N. 277 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 1993

                                N. 277
 Ordinanza emessa il 19 marzo 1993 dalla pretura di  Brescia,  sezione
 distaccata di Gardone Val Trompia nel procedimento penale a carico di
 Torri Alberto
 Processo penale - Procedimento pretorile - Giudizio immediato -
    Decreto  di  citazione  del  p.m.  -  Previsti  termini diversi di
    notifica  per  l'imputato  (notifica  del  decreto  di   citazione
    quarantacinque giorni prima) e per la parte offesa (sola citazione
    cinque  giorni  prima)  -  Lamentata  incongruita' del termine con
    disparita' di trattamento tra le parti  processuali  a  causa  del
    rito  scelto discrezionalmente dal p.m. - Conseguente compressione
    del diritto di difesa, in particolare del diritto alla  prova  per
    sostenere la domanda civile nel processo penale.
 Processo penale - Costituzione di parte civile - Termine di decadenza
    per  liste  testimoniali - Irragionevole disparita' di trattamento
    tra  parti  processuali  (parti   civili:   giorni   sette   prima
    dell'udienza  dibattimentale; altre parti fino a due giorni prima)
    - Incidenza anche sul diritto di difesa -  Richiesta  di  modifica
    anche  dell'art.  558,  secondo  comma,  del  codice  di procedura
    penale.
 (C.P.P. 1988, artt. 79, terzo comma, 555, terzo comma, e 558, secondo
    comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.25 del 16-6-1993 )
                              IL PRETORE
    Visti  gli atti del proc. penale n. 84 del reg. gen. affari penali
 dell'anno 1992;
                             O S S E R V A
    In fatto e in diritto quanto segue.
    1) Svolgimento del processo.
    A seguito di indagini preliminari il  p.m.  rinviava  a  giudizio,
 dinnanzi  a questo pretore, Torri Alberto per rispondere del reato p.
 e p. dall'art. 589 c.p. per aver cagionato, per eccesso di velocita',
 la morte della velocipede Falconi Silvia. Le  parti  offese  venivano
 citate ex art. 558/2 del c.p.c.; in data 15 gennaio 1992 depositavano
 una   lista   testimoniale  e  all'dienza  del  17  gennaio  1992  si
 costituivano  parte  civile.  Alla  medesima  udienza  il   difensore
 dell'imputato   eccepiva  ex  art.  79/3  del  c.p.c.  la  tardivita'
 dell'istanza istruttoria  suddetta.  Questo  pretore  provvedeva  con
 ordinanza  del  23  gennaio  1992  con  la  quale  rimetteva gli atti
 dinnanzi alla Corte costituzionale impugnando gli artt. 555/3 e 558/2
 del c.p.p. in relazione agli artt. 3  e  24  della  Costitusione.  La
 Corte  costituzionale  con  ordinanza del 29 dicembre 1992 dichiarava
 inammissibile la questione atteso che le norne impugnate avevano, nel
 giudizio a quo, gia' realizzato la loro funzione in quanto  le  parti
 offese   si  erano  costituite  parti  civili  e  avevano  depositato
 l'istanza istruttoria esercitando cosi' compiutamente i  loro  poteri
 istruttori.  La  Corte, poi, faceva rilevare che la questione sarebbe
 stata ammissibile ove fosse stato impugnato l'art. 79/3 del c.p.p.
    Questo pretore, nel recepire il suggerimento della Corte  provvede
 con la presente ordinanza di cui viene data lettura in dibattimento.
    2) Introduzione.
    Come  e'  evidente  da  quanto  detto  sopra  si  e'  recepito  il
 suggerimento della Corte; anche se, e cio' e' ovvio e inevitabile, la
 questione  avente  ad  oggetto   l'art.   79/3   necessariamente   va
 diacronicamente  legata a quella originariamente posta. Invero l'art.
 79/3 non puo' essere letto "atomisticamente" ma  sistematicamente  in
 riferimento  alle  norme  ad esso correlate, che connotano il diritto
 alla difesa della parte offesa-parte civile. Sotto tale  aspetto  non
 si  puo'  non  rilevare  che  l'art.  79/3  contiene  dei  termini di
 decadenza afferenti all'esercizio dei poteri di deposito delle liste,
 aspetto questo fondamentale del diritto alla  prova.  Orbene,  mentre
 l'imputato,  alla luce del contemporaneo disposto degli artt. 458/1 -
 555/1 e 3, processualmente e di fatto puo' preparare  la  sua  difesa
 (ed eventualmente depositare le liste) in 43 giorni, la parte offesa,
 parte  civile,  stante proprio il disposto degli artt. 558/2, 468/1 e
 79/3, ne ha solo 3 (o 7). E'  chiaro  allora  che  in  tale  contesto
 l'eventuale  illegittimita'  dell'art. 79/3 del c.p.p. non puo' e non
 deve   essere   disgiunta   dalla    illegittimita'    delle    norne
 originariamente  impugnate, anch'esse incidenti sui poteri istruttori
 connotati  dall'art.  79/3  del  c.p.p.  Di  qui  la  necessita'   di
 riproporre anche la questione originaria.
    Anzi,  sotto  tale prospettiva, corre l'obbligo di evidenziare che
 l'ordinanza  della   Corte,   cosi'   come   motivata,   non   appare
 condivisibile  per  le  ragioni  che si vengono ad esporre. Invero va
 evidenziato, in fatto, che la questione era ed e' posta  durante  gli
 atti   preliminari   al   dibattimento   e  segnatamente  durante  Io
 svolgimento delle attivita' di cui agli artt. 489 e  491  del  c.p.p.
