N. 331 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 marzo 1993

                                N. 331
 Ordinanza emessa il 16 marzo 1993 dal tribunale  militare  di  Padova
 nel procedimento penale a carico di D'Avossa Gianalfonso
 Processo penale - Indagini preliminari - Possibilita' per il p.m. di
    procedere  ad  ulteriori  indagini  dopo  la richiesta di rinvio a
    giudizio  -  Lamentata  omessa  previsione  di  un   termine   per
    l'adempimento   dell'obbligo   di  trasmissione  al  g.i.p.  della
    documentazione di tali atti - Compressione del diritto di difesa -
    Questione conseguenziale - Indagini preliminari  -  Atti  compiuti
    dal  p.m.  dopo  la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  - Mancata
    trasmissione immediata -  Denunciata  possibilita'  di  presentare
    tali  atti  direttamente  all'udienza  preliminare  -  Conseguente
    limitazione del diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, artt. 419 e 421, terzo comma).
 (Cost., art. 24, secondo comma).
(GU n.27 del 30-6-1993 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa  contro  D'Avossa
 Gianalfonso,  nato  il  17  marzo  1940  a Torino, atto di nascita n.
 1260/P.1 S.1, residente a Roma in via Monte Savello n. 30, coniugato,
 incensurato, generale di brigata E.I. effettivo presso  l'ispettorato
 dell'arma  di  artiglieria  e  della  difesa  N.B.C.  in  Roma,  gia'
 comandante della 132a brigata corazzata "Ariete" in Pordenone, libero
 imputato di:
       a) tentata truffa ai danni dell'amministrazione militare  (art.
 56  del  c.p., art. 234, primo e secondo comma del c.p.m.p.) perche',
 comandante  della  132a  brigata  corazzata  "Ariete"  in  Pordenone,
 compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a procurare a se' un
 ingiusto   profitto   in   quanto   da   gennaio  1991  disponeva  la
 ristrutturazione totale della palazzina n. 15 sita  presso  la  porta
 carri  all'interno  del  comprensorio  della  caserma  "Zappala'"  di
 Aviano,  e  induceva  in  errore  vari  organi   dell'amministrazione
 militare e, in violazione di norme anche amministrative, provvedeva a
 far  effettuare lavori con manodopera militare presso la palazzina di
 cui sopra al fine di creare un  alloggio  di  servizio  per  se'  con
 annessi locali di rappresentanza.
    In  particolare,  con  una  alterazione  della  realta'  sfruttava
 l'errore incolpevole del capo ufficio infrastrutture e materiali  del
 genio  -  S.M.E.  Roma, con due promemoria di servizio del 21 gennaio
 1991, e induceva in  errore  costui  chiedendo  una  integrazione  al
 capitolo  2802  (minuto mantenimento) per ricavare un alloggio per il
 comandante, una foresteria per ufficiali in transito, modifica idrico
 alloggi ufficiali e sottufficiali della caserma "Zappala'" di Aviano,
 sistemazione  del  locale  da  adibire   a   Chiesa   nella   caserma
 "Baldassarre"   di  Maniago,  facendo  intendere  che  l'alloggio  da
 ristrutturare per  ricavare  un  alloggio  per  il  comandante  della
 brigata fosse quello che in realta' gia' esisteva in Pordenone, e che
 gli  competeva  perche' assegnatoli dalla R.M.N.E., che la foresteria
 da realizzare fosse sita in altra palazzina da questo, che gli organi
 tecnici  superiori  alla  brigata   "Ariete"   fossero   gia'   stati
 interessati  alla  revoca d'uso degli alloggi ASI 12/01, 12/02, 12/03
 della palazzina n. 15 e che addirittura  fosse  gia'  stata  disposta
 dalla  R.M.N.E. la trasformazione in alloggi di diversa utilizzazione
 e cioe' ASC o AST (quando in realta' la revoca di costituzione  d'uso
 dell'immobile  vi fu con atto della direzione del genio del Ministero
 della difesa solo successivamente e, cioe',  il  13  aprile  1991  e,
