N. 337 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 aprile 1993
N. 337 Ordinanza emessa il 17 aprile 1993 dal tribunale di Vibo Valentia nel procedimento per il riesame della misura cautelare degli arresti domiciliari, sull'istanza di Mamone Francesco Mafia - Provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa - Possesso ingiustificato di beni di valore sproporzionato alla attivita' svolta o ai redditi dichiarati - Configurazione di tale condotta come reato proprio richiedendosi per il soggetto attivo la qualifica di indagato per determinati reati o di soggetto nei cui confronti si proceda per l'applicazione di una misura di prevenzione - Irragionevolezza in considerazione della non definitivita' delle suddette qualifiche - Violazione del diritto di difesa, per non potere l'indagato di tale reato, avvalersi della facolta' di non rispondere (essendo obbligato a fornire giustificazione del possesso dei beni) e del principio di presunzione di innocenza. (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies, secondo comma, modificato dal d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, art. 5, e dal d.l. 23 marzo 1993, n. 73). (Cost., artt. 3, 24 e 27).(GU n.27 del 30-6-1993 )
IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza sulla richiesta di riesame proposta in data 25 marzo 1993 da Mamone Francesco nato a Drapia il 6 giugno 1928, avverso l'ordinanza in data 12 marzo 1993, eseguita il 18 successivo, con la quale il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Vibo Valentia, su richiesta del procuratore della Repubblica, ha disposto la misusra degli arresti domiciliari nei confronti di esso Mamone, indagato "per il reato p. e p. dell'art. 12-quinquies della legge n. 356/1992 e succ. modd. perche', essendo gia' indagato per i reati di cui agli artt. 644 e 648- ter del c.p., risulta essere titolare ed avere la disponibilita' di denaro e beni di valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle relative imposte, ed alla propria attivita' economica, dei quali non puo' giustificare la legittima provenienza. Accertato in Tropea sino al 17 novembre 1992"; Sentita la relazione del presidente e le conclusioni del p.m.; Considerato che con i motivi della richiesta il Mamone ha sollevato questione di legittimita' costituzionale della norma incriminatoria di cui all'artt. 12-quinquies della legge 7 agosto 1992, n. 356 e ss. mm.: R I L E V A Vi e' prova documentabile in atti: 1) che negli ultimi sei anni Mamone Francesco ha dichiarato al competente ufficio delle imposte, ai fini Irpef, un reddito medio imponibile di L. 13.000.000 mentre la moglie, Mamone Vittoria, un reddito di L. 8.000.000 (cfr. rapporto del n.r.c.t. della guardia di finanza e relativi allegati), pur essendo risultato il Mamone proprietario, almeno alla stregua delle prime indagini, di n. 19 appezzamenti di terreno e di n. 58 appartamenti e/o unita' immobiliari nonche' titolare di liquidita' bancarie e/o di partecipazioni societarie valutabili in oltre L. 700.000.000 (cfr. sempre rapporto della guardia di finanza e relativi allegati nonche' verbali di interrogatorio dell'indagato al p.m. del 24 marzo 1993, nel corso del quale questi ha ammesso di avere in corso di restituzione a diversi istituti di credito, mutui bancari ipotecari per L. 1.200.000.000; elemento indubbiamente rilevatore di una sua solidissima posizione economica e patrimoniale); 2) che nei confronti del Mamone "pende procedimento penale" per i delitti di cui agli artt. 644 (usura) e 648- ter del c.p. (impiego di denaro, beni o utilita' di provenienza illecita). Non vi e' dubbio, pertanto, che ricorrono nella fattispecie i gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 273, primo comma, del c.p.p. a carico del reclamante in riferimento al delitto (art. 12-quinquies della legge n. 356/1992 e succ. modd.) per il quale e' indagato e che ricorrono altresi' le esigenze cautelari prefigurate dall'art. 274 stesso codice in relazione all'evidente conreto pericolo che, lasciato libero, commetta altri delitti presupposti (artt. 644 e 648- ter del c.p.) e delitti della stessa specie di quello per cui si procede; le quali esigenze legittimano la misura coercitiva disposta dal giudice per le indagini preliminari e sulla quale verte il riesame. Ne', per quanto qui interessa, puo' ritenersi di qualche fondatezza la tesi prospettata dalla difesa dell'indagato col primo motivo di riesame, secondo cui l'imputazione ex art. 12-quinquies della legge n. 356/1992 e succ. modd. "ruoterebbe - nel caso - intorno al concetto di quella stessa presunta impossibilita' di giustificazione della provenienza dei beni che era stata assunta in pregressi procedimenti penali come spia dell'allora contestato coinvolgimento del Mamone Francesco in attivita' penalmente rilevanti ai sensi degli artt. 416- bis e 644 del c.p." (cosi' testualmente), con conseguente violazione del beneficio del ne bis in idem enunciato dall'art. 649 del c.p.p. Puo' osservarsi, infatti, a tale specifico proposito, come, a prescindere da ogni altra pur possibile considerazione di diritto, i procedimenti, sia di cognizione che di prevenzione ai quali in tempi precorsi il Mamone e' stato sottoposto e conclusisi con provvedimenti oramai definitivi a lui ampiamente favorevoli (cfr. documentazione