 Tali  norme,  come  e'  noto, impongono che ex officio il giudice del
 dibattimento controlli la regolare costituzione delle parti.
   Orbene,  in  tale  contesto,  la prima questione prospettata con la
 precedente ordinanza (omessa previsione che alla parte civile venisse
 notificato il decreto di citazione in luogo della semplice previsione
 della citazione) era ed e' ammissibile atteso che, in  tal  caso,  ex
 art.  178/c,  cio'  avrebbe  comportato  la  nullita'  del decreto di
 citazione. E' vero che tale nullita', ex art. 179 e 181  del  c.p.p.,
 non  poteva  essere rilevata d'ufficio ma ope exceptionis ma cio' non
 puo' rilevare circa l'ammissibilita' della questione atteso  che,  la
 pronuncia  che  si  chiedeva  alla Corte, mirava proprio a consentire
 alla parte civile di far valer tale fondamentale eccezione,  ex  art.
 184 del c.p.p., potere, invece, non esercitabile nell'attuale sistema
 normativo. A tal fine puo' essere opportuno osservare che seguendo la
 logica  dell'ordinanza della Corte, giammai la questione, pur essendo
 a parere di questo giudice fondata (e la Corte di recente ha  accolto
 una  questione  simile  a quella posta da questo pretore con sentenza
 del 4-17 novembre 1992), potra' essere sollevata. Invero ove la parte
 offesa non si costituisce non puo' esercitare i poteri  di  cui  agli
 artt.  79/3  e  468 del c.p.p.; per cui, in tal caso, la questione di
 legittimita' delineata, non solo sarebbe irrilevante, ma  chiaramente
 e  pacificamente inammissibile atteso che, la mancata costituzione di
 parte civile, non consentirebbe, comunque, l'esercizio dei poteri  di
 cui alle suddette norme (deposito liste, eccezioni di nullita' ecc.).
 Cio'   comunque   e'   chiaramente   "legittimo";   ma   seguendo  la
 interpretazione   data   dalla   Corte,   tale   questione    sarebbe
 inammissibile  anche  in  ipotesi di costituzione e, anzi, proprio in
 conseguenza della  stessa  Costituzione.  Quindi,  -  atteso  che  la
 questione  era stata posta tempestivamente ed era ed e' finalizzata a
 consentire  alla  parte  civile  l'esercizio  dello  ius  exceptionis
 (anch'esso  espressione  del  diritto  alla  difesa)  altrimenti  non
 esercitabile - la questione era ed e' chiaramente ammissibile.
    In ordine,  poi,  alla  seconda  questione  posta  (disparita'  di
 trattamento  tra  l'imputato e parte civile e oggi tra parte civile e
 responsabile civile in ordine ai ternini minimi di  comparizione  con
 trattamento deteriore della parte civile rispetto alle altre parti le
 quali  hanno  a disposizione 45 giorni di tempo per preparare le loro
 difese in luogo dei 5 giorni della parte  civile)  l'ordinanza  della
 Corte  e'  frutto  di errore "metodologico". Invero, e' pacifico che,
 nonostante  cio',  la  parte  offesa,  nel  caso  di  specie,  si  e'
 ugualmente  costituita parte civile; ma tale fatto ex se non puo' far
 ritenere inammissibile la questione cosi' come era stata posta (giova
 ribadire afferente al concreto esercizio del diritto alla difesa  nel
 particolare  aspetto  fondamentale  del tempo necessario e consentito
 alle parti per preparare le proprie difese). Invero vi e' da rilevare
 che e' noto che la costituzione di parte civile, in astratto (essendo
 questa l'unica valutazione da fare per  accertare  la  ammissibilita'
 della  questione)  poteva  essere finalizzata proprio a far valere la
 violazione portata all'attenzione della Corte; comunque, sul punto, e
 nella fase processuale ove si e' verificata la costituzione e ove  la
 questione  e'  stata  posta,  ne' la Corte ne' questo pretore erano e
 sono autorizzati a valutare l'eventuale "tattica" processuale che  la
 parte avrebbe scelto ove la Corte avesse deciso in conformita'; a tal
 fine  e'  sufficiente  che  la  questione,  ove  accolta, avrebbe, in
 astratto,  consentito,   alla   parte   civile,   e   nonostante   la
 costituzione, di sollevare le relative eccezioni di rito.  In secondo
 luogo,  ed  in  conseguenza  di  cio', la questione era stata proprio
 posta, giova ribadire, al fine di garantire alla  parte  anche  sotto
 questo   aspetto,  lo  ius  exceptionis.    Cosa  che  sarebbe  stata
 possibile, ove la Corte avesse deciso  in  confornita',  atteso  che,
 come  e'  noto,  per  giurisprudenza  costante,  lo ius postulandi in
 iudicio puo' essere esercitato anche al  solo  scopo  di  far  valere
 eventuali  nullita'  di atti.   In terzo luogo, ed infine, l'avvenuta
 costituzione di parte civile non poteva assumere alcun rilievo  (come
 sembra  invece  secondo la Corte) in ordine al concreto esercizio dei
 poteri  istruttori  (che  era  poi   la   seconda   questione   posta
 all'attenzione della Corte). Cio' per l'assorbente considerazione che
 la costituzione di parte civile ex art. 74 del c.p.p., come si evince
 anche  dall'art.  78 del c.p.p., non e' atto di esercizio del diritto
 alla prova; per cui essa, in riferimento a questo, non puo'  assumere
 alcun  valore.  Ne  consegue  che,  in  ordine alla questione posta e
 afferente  alla  disparita'  dei  termini  minimi  di   comparizione,
 l'avvenuta costituzione non poteva esplicare alcun effetto.
