
 all'e.r.p.  -  dovendosi  pure  ritenere venuta meno ed eliminata dal
 contesto logico della norma,  con  la  conseguente  reviviscenza,  in
 parte  qua,  del  previgente  tessuto  normativo,  che riservava alle
 regioni anzidette una percentuale non inferiore al 40%  dei  proventi
 in questione (art. 2, lett. e)), legge n. 457/1978.
    In particolare, si sostiene da parte della ricorrente, malgrado la
 Corte  non si sia pronunciata sulla parte del secondo comma dell'art.
 22 relativo alla utilizzazione delle quote residue, la stessa (stante
 l'evidente e totale dipendenza della disposizione che  dirottava  sul
 bilancio  dello  Stato  larga parte dei prelievi) sarebbe venuta meno
 per l'effetto additivo principale, data  l'impossibilita'  della  sua
 applicazione  per  scomparsa  del  soggetto  e del quid cui risultava
 riferita la ripetuta percentuale del 70%.
    Ritiene il collegio di non poter condividere tale impostazione.  E
 cio' non solo per le considerazioni sistematiche svolte dal Consiglio
 di  Stato  nel proprio parere - le cui conclusioni la sezione ritiene
 peraltro di condividere e far proprie - ma anche in quanto  la  Corte
 costituzionale  con  la propria pronuncia ha, in effetti, investito -
 nei limiti, del resto, dell'ordinanza di rimessione -  solo  primo  e
 secondo  periodo  del secondo comma dell'art. 22 in questione, mentre
 non ha ritenuto, evidentemente, che tra tali disposizioni  e  quella,
 distinta,  contenuta  nel  terzo periodo - e relativa al 70% a favore
 delle aree del Mezzogiorno, di cui qui si discute - sussistesse alcun
 intrinseco nesso di conseguenzialita' logica tale  da  condurre  alla
 declaratoria di illegittimita' della stessa, altrimenti necessaria ai
 sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    La  disposizione  di  cui  al  terzo periodo dell'art. 22, secondo
 comma, in esame e', in effetti, per  cosi'  dire,  influenzata  dalla
 sentenza  di  incostituzionalita', ma solo nei suoi aspetti esteriori
 e, in particolare, per gli aspetti terminologici relativi alle "quote
 residue" (che, ormai, tali piu' non sono in quanto, in base  a  detta
 sentenza,  reintegrate),  nonche'  nella  parte  relativa  alla  loro
 destinazione all'edilizia  residenziale  pubblica  (la  cui  espressa
 previsione  diviene,  in  effetti, pleonastica una volta soppressa la
 destinazione di parte della contribuzione al bilancio  dello  Stato);
 ma  essa,  per contro, non puo' ritenersi coinvolta dal travolgimento
 della norma a monte nella parte in cui contiene l'espressione di  una
 voluntas   legis  che  non  e'  intrinsecamente  ed  inscindibilmente
 collegata con la prima parte della norma,  apparendo,  in  effetti  -
 giusta  sopra rilevato - il frutto di un apprezzamento per piu' versi
 distinto ed autonomo, ancorche' contestuale, operato dal  legislatore
 e  reso  in  un momento in cui andava ad innovarsi significativamente
 rispetto  alla  disciplina   previgente   in   considerazione   delle
 accresciute   esigenze   del  bilancio  dello  Stato.  Cio'  che,  in
 conclusione, porta ad escludere  quella  intima  interdipendenza  tra
 norma  annullata  e  norma  in  esame che dovrebbe, secondo l'assunto
 attoreo, condurre al sostanziale venir meno o, comunque, alla perdita
 di efficacia della disposizione stessa la quale, per  contro,  doveva
 ritenersi  pienamente  operante  al  momento  della  ripartizione dei
 proventi di cui si discute.
    Ne' appare significativo, in contrario, il  fatto,  dedotto  dalla
 ricorrente,  in  memoria, che il legislatore abbia, successivamente -
 art. 18 del d.l. n. 152/1991, conv. in  legge  n.  203/1991  -,  con
 riferimento  ai  proventi  di cui trattasi, stabilito che per la loro
 ripartizione rimane ferma la riserva di cui all'art. 2, primo  comma,
 lett. e), della ripetuta legge n. 457/1978.
    Ed  invero, come segnalato dal Consiglio di Stato, la disposizione
 di cui all'art. 22, secondo comma  della  legge  n.  67/1988  e'  una
 "misura  di medio periodo" e, pertanto, efficace per tutta la durata,
 ancorche' delimitata (nella specie, 1988/92) ad  essa  assegnata.  Se
 poi,  nel corso del periodo stesso, il legislatore ritiene di doversi
 determinare diversamente, ripristinando anticipatamente l'efficacia -
 peraltro, solo sospesa - della norma previgente,  questo  rappresenta
 un  fatto  accidentale  e consentito dall'ordinamento, ma non tale da
 incidere sull'efficacia intertemporale delle norme.
