N. 285 SENTENZA 10 - 16 giugno 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Crediti di lavoro diversi  dal  trattamento
 di  fine  rapporto  inerente  agli ultimi tre mesi - Direttiva CEE n.
 987/1980 - Danni derivati dalla mancata attuazione della direttiva  -
 Azione  -  Termini  e  modalita' - Eccesso di delega e violazione dei
 criteri direttivi - Individuazione nell'I.N.P.S. del soggetto passivo
 del diritto all'indennizzo - Unitarieta' della disciplina - Questione
 non pregiudiziale  alla  definizione  del  giudizio    a  quo  -  Non
 fondatezza - Inammissibilita'.
 
 (D.P.R.  27  gennaio  1992,  n.  80,  art.  2, settimo comma, primo e
 secondo periodo).
 
 (Cost., art. 76).
(GU n.26 del 23-6-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, prof. Gabriele PESCATORE, avv.
    Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 7, del
 d.P.R. 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva  80/987/CEE
 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza
 del  datore  di  lavoro), promosso con ordinanza emessa il 2 dicembre
 1992  dal  Pretore  di  Frosinone  nei  procedimenti  civili  riuniti
 vertenti tra Bracaglia Paolo ed altra e l'I.N.P.S., iscritta al n. 53
 del  registro  ordinanze  1993  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti gli atti di costituzione di Bracaglia Paolo ed altra nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 1993 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi gli avvocati Massimo D'Antona per Bracaglia Paolo ed  altra,
 Giuseppe  Pansarella  per  l'I.N.P.S.  e l'Avvocato dello Stato Oscar
 Fiumara per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di due giudizi civili  riuniti  promossi  da  Paolo
 Bracaglia  e Anna Rita Sabellico davanti al giudice del lavoro contro
 l'INPS per ottenere - previo accertamento della responsabilita' dello
 Stato italiano per mancata tempestiva attuazione della direttiva  CEE
 n.  80/987 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di
 insolvenza del datore di lavoro - la condanna dell'INPS al  pagamento
 dell'indennita'  prevista dall'art. 2, comma 7, del d.P.R. 27 gennaio
 1992, n. 80, il Pretore di Frosinone, con ordinanza  del  2  dicembre
 1992,  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale della
 norma citata, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione.
    Il decreto legislativo n. 80 del 1992, che ha attuato la direttiva
 comunitaria n. 987 del 1980, e' stato emanato  in  base  alla  delega
 conferita  al  Governo  dall'art. 48 della legge 29 dicembre 1990, n.
 428 (legge comunitaria per il 1990). Essendo intervenuta,  nel  corso
 del  termine della delega, la sentenza della Corte di giustizia delle
 Comunita' europee 19 novembre 1991 (cause riunite C-6/90  e  C-9/90),
 la quale - sul presupposto dell'inidoneita' della citata direttiva ad
 essere  fatta  valere  immediatamente  dagli  interessati  dinanzi ai
 giudici nazionali in mancanza di provvedimenti  di  attuazione  -  ha
 dichiarato  la  responsabilita'  dello  Stato  italiano  per  i danni
 derivati  ai  singoli  dalla  mancata  adozione di tali provvedimenti
 entro il termine prescritto (scaduto il 23 ottobre 1983),  l'art.  2,
 comma  7, della legge delegata ha previsto una regola speciale per la
 determinazione del danno,  che  viene  commisurato  alla  prestazione
 corrisposta  nel  sistema  a  regime  dal Fondo di garanzia istituito
 dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, e un'altra  regola  speciale  che
 assoggetta l'azione per ottenere l'indennita' risarcitoria al termine
 di decadenza di un anno dalla data di entrata in vigore del decreto.
    Il  giudice  remittente  premette che, trattandosi di un'azione di
 risarcimento danni a carattere speciale, come tale estranea a  quelle
 previste   dall'art.   442  cod.  proc.  civ.,  la  controversia  non
 appartiene alla competenza funzionale  del  pretore  in  qualita'  di
 giudice  del  lavoro,  dalla quale, del resto, esulerebbe anche se la
 norma denunciata fosse espunta dall'ordinamento. Cio' nondimeno  egli
 ritiene  rilevante  la  formulata  questione  di costituzionalita' in
 ragione  dell'interesse   oggettivo   della   giustizia   a   evitare
 l'applicazione di norme incostituzionali.
