N. 338 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 aprile 1993
N. 338 Ordinanza emessa il 16 aprile 1993 dal tribunale di Vibo Valentia nel procedimento per il riesame di sequestro di documentazione, sull'istanza di Mamone Francesco Mafia - Provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa - Possesso ingiustificato di beni di valore sproporzionato alla attivita' svolta o ai redditi dichiarati - Configurazione di tale condotta come reato proprio richiedendosi per il soggetto attivo la qualifica di indagato per determinati reati o di soggetto nei cui confronti si proceda per l'applicazione di una misura di prevenzione - Irragionevolezza in considerazione della non definitivita' delle suddette qualifiche - Violazione del diritto di difesa, per non potere l'indagato di tale reato, avvalersi della facolta' di non rispondere (essendo obbligato a fornire giustificazione del possesso dei beni) e del principio di presunzione di innocenza. (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies, secondo comma, modificato dal d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, art. 5, e dal d.l. 23 marzo 1993, n. 73). (Cost., artt. 3, 24 e 27).(GU n.27 del 30-6-1993 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla richiesta di riesame proposta in data 5 aprile 1993 nell'interesse di Mamone Francesco, nato a Drapia il 6 giugno 1928 annesso il decreto del p.m. in data 20 marzo 1993 con cui e' stato convalidato il sequestro eseguito il 18 marzo 1993 dalla guardia di finanza, nucleo di Catanzaro, della documentazione ricevuta nell'abitazione dell'indagato rilevante ai fini delle indagini sul contestato reato di cui all'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge n. 356/1992; Sentita la relazione del presidente e le conclusioni del p.m.; Considerato che con i motivi della richiesta il Mamone ha sollevato questione di legittimita' costituzionale della norma innovatrice di cui all'art. 12-quinquies della legge 7 agosto 1992, n. 356 e succ. mod.; R I L E V A Il sequestro della documentazione rinvenuta nell'abitazione del Mamone ed in altro appartamento dello stesso stabile di proprieta' del predetto e nella sua disponibilita' (con la precisazione che parte di questa e' stata rinvenuta nello spazio dei cassonetti delle tapparelle dove era stata occultata) appare legittimamente eseguito, sussistendo a carico del predetto gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato contestato ed altresi' la necessita' di sottrarre le cose alla disponibilita' di questo, potendosi verificare la sottrazione e la distruzione di documentazione rilevante ai fini probatori. Infatti dal rapporto della guardia di finanza risulta che negli ultimi sei anni Mamone Francesco ha dichiarato al competente ufficio delle imposte, ai fini Irpef, un reddito medio annuo imponibile di L. 13.000.000 mentre la moglie, Massara Vittoria, un reddito di circa L. 8.000.000, pur essendo risultato il Mamone, alla stregua delle prime indagini, proprietario di n. 19 appezzamenti di terreno e di n. 58 appartamenti e/o unita' immobiliari, nonche' titolare di liquidita' bancaria e/o partecipazioni societarie valutabili in oltre L. 700.000.000, che lo stesso non ha fornito opportune spiegazioni in ordine alla legittima provenienza dei predetti beni, visibilmente sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati. Ne', per quanto qui interessa, puo' ritenersi fondata la tesi difensiva, prospettata col primo motivo di gravame, secondo cui l'attuale imputazione ai sensi dell'art. 12-quinquies della legge n. 356/92 e succ. mod. si basa sugli stessi presupposti di fatto (ingente disponibilita' patrimoniale non giustificata da attivita' lecite e sproporzionata al reddito dichiarato ed all'attivita' effettivamente svolta) gia' assunti a fondamento di precedenti procedimenti penali di cognizione e prevenzione, ai sensi degli artt. 416- bis e 644 del c.p., conclusasi positivamente per il Mamone (con assoluzione o rigetto) con conseguente violazione del principio del ne bis in idene, enunciato dall'art. 649 del c.p.p. Puo' osservarsi, a tal proposito, che i pregressi suddetti procedimenti si riferiscono a condotte consumate sino agli anni 1984-85 mentre le indagini relative al reato di cui all'art. 12-quinquies della legge n. 356/1992, posto a fondamento del vincolo imposto, concernono attivita' compiuta dal Mamone anche successivamente agli anni 1984-85 e perduranti sino al novembre 1992. Inoltre, in mancanza di adeguata documentazione relativa di procedimenti regressi, non esibita dalla difesa, non risulta l'identita' tra l'attuale vicenda e quella gia' conclusa. Cio' posto, va, tuttavia, osservato che la prospettata questione di illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 12-quinquies della legge n. 356/1992 non si appalesa manifestamente infondata. Invero, come e' stato gia' asserito dal tribunale di Salerno (ordinanza del 2 novembre 1992 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 del 3 febbraio 1993), ma anche dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 746 del 22 febbraio 1993) l'art. 12-quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, coordinato con la legge di conversione 7 agosto 1992, n. 356, con la modificazione di cui all'art. 5 del d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, reiterato dal d.