N. 258 SENTENZA 26 maggio - 1 giugno 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Pena - Pena militare - Reclusione  militare  -  Rimozione  dal  grado
 quando  inflitta  per  la  durata  superiore a tre anni - Trattamento
 differenziato degli ufficiali e  sottufficiali  rispetto  agli  altri
 militari  - Violazione del principio di uguaglianza - Previsione "per
 gli altri militari" della rimozione conseguente  alla  condanna  alla
 reclusione  militare  per  una durata diversa da quella stabilita per
 gli ufficiali e sottufficiali - Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.P.M.P., art. 29).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.24 del 9-6-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 29 del codice
 penale militare di pace promosso con ordinanza emessa  il  15  luglio
 1992  dal  Tribunale  militare  di  Padova  nel procedimento penale a
 carico di Marangi Antonio, iscritta al n. 653 del registro  ordinanze
 1992  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42,
 prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio  1993  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  Tribunale militare di Padova, dopo aver premesso che nei
 confronti  di  un  graduato,  imputato  di  lesione  personale  grave
 continuata, il pubblico ministero ha chiesto la condanna alla pena di
 un anno e quindici giorni di reclusione militare, pena che, ad avviso
 dello  stesso  Tribunale  "appare  congrua",  osserva  che,  a  norma
 dell'art. 29 del codice penale militare di pace la condanna alla pena
 della reclusione militare per durata superiore ad un  anno  comporta,
 se  il  condannato  riveste un grado diverso da quello di ufficiale o
 sottufficiale, la pena accessoria  della  rimozione  del  grado;  nei
 confronti  dell'ufficiale  o  sottufficiale,  invece,  la stessa pena
 accessoria si applica quando la reclusione militare e' stata inflitta
 per una durata superiore a tre  anni.  Tale  previsione,  afferma  il
 giudice a quo, vulnera il principio di uguaglianza "per l'automatismo
 che  la  caratterizza,  che  poi  ineluttabilmente  porta  sul  piano
 amministrativo alla cessazione dal servizio", senza che a cio' sia di
 ostacolo il potere del giudice di graduare la pena ai sensi dell'art.
 133 del codice penale, posto che i relativi parametri non  coincidono
 con  quelli  che  dovrebbero operare nella valutazione se applicare o
 meno una pena accessoria. Ma il principio di uguaglianza  -  sostiene
 il  rimettente - riceve violazione ancor piu' grave in dipendenza del
 diverso trattamento sanzionatorio riservato ai  graduati  di  truppa,
 rispetto  a  quello  che  opera  per  gli  ufficiali e sottufficiali,
 giacche', anzi, proprio per questi ultimi si imporrebbe un regime  di
 maggior   rigore   "in   considerazione   della  presumibile  maggior
 pericolosita' derivante  dal  grado  piu'  elevato,  e  quindi  dalla
 posizione di maggior responsabilita' nell'ambito delle Forze Armate".
 Ove,  invece,  la segnalata disparita' si giustifichi in funzione del
 fatto che per gli ufficiali e sottufficiali il grado  si  collega  al
 permanere  del  rapporto  di  servizio  e  di  pubblico impiego, alla
 posizione di questi  avrebbe  dovuto  essere  equiparata  quella  dei
 graduati  di  truppa che, come l'imputato (caporalmaggiore volontario
 in  ferma  prolungata),  prestano  "servizio  militare   per   scelta
 professionale,   con   la  prospettiva  di  conseguire  il  grado  di
 sottufficiale".
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,
 chiedendo che  la  questione  sia  dichiarata  non  fondata.  Osserva
 l'Avvocatura  che  l'automatismo  e' caratteristica tipica delle pene
 accessorie che, per  alcuni,  dovrebbe  estendersi  anche  alle  pene
 principali  al  fine di eliminare o contenere il potere discrezionale
 del giudice:  il  che,  evidentemente,  non  viola  il  principio  di
 uguaglianza.  Quanto  al  secondo rilievo mosso dal giudice a quo, la
 difesa   dello   Stato   osserva   che   nel    sistema    gerarchico
 dell'ordinamento  militare,  le  due categorie poste a raffronto sono
 fra loro profondamente diverse: d'altra parte, il diverso trattamento
 appare ragionevole "in relazione alla piu' elevata responsabilita'  -
 e  quindi possibilita' di 'errori' - posta a carico degli ufficiali e
 sottufficiali".