    La  norma  impugnata  sarebbe  contrastante  con  l'art.  76 della
 Costituzione sotto un duplice profilo: a)  perche'  l'art.  48  della
 legge-delega  n. 428 del 1990, "nell'elencare partitamente i principi
 e criteri direttivi cui il governo si sarebbe  dovuto  attenere,  non
 prevede  nulla  circa  il  risarcimento  del  danno  per  la  mancata
 attuazione della direttiva"; b) perche', in violazione  del  criterio
 generale   enunciato   nell'art.  2,  lett.  f)  della  legge-delega,
 mancherebbe la piena conformita' alle prescrizioni di cui al punto 43
 della sentenza della Corte comunitaria,  la  disciplina  della  legge
 delegata  essendo  "palesemente  meno favorevole rispetto a procedure
 analoghe, cioe' rispetto sia alla procedura  ordinaria  per  ottenere
 l'intervento  del  Fondo  di  garanzia nell'ipotesi di insolvenza del
 datore di lavoro, sia all'ordinario risarcimento del danno",  e  tale
 anche da rendere "eccessivamente difficile il concreto risarcimento",
 sia  imponendo  una  misura  massima  sia assoggettando l'azione a un
 termine di decadenza.
    2. - Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituite  le  parti
 private concludendo con le seguenti richieste:
       a)  sollevare  in  via  pregiudiziale  davanti  alla  Corte  di
 giustizia  delle  Comunita'  europee,  ai  sensi  dell'art.  177  del
 trattato  istitutivo,  la questione se lo Stato membro inadempiente a
 una direttiva comunitaria, nel momento in cui emana  disposizioni  in
 materia,  debba  rispettare la parita' di trattamento tra i cittadini
 che, dopo l'adeguamento dell'ordinamento interno,  possono  avvalersi
 del  diritto attribuito dalla direttiva e i cittadini che, non avendo
 potuto  farlo  valere  nel  tempo  in  cui  lo   Stato   e'   rimasto
 inadempiente, hanno titolo soltanto al risarcimento del danno;
       b)  in  ogni  caso  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 2, comma 7, del d.P.R.  n.  80  del  1992,  in  riferimento
 all'art.  76  della  Costituzione,  nella  parte in cui, imponendo al
 cittadino  danneggiato  dall'inadempienza  dello  Stato  italiano  la
 promozione di un'azione civile nei confronti del medesimo nel termine
 decadenziale    di   un   anno   dall'emanazione   del   decreto,   e
 contemporaneamente assoggettando l'ammontare  del  risarcimento  agli
 stessi  limiti  che  valgono  per l'analoga prestazione che oggi puo'
 essere  ottenuta  a   domanda   dal   Fondo   di   garanzia   gestito
 dall'I.N.P.S., stabilisce un regime risarcitorio a carattere speciale
 meno favorevole per il cittadino, in violazione del criterio di pieno
 adeguamento  al diritto comunitario prescritto dall'art. 2, lett. f),
 della legge-delega n. 428 del 1990;
       c) in subordine, dichiarare  infondata  la  questione  con  una
 sentenza   interpretativa   della  norma  denunciata  nel  senso  che
 l'indennita' risarcitoria  e'  regolata,  quanto  ai  "termini,  alle
 misure  e  alle  modalita'"  in  modo  del tutto identico all'analoga
 prestazione che puo' essere  ora  domandata  al  Fondo  di  garanzia,
 interpretazione   che   comporterebbe   la   legittimazione   passiva
 dell'I.N.P.S. e la competenza funzionale  del  pretore  in  veste  di
 giudice del lavoro.