    Con la conseguenza che l'invocato art. 18 del d.l.  n.  152/1991,
 conv. in legge n. 203/1991 non puo' essere riguardato alla stregua di
 una   norma   interpretativa  del  previgente  assetto,  bensi'  come
 disposizione che innova ad esso, anticipando al 1991  la  ripresa  di
 efficacia  della  norma  di  cui  alla  legge  n. 457/1978 e comunque
 tendendo a ribadire che, a regime e' quest'ultima  la  disciplina  da
 applicare.
    Da  quanto  sopra  discende che il Cipe ha operato la ripartizione
 qui impugnata attenendosi al dettato  di  cui  all'art.  22,  secondo
 comma,  della legge n. 67/1988, come modificato dalla citata sentenza
 di incostituzionalita' n. 241/1989, donde  l'infondatezza  del  primo
 motivo di gravame.
    3.  -  Ne' puo' essere condiviso l'ultimo motivo di ricorso - che,
 in ordine logico, si esamina preventivamente - secondo cui la riserva
 alle regioni del Mezzogiorno del 70% dei proventi  di  cui  trattasi,
 violerebbe i principi di cui agli artt. 30, 92 e 93 del trattato CEE,
 concernenti,  il primo il divieto di introdurre restrizioni quantita-
 tive all'importazione o misure equivalenti, gli altri il  divieto  di
 introdurre   aiuti  (non  autorizzati  dalla  commissione  CEE)  che,
 favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino  di
 falsare  la  concorrenza; con la conseguenza che il collegio dovrebbe
 rimettere, in via pregiudiziale, ex art. 177  dello  stesso  trattato
 CEE,  la  questione  della  compatibilita'  con  le  disposizioni del
 Trattato  anzidette  di  una  disciplina  nazionale   che   privilegi
 l'assegnazione  di  cospicui fondi a beneficio di alcune sole regioni
 nazionali  -  e,  dunque,  implicitamente,   dell'imprenditoria   ivi
 operante - e a danno di altre.
    Ed  invero,  a parte ogni altra possibile considerazione, vi e' da
 osservare che a livello comunitario e' indifferente che  i  fondi  di
 cui  trattasi  beneficino l'una anziche' altra regione del territorio
 nazionale; la disciplina comunitaria mira, infatti, ad evitare che le
 c.d. "preferenze regionali" possano - in quanto risolventisi  in  una
 riseva  di  produzione  limitata  e  circoscritta  alle  sole imprese
 insediate in un ambito territoriale ristretto e definito  -  alterare
 il  principio  della  libera  concorrenza e della libera circolazione
 delle persone, dei capitali e del lavoro; ma nel momento in cui tutte
 le imprese, non solo nazionali ma anche  di  tutti  gli  altri  Stati
 membri,  sono  poste  in grado di esercitare, a parita' di condizioni
 con le imprese locali, la propria attivita' inerente  allo  specifico
 settore   di   cui   trattasi,  deve  escludersi  la  sussistenza  di
 inammissibili preferenze regionali.
    E poiche' le regioni del Mezzogiorno, come  tutte  le  altre,  del
 resto,  sono tenute, nel campo dell'edilizia residenziale pubblica, a
 rispettare i principi non discriminatori sanciti dal trattato  CEE  e
 ad  osservare  la  specifica  disciplina  attuativa,  nel settore dei
 lavori pubblici, della dir. 89/440/CEE, modificativa  ed  integrativa
 della  dir.  71/305/CEE  (di  cui,  sul  piano  interno, al d.lgs. n.
 406/1991) e, nel settore  delle  forniture,  della  dir.  88/295/CEE,
 modificativa  ed  integrativa della dir. 77/62/CEE (di cui, sul piano
 interno, alla legge 113/81 ed al d.lgs.  n.  48/1992),  non  e'  dato
 vedere   in   che   termini   potrebbero   verificarsi   le  dedotte,
 inammissibili preferenze, ove si consideri che le  norme  e  principi
 anzidetti,  atti  a  garantire la trasparenza nell'assegnazione delle
 opere e forniture  pubbliche  e  la  par  condicio  dei  concorrenti,
 nazionali  e  non,  operano,  nella  stessa  misura  e  con la stessa
 efficacia su tutto il territorio nazionale (e,  dunque,  anche  nelle
 regioni che al Mezzogiorno non appartengono).