 quando  in  realta'  a  lavori  gia'  ultimati  doveva  ancora essere
 autorizzata la nuova destinazione d'uso visto che la richiesta in tal
 senso della brigata "Ariete" e' del  29  luglio  1991);  induceva  in
 errore l'amministrazione militare anche perche' i 120 milioni di lire
 stanziati e assegnati con atto dispositivo C/SME del 23 aprile 1991 e
 devoluti  per due localita' della brigata "Ariete" (Aviano e Maniago)
 e  a  favore  di  due  caserme  (Zappala'  e   Baldassarre)   e   per
 "integrazione   per   interventi   manutentori"   presso  la  caserma
 "Zappala'" di Aviano e "Baldassarre" di Maniago,  in  realta'  furono
 utilizzati  per  coprire  le  spese  di  acquisto di materiali e beni
 avvenute gia' nella quasi totalita' nel periodo gennaio  1991  agosto
 1991  e  per  la  sola  ristrutturazione  della palazzina n. 15 della
 caserma "Zappala'" di Aviano; induceva in errore gli  organi  tecnici
 dell'amministrazione militare della R.M.N.E. falsamente prospettando,
 e  a  partire  dall'8  febbraio 1991, che tre ufficiali scapoli della
 brigata erano interessati ad avere  la  concessione  di  utilizzo  di
 alloggi ASC nella palazzina 15 in via di ristrutturazione e quando in
 realta'  gia'  godevano  gli stessi di alloggio ASI presso la caserma
 "Zappala'" (due ufficiali) ed uno risiedeva  con  la  famiglia  fuori
 luogo militare.
    In  modo tale veniva realizzato un proprio e personale alloggio di
 servizio con sale di rappresentanza, con danno della  amministrazione
 militare,  che  a  lavori  gia'  ultimati doveva poi corrispondere le
 ditte private che ebbero a rifornire l'imputato di materiali di  ogni
 genere  (vedasi  corpo di reato 27/91), acquistati nel libero mercato
 nella noncuranza di  qualsiasi  gara  di  appalto  e  di  licitazione
 privata.
    E,  perche', impiegava nei lavori della palazzina n. 15 di Aviano,
 a proprio vantaggio, un considerevole  numero  di  militari  di  leva
 specializzati  che  venivano comandati alla caserma "Zappala'" previo
 ordine di aggregazione del comando  brigata  da  vari  reparti  della
 brigata  stessa  nel  presupposto di legittima attivita' manutentoria
 capitolo 2802 minuto  mantenimento  e,  distraendo,  pertanto,  delle
 energie   lavorative  aventi  valore  economico  dalle  attivita'  di
 istituto, con danno della amministrazione militare;
       b)  peculato  militare continuato (artt. 81, secondo comma, del
 c.p., 215 del c.p.m.p., e 314, secondo comma, del  c.p.)  perche'  in
 qualita'  di  comandante  della  brigata  "Ariete" di Pordenone dal 2
 settembre 1990 si appropriava in piu' occasioni, in esecuzione di  un
 medesimo disegno criminoso, delle due autovetture in dotazione al suo
 comando (Alfa 33, targata EI-102 CB, Alfa 33, targata EI-041 CQ) e le
 utilizzava  per  scopi  privati per raggiungere localita' fuori dalla
 propria giurisdizione e sempre senza la prescritta autorizzazione del
 comandante  del  quinto  corpo  d'armata  di  Vittorio  Veneto  (ved.
 circolare USG-G-007 del Ministero della difesa);
       c)  plurimo  abuso di autorita' con ingiuria (art. 196, secondo
 comma, del c.p.m.p.) perche' il 21 marzo 1991 in una pubblica adunata
 all'interno della  caserma  "Zappala'"  di  Aviano,  avanti  tutti  i
 marescialli   maggiori  e  aiutanti  della  brigata  "Ariete"  recava
 nocumento alla dignita',  onere  e  prestigio  degli  inferiori  loro
 dicendo e urlando "Mi vergogno di voi, siete dei carbonari" e didendo
 che  i  sottufficiali  erano  dei ladri perche' rubavano lo stipendio
 allo  Stato  non  avendo  gli  stessi  diritto  a  protestare  e  che
 meritavano di stare dove stanno;
       d)  ingiuria  ad  inferiore (art. 196, secondo comma, c.p.m.p.)