    3.  - Si e' pure costituito l'INPS contestando in linea principale
 la detta interpretazione che attribuisce la legittimazione passiva ad
 esso I.N.P.S., anziche' allo Stato. In ogni caso  l'Istituto  ritiene
 non   fondate   le  censure  di  violazione  della  delega  formulate
 nell'ordinanza  di  rimessione.  L'indennita'  prevista  dalla  norma
 impugnata  e'  pari all'entita' del pregiudizio subito dal lavoratore
 per la mancata attuazione della direttiva, e il regime  di  decadenza
 previsto  per  l'azione risarcitoria e' giustificato dalla necessita'
 dello Stato di definire entro termini  certi  situazioni  relative  a
 periodi pregressi.
    4.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
    Inammissibile perche' il giudice remittente si dichiara in  limine
 incompetente funzionalmente e rileva che l'incompetenza discenderebbe
 non   solo   dall'applicazione   della  norma,  ma  anche  dalla  sua
 disapplicazione. Infondata perche', qualunque opinione si segua circa
 la natura dell'indennita' (forma di risarcimento del danno o forma di
 previdenza  dei  lavoratori),  in  ogni  caso  il  dubbio  circa   la
 conformita' alla delega legislativa deve essere risolto nel senso che
 la  norma  delegata  si  pone  come  norma  di piena attuazione della
 direttiva  comunitaria,   o   direttamente   estendendo   la   tutela
 previdenziale  in essa prevista anche alle situazioni gia' maturate o
 disponendo   un    risarcimento    commisurato    alla    prestazione
 previdenziale,  e  differenziandosi  solo  in relazione all'obiettiva
 diversita', sotto il profilo temporale, delle situazioni.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Pretore di Frosinone impugna, reputandolo in contrasto con
 l'art. 76 della Costistuzione, l'art.  2,  comma  7,  del  d.P.R.  27
 gennaio 1992, n. 80, emanato in base alla delega legislativa prevista
 dall'art.  48 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria
 per il 1990), ai fini dell'attuazione della direttiva  del  Consiglio
 C.E.E.   n.  987  del  1980  in  materia  di  tutela  dei  lavoratori
 subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.
    I  primi  sei  commi  del  citato  art.  2  attuano  la  direttiva
 comunitaria,  con  efficacia  dalla  data  di  entrata  in vigore del
 decreto (c.d. sistema a regime),  addossando  al  Fondo  di  garanzia
 istituito  presso  l'I.N.P.S. dall'art. 2 della legge 29 maggio 1982,
 n. 297, l'obbligo di pagare anche i crediti di  lavoro,  diversi  dal
 trattamento  di  fine  rapporto,  inerenti  agli  ultimi tre mesi del
 rapporto di lavoro compresi nei dodici mesi  anteriori  a  una  certa
 data  (comma  1),  col  limite  massimo (comma 2) dell'importo di tre
 volte  la  misura  piu'  elevata  del  trattamento  straordinario  di
 integrazione  salariale mensile (limite autorizzato dall'art. 4 della
 direttiva) e con divieto di cumulo con le prestazioni  retributive  o
 previdenziali indicate nel comma 4.
    L'ultimo   comma  concerne  i  lavoratori  che  non  hanno  potuto
 avvalersi  del  diritto  attribuito  dalla   direttiva,   in   quanto
 dipendenti  da  imprese assoggettate a una procedura concorsuale o di
 amministrazione straordinaria anteriormente alla data di  entrata  in
 vigore  del  decreto. In conseguenza della decisione 19 novembre 1991
 della Corte di giustizia delle Comunita' europee  (caso  Francovich),
 che  ha  dichiarato lo Stato italiano responsabile dei danni derivati
 ai  singoli  dalla  mancata  attuazione  della  direttiva,  la  norma
 impugnata    dispone:    "per   la   determinazione   dell'indennita'
 eventualmente spettante, in relazione alle procedure di cui  all'art.
 1,  comma  1,  per  il danno derivante dalla mancata attuazione della
 direttiva C.E.E. 80/987, trovano applicazione i termini, le misure  e
 le  modalita' di cui ai commi 1, 2 e 4. L'azione va promossa entro un
 anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto".
