N. 270 SENTENZA 27 maggio - 4 giugno 1993
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Pena - Condannato all'ergastolo - Revoca della liberazione condizionale gia' concessa - Determinazione da parte del giudice della pena detentiva residua da espiare - Esclusione - Richiamo della sentenza n. 282/1989 - Richiesta di sentenza additiva - Discrezionalita' legislativa - Inammissibilita'. (C.P., art. 177, primo comma). (Cost., artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma).(GU n.24 del 9-6-1993 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 177, primo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 13 novembre 1992 dal Tribunale di sorveglianza di Torino nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Mesina Graziano, iscritta al n. 58 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1993; Udito nella camera di consiglio del 21 aprile 1993 il Giudice relatore Giuliano Vassalli; Ritenuto in fatto 1. - Il Tribunale di sorveglianza di Torino, con ordinanza del 18 ottobre 1991, concedeva a Mesina Graziano, condannato alla pena dell'ergastolo, il beneficio della liberazione condizionale: veniva conseguentemente applicata all'interessato la liberta' vigilata per anni cinque. A se'guito di comunicazione da parte degli organi preposti alla vigilanza, si instaurava la procedura per la revoca del beneficio. All'udienza del 13 novembre 1992 il difensore del Mesina eccepiva l'illegittimita', in riferimento all'art. 3 e 27 della Costituzione, dell'art. 177 del codice penale, nella parte in cui esclude che, nel caso di revoca della liberazione condizionale gia' concessa al condannato all'ergastolo, il giudice possa determinare la pena ancora da espiare. 2. - Con ordinanza del 13 novembre 1992 il Tribunale di sorveglianza di Torino riteneva rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione, denunciando, in riferimento ai parametri costituzionali invocati dal ricorrente, l'illegittimita' dell'art. 177, primo comma, del codice penale, "nella parte in cui esclude che nel caso di revoca della liberazione condizionale gia' concessa al condannato all'ergastolo, il giudice possa determinare la pena detentiva ancora da scontare". In punto di rilevanza, il Tribunale osserva che il comportamento del Mesina appare tale da comportare la revoca della liberazione condizionale, donde l'applicazione della norma censurata nel giudizio a quo. In punto di non manifesta infondatezza, i dubbi di legittimita' vengono fatti risalire alle statuizioni contenute nella sentenza costituzionale n. 282 del 1989 che ha contestato l'automatismo della revoca ex art. 177 del codice penale, affermando il principio che la "nozione di esecuzione va estesa fino a comprendere le modalita' esecutive di tutte le misure, anche solo limitative della liberta' personale, nelle varie leggi previste". Secondo il giudice a quo, dalla decisione di questa Corte - dichiarativa dell'illegittimita' dell'art. 177, primo comma, del codice penale, nella parte in cui, nel caso di revoca della liberazione condizionale, non consente al tribunale di sorveglianza di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenuto conto del tempo trascorso in liberta' condizionale nonche' delle restrizioni di liberta' subite dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo - deriverebbe la presa d'atto che nell'ambito dell'istituto della liberazione condizionale all'estinzione di un rapporto giuridico fa da riscontro la costituzione di un nuovo rapporto dello stesso tipo. In questa prospettiva, la revoca della liberazione condizionale determina due conseguenze: per un verso, l'estinzione dello status di "vigilato in liberta'", per un altro verso, la (ri)costituzione dello status di detenuto; un effetto estintivo e costitutivo insieme, senza che, peraltro, venga considerato il periodo trascorso in liberta' vigilata. Donde - sempre secondo le linee tracciate da questa Corte - la diversita' della nuova pena detentiva, non determinabile se non attraverso un ulteriore giudizio, e con il compito del tribunale di sorveglianza "nel quantificare la residua pena", di "provvedere a sottrarre, dalla pena inflitta in sede di cognizione, il concreto carico afflittivo subi'to dal condannato durante la liberta' vigilata prima della causa di revoca". Con in piu', la necessita' che, all'atto della revoca della liberazione condizionale, il tribunale, sulla base di una prognosi fondata anche sul periodo trascorso in liberta', valuti "il grado di rieducazione raggiunto dal condannato e conseguentemente il grado della sua rieducabilita' al fine di determinare la pena residua, personalizzando gli effetti della revoca, nell'entita' necessaria per l'ulteriore rieducazione del condannato". Quest'opera di rideterminazione - dovuta, secondo i criteri indicati dalla Corte costituzionale - risulterebbe preclusa dall'assenza di ogni termine fissato dal legislatore per assicurare lo stralcio della pena inutilmente espiata in regime di liberta' vigilata: le alternative proponibili riducendosi o nella determinazione ex novo della pena irrogata dal giudice di cognizione, con conseguente, violazione del giudicato, o riportando la revoca della liberazione condizionale in una logica esclusivamente afflittiva, contrastante con la piu' volte ricordata