 perche' il 21 marzo 1991 in una pubblica  adunata  all'interno  della
 caserma  "Zappala'"  di Aviano, avanti tutti i marescialli maggiori e
 aiutanti della brigata appena entrato in sala e  dopo  aver  guardato
 gli astanti gridando in malo modo, senza giustificato motivo cacciava
 dal  sito  il  maresciallo  Straziuso  Nicolantonio urlandogli contro
 "Vada fuori maleducato"; cosi' recando danno al  prestigio,  onore  e
 dignita' dell'inferiore;
       e)   ingiuria  ad  inferiore  (art.  196,  secondo  comma,  del
 c.p.m.p.) perche' il 20 dicembre 1990 mattino nel palazzo del comando
 brigata in Pordenone, presenti il  colonnello  Ratti  Roberto  e  due
 militari  di leva, urlando rimproverava il sergente Signore Danilo di
 aver  sbagliato  strada  il  giorno  precedente  (quanto  per   colpa
 dell'imputato  era  andato  con  vettura di servizio all'Aeroporto di
 Venezia a prendere un suo amico) e gli diceva,  senza  dar  tempo  al
 sottufficiale  di  spiegarsi:  "Nemmeno  un cane avrebbe sbagliato la
 strada di casa", cosi' recando danno alla dignita', onore e prestigio
 dell'inferiore.  Poi  lo  minacciava  ingiustamente  rivolgendosi  al
 colonnello  Ratti  con  le parole: "Per fargli rinfrescare le idee lo
 mandi un turno in polveriera a Natale o a  Capodanno".  E  infine  lo
 minacciava  il  giorno  seguente  dopo che seppe che il sottufficiale
 intendeva  mettersi  a  rapporto  dal  comandante  del  quinto  corpo
 d'armata  gridando  in  sua presenza e ordinando al colonnello Ratti:
 "Trasferitelo,  bisogna   trasferirlo".   Trasferimento   che   senza
 motivazioni veniva disposto il giorno seguente 22 dicembre 1990.
       f)   ingiuria  ad  inferiore  (art.  196,  secondo  comma,  del
 c.p.m.p.)  perche'  all'inizio  di  aprile  1991  e  anche  prima  in
 Pordenone  comando  brigata,  recava  danno  al  prestigio,  onore  e
 dignita' del colonnello  D'Avolio  Sabatino  dicendogli  piu'  volte,
 presenti  anche  altre  persone, e, urlando, che era un incapace e un
 inetto, e dicendo le stesse espressioni urlando per citofono;
                             O S S E R V A
    1.  - All'odierno procedimento dinanzi a questo tribunale militare
 a carico di D'Avossa Gianalfonso, generale di brigata E.I.,  imputato
 dei reati descritti in epigrafe, la difesa, prima della dichiarazione
 di  apertura  del dibattimento, ha, tra le altre questioni, sollevato
 eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 419, terzo  comma,
 c.p.p., in relazione all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
    In  particolare,  dal  coordinato  disposto  dell'art.  407, unico
 comma, con l'art. 419, terzo comma, del c.p.p., si desume  il  potere
 del p.m. di proseguire le indagini anche a seguito della richiesta di
 rinvio  a giudizio e fino alla celebrazione dell'udienza preliminare,
 ricorrendo solo l'obbligo per detta parte di  trasmettere  al  g.i.p.
 gli atti relativi alle indagini eventualmente espletate.
   Tuttavia  - secondo l'assunto difensivo - la mancanza di un congruo
 termine precedente la data fissata per  l'udienza  preliminare  entro
 cui  adempiere  l'obbligo  di  trasmissione  - e quindi di deposito -
 degli  atti  d'indagine  susseguenti  alla  richiesta  di  rinvio   a
 giudizio,  renderebbe,  come nella fattispecie in esame, la discovery
 attuabile anche  alla  stessa  udienza  preliminare  e  comporterebbe
 percio'  squilibrio  tra  i  poteri  delle  parti  a detrimento della
 difesa, in ipotesi esposta ad atti "a sorpresa", anche  di  rilevante
 peso  gravatorio,  senza  possibilita'  di  una preventiva conoscenza
 degli stessi ed incapace,  in  sostanza,  di  fornire  controprova  e
 discolparsi,   secondo   il   diritto   di   difesa  garantito  dalla
 Costituzione (art. 24, secondo comma, della Costituzione).