    Quindi  si  deve  concludere che la questione come era stata posta
 allora, era ammissibile atteso che  l'operata  costituzione,  per  le
 ragioni  suddette,  alcun  valore poteva, in astratto, assumere sugli
 eventuali vizi afferenti al rapporto processuale  instauratosi  anche
 con la parte civile.
    3) Oggetto del giudizio.
    Con la presente ordinanza viene portata all'attenzione della Corte
 l'art.  555/3  e  558/2  e  79/3 in relazione agli artt. 3 e 24 della
 Costituzione nella parte in cui non prevedono:
       a) che  alla  parte  offesa  venga  notificato  il  decreto  di
 citazione a giudizio;
       b)   che   anche  per  la  parte  offesa  decorrano,  come  per
 l'imputato, ternini minimi di comparizione di giorni 45;
       c) nella parte in cui l'art. 79/3 faccia  esclusivo  rinvio  ai
 termini  ai  cui  all'art. 468 del c.p.p. e non anche a quelli di cui
 all'art. 567/2 del c.p.p.
    4) Sulla non manifesta infondatezza della questione.
    La questione, come sopra delineata, a parere di questo  giudicante
 non e' manifestatamente infondata.
    E'  opportuno,  preliminarmente,  evidenziare  l'assetto normativo
 costituzionale, parametro di valutazione delle norme impugnate.
    Come e' noto l'art. 3 della Costituzione impone, per la parte  che
 qui  interessa,  identita'  di  disciplina normativa per identita' di
 situazioni disciplinate (cfr. Corte costituzionale 25 giugno 1981, n.
 111).
    L'art. 24 della Costituzione (peraltro anch'esso  espressione  del
 piu'   generale  principio  di  uguaglianza)  impone  ed  esige  che,
 qualunque sia la forma di tutela del proprio diritto scelta, da  essa
 non  possono derivare delle deminutio sostanziali alla tutela stessa.
 Particolare aspetto di essa risulta  essere  il  diritto  alla  prova
 (cfr.  Corte  costituzionale  22  marzo 1971, n. 55) fondamentale per
 poter adeguatamente sostenere in  giudizio  le  proprie  domande.  E'
 ovvio  che  limitazioni  a  tale  diritto  alla  difesa,  cosi'  come
 connotato dall'art. 24 della Costituzione sono, non solo inevitabili,
 ma anche legittime (cfr. Corte costituzionale 5 luglio 1973, n.  106,
 proprio in riferimento a termini processuali perentori); cio' rientra
 nella   logica:  il  processo  e'  attivita'  disciplinata,  per  cui
 l'esercizio  del  diritto,  in  quanto si entrinsechi in azioni, deve
 necessariamente svolgersi secondo i "binari"  tracciati  dalle  norme
 processuali.   Ma   e'  dal  pari  ovvio  che  qualunque  limitazione
 sostanziale,   non   obiettivamente   giustificata   dalle   esigenze
 processuali, sarebbe, comunque, per cio' stesso illegittima.
    E' fondamentale osservare, che proprio il disposto degli artt. 3 e
 24  come  sopra  connotati,  proprio  in  riferimento  a  termini  di
 decadenza, impongono e esigono, altresi', sia la obiettiva oongruita'
 del termine che deve comunque  consentire  l'esercizio  dei  relativi
 poteri,  sia  la  necessita'  che  essi  riguardino  tutte  le  parti
 processuali.  Orbene, cio' premesso, e delineati in  tali  termini  i
 parametri  costituzionali  di  riferimento,  si  puo'  ora  passare a
 trattare il caso di specie.  Analiticamente, in ordine alla questione
 sub 3/ a, le norme impugnate violano  l'art.  3  della  Costituzione.
 Invero va evidenziato che ex artt. 429/4, 456/3 e 464 c.p.p.  (questi
 ultimi  applicabili anche a giudizi innanzi al pretore) il decreto di
 citazione emesso dal g.u.p. o dal g.i.p.  va  notificato  alla  parte
 offesa,  mentre quello emesso dal p.m. per giudizi immediati dinnanzi
 al pretore non va notificato  alla  suddetta  parte  sulla  base  del
 contemporaneo disposto appunto degli artt. 555/3 e 558/2.
    Tale diversita' di disciplina ridonda in disparita' di trattamento
 per la parte offesa. Invero pur in presenza di atti strutturalmente e
 diacronicamente  identici  (quali  indubbiamente  sono  i  decreti di
 citazione emessi dal g.i.p. o dal p.m.), - atteso che  sono  entrambi
 diretti  ad evocare in giudizio l'imputato e a contestare a questi il
 fatto concreto sul quale dovra' essere giudicato - il legislatore  ha
 connotato  in modo diverso il correlato diritto della parte offesa ad
 essere avvisata  del  dibattimento;  nel  primo  caso  prevedendo  la
 notifica  del  decreto di citazione, nel secondo semplicemente con la
 citazione. Tali disparita' di trattamento e' ancor piu' evidente  ove
 si  ponga mente che essa e' in funzione di una scelta di rito operata
 discrezionalmente  ed  insindacabilmente  dal  titolare   dell'azione
 penale;  per comprendere cio' puo' essere di pregio un esempio. Cosi'
 ove il p.m.  ritenga  di  richiedere  per  un  episodio  configurante
 ipotesi  criminosa  di  cui  all'art.  590 del c.p. un decreto penale
 (cosa astrattamente possibile atteso che il reato in  questione  puo'
 essere  punito  con  la  sola  pena  pecuniaria)  e l'imputato faccia
 opposizione il relativo decreto di citazione a  giudizio  emesso  dal
 g.i.p.   va   notificato   anche   alla  parte  offesa;  a  contrario
 nell'ipotesi in cui il p.m. rinvii a giudizio, per lo  stesso  fatto,
 direttamente  dinnanzi  al  pretore  competente,  la  parte offesa ha
 semplicemente diritto ad essere citata ex art. 558/2 del c.p.p.