                        Considerato in diritto
   Il  Tribunale  Militare  di  Padova  denuncia,  perche'  "priva  di
 giustificazioni razionali", la disciplina dettata  dall'art.  29  del
 codice  penale militare di pace, nella parte in cui stabilisce che la
 condanna alla reclusione militare  importa  la  rimozione  dal  grado
 quando  e' inflitta per la durata superiore a tre anni, nei confronti
 degli ufficiali e sottufficiali, e per durata superiore ad  un  anno,
 nei  confronti  degli  altri  militari.  Dopo  aver  accennato, senza
 ulteriore sviluppo argomentativo, alla violazione che il principio di
 uguaglianza verrebbe a subire in rapporto  al  meccanismo  automatico
 con  cui  deve  applicarsi  tale pena accessoria, essendo al riguardo
 esclusa qualsiasi valutazione discrezionale sull'  an  da  parte  del
 giudice,  il Tribunale rimettente ritiene che una lesione "ancor piu'
 grave" del medesimo principio debba rinvenirsi  nella  ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  sanzionatorio  che  la  norma  impugnata
 stabilisce a seconda che il condannato rivesta il grado di  ufficiale
 o  sottufficiale, ovvero di graduato di truppa. A rigor di logica, ha
 osservato il giudice a quo, se una distinzione  meritasse  di  essere
 operata  tra la posizione dell'ufficiale o del sottufficiale rispetto
 a quella del graduato di truppa, dovrebbe valere il criterio  opposto
 a  quello  stabilito  nella disposizione censurata, giacche', proprio
 "in considerazione della presumibile maggior pericolosita'  derivante
 dal  grado  piu' elevato" e tenuto conto, quindi, del maggior livello
 di responsabilita' che gli ufficiali e sottufficiali sono chiamati ad
 assumere, si imporrebbe per essi  un  trattamento  piu'  rigoroso  di
 quello riservato ai graduati di truppa.
    2.  -  L'assunto  del  giudice a quo e' contestato dall'Avvocatura
 sulla base di un duplice ordine  di  considerazioni.  Per  un  verso,
 infatti,  il  "sistema  gerarchico"  che  caratterizza  l'ordinamento
 militare, consente di intravedere una "profonda  diversita'"  tra  le
 categorie  degli  ufficiali  e  dei  sottufficiali, da un lato, e dei
 graduati di truppa dall'altro; sicche',  afferma  l'Avvocatura,  gia'
 tale  rilievo  basterebbe  a giustificare il differente regime che la
 norma impugnata stabilisce  in  ordine  alla  pena  accessoria  della
 rimozione.   D'altro   canto,   soggiunge  l'Avvocatura,  il  diverso
 trattamento che forma oggetto di censura rinviene una sua ragionevole
 spiegazione nel fatto che alla maggiore responsabilita'  dei  compiti
 che  gli  ufficiali  ed  i  sottufficiali  sono chiamati ad assolvere
 corrisponde una piu' ampia possibilita' di "errori".
    Nessuno degli argomenti addotti  dalla  difesa  dello  Stato  puo'
 essere condiviso. Resta infatti apodittico l'assunto secondo il quale
 un  ordinamento  gerarchicamente  strutturato  postulerebbe, per cio'
 solo, la legittimita' di  un  differenziato  regime  nel  trattamento
 penale  di  condotte  identiche  in funzione del grado rivestito, ove
 questo non sia riguardato dalla legge come  elemento  tipizzante  che
 qualifica  l'illecito. Se, dunque, tra le categorie poste a raffronto
 si invocano genericamente "profonde diversita'", senza  che  peraltro
 delle stesse siano individuati gli esatti confini e la natura, o tali
 diversita'  valgono a separare fra loro la posizione degli ufficiali,
 dei  sottufficiali  e  dei  graduati  di  truppa  e  raggiungono  una
 specificita'   tale  da  giustificare,  per  ciascuna  categoria,  un
 differente trattamento sul piano sanzionatorio, oppure,  all'inverso,
 il  rilievo  dell'inquadramento gerarchico sfuma per tutti, imponendo
 un paritetico regime. Inaccettabile e' inoltre  la  tesi  secondo  la
 quale  il  diverso  e  piu'  favorevole  trattamento  riservato  agli
 ufficiali   e   sottufficiali,   rinverrebbe   un  suo  "ragionevole"
 fondamento nel fatto che  alla  maggiore  responsabilita'  di  questi
 corrisponde  una  piu' ampia "possibilita' di "errori": a smentire la
 fondatezza di un simile argomento, infatti, e' sufficiente il rilievo
 che l'"errore" di cui fa cenno l'Avvocatura  si  realizza  attraverso
 una   condotta   penalmente  sanzionata,  cosicche'  sarebbe  davvero
 paradossale ipotizzare che  maggiormente  esposti  al  "rischio"  del
 delitto  siano  proprio  quei  soggetti  che, rivestendo i gradi piu'
 elevati nell'ordinamento militare, presuppongono,  al  contrario,  il
 possesso  di  qualita' specifiche del tutto antagoniste rispetto alla
 eventualita'  che  quei  soggetti  pongano  in  essere  comportamenti
 illeciti  che addirittura integrano ipotesi previste dalla legge come
 reato.