    Il p.m. ha chiesto che  la  questione  sia  dichiarata  infondata,
 assumendo   che   il   potere  di  presentare  atti  e  documenti  e'
 riconosciuto ad entrambe le parti, ex art. 421, terzo comma, fino  al
 momento   dell'inizio  della  discussione  dell'udienza  preliminare.
 Sarebbe in tal modo ampiamente ripristinato il contraddittorio tra le
 parti, mediante attribuzione alla difesa del potere di controprova  e
 controdeduzione,  in  ordine  agli atti di indagine "susseguenti" del
 p.m.
    2.  -  Preliminarmente,  occorre  esaminare  la  rilevanza   della
 questione nel procedimento in corso.
    Essa,  attenendo  alla  mancata previsione di un termine, a carico
 del p.m., per la trasmissione al g.i.p. degli atti compiuti  dopo  la
 richiesta  di  rinvio  a  giudizio, verte sul diritto dell'imputato a
 prendere visione di elementi relativi alla sua posizione, e quindi di
 intervenire in un momento processuale in cui, mediante il  meccanismo
 della  discovery,  dovrebbe  essere  garantito il contraddittorio. La
 questione di legittimita' costituzionale prospettata verte,  percio',
 su  un'ipotesi  di  nullita'  prevista  dall'art.  178,  lett. c), in
 relazione all'art. 180 del c.p.p., ed  e'  quindi  sollevabile  nella
 fase attuale.
    Il   collegio,   dovendone  esaminare  la  rilevanza,  ha  chiesto
 l'esibizione degli atti del  fascicolo  del  p.m.,  da  cui  si  deve
 ricavare  che effettivamente, dopo la richiesta di rinvio a giudizio,
 la parte compi' altri atti di indagine, nonche' le relative  date  di
 effettuazione e trasmissione al g.i.p.
    Cio' fatto, deve ritenersi pacificamente acquisito che:
       a)  il  p.m.  richiese  il rinvio a giudizio in data 2 novembre
 1992;
       b) il g.i.p. fisso' l'udienza  preliminare  per  il  giorno  20
 gennaio  1993  e cio' comunico' al p.m. in data 10 dicembre 1992, con
 invito a trasmettere la documentazione di indagine  susseguente  alla
 richiesta di rinvio a giudizio;
       c) che il p.m., tra la data di richiesta di rinvio a giudizio e
 l'avviso  di fissazione dell'udienza preliminare, compi' vari atti di
 indagine, tra cui richiesta di documentazione al comando  genio,  (18
 dicembre 1992), assunzione di informazioni ex art. 362 del c.p.p. (in
 data 9 novembre 1992, 10 novembre 1992 e 20 novembre 1992);
       d)  che  il p.m. adempi' all'obbligo di trasmissione in data 19
 gennaio 1993, giorno precedente l'udienza preliminare.
    Alla stregua dei riportati dati  deve  ritenersi  rilevante  nella
 specie la questione prospettata.
    3.  -  Infatti, si evince con chiarezza che pressoche' inesistente
 fu il  lasso  temporale  tra  il  deposito  degli  atti  di  indagine
 "susseguenti" e la celebrazione dell'udienza preliminare e, comunque,
 tale  da consentire a malapena alla Parte una mera lettura degli atti
 senza   alcun   approfondimento,   come   imporrebbe   una   corretta
 interpretazione  del  diritto  di  difesa.  D'altronde, quest'ultimo,
 proprio nella fase in questione - compresa tra la richiesta di rinvio
 a giudizio e l'udienza  preliminare  -  appare  sancito  mediante  la
 previsione di un termine di giorni dieci (art. 419, quarto comma, del
 c.p.p.)   dall'udienza   preliminare,   entro  cui  effettuare  anche
 all'imputato la notifica del decreto di fissazione della stessa.
    E' evidente, poi, che tale termine e' funzionale  rispetto  ad  un
 corretto  ed ampio esercizio del diritto di difesa, tra i cui aspetti
 assume preminenza la necessita' che  l'imputato  venga  per  tempo  a
 conoscenza  degli elementi gravatori a suo carico, onde adeguatamente
 vagliare la linea difensiva.