    Non  e' dato vedere, percio', quale effetto, in termini giuridici,
 distorsivo della concorrenza e della libera circolazione di  persone,
 capitali    e    lavoro,    potrebbe   correlarsi   al   solo   fatto
 dell'assegnazione di fondi in misura regionalmente differenziata.
    Con la conseguenza che non puo' aderirsi  neppure  alla  richiesta
 avanzata  con  il  terzo  motivo  di  ricorso  ne' ritenersi, percio'
 stesso, che tale disciplina - come dedotto  nello  stesso  motivo  di
 gravame   -  possa  ledere  i  principi  di  cui  all'art.  11  della
 Costituzione.  4. - Resta da chiedersi, a questo punto, se  la  norma
 di  cui trattasi, nell'assegnare il 70% dei contributi Gescal - cosi'
 come integrati a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.
 241/1989 - alle  regioni  del  Mezzogiorno  possa  ritenersi  o  meno
 conforme  al  dettato costituzionale e, in particolare agli artt. 3 e
 97 della Costituzione.  Ritiene la sezione che la questione  non  sia
 manifestamente  infondata.    Premessa,  invero,  la  rilevanza della
 questione stessa - che', stante l'infondatezza delle doglianze teste'
 esaminate, non puo' dubitarsi che il travolgimento o la conservazione
 della norma nella parte in cui  riserva  il  70%  dei  proventi  alle
 regioni  del  Mezzogiorno sarebbe decisivo ai fini della definizione,
 rispettivamente in senso positivo o negativo, del gravame  -  osserva
 il   collegio  che  il  mantenimento  della  disposizione  in  parola
 nell'ordinamento giuridico si verifica in una situazione normativa  -
 conseguente  alla  rimozione  di  altra, precedente parte della norma
 stessa - che il legislatore del  1988  non  aveva  potuto  certamente
 prendere in considerazione.
    Quel  che  si  vuol  dire  e' che, pur mantenendo il terzo periodo
 dell'art. 22, secondo comma,  della  legge  n.  67/1988,  la  propria
 autonomia  vigenza,  esso, cio' non di meno, e' stato emanato tenendo
 conto di presupposti giuridici peculiari, successivamente venuti meno
 per l'intervento caducatorio della suprema Corte. Vi e',  allora,  da
 chiedersi  se, sul piano della ragionevolezza di cui all'art. 3 della
 Costituzione,  possa  ritenersi  tuttora  conforme  ai  principi   di
 legittimita'  una  norma emanata sulla base di presupposti giuridico-
 normativi radicalmente modificati, con la conseguenza di portare alla
 produzione  di  effetti  assolutamente diversi, in linea di fatto, ed
 obiettivamente distorti rispetto a quelli a suo tempo ipotizzati  dal
 legislatore.
    Effetti che, incidendo anche sulla piena funzionalita' della norma
 stessa,  fanno  anche  dubitare  della sua conformita' ai principi di
 buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione.
    Per i suesposti motivi,  in  considerazione  della  non  manifesta
 infondatezza  delle  questioni  di legittimita' costituzionale teste'
 esaminate e attesa la cennata rilevanza  delle  questioni  stesse  ai
 fini  del  decidere,  ritiene  il  collegio  di  dover  sollevare  la
 questione di  legittimita'  costituzionale  del  precitato  art.  22,
 secondo  comma,  terzo periodo, della legge 11 marzo 1988, n. 67, con
 riferimento agli artt. 3 e 97  della  Costituzione,  con  contestuale
 sospensione   del   presente   giudizio   fino  all'esito  di  quello
 incidentale di costituzionalita'.
                               P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente  infondata,  in  relazione
 agli  artt.  3  e 97 della Costituzione, la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 22,  secondo  comma,  terzo  periodo,  della
 legge  11  marzo  1988, n. 67 (legge finanziaria 1988) nella parte in
 cui riserva alle regioni e altri territori del Mezzogiorno il 70% dei
 proventi di cui al primo comma, lettere b) e c), dell'art.  10  della
 legge  14  febbraio 1963, n. 60, reintegrati a seguito della sentenza
 della Corte costituzionale 26 aprile 1989, n. 241;
    Ordina, pertanto, l'immediata trasmissione degli atti  alla  Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso;
    Ordina,   altresi',  che  a  cura  della  segreteria  la  presente
 ordinanza sia notificata alle  parti  in  causa,  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidente delle due Camere
 del Parlamento.
    Cosi' deciso in Roma dal tribunale  amministrativo  regionale  del
 Lazio, sezione terza, nella camera di Consiglio del 1› luglio 1992.
                         Il presidente: MICELI
                                    Il consigliere estensore: BUONVINO
 93C0578