   3. -  L'assunto  della  Avvocatura,  dunque,  lungi  dal  rivelarsi
 foriero  di appaganti risposte circa la "ragionevolezza" della norma,
 finisce,  a  ben  guardare,  per  rendere  evidente  come   qualsiasi
 argomento che si intendesse addurre per giustificare la disparita' di
 trattamento  che  il  giudice  a quo censura, puo' essere agevolmente
 impiegato  per  dimostrare   l'esatto   contrario,   rendendo   cosi'
 contraddittoria  ed  evanescente la ratio posta a base della indicata
 disparita'  di  regime  e,  per  l'effetto,  fondato  il  dubbio   di
 legittimita'  costituzionale.  Una  fedele  testimonianza  di  quanto
 appena osservato e' d'altra parte offerta, a parere di questa  Corte,
 dagli stessi lavori preparatori che hanno accompagnato la stesura del
 codice penale militare di pace.
    Nello  stabilire  i limiti delle condanne dalle quali far derivare
 l'applicazione della pena accessoria della rimozione, la  Commissione
 ministeriale  che  curo'  il progetto definitivo ritenne, infatti, di
 doversi "notevolmente discostare" da quanto  era  stato  al  riguardo
 stabilito  in  sede  di progetto preliminare, ove si disponeva che la
 rimozione dovesse conseguire alla condanna alla  reclusione  militare
 per  un tempo superiore a tre anni per gli ufficiali, e alla condanna
 alla  stessa  pena  per  un  tempo  superiore  a  un   anno   per   i
 sottufficiali.   Nell'esplicitare  le  ragioni  della  nuova  scelta,
 rimasta  poi  inalterata  nel  testo  definitivo   del   codice,   la
 Commissione  ministeriale  ebbe puntualmente a rilevare che "se e' da
 tener presente che, nel caso della rimozione, la  perdita  del  grado
 puo'  apparire  sanzione  tanto  piu'  grave  quanto  piu'  quello e'
 elevato, ugualmente e' da considerare  che  il  reato  militare  puo'
 apparire  tanto  piu' grave quanto piu' e' elevato il grado di chi lo
 commette. E  per  queste  considerazioni,  la  Commissione,  pur  non
 ritenendo  di  dover  aderire ad alcune proposte di invertire per gli
 ufficiali e i sottufficiali i limiti  della  pena  principale,  quali
 sono   posti   nel  progetto,  per  farne  derivare  l'effetto  della
 rimozione," decise "di stabilire il limite di tre anni tanto per  gli
 ufficiali  quanto  per i sottufficiali, non aggravandosi la posizione
 dei primi, ma migliorandosi quella dei secondi,  cosi'  da  eliminare
 l'ingiustificata   disparita'   di   trattamento"   (relazione  della
 Commissione ministeriale al progetto definitivo, n. 31).
    Il legislatore dell'epoca precedente alla Costituzione  ha  dunque
 avvertito come fonte di "ingiustificata disparita' di trattamento" il
 differenziato  regime  che  il  progetto  preliminare  stabiliva  tra
 ufficiali e sottufficiali, sul presupposto che il  diverso  tasso  di
 afflittivita'  che  la  pena accessoria presenta in ragione del grado
 rivestito  non  potesse  essere  riguardato  come  criterio  idoneo a
 fondare un trattamento di maggior favore per una categoria a  scapito
 dell'altra.  E  cio'  perche',  come  ha  osservato  anche il giudice
 rimettente, ben potrebbe ipotizzarsi un regime  addirittura  inverso,
 qualora  si  ritenesse  di  dover correlare la maggiore severita' del
 trattamento sanzionatorio al  piu'  elevato  grado  che  il  militare
 ricopre.
    Se,   quindi,  la  scelta  del  legislatore  e'  stata  quella  di
 equiparare fra loro la posizione degli ufficiali e dei sottufficiali,
 e  se,  ancora,  al  nucleo  di  tale  opzione  sta   la   constatata
 impossibilita'  di  rinvenire  elementi  tali  da poter adeguatamente
 sostenere una disciplina  differenziata  fra  le  due  categorie,  e'
 evidente, allora, che il diverso e meno favorevole limite di pena che
 il codice prevede per i graduati di truppa e', per le stesse ragioni,
 idoneo  a  generare quella "ingiustificata disparita' di trattamento"
 che   la   Commissione   ministeriale   intese   sanare    attraverso
 l'equiparazione  di  cui  si e' detto. In tale contesto, pertanto, le
 condivisibili censure che il giudice a quo  partitamente  svolge  per
 contestare  ciascuna  delle  possibili  "ragioni"  che  sosterrebbero
 l'impugnata normativa, si rivelano indicative di  come,  in  realta',
 nessuna   "ragione"  possa  ritenersi  univocamente  enucleabile  dal
 sistema,  con  l'ovvia  conclusione  di   rendere   la   disposizione
 confliggente,  in  parte  qua,  con  il principio sancito dall'art. 3
 della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  29  del  codice
 penale militare di pace nella parte in cui prevede che "per gli altri
 militari"   la  rimozione  consegue  alla  condanna  alla  reclusione
 militare  per  una  durata  diversa  da  quella  stabilita  "per  gli
 ufficiali e sottufficiali".
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 1 giugno 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0590