    L'obbligo di trasmissione da parte del p.m. degli atti di indagine
 "susseguenti" appare inquadrabile nell'ottica  dell'attribuzione  del
 diritto  di  difesa nella fase de qua: significativa e', al riguardo,
 la circostanza che si intese variare nella stesura finale del  codice
 di  rito la "facolta'" inizialmente statuita del p.m. di trasmissione
 della documentazione "susseguente",  in  vero  "obbligo",  sancendosi
 testualmente   che   "l'avviso  (n.d.r.:  di  fissazione  di  udienza
 preliminare) comunicato al p.m. contiene l'invito  a  trasmettere  la
 documentazione  relativa  alle indagini preliminari" (art. 419, terzo
 comma, del c.p.p.).
    Eppure, sebbene traspaia dal complesso delle  citate  disposizioni
 la  statuizione  normativa di un diritto dell'imputato a conoscere in
 tale fase i completi elementi  che  gravano  a  suo  carico,  non  si
 ricava,  per  converso,  da  alcuna  norma di rito, l'esistenza di un
 termine - precedente l'udienza preliminare - entro cui il p.m.  debba
 adempiere l'obbligo di trasmissione e deposito degli atti di indagine
 "susseguenti".
    Appare    superfluo,   infatti,   soffermarsi   sulla   fondatezza
 dell'assunto  secondo  cui,  se  all'obbligo  di  trasmissione  della
 documentazione  "susseguente"  non si accompagni anche la statuizione
 di un termine stabilito a pena di inutilizzabilita' della stessa,  si
 svuota  di ogni significato - evidentemente ravvisabile come garanzia
 difensiva - il sancito obbligo di discovery anche in  relazione  agli
 atti in questione.
    Vale la pena di aggiungere che, pure secondo i lavori preparatori,
 il  p.m. puo' trasmettere la documentazione di indagine "susseguente"
 anche all'udienza preliminare; elemento, questo, ad ulteriore riprova
 della correttezza dell'interpretazione qui assunta, secondo  cui  non
 vi  e'  de  iure condito un termine, ne' espressamente stabilito, ne'
 aliunde ricavabile, per la discovery di tali atti prima  dell'udienza
 preliminare.
    Inoltre non e' neppure previsto che il g.i.p. - a fronte dei nuovi
 elementi  di indagine trasmessi nell'imminenza temporale dell'udienza
 preliminare o nel corso della stessa -  conceda  un  termine  per  la
 difesa,  analogamente  a quanto previsto dall'art. 103 del c.p.p. Ne'
 un allargamento del disposto di tale  norma  -  mediante  ricorso  al
 canone analogico - anche all'ipotesi in questione, appare consentito,
 comportando   esso   una   dilazione   dei  termini  di  celebrazione
 dell'udienza preliminare, mentre il principio  ispiratore  del  nuovo
 codice  impronta  all'opposta  esigenza  di  celerita'  e  speditezza
 l'andamento delle fasi processuali, sottraendo alle parti  il  potere
 di influirvi mediante atti dipendenti dalla loro mera volonta'.
    4.  -  Giova,  poi, osservare che la lesione del diritto di difesa
 nella fase di cui trattasi appare confermata  dalla  vasta  gamma  di
 atti d'indagine che il p.m. puo' compiere dopo la richiesta di rinvio
 a  giudizio e fino alla discussione nell'udienza preliminare: non e',
 infatti, fissato testualmente dall'art. 419, terzo comma, del  c.p.p.
 alcun  divieto,  da  parte  del  p.m.,  di procedere al compimento di
 taluno di essi,  come  invece  statuito  dall'art.  430  del  c.p.p.,
 relativo  alla  fase successiva all'emissione del decreto che dispone
 il giudizio, nel quale si esclude la possibilita' di espletamento  di
 atti  integrativi  d'indagine, per i quali sia necessaria la presenza
 del difensore.
    Ne  consegue  che  puo'  verificarsi,  a  seguito   dell'attivita'
 d'indagine  di  cui  all'art.  419 del c.p.p., uno stravolgimento del
 quadro probatorio  degli  atti  quale  risultante  al  momento  della
 richiesta di rinvio a giudizio, con conseguente effetto "a sorpresa",
 per l'imputato.