    Si deduce  da  tutto  cio'  che  la  connotazione  di  un  diritto
 processuale  (quale indubbiamente e' il diritto della parte offesa ad
 essere informata  compiutamente  sui  fatti  di  cui  e'  causa  onde
 consentirle  di  esercitare  in  concreto  ed  adeguatamente i poteri
 riconosciutele dalla legge) della parte offesa e' subordinata ad  una
 scelta del p.m., giova ribadire insindacabile.
    Cio' dimostra, vieppiu', la arbitrarieta' della disciplina dettata
 dalle  norne qui impugnate. Ma vi e' di piu'. Mentre il provvedimento
 emesso ex art. 429 del c.p.p.  viene  pronunciato  in  contradditorio
 delle  parti (anche della parte offesa ex art. 419, la quale, quindi,
 e' completamente informata, anteriormente al dibattimento ed in  sede
 di  udienza  preliminare,  dei  fatti  potenzialmente  lesivi del suo
 diritto nonche' delle indagini fino ad allora espletate dal p.m.), il
 provvedimento  emesso  ex  art.  555  del  c.p.p., nonostante che sia
 pronunciato  inaudita  altera  parte,  non  e'  notificato;  con   la
 conseguenza che, astrattamente, in tal caso, la parte offesa potrebbe
 essere a conoscenza dei fatti concreti, potenzialmente lesivi del suo
 diritto, solo cinque giorni prima del dibattimento. ex art. 558/2 del
 c.p.p.
    Tali  disparita'  di  trattamento,  dopo  quanto  detto  sopra, e'
 evidente che viene ad incidere sulla posizione della parte offesa  la
 quale,  in  caso  di  decreto  di  citazione  emesso  dal  g.i.p.  e'
 tempestivamente e compiutamente a conoscenza dei fatti sin ab origine
 mentre nel caso  di  decreto  emesso  dal  p.m.  tale  conoscenza  e'
 posticipata a cinque giorni prima del dibattimento.
    Quindi  si  deve concludere e ribadire che gli artt. 555/3 e 558/2
 del c.p.p., nei limiti  in  cui  non  prevedano  che  il  decreto  di
 citazione  a  giudizio  venga  notificato  anche  alla  parte offesa,
 realizza, se posti in relazione alle  correlate  norme  di  cui  agli
 artt.  429/4,  456,  464 c.p.p., una disparita' di trattamento tra le
 parti offese a seconda  del  rito  scelto  dal  titolare  dell'azione
 penale.  Tale  disparita'  e' chiaramente irragionevole atteso che la
 diversita' del rito non puo' giustificare la diversa connotazione  di
 un   diritto   fondamentale   della  parte  quale  quello  di  essere
 compiutamente avvisata dei fatti di cui si procede.
    Come tale  essa  configura  una  violazione  al  precetto  di  cui
 all'art.  3  della Costituzione che impone, sul punto, un adeguamento
 della prima alla seconda.
    5) Segue ..
    Piu' complesso e' il discorso in merito alla prospettazione sub 3/
 b.   A tal fine e'  necessario  in  limine,  per  la  parte  che  qui
 interessa, enucleare l'assetto normativo nel quale si inquadra l'atto
 di  costituzione  di  parte civile ex art. 74 c.p.p.  La funzione del
 suddetto atto, come e' noto,  e'  quella  di  consentire  alla  parte
 offesa  dal  fatto-reato  di  richiedere, ai sensi degli artt. 1218 e
 2043 e segg. c.c., il risarcimento dei danni,  da  esso  conseguenti.
 Dogmaticamente  esso  costituisce  estrinsecazione  del piu' generale
 diritto alla difesa atteso che la tutela della situazione soggettiva,
 con il suddetto atto, viene realizzata nel processo penale.
    Tale atto, poi, va inquadrato e  sistematicamente  collegato,  col
 disposto  degli artt. 76 e 79 del c.p.p. dai quali si evince che, nei
 giudizi  pretorili  (atteso  che  ivi  non  e'   prevista   l'udienza
 preliminare),  la  costituzione,  puo' avvenire solo dopo che il p.m.
 abbia  esercitato,  con  la  notifica  del  decreto  di  citazione  a
 giudizio,  l'azione penale e prima dell'apertura del dibattimento. In
 coerenza, poi, con tale assetto normativo, il legislatore ha statuito
 che, mentre la sentenza di proscioglimento del g.i.p.  non  fa  stato
 nel   giudizio  civile,  quella  dibattimentale  di  merito  ha  tale
 efficacia (almeno per quanto asserisce all'an debeatur ) ex artt. 651
 e 652 del c.p.p.