decisione di questa Corte. Di qui la compromissione dell'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificata diversita' di trattamento tra condannato a pena temporanea e condannato all'ergastolo, pur prevedendo la legge per entrambe le categorie di condannati, quale condizione per la concessione del beneficio, "il sicuro ravvedimento", con previsione di precise indicazioni temporali per accedere ad esso. Nel caso di revoca, nonostante rimanga unico il presupposto per entrambi i condannati, mentre in relazione ai primi e' possibile sottrarre il periodo di pena inflitta in liberta' vigilata, con riguardo ai secondi la detta operazione resta preclusa. Circa il contrasto con l'art. 27 della Costituzione, il giudice a quo sottolinea la funzione intimamente collegata alla finalita' rieducativa della liberazione condizionale, una finalita' che resterebbe compromessa nel caso di revoca del beneficio al condannato all'ergastolo, per l'impossibilita' sia di sottrarre il carico afflittivo gia' sopportato sia di rideterminare la pena ancora da espiare; con l'ulteriore pesantissimo aggravio di non poter usufruire una seconda volta della liberazione condizionale. Senza, peraltro, tenere in alcun conto ne' la gravita' dei fatti che hanno provocato la revoca ne' l'eventuale reinserimento sociale del condannato nel periodo in cui e' stato sottoposto a liberta' vigilata. 3. - L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9, prima serie speciale, del 24 febbraio 1993. 4. - Nel giudizio non si e' costituita la parte privata ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. Considerato in diritto 1. - Il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, della legittimita' dell'art. 177, primo comma, del codice penale, nella parte in cui esclude che, nel caso di revoca della liberazione condizionale, gia' concessa al condannato all'ergastolo, il giudice possa determinare la pena detentiva ancora da espiare. Nonostante che nella motivazione dell'ordinanza il rimettente accenni "all'ulteriore pesantissimo aggravio per il condannato di non poter piu' usufruire una seconda volta della liberazione condizionale", il thema decidendum resta circoscritto all'ambito della questione concernente la rideterminazione della pena, anche perche' il giudizio a quo risulta rigorosamente delimitato dalla richiesta di revoca della liberazione condizionale, con conseguenti riverberi in ordine alla rilevanza. 2. - A fondamento delle proposte censure e' il costante richiamo, da parte del Tribunale di sorveglianza, alle proposizioni contenute nella sentenza n. 282 del 1989, con la quale questa Corte dichiaro' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 177, primo comma, del codice penale, nella parte in cui, nel caso di revoca della liberazione condizionale, non consente al tribunale di sorveglianza di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso in liberta' condizionale, nonche' delle restrizioni subi'te dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo. Secondo il giudice a quo, poiche' "nel caso di condanna all'ergastolo non e' possibile effettuare l'operazione logico- valutativa richiesta dalla norma in esame ai fini della revoca", ne consegue, di fatto, la preclusione della procedura "di sottrazione dalla pena inflitta dal giudice di cognizione del carico afflittivo sopportato dal condannato all'ergastolo nel tempo in cui e' stato sottoposto a liberta' vigilata". Non sarebbe, infatti, possibile la rideterminazione della pena relativamente al condannato a pena perpetua, restando inipotizzabile l'operazione di "scorporo" della frazione di pena utilmente espiata in regime di liberta' vigilata, perche' altrimenti si verrebbe a determinare ex novo una pena diversa rispetto a quella stabilita in sede di cognizione, in tal modo violandosi il principio dell'intangibilita' del giudicato. L'impossibilita' di una simile rideterminazione comporterebbe l'effetto che la revoca automatica, facendo rivivere ex tunc la sanzione inflitta dal giudice della cognizione, cioe' l'ergastolo, assegnerebbe alla revoca una funzione esclusivamente afflittiva, peraltro venuta meno proprio a se'guito della sentenza n. 282 del 1989. 3. - La questione e' inammissibile. L'aggancio istituito dagli argomenti addotti dal rimettente - nel censurare il disposto dall'art. 177, primo comma, del codice penale, relativamente ai condannati all'ergastolo - alle statuizioni contenute nella piu' volte ricordata sentenza n. 282 del 1989, risulta senza dubbio pertinente. La Corte, infatti, con tale decisione, dopo aver rilevato che "la liberazione condizionale, dal momento dell'ammissione del condannato alla medesima fino a quello della sua revoca ex art. 177 del codice penale, comporta l'adempimento da parte del condannato di particolari prescrizioni" limitative della sua liberta', ne ha tratto la conseguenza che la posizione del condannato stesso "non e' di "totale liberta'". Dalla revoca della liberazione deve percio' derivare, riconosciuta l'esistenza di vincoli afflittivi, la possibilita' di uno "scomputo" della pena trascorsa in liberta' condizionale. Se detenzione e liberta' vigilata sono "misure" che, per la loro non omogeneita', non possono dirsi equivalenti, la comune funzione afflittiva (e rieducativa) impone