    La disposizione e' denunciata per eccesso di delega e comunque per
 violazione dei criteri direttivi.
    2.   -   L'Avvocatura   dello   Stato    eccepisce    in    limine
 l'inammissibilita'  della  questione,  "considerato  che  il  giudice
 remittente si  dichiara  incompetente  funzionalmente  e  rileva  che
 l'incompetenza  discenderebbe non solo dall'applicazione della norma,
 ma anche dalla sua  disapplicazione".  L'eccezione  non  puo'  essere
 accolta.
    Il  pretore  remittente  non precisa se il "giudice ordinario", da
 lui ritenuto competente, sia lo stesso pretore, in ragione del valore
 della causa (nel qual caso non si tratterebbe  di  una  questione  di
 competenza,  ma  di  solo  rito:  art.  427  cod.  civ.),  oppure  il
 tribunale.  Ma  in  ogni  caso  la  premessa  da  cui  muove  non  e'
 sufficiente per fondare il giudizio di estraneita' della controversia
 alla competenza funzionale del giudice del lavoro.
    La  Corte  condivide  l'interpretazione  dell'art. 2, comma 7, nel
 senso che soggetto passivo del diritto all'indennizzo ivi previsto e'
 l'I.N.P.S.  La  norma  quantifica  la  responsabilita'   risarcitoria
 imposta   allo   Stato-ordinamento  dalla  sentenza  della  Corte  di
 giustizia, ma in pari tempo costituisce la relativa obbligazione  non
 in  capo  allo  Stato-persona, ma a uno degli enti pubblici in cui si
 articola  l'apparato  dell'amministrazione  indiretta   statale.   La
 legittimazione  passiva  dell'I.N.P.S.  si  argomenta  dalla  lettera
 dell'art. 4 del decreto, che pone "a carico del Fondo di garanzia  di
 cui   alla   legge   n.   297   del   1982"   gli   "oneri  derivanti
 dall'applicazione degli  artt.  1,  2  e  3",  e  dunque  -  dato  il
 riferimento  all'intero art. 2 - anche dall'applicazione dell'art. 2,
 comma 7. L'argomento letterale e' corroborato da un argomento logico:
 il rinvio del comma 7 al comma  2,  per  cui  il  risarcimento  viene
 ragguagliato   forfettariamente   all'ammontare   della   prestazione
 previdenziale  che  spetterebbe  nel  sistema  a  regime,  e   quindi
 assoggettato  al  medesimo  limite massimo, si spiega e si giustifica
 appunto in correlazione all'accollo dell'onere finanziario  al  Fondo
 di garanzia finanziato con contributi a carico dei datori di lavoro.
    Il  rinvio  ai  commi  1, 2 e 4 non e' un indice di omogeneita' di
 natura dell'indennita' attribuita dall'ultimo comma dell'art.  2  con
 la  prestazione  del  Fondo  regolata  dalle  norme richiamate, ma ha
 soltanto la funzione di indicare il parametro "per la  determinazione
 dell'indennita'", la quale spetta a titolo di risarcimento del danno.
 La  diversita' di natura da' ragione del mancato richiamo del comma 5
 per la parte attinente agli interessi e alla svalutazione  monetaria.
 Giustamente,  pertanto,  il  giudice  a quo nega l'appartenenza delle
 relative controversie a quelle previste dall'art. 442 cod.proc.  civ.
 Ma  cio' non basta per escludere la competenza funzionale del giudice
 del lavoro. Dato  il  nesso  di  derivazione  (mediata)  del  diritto
 all'indennita'  da un pregresso rapporto di lavoro, occorre esaminare
 se  tali  controversie  siano  annoverabili  nella  categoria   delle
 controversie di lavoro, di cui all'art. 409, n. 1, cod. proc. civ., e
 quindi  rientrino  a  questo  titolo nella competenza del giudice del
 lavoro.