    E' in tale quadro  normativo  che  va  letto  ed  interpretato  il
 disposto  dell'art. 558/2; esso, nelle intenzioni del legislatore, ha
 la funzione di rendere edotta la parte offesa del rinvio  a  giudizio
 dell'imputato onde consentirle di esercitare i poteri di cui all'art.
 74 del c.p.p.
    Orbene,  col  presente  provvedimento,  viene impugnata proprio la
 suddetta norma.  E'  evidente  che  tale  giudizio  non  riguarda  la
 congruita'  del  termine  ivi  fissato;  invero  cio'  rientra  nella
 discrezionalita' del legislatore. Invece il  suddetto  termine  viene
 impugnato   sotto   una   diversa   prospettiva:   la  disparita'  di
 trattamento,  tra  il  termine  minimo   di   comparizione   concesso
 all'imputato  ex  art.  555/3  (45  giorni)  e quello concesso, dalla
 suddetta norma, alla parte offesa-parte civile (5 giorni).
    Sul punto, giova ribadire - una volta prevista la possibilita'  di
 esercitare   l'azione   civile  nel  processo  penale  ed  una  volta
 attribuita alla sentenza di merito efficacia di  cosa  giudicata  nel
 processo  civile (subordinato, questa, esclusivamente all'adempimento
 al precetto di cui all'art. 558/2 del c.p.p.) - alla parte offesa, ex
 art. 24 della  Costituzione  vanno  concesse  tutte  le  possibilita'
 difensive iniziali che vengono riconosciute all'imputato. Invero, nel
 momento  in  cui la parte offesa si costituisce parte civile, propone
 ex art. 99 del c.p.c. una domanda  nei  confronti  dell'imputato;  e'
 evidente  e  conseguenziale,  allora,  che in forza del principio del
 contradditorio, tipico principio del processo civile (e comunque  non
 ultroneo  a  quello  penale),  -  costituente  espressione  del  piu'
 generale diritto alla difesa, - la parte  offesa-parte  civile  debba
 avere,  una  volta avuto compiutamente conoscenza dei fatti sui quali
 l'imputato deve  rispondere,  fatti  potenzialmente  lesivi  del  suo
 diritto,   lo   stesso  tempo  concesso  a  questi  per  preparare  e
 adeguatamente sostenere le sue domande civili  nel  processo  penale.
 Cio'  e' imposto non solo dall'art. 3 della Costituzione ma anche dal
 successivo art. 24.  Cio' e' ancora piu' vero ove si ponga mente  che
 nel caso in cui il p.m. abbia rinviato a giudizio l'imputato ai sensi
 dell'art.  555  del  c.p.p., la parte offesa-parte civile, al fine di
 tutelare adeguatamente il suo diritto potenzialmente leso dal  fatto-
 reato,  ha  una  sola  via:  quella di esercitare l'azione civile nel
 processo penale stante proprio il disposto dall'art. 652 del c.p.p.
    Se cio' e' vero, allora, la parte  civile  non  puo'  e  non  deve
 subire,  ex  art.  24 della Costituzione, in conseguenza della scelta
 operata (appunto perche' essa  e'  quasi  imposta),  delle  deminutio
 rispetto  alla  tutela  civile  (ovviamente  compatibilmente  con  la
 struttura e la finalita' del  processo  penale);  quindi  deve  avere
 quantomeno  le  stesse  possibilita'  di  partenza dell'imputato, sua
 controparte. Cio' impone ed esige, ex artt. 3 e 24 della Costituzione
 che  essa  abbia,  gli  stessi   termini   minimi   di   comparizione
 dell'imputato;   termini   la  cui  funzione  e'  proprio  quella  di
 consentire una adeguata e reciproca difesa tra le  due  parti  (parte
 civile-attore e imputato-convenuto).
    E'  il  caso  di far rilevare che una tale estensione non e' certo
 incompatibile con la struttura e la finalita' del processo penale, ma
 anzi costituisce espressione di un principio al quale il  legislatore
 del 1989 si e' attenuto quale quello di un processo di parti.
    Un'ultima osservazione si impone per corroborare la prospettazione
 qui proposta.
   Come  e'  noto,  anche nel nuovo processo penale pretorile, vige il
 principio iudex debet iudicare secundum probata et alligata  partium.
 Orbene  se  tale  principio  viene  calato  nel  sistema dell'attuale
 processo si deve concludere che, mentre l'imputato ha sostanzialmente
 45 giorni di tempo per cercare e trovare prove a discarico, la  parte
 offesa-parte  civile,  stante  il  contemporaneo disposto degli artt.
 558/2  e  79/3  del  c.p.p.  ne potrebbe avere in astratto solo 5. E'
 evidente allora che  la  norma  qui  impugnata  viene  a  creare  una
 disparita' di trattamento in ordine al concreto esercizio del diritto
 alla prova; cio' costituisce indubbiamente una violazione al precetto
 di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    6) .. Segue.
    Dopo  quanto  detto  sopra e' evidente la illegittimita' dell'art.