    Si  aggiunge  che  lo  stesso  p.m. puo' avvalersi dello strumento
 della trasmissione di cui all'art. 419, terzo comma, del  c.p.p.  per
 chiedere,  nel  rispetto dei termini di legge o prorogati dal g.i.p.,
 il rinvio a giudizio, nella supposizione di raccogliere gli  elementi
 necessari solo successivamente alla richiesta stessa, dal momento che
 il g.i.p. e' obbligato a fissare l'udienza preliminare senza avere il
 potere  di  valutare la sussistenza degli elementi a fondamento della
 stessa.
    Certamente  non  e'  da  porre  in   discussione   la   preminenza
 dell'interesse  della giustizia a che le indagini del p.m. continuino
 anche successivamente alla  richiesta  di  rinvio  a  giudizio,  come
 consentito  dal  combinato  disposto  degli  artt.  405 e 407, ultimo
 comma, del c.p.p.: cio', in osservanza al  principio  costituzionale,
 secondo  cui  il  p.m.,  una  volta  esercitata l'azione penale, deve
 (salvo i casi stabiliti dalla  legge)  proseguire  nell'esercizio  di
 essa (art. 112 della Costituzione).
    5.  -  Proprio  nella  ricerca  di  un contemperamento - delle due
 menzionate opposte esigenze - quella del p.m.  di  compiere  indagini
 anche successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio e quella di
 tutela  della difesa dell'imputato in ordine a tali atti - si colloca
 una recente giurisprudenza di merito (tribunale di  Roma,  g.i.p.,  7
 aprile  1990,  Di Bella ed altri, in giur. it., febb., p. 2, pg. 58),
 secondo cui il limite temporale al potere del p.m. per l'espletamento
 di  ulteriori  indagini  da  utilizzare  all'udienza  preliminare, si
 ricaverebbe dallo stesso art. 419, terzo comma, del c.p.p.:  infatti,
 la ricezione da parte del p.m. dell'avviso di fissazione dell'udienza
 preliminare  e,  quindi,  dell'invito  a presentare la documentazione
 delle indagini "susseguenti" al g.i.p., segnerebbe il momento  limite
 dell'attivita' di indagine del p.m. in questa fase.
    Cio',  secondo tale tesi, consentirebbe di realizzare la discovery
 in  modo  pieno  e  non  parziale  per  garantire   all'imputato   di
 difendersi.
    Ne  deriverebbe  percio' l'inutilizzabilita', ai fini dell'udienza
 preliminare, della documentazione realizzata dopo l'invito del g.i.p.
 di cui all'art. 419, terzo  comma,  del  c.p.p.,  della  quale  -  si
 osserva - comunque ci si potra' servire vuoi nel caso di cui all'art.
 433,  primo  comma, del c.p.p., vuoi nella fase dibattimentale. Senza
 contare che tali atti di  indagine,  non  utilizzabili,  come  detto,
 all'udienza  preliminare,  potrebbero  legittimare  una  richiesta di
 revoca (art. 435 del c.p.p.) della sentenza di non luogo a procedere,
 eventualmente emessa.
    Detta giurisprudenza, pur degna di rilievo per il limite temporale
 posto alla utilizzabilita' degli atti in indagine  "susseguenti"  del
 p.m.,  non  risolve  il  problema che rileva nella specie: la mancata
 previsione di un termine,  precedente  la  celebrazione  dell'udienza
 preliminare, per la trasmissione degli atti e relativo deposito.
    6.   -  Posto  pertanto  che  l'attuale  soluzione  normativa  non
 stabilisce nella fase in  esame  un  termine  per  la  discovery,  il
 collegio  si  chiede  se  sussistono  ragioni  insite  nella natura e
 funzione stessa dell'udienza preliminare, tali  da  giustificare  una
 parziale menomazione del diritto di difesa in questo momento.
    La  risposta  deve  essere  negativa, in quanto il g.i.p., oltre a
 disporre il giudizio, puo' emettere sentenza di non luogo a procedere
 (art. 425 del c.p.p.), sentenza applicativa della pena  su  richiesta
 (art.  444  del  c.p.p.),  infine  sentenza  conseguente  a  giudizio
 abbreviato (art. 438 del c.p.p.).