    Secondo  la  giurisprudenza  della  Corte  di   cassazione,   "per
 controversie  'relative  a  rapporti  di  lavoro  subordinato' devono
 intendersi  non  soltanto  quelle  inerenti  alle  due   obbligazioni
 principali e reciproche che caratterizzano il rapporto di lavoro e ai
 poteri  e  doveri  di  varia natura che gravitano attorno ad esse, ma
 ogni controversia in cui la  pretesa  fatta  valere  in  giudizio  si
 ricolleghi  direttamente  al detto rapporto. Tale collegamento, a sua
 volta,  deve  ravvisarsi  ogni  qual  volta  il  rapporto  di  lavoro
 intercorrente  tra  le  parti,  pur  non costituendo la causa petendi
 della pretesa fatta valere in giudizio, si presenti come  antecedente
 e  presupposto  necessario  della  situazione di fatto in ordine alla
 quale viene invocata la  tutela  in  sede  giudiziale,  con  la  sola
 esclusione  di  un  rapporto  di mera occasionalita'" (Cassazione nn.
 7304 del 1990, 5171 del 1981, ecc.). Nella specie il  danno  sofferto
 dal  lavoratore  consiste  nello  stato di insoddisfazione di crediti
 derivanti da un  rapporto  di  lavoro,  e  quindi  tale  rapporto  e'
 l'antecedente  necessario della tutela invocata dal lavoratore. Tanto
 basta,  secondo  la  giurisprudenza  citata,   per   qualificare   la
 controversia  come  controversia  di  lavoro soggetta alla disciplina
 degli artt. 409 sgg. cod. proc. civ., ancorche' la causa petendi  non
 sia  lo  stesso  rapporto di lavoro con l'imprenditore fallito, ma la
 mancata attuazione della direttiva comunitaria,  con  la  conseguenza
 che,   nei   confronti  dell'ente  pubblico,  il  danno  derivato  al
 prestatore di lavoro dall'insolvenza  del  datore  e'  giuridicamente
 rilevante  nei  limiti quantitativi fissati dal decreto di attuazione
 in conformita' della direttiva, e  in  quanto  il  datore  sia  stato
 assoggettato   alle   procedure  indicate  nell'art.  1  del  decreto
 posteriormente alla scadenza del termine assegnato agli Stati  membri
 per l'attuazione della direttiva (23 ottobre 1983).
    3.1.  -  Nel  merito  la  questione non e' fondata in relazione al
 primo periodo della disposizione impugnata, che prevede  l'indennita'
 e  ne  detta  la  disciplina  sostanziale, mentre e' inammissibile in
 relazione al secondo periodo, che assoggetta  l'azione  per  ottenere
 l'indennita' al termine di decadenza di un anno dalla data di entrata
 in vigore del decreto.
    La  violazione  dell'art.  76  della Costituzione e' ravvisata dal
 giudice a quo, in primo luogo, perche' l'art. 48 della legge  n.  428
 del 1990, nell'elencare i principi e i criteri direttivi della delega
 legislativa,  "non  prevede nulla circa il risarcimento del danno per
 la mancata attuazione della direttiva". In contrario va osservato che
 la delega specifica disposta nell'art. 48 deve essere  integrata  con
 le  disposizioni  generali  contenute  nel titolo I della legge, e in
 particolare col criterio  dell'art.  2,  lett.  f),  secondo  cui  "i
 decreti  legislativi  assicureranno  in  ogni caso che, nelle materie
 trattate dalle direttive  da  attuare,  la  disciplina  disposta  sia
 pienamente  conforme  alle  prescrizioni  delle  direttive  medesime,
 tenuto anche conto delle eventuali modificazioni intervenute entro il
 termine della delega". Il vocabolo "modificazioni" comprende anche le
 integrazioni portate sia da una nuova direttiva del Consiglio, sia da
 altra fonte di diritto comunitario dotata  di  pari  efficacia  negli
 ordinamenti  nazionali, quale una sentenza interpretativa della Corte
 di giustizia pronunciata ai sensi dell'art. 177  del  trattato  (cfr.
 sentenze di questa Corte nn. 113 del 1985, 168 del 1991). La sentenza
 19  novembre  1991  della  Corte di Lussemburgo, intervenuta entro il
 limite temporale della delega legislativa prevista dalla legge n. 428
 del 1990, ha integrato la direttiva C.E.E. 80/987 con una norma  che,
 in  caso  di inosservanza dell'obbligo di attuazione entro il termine
 fissato dall'art. 11, costituisce lo Stato membro responsabile per  i
 danni  derivati  ai singoli dall'inadempimento. La delega legislativa
 conferita al governo comprende, quindi, anche l'attuazione di  questa
 norma.