comunque di determinare il tasso di concreta afflittivita' sopportato dal condannato assoggettato a liberta' vigilata a se'guito della concessa liberazione condizionale. All'ammissione alla liberazione, quale ultima frazione di una fattispecie "estintiva e costitutiva insieme", si contrappone l'atto di revoca della detta liberazione che partecipa delle stessa natura costitutiva ed estintiva; perche' all'estinzione dello status di "vigilato in liberta'" si "(ri)costituisce quello di detenuto", senza che pero' "venga preso in considerazione il periodo trascorso in liberta' vigilata, con tutti i suoi contenuti afflittivi". Dunque - ha osservato la sentenza n. 282 del 1989 - la carcerazione conseguente alla revoca della liberazione condizionale "e' nuova e diversa", con la necessita' che la pena detentiva residua deve "essere determinata attraverso un nuovo giudizio che tenga conto anche dell'afflittivita' sopportata durante la liberta' vigilata". Di qui la gia' ricordata illegittimita' dell'art. 177, primo comma, del codice penale, anzitutto perche', "aggiungendo l'effetto risolutivo della revoca", aumenta "ingiustificatamente la pena detentiva determinata dalla sentenza di condanna", annullando "anche le limitazioni della liberta' personale dovute alla liberta' vigilata" ed impedisce "il nuovo giudizio determinativo della "residua" pena detentiva". Inoltre, poiche' il limite alla pena detentiva fissato in sede di cognizione non puo' essere superato per fatti realizzati successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, mentre la detta pena puo' essere ridotta o modificata in melius nella fase esecutiva, se ne e' concluso per l'incompatibilita' della disposizione ora di nuovo denunciata, nei sensi sopra indicati, perche' altera, a danno del condannato, l'equilibrio proporzionalistico tra reato e pena determinato in astratto dalla legge ed in concreto dal giudicato, aggiungendo, in caso di revoca, alla quantita' di pena detentiva inflitta con la sentenza di condanna, altra afflizione da questa non giustificata. Il tutto con un'importante precisazione: che, prevalendo nell'istituto della liberazione condizionale la funzione rieducativa sulla esigenza retributiva, la revoca della liberazione, se non determina l'integrale scorporo del periodo trascorso in liberta' condizionata e vigilata dalla durata dell'originaria pena detentiva, deve necessariamente collegarsi alla possibilita' di valutazione di tale periodo, compiuta verificando sia la fase trascorsa dal condannato nell'osservanza delle prescrizioni sia la qualita' e quantita' dei comportamenti che hanno dato luogo alla revoca, emettendo un giudizio prognostico sulla rieducabilita' del condannato, da effettuarsi sulla base dell'esame della sua personalita'. 4. - Le argomentazioni svolte nella richiamata sentenza n. 282 del 1989 vanno qui ribadite anche nei confronti del condannato all'ergastolo, riguardo al quale la perpetuita' della pena irrogata non puo' costituire un ostacolo sufficiente per precludere in assoluto la medesima opera "di scomputo". Sia perche' altrimenti gli sarebbe riservato un trattamento di maggior rigore rispetto al condannato a pena temporanea sia perche' alla funzione rieducativa della pena non puo' essere sottratto il condannato all'ergastolo senza che ne risulti vulnerato l'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Senonche', la questione, cosi' come proposta, in quanto incentrata su un petitum diretto a conseguire lo scomputo del periodo trascorso in liberta' vigilata dal condannato all'ergastolo, si risolve nella richiesta di un'integrazione della norma denunciata che finirebbe ineluttabilmente per travolgere l'efficacia stessa del giudicato, giacche' qualsiasi detrazione del periodo trascorso in liberta' vigilata ai fini della determinazione del residuo da espiare viene a porsi in termini di ontologica inconciliabilita' rispetto alla condanna all'ergastolo che, essendo pena perpetua, non ammette "scomputi" che non incidano sulla natura stessa della pena. Se, dunque, nei confronti del condannato all'ergastolo il periodo di liberta' vigilata potra' essere valutato, nel caso di revoca del beneficio, ad effetti diversi da quello del computo del residuo di pena da espiare a seguito della revoca, la manipolazione normativa, che il giudice a quo sollecita, fuoriesce dalle competenze di questa Corte, perche' involgente soluzioni non costituzionalmente obbligate, ma scelte discrezionali riservate al legislatore. Di cio' sembra, del resto, consapevole lo stesso rimettente, con il suo implicito richiamo ad un criterio in base al quale, in caso di revoca del beneficio, al condannato all'ergastolo possa venire sottratto il carico afflittivo gia' sopportato in liberta' vigilata al fine di rideterminare la pena da espiare; il tutto, pero', senza indicare le modalita' attraverso le quali questa operazione debba essere compiuta.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 177, primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Torino con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 maggio 1993. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: VASSALLI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 4 giugno 1993. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 93C0604