    Vale la pena di rilevare che sara'  proprio  la  conoscenza  degli
 elementi  raccolti dal p.m. a far si' che l'imputato o ricerchi prove
 a discarico per  ottenere  gia'  in  questa  fase  il  "non  luogo  a
 procedere"  o,  al  contrario,  si  induca  ad adire un rito speciale
 (patteggiamento, abbreviato o immediato), al  fine  di  definire  con
 sollecitudine e vantaggio per se' il procedimento.
    E', pero', chiaro che solo a seguito di una piena ed ampia discov-
 ery  potra'  realizzarsi, da un lato, la complessa valutazione legata
 alla scelta di propendere per un rito speciale -  in  relazione  alla
 quale  possibilita'  deve  anche  formularsi  il  riferimento  ad  un
 adeguato diritto di  difesa  -,  dall'altro  lo  studio  della  linea
 difensiva  da seguire, in vista della prosecuzione del processo nella
 fase dibattimentale.
    7. - Per quanto attiene  alle  argomentazioni  del  p.m.  poste  a
 sostegno  della  richiesta  di  rigetto  della  sollevata  questione,
 effettivamente l'art. 421, terzo comma, del  c.p.p.,  riconosce  alle
 parti  il  potere  di  produrre all'udienza preliminare stessa, prima
 dell'inizio della discussione, atti e documenti.
    Cio',  secondo  l'assunto  dal  p.m.  -  qualora  riguardato   con
 riferimento   alla   posizione   della  difesa  -  reintegrerebbe  il
 contraddittorio, attribuendo all'imputato un potere di controprova in
 ordine alla documentazione trasmessa  al  g.i.p.  o  presentata  alla
 stessa udienza preliminare ex art. 419, terzo comma, del c.p.p.
    Deve pero' ritenersi che il riconoscimento del potere in questione
 attribuito  all'imputato non ripristini pienamente il principio della
 parita' tra le  parti:  il  contraddittorio  e'  infatti  stato  leso
 proprio  dalla  mancata  attuazione  della discovery entro un congruo
 termine precedente l'udienza  preliminare.  Sicche'  la  possibilita'
 dell'imputato  di  presentare  atti  e  documenti, ex art. 421, terzo
 comma, del c.p.p., non comportera'  pieno  diritto  alla  controprova
 relativamente alla documentazione di indagine allegabile "a sorpresa"
 dal  p.m.  fino al momento dell'inizio della discussione nell'udienza
 preliminare. La difesa, infatti, avra'  potuto  discolparsi  solo  in
 ordine  alla  situazione processuale risultante dalla discovery e non
 anche in riferimento agli atti di indagine  "susseguenti"  presentati
 in extremis all'udienza preliminare stessa.
    La tesi del p.m. non merita percio' accoglimento.
    7.   -   Dalle   esposte  argomentazioni  si  ricava  che  non  e'
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.  419,  terzo comma, del c.p.p., in riferimento all'art. 24,
 secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede  un
 termine  per  l'adempimento  dell'obbligo del p.m. di trasmissione al
 g.i.p. della documentazione degli atti di indagine compiuti  dopo  la
 richiesta di rinvio a giudizio.
    Dovendo  poi  formulare  la  detta  questione  con  riferimento  a
 parametri legislativi che consentano di  individuare  nitidamente  il
 petitum,  ai  fini  della precisazione di detto termine, sembra ci si
 possa fondatamente richiamare all'art. 430  del  c.p.p.,  riguardante
 l'attivita' integrativa di indagine del p.m. successiva all'emissione
 del decreto che dispone il giudizio.
    L'esigenza,  sia  di  consentire  al  p.m.  la  prosecuzione delle
 indagini per un  corretto  andamento  della  giustizia,  sia  di  non
 dilatare  le  fasi  processuali  a  seguito di emergenze derivanti da
 indagini sopravvenute, sia infine di tutelare la discovery e, quindi,
 il diritto dell'imputato a  difendersi  in  merito  a  ogni  emelento
 raccolto  a suo carico, appaiono poste a fondamento sia dell'art. 430
 del c.p.p., sia dello stesso art. 419, terzo comma,  del  c.p.p.  qui
 impugnato.