 79/3. Invero dal tenore letterale della  norma  si  evince  che  essa
 contiene  un  termine  di decadenza dal deposito delle liste (atto di
 esercizio del diritto alla prova) facendo  esclusivo  riferimento  al
 termine  finale  di  cui all'art. 468 del c.p.p.  Il meccanismo della
 norma e' chiaro: se la  costituzione  di  parte  civile  ex  art.  76
 avviene  prima del termine di cui all'art. 468 la parte civile potra'
 depositare  le  liste  testimoniali;  se,  invece,  avviene  dopo  il
 suddetto  termine,  ferma  restando  la  validita'  e  ammissibilita'
 dell'operata costituzione, la parte civile non potra' piu' depositare
 le  liste  testimoniali.     E'  pacifico  che   tale   norma   trovi
 applicazione,  come  evidenziato  nel  giudizio  a  quo  dalla difesa
 dell'imputato nonche' dal p.m. di udienza, anche nel rito dinnanzi al
 pretore.  Invero cio' lo si desume dal fatto che  trattasi  di  norma
 generale  non derogata da alcuna di quelle previste dagli artt. 549 e
 segg.  c.p.p.
    Orbene, delineato in  tal  modo  il  contenuto  e  l'ambito  della
 succitata   norma,   essa  e'  chiaramente  incostituzionale  per  le
 considerazioni che si verranno ad esporre.
    Innanzitutto, stante  proprio  il  disposto  dell'art.  558/2  del
 c.p.p.,   in   astratto  (unica  valutazione  da  fare  per  valutare
 l'ammissibilita'  della  questione)  la  parte  offesa-parte   civile
 potrebbe  avere  avuto  conoscenza  del  rinvio  a giudizio quando il
 termine di cui all'art. 468 (norma alla quale il 79/3 fa rinvio)  era
 gia'  scaduto. E' evidente allora, traendo una prima conclusione, che
 il  termine  previsto  dall'art.  79/3  determina  una  discrasia  se
 collegato  a  quello  previsto  dall'art.  558/2;  discrasia  che, in
 astratto, potrebbe non consentire il  rispetto  del  termine  di  cui
 all'art.  468  del  c.p.p.  Cio' chiaramente costituisce una evidente
 violazione sia dell'art. 3 della Costituzione, nella prospettiva  del
 principio  di  ragionevolezza,  sia  dell'art. 24 della Costituzione,
 atteso che non consentirebbe, comunque, in taluni casi, l'adempimento
 del suddetto precetto.
    Ma v'e' di piu';  tale  discrasia  e'  ancor  piu'  grave  ove  il
 disposto  dell'art.  79/3  venga posto in relazione al termine di cui
 all'art. 567/2 del c.p.p.
    Invero la suddetta norma costituisce proprio l'alter ego dell'art.
 468 del c.p.p.  per  il  giudizio  dinnanzi  al  pretore.  Orbene  la
 discrasia  e'  chiara:  mentre  le  altre parti possono depositare le
 liste testimoniali, ex art.  567/2,  fino  a  due  giorni  prima  del
 dibattimento,  la parte civile deve depositarle entro 7 giorni prima.
 E' chiara allora, da una parte, la disparita' di trattamento  fra  le
 parti  atteso  che sono disciplinati in maniera difforne i termini di
 decadenza dalla prova, e, dall'altra, la violazione del diritto  alla
 difesa atteso che le altre parti, rispetto alla parte civile, hanno a
 loro  disposizione  "piu'  tempo"  per  preparare  le proprie difese.
 Quindi si deve concludere che l'art. 79/3 del c.p.p., nei  limiti  in
 cui non faccia riferimento anche al termine di cui all'art. 567/2 del
 c.p.p.  e'  incostituzionale  per violazione degli artt. 3 e 24 della
 Costituzione. Si impone, pertanto, il relativo adeguamento.
    Ma un'altra fondamentale  osservazione  si  impone,  necessaria  a
 comprendere  che, pur cosi' adeguato, il disposto dell'art. 79/3 (con
 sentenza  sostanzialmente  additiva),   la   disciplina   complessiva
 sarebbe,  comunque, irragionevole.   Infatti si deve osservare che il
 disposto dell'art. 79/3, cosi come  ipoteticamente  modificato  dalla
 Corte  costituzionale, lascerebbe comunque (e giustamente) inalterata
 la struttura della norma; per cui la parte offesa-parte civile dovra'
 comunque, non solo, depositare le liste prima dei due giorni  di  cui
 all'art.  567/2, ma dovra' anche costituirsi entro tale termine. Cio'
 lo si desume da due  fondamentali  considerazioni;  innanzitutto  dal
 tenore  letterale  dell'art.  79/3 ove si afferma "se la costituzione
 avviene dopo la scadenza del termine .." per cui la norma chiaramente
 pone, come condictio sine qua non della ammissibilita'  del  deposito
 della lista, costituzione di p.c.  In secondo luogo cio' lo si desume
 proprio  dall'art.  468/1 (al quale su tale punto il 567/2 fa rinvio)
 che dispone che solo  le  parti  sono  legittimate  a  proporre  e  a
 depositare  le  liste  testimoniali;  e'  chiaro  che tale termine va
 ovviamente inteso in senso formale. Da  cio'  consegue,  traendo  una
 prima  conclusione,  che costituisce condizione di ammissibilita' del
 deposito della lista, ex art. 567/2, la costituzione di parte civile.
    E' chiaro, allora, che essa andra' operata fuori udienza  per  cui
 l'atto  puo'  ritenersi  valido  ed  efficace  solo  al momento della
 notifica di esso all'imputato (ed eventualmente alle altre parti).