    3.2.  -  In  secondo luogo l'art. 2, comma 7, del d.P.R. n. 80 del
 1992  e'  censurato  perche'  non  avrebbe  rispettato  il   criterio
 direttivo  - impartito dall'art. 2, lett. f), della legge-delega - di
 piena conformita' alla normativa comunitaria, in relazione al capo 43
 della sentenza della Corte di giustizia, il quale stabilisce che  "le
 condizioni,   formali   e   sostanziali,   prescritte  dalle  diverse
 legislazioni nazionali in  materia  di  risarcimento  dei  danni  non
 possono  essere  meno  favorevoli  di  quelle  che riguardano reclami
 analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da
 rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile  ottenere
 il  risarcimento".  La  disciplina  in  esame sarebbe meno favorevole
 rispetto all'ordinaria azione di risarcimento del  danno  nel  nostro
 ordinamento  sia  perche'  fissa  un limite massimo all'ammontare del
 risarcimento, sia perche' assoggetta il diritto a un termine breve di
 decadenza.  Sotto  il  secondo  profilo,  il  minor  favore   sarebbe
 riscontrabile anche rispetto all'azione speciale (che peraltro non ha
 natura  risarcitoria)  per  ottenere  la  prestazione  del  Fondo  di
 garanzia nel sistema a regime, per la quale il  termine  di  un  anno
 previsto dal comma 5 e' di prescrizione, non di decadenza.
    Sotto il primo profilo la censura e' palesemente inconsistente. Il
 danno  risarcibile del lavoratore e' misurato, per quanto riguarda la
 somma capitale, dall'ammontare dei crediti di lavoro garantiti  dalla
 direttiva,   nei   termini  in  cui  questa  viene  tardivamente  (ma
 correttamente) attuata dalla  legislazione  nazionale.  La  norma  in
 esame  e'  stata  congegnata  in  modo  da  ottenere  praticamente un
 risultato analogo a  quello  della  retroattivita'  della  disciplina
 dell'intervento   del   Fondo  di  garanzia  nel  sistema  a  regime,
 formalmente esclusa dal comma 6 dell'art. 2. In questo senso si  puo'
 dire,  come  scrive l'Avvocatura dello Stato, che l'art. 2 del d.P.R.
 n. 80 del 1992 ha dettato una  disciplina  unitaria.  Una  differenza
 potrebbe eventualmente manifestarsi per quanto riguarda la decorrenza
 degli  interessi  e della rivalutazione monetaria, e infatti, come si
 e' gia' notato, l'art. 2, comma 7, non richiama il comma 5.
    Sotto  il  secondo  profilo la censura e' inammissibile. Poiche' i
 lavoratori  in  causa  hanno   esercitato   l'azione   per   ottenere
 l'indennita'  risarcitoria  entro  il  termine decadenziale dell'anno
 stabilito dalla norma delegata, la  questione  se  tale  termine  sia
 conforme  alla  delega  non  e'  pregiudiziale  alla  definizione del
 giudizio a quo.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  2,  comma 7, primo periodo, del d.P.R. 27 gennaio 1992, n.
 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia  di  tutela  dei
 lavoratori  subordinati  in caso di insolvenza del datore di lavoro),
 sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dal Pretore
 di Frosinone con l'ordinanza in epigrafe;
    Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 2, comma 7, secondo periodo, del citato d.P.R.  27  gennaio
 1992,   n.  80,  sollevata  dal  nominato  Pretore  con  la  medesima
 ordinanza.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 giugno 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: MENGONI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 16 giugno 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0675