prodotta dalla difesa), si riferiscono a condotte consumatesi sino agli anni 1984/85, mentre le indagini relative sia ai reati presupposti di cui agli artt. 644 e 648- ter del c.p., che a quello derivato di cui all'art. 12-quinquies della legge n. 356/1992, poste a fondamento della misura coercitiva impugnata col reclamo di cui ci si occupa concernono attivita', ipotizzate come delittuose, compiute dal Mamone anche in epoca successiva agli anni 1984/85 e perduranti sino al novembre 1992. Tutto quanto sopra premesso conduce il collegio a ritenere la evidente rilevanza della sollevata questione di legittimita' costituzionale, giacche' il presente procedimento di riesami non puo' essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione. La questione, per altro, non e' manifestamente infondata. Invero, come e' stato gia' osservato dal tribunale di Salerno (ordinanza del 2 novembre 1992 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 del 3 febbraio 1993) ma anche dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 746 del 22 febbraio 1993 depositata il 12 marzo 1993) l'art. 12-quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, coordinato con la legge di conversione 7 agosto 1992, n. 356, con la modificazione di cui all'art. 5 del d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, reiterato dal d.l. 23 marzo 1993, n. 73, prevede come ipotesi di illecito penale perseguibile il possesso o in ogni caso la disponibilita' ingiustificati di denaro, beni o altre utilita' di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all'attivita' economica esercitata da parte di colui nei cui confronti sia pendente procedimento penale per determinati delitti - fra i quali quelli di cui agli artt. 644 e 648- ter del c.p. - e determina quindi una figura di reato "proprio" del quale soggetto attivo puo' essere colui che venga a trovarsi nella posizione processuale di imputato o anche - come nel caso - solamente di indagato, per alcuni illeciti che si ritiene siano stati commessi dallo stesso sulla base di elementi indizianti ancora non sottoposti alla verifica del giudice circa la loro effettiva sussistenza, la loro idoneita' probatoria e la loro riferibilita' al soggetto, la cui responsabilita' in relazione ai fatti che gli si addebitano in ogni caso non si e' accertato con sentenza definitiva nel momento nel quale sorge il sospetto e si consolida la condotta che si decrive come illecita e che viene cosi' ancorata, da un lato, ad una sistuazione personale che potrebbe anche vanificarsi nel corso del procedimento e, dall'altro, al parametro oggettivo della sproporzione tra il valore della disponibilita' e il reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, richiedendosi al soggetto di fornire in tale ipotesi la prova della provenienza legittima dei beni (cosi' Cass. pen. sopra cit.). Puo' osservarsi che trattasi, in effetti, di un paradigma criminoso che suscita serie e fondate perplessita' - prima face - circa la sua conformita' quanto meno ai principi: a) di ragionevolezza sottesa all'art. 3 della Costituzione; b) dell'inviolabilita' del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione); c) della presunzione d'innocenza sino alla condanna definitiva (art. 27, secondo comma, della Costituzione). Cio' ove si ponga mente, in riferimento al primo profilo (possibile contrasto con l'art. 3), che lo stato soggettivo da indagato per taluni reati, che e' elemento costitutivo del delitto in questione prescinde irragionevolmente dagli esiti processuali, potenzialmente opposti (assoluzione/condanna) del reato o dei reati presupposti, di tal che il colpevole e l'innocente dei "delitti-sorgente" subiscono il medesimo trattamento processual-penalistico,con risultati palesemente aberranti ed ab intrinsico ingiusti. Sotto gli altri due profili appare sufficiente rilevare che la norma incriminatrice sembra costringere il soggetto che intende sottrarsi al procedimento, ad abbandonare ogni comportamento processualmente passivo, pur garantito dall'ordinamento ad ogni altro imputato - il quale ha diritto di attendere inerte che il p.m. provi l'accusa - obbligandolo ad attivarsi per giustificare la legittimita' della accumulazione patrimoniale sospetta, in contrasto sia col diritto del cittadino di difendersi anche con il silenzio - art. 24, secondo comma - sia con la presunzione di non colpevolezza che assiste ogni imputato ed a fortiori ogni indagato sino alla condanna definitiva (cosi' sostanzialmente anche Cass. pen., sezione seconda, ord. del 17 febbraio 1993).
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, come modificato dall'art. 5 del d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, reiterato con d.-l. 23 marzo 1993, n. 73, in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma, 27, secondo comma, della Costituzione; Sospende il procedimento e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale nonche' la notifica della presente ordinanza alla parte, al p.m. ed al Presidente del Consiglio dei Ministri; Ordina altresi' la comunicazione del presente provvedimento ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Vibo Valentia, addi' 7 aprile 1993 Il presidente relatore: VITALE Depositato in cancelleria l'8 aprile 1993 alle ore 19,30. Il cancelliere: DELL'AGLI 93C0685