    Orbene, se tale sistema (che sarebbe conseguente alla declaratoria
 di incostituzionalita' dell'art. 79/3)  viene  collegato  all'attuale
 disposto  dell'art. 558/2 del c.p.p. si avrebbe la logica conseguenza
 che,  in  astratto,  la  parte  offesa  avrebbe  solo  3  giorni  per
 notificare  l'atto di costituzione e depositare, conseguentemente, le
 liste testimoniali. In sede di valutazione di tale assetto normativo,
 e' evidente che il termine consentito (che giova  ribadire  afferisce
 ad  un  atto  di  esercizio  del  diritto  alla prova) e' impossibile
 oggettivamente da adempiere atteso che, comunque, in  tre  giorni  la
 parte  civile  non  riuscirebbe  chiaramente  a  notificare l'atto di
 costituzione (tralasciando poi  tutti  quegli  adempimenti  che  sono
 prodromici allo svolgimento di tale attivita').
    E'  evidente  allora  che  il  termine fissato dall'art. 558/2, se
 posto in relazione anche  al  disposto  dell'art.  79/3  e  567/2,  e
 intrinsecamente incongruo e, come tale, irragionevole.
    Cio' viene detto proprio per evidenziare che la modifica dell'art.
 79/3,  con  rinvio  al  termine  di  cui  all'art.  567/2 del c.p.p.,
 risultera'  conforme  al  sistema  costituzionale  solo   ove   venga
 modificato  anche  il  disposto dell'art. 558/2 del c.p.p. cosi' come
 prospettato al punto 5 della presente ordinanza.    Infatti,  in  tal
 caso,  il  termine di decadenza - inteso non solo come termine finale
 ma anche come termine iniziale e, quindi, come tempo necessario  allo
 svolgimento  di  attivita'  giuridiche  (nel  caso di specie deposito
 lista testi) - di cui all'art. 567 de, c.p.p.   sarebbe identico  per
 tutte le parti ma nello stesso momento saranno identiche le posizioni
 di  partenza:  l'imputato avra' a disposizione 43 giorni di tempo per
 depositare le liste, lo stesso termine avra' sostanzialmente la parte
 civile.  A contrario ove la corte si limitasse a modificare  il  solo
 art.    79/3,  imponendo  il  rinvio anche al termine di cui all'art.
 567/2,  senza  modificare  il correlato termine di cui all'art. 558/2
 (termine iniziale per lo svolgimento dell'attivita' in questione), la
 parita'  di  trattamento,  intesa  come  identita'  di   possibilita'
 iniziale, nonche' la necessita' di garantire a tutte le parti e nella
 stessa  misura  il  diritto  alla difesa (nel particolare aspetto del
 diritto alla prova di cui l'atto di deposito delle liste  costituisce
 una estrinsecazione), verrebbe frustrato.
    Sul  punto non si puo' non ribadire che limitare la questione solo
 al  disposto   dell'art.   79/3   significherebbe,   sostanzialmente,
 attribuire  all'imputato 43 giorni di tempo per presentare le proprie
 difese mentre alla  parte  civile  solo  3  giorni  (con  l'ulteriore
 aggravio  che,  nel  suddetto  termine,  la parte civile dovra' anche
 notificare l'atto di costituzione).
    7) Conclusioni.
    E' evidente in conclusione, che le questioni poste  all'attenzione
 della Corte sono complesse ma indubbiamente collegate.
    Invero  solo  mediante  l'adeguamento di tutte le norme, impugnate
 nelle forme e nei limiti indicate nella presente ordinanza,  potranno
 garantire  perfetta  osmosi  tra il sistema normativo ordinario ed il
 sistema costituzionale; per puro scrupolo si fa comunque  notare  che
 mentre  le  questioni  sub) 3/ B e sub) 3/ C sono strettamente legate
 quella sub) 3/ A e' relativamente autonoma atteso che la Corte potra'
 non  ritenere  incostituzionale   il   disposto   dell'art.   555   e
 incostituzionali  le  altre  norme  ma non potra' certamente ritenere
 infondata una delle due questioni sub) 3/ B e C atteso  che,  in  tal
 caso,  si verra' comunque a creare disorganicita' del sistema (con il
 rischio di eventuali e successive questioni).
    A questo punto corre l'obbligo  di  evidenziare,  come  si  evince
 chiaramente dal presente provvedimento, che esso e' in piena sintonia
 con  il  sistema  delineato  dalla  legge  n.  81/87  e dal d.P.R. n.
 447/1988. Invero, come e' noto, due sono i principi cardine ai  quali
 il  nuovo  processo si conforma: e' un processo di parti nel quale le
 prove vengono acquistate esclusivamente in dibattimento. E'  evidente
 e  conseguenziale,  allora,  che a tutte le parti vadano riconosciuti
 gli stessi poteri iniziali soprattutto quando, come nel caso di  spe-
 cie,  essi  afferiscono al diritto alla prova; per cui una disciplina
 difforme su tale punto, in merito a termini di decadenza e/o  termini
 minimi  di comparizione, costituisce, non solo altrettante ipotesi di
 illegittimia' costituzionale, ma ancor piu' altrettante antinomie del
 sistema normativo.
    A questo punto si potrebbe obiettare che l'operata estensione alla
 parte civile di poteri e facolta' dell'imputato non sono conformi  al
 sistema  positivo;  in  altri  termini  si potrebbe obiettare che nel
 processo penale l'imputato e la parte offesa assumono  posizioni  di-
 verse;  per cui sotto tale prospettiva si puo' pur ritenere legittima
 una  diversa  disciplina  in  merito  ai  termini  minimi.  Cio'  per
 l'evidente  ragione che la parte offesa non e' processualmente parte;
 lo diviene solo con la costituzione; per cui  solo  da  tale  momento
 puo' ritenersi titolare di diritti e poteri processuali.