    Ne consegue che l'art. 430 del c.p.p. pur presentando pecularieta'
 derivanti  dall'avanzato  stato del procedimento (divieto di compiere
 atti  di  indagine  per  i  quali  e'  prevista   la   partecipazione
 dell'imputato o del difensore), costituisce un valido riferimento per
 la ricerca del termine di trasmissione della documentazione, che deve
 essere    depositata,    secondo    quanto   testualmente   affermato
 "immediatamente".
    Ne  deriva  che,  altresi'  "immediatamente"   dovrebbero   essere
 trasmessa  la  documentazione  relativa  alle  indagini eventualmente
 espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio.
    Resta chiaro che, secondo quanto innanzi affermato,  con  l'invito
 del  g.i.p.  a  trasmettere la documentazione, viene comunque meno il
 potere del p.m. di procedere ad ulteriori indagini  utilizzabili  per
 l'udienza preliminare.
    Consegue  che l'illegittimita' costituzionale dell'art. 419, terzo
 comma, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione,
 appare palesarsi nella parte in cui esso  non  prevede  l'obbligo  di
 "immediata"  trasmissione  della  documentazione di indagine posta in
 essere  dopo la richiesta di rinvio a giudizio, a seguito dell'invito
 del g.i.p. al p.m. ai sensi dell'art. 419, terzo comma, del c.p.p.
    Evidentemente,  la  sanzione  processuale   per   l'inottemperanza
 dell'obbligo  in  questione  sarebbe  l'inutilizzabilita'  degli atti
 stessi ai fini dell'udienza preliminare.
    9.  -  Si  segnala,   infine,   alla   Corte   la   illegittimita'
 costituzionale  conseguenziale (art. 27 della legge 11 marzo 1957, n.
 87) dell'art. 421, terzo comma, del c.p.p., in  riferimento  all'art.
 24, secondo comma, della Costituzione.
    Infatti  detta  norma  processuale, prevedendo la possibilita' del
 p.m. - e della difesa - di esibire al g.i.p. all'udienza  preliminare
 documenti  ed  atti,  non  limita la produzione in tale sede dei soli
 documenti riconducibili allo schema  dell'art.  234  del  c.p.p.,  ma
 consente  di  esibire, fino al momento dell'inizio della discussione,
 anche "atti" di indagine preliminare (consulenze tecniche, assunzioni
 di  informazioni  ex  art.  362  del  c.p.p.,  ecc.),  non  trasmette
 immediatamente  a seguito dell'invito del g.i.p. di cui all'art. 419,
 terzo comma, del c.p.p.
    Per le  ragioni  diffusamente  esposte,  detti  atti  assumono  un
 effetto  chiaramente  "a  sorpresa" e comportano pertanto lesione del
 diritto di difesa, proprio per difetto della discovery in un  congruo
 termine antecedente l'udienza preliminare.
    Conseguentemente  l'accoglimento  della  questione di legittimita'
 costituzionale riguardante il  citato  art.  419,  terzo  comma,  del
 c.p.p.,  non  potrebbe  non  riflettersi  anche  sull'art. 421, terzo
 comma, del c.p.p. nella parte in cui quest'ultimo  consentirebbe  che
 atti  di  indagine,  susseguenti alla richiesta di rinvio a giudizio,
 non trasmessi "immediatamente" ai sensi dell'art. 419,  terzo  comma,
 del c.p.p., siano presentati direttamente all'udienza preliminare.
    Pertanto  si devolve alla Corte anche la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 421, terzo comma, del c.p.p., in riferimento
 all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, nei termini citati.
                               P. Q. M.
    Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestamente infondata  e  rilevante  nel  presente
 giudizio  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 419,
 terzo comma, del c.p.p. in  relazione  all'art.  24,  secondo  comma,
 della Costituzione;
    Ordina  la sospensione del procedimento in corso e la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone che copia  della  presente  ordinanza  sia  notificata  al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e comunicato ai Presidenti dei
 due rami del Parlamento.
      Padova, addi' 16 marzo 1993
                         Il Presidente: ROSIN
    Il giudice estensore: BLOCK
                                Il collaboratore di cancelleria: DARIO
    Depositata in cancelleria il 30 marzo 1993.
                Il collaboratore di cancelleria: DARIO

 93C0679