    Tale prospettazione non e' di pregio.
    E'  pacifico  che  la  parte  offesa,  prima  della  costituzione,
 formalmente non sia parte; ma e' altrettanto evidente,  dallo  stesso
 sistema  normativo  attuale,  che  essa  risulta  essere, prima della
 costituzione, titolare di diritti e poteri.
    A  tal fine e' sufficiente por mente proprio al disposto dell'art.
 558/2 del c.p.p.: esso mira chiaramente a  rendere  edotta  la  parte
 offesa  del  rinvio  a  giudizio dell'imputato al fine di consentirle
 l'esercizio  dei  diritti  e  dei  poteri   previsti   dal   sistema;
 segnatamente   proprio  quelli  di  costituirsi  parte  civile  e  di
 depositare le liste testimoniali al  fine  di  sostenere  le  proprie
 domande  civili  in  dibattimento.  Ne consegue che essa parte offesa
 deve necessariamente ritenersi parte in senso sostanziale  e  quindi,
 come  tale,  deve  godere  delle  stesse  possibilita' e degli stessi
 limiti dell'imputato.
    8) Sulla rilevanza della questione.
    Le questioni  come  sopra  esposte  sono  rilevanti  ai  fini  del
 decidere il caso di specie.
    Invero, in merito a quelle sub 3/ A e 3/ B, ove la corte ritenesse
 di  aderire  alle  prospettazioni  di  questo  pretore  il decreto di
 citazione a giudizio, emesso nel procedimento de quo,  sarebbe  nullo
 ai  sensi degli artt. 178/C e 180 del c.p.p.; si imporrebbero, cosi',
 i provvedimenti conseguenziali. A confurtare cio' non puo' essere  di
 pregio  l'eventuale osservazione che, sulla base del principio tempus
 regit actum, il decreto di citazione de quo, al  momento  in  cui  e'
 stato  emesso,  era  legittimo  ed  il  rapporto  processuale  si  e'
 validamente costituito; con la logica conseguenza che cio'  non  puo'
 venir  meno  sulla  base della sentenza della Corte costituzionale la
 quale,  non  avrebbe  alcun  rilievo  pratico  sul   processo.   Tale
 prospettazione  e'  infondata  atteso  che, come e' noto, la sentenza
 della  Corte  costituzionale   e'   una   sostanziale   sentenza   di
 annullamento,   e   quindi,   deve  necessariamente  avere  efficacia
 retroattiva e i suoi  effetti  non  possono  essere  limitati  da  un
 principio,  come quello suddetto afferente a tutt'altra ipotesi quale
 quella della abrogazione di una norma ad opera di un'altra norma.
    In altri termini le norme qui impugnate, ove la Corte ritenesse di
 aderire alle prospettazioni di questo pretore, sono invalide  sin  ab
 origine; per cui non possono e non debbono legittimare la validita' e
 l'efficacia  degli  atti  posti  in  essere sulla base di esse; essi,
 quindi, andrebbero valutati alla  luce  dell'art.  555/3  del  c.p.p.
 secondo la lettura qui proposta.
    Ne'  miglior  sorte  puo'  avere, al fine di valutare la rilevanza
 della  questione,  l'eventuale  osservazione   che   con   l'avvenuta
 costituzione  di  parte  civile nonche' con l'avvenuto deposito delle
 liste testimoniali, eventuali vizi del decreto di citazione e/o della
 citazione della parte offesa sarebbero, per cio'  stesso,  sanati  ex
 artt.  183/8  e  184/1.  Anche  tale prospettazione non e' di pregio.
 Invero, a tacer d'altro, non spetta, in tale fase, ne' alla Corte ne'
 tanto meno a questo pretore, accertare la  configurabilita'  di  tale
 fattispecie  atteso  che  trattasi  di un giudizio di merito che come
 tale e' ultroneo al controllo di legittimita' della Corte.  Comunque,
 anche  ove  si volessero configurare, in astratto, tali ipotesi, esse
 suppongono, la declaratoria di nullita' del decreto  di  citazione  a
 giudizio  e, quindi, la questione sarebbe, per cio' stesso, rilevante
 anche in considerazione che tale sussunzione potrebbe divenire motivo
 di impugnazione della sentenza. Quindi, anche sotto tale prospettiva,
 la questione come sopra posta e' rilevante ai  fini  della  decisione
 del giudizio a quo.
    Ancor  piu'  rilevante  e'  la  questione sub 3/ C. Invero, ove la
 corte ritenesse di aderire alla prospettazione di questo pretore,  la
 eccezione  proposta  dalla  difesa  dell'imputato nel giudizio a quo,
 sarebbe da rigettare. Atteso  che  la  lista  testimoniale  e'  stata
 depositata  comunque  due  giorni  prima del dibattimento; quindi nel
 rispetto del termine di cui all'artt. 567/3 del c.p.p.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e segg. della legge n. 81/1953;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt.  555/3,  558/2  e 79/3 del
 c.p.p. in riferimento agli artt. 3 e 24 della Cosituzione nei  limiti
 di cui a parte motiva;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone   la   trasmissione   dei   relativi   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Manda alla cancelleria per  gli  avvisi  e  le  notifiche  di  cui
 all'art. 23/4 della legge n. 81/1953.
      Gardone V.T., addi' 19 marzo 1993
                    Il pretore: (firma illeggibile)

 93C0610