-l. 23 marzo 1993, n. 73, prevede come ipotesi di illecito penale perseguibile il possesso od, in ogni caso, la disponibilita' ingiustificata di denaro, bensi' o altre attivita' di valore sproporzionato al reddito dichiarato od all'attivita' economica esercitata da parte di colui nei cui confronti va pendente procedimento per determinati delitti (artt. 644, 648, 648- ter del c.p.) delineando, quindi, una figura di reato "proprio" del quale soggetto attivo puo' essere colui che venga a trovarsi nella posizione processuale di imputato od anche, come nel caso, solamente di indagato per alcuni illeciti che si ritiene siano stati commessi dallo stesso sulla base di elementi indizianti ancora non sottoposti alla verifica del giudice circa la loro effettiva sussistenza, idoneita' probatoria e riferibilita' al soggetto, la cui responsabilita' in relazione ai fatti che si addebitano, in ogni caso, non e' stata accertata con sentenza definitiva al momento nel quale sorge il sospetto e si consolida la condotta che si descrive come illecita e che viene ancorata, da un lato ad una situazione personale che potrebbe anche vanificarsi nel corso del procedimento ( ..) e, dall'altro, al parametro oggettivo della sproporzione tra il valore della disponibilita' ed il reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, richiedendosi al soggetto di favorire su tale ipotesi la prova della provenienza legittima dei beni (cosi' testualmente Cass. pen. sopra cit.). Puo' osservarsi che trattasi, in effetti, di un paradigma criminoso che suscita serie e fondate perplessita' "prima fase" circa la sua conformita', quantomeno, ai principi: a) di ragionevolezza sotteso dall'art. 3 della Costituzione; b) della inviolabilita' del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione); c) della presunzione di innocenza sino alla condanna definitiva (art. 27, secondo comma, della Costituzione). Cio' ove si ponga mente, in riferimento al primo profilo (possibile contrasto con l'art. 3) che lo stato soggettivo di indagato per taluni reati - che e' elemento costitutivo del delitto in questione - prescinde irragionevolmente dagli esiti processuali, potenzialmente opposti (assoluzione/condanna) del reato o dei reati presupposti; di tal che il colpevole e l'innocente dei delitti sorgente subiscano il medesimo trattamento processual-penalistico con risultati palesemente aberranti ed ingiusti. Sotto gli altri due profili appare sufficiente rilevare che la norma determinatrice sembra costringere il soggetto, che intenda sottrarsi al procedimento, ad abbandonare ogni comportamento processualmente passivo, pur garantito dallo ordinamento ad ogni altro imputato (il quale ha diritto di attendere inerte che il p.m. provi l'accusa) obbligandolo a giustificare la legittimita' della accumulazione patrimoniale sospetta, in contrasto sia col diritto del cittadino di difendersi anche con il silenzio (art. 24, secondo comma), sia con la presunzione di non colpevolezza che assiste ogni imputato, ed a fortiori ogni indagato, sino alla condanna definitiva (cosi' sostanzialmente, anche Cass. pen., sez. II, ordinanza 17 febbraio 1993). E' altresi' evidente la rilevanza della suddetta questione di legittimita' costituzionale nel presente procedimento di riesame, giacche' la valutazione della legittimita' del sequestro puo' mutare in conseguenza della pronuncia sulla conformita' o meno ai principi costituzionali della fattispece penale in cui si fonda la misura soggetta a riesame. Pertanto, va disposta la sospensione del presente procedimento in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. Va, tuttavia, precisato che cio' non comporta la caducazione del provvedimento di sequestro, comportando la sospensione, il mantenimento dello stesso e non sussistendo, allo stato, motivi di opportunita' che consiglino il dissequestro della documentazione nelle more della decisione, anzi, sussistendone di opposti, in relazione al pericolo di inquinamento probatario. Infatti, il termine perentorio di dieci giorni entro cui, a pena di inefficacia della misura cautelare, deve intervenire la decisione nel merito del tribunale del riesame, segue, in ipotesi di pregiudiziale costituzionale, la stessa sorte del procedimento, rimanendo sospeso e riprende a decorrere dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale risolutiva della questione (v. conf. Cass. pen., sez. prima, 3 luglio 1992, n. 2594).
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, come modificato dall'art. 5 del d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, reiterato con d.-l. 23 marzo 1993, n. 73, in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione; Sospende il procedimento, disponendo, per l'effetto, il mantenimento della misura cautelare del sequestro della documentazione rinvenuta negli appartamenti nella disponibilita' del Mamone, convalidato con provvedimento del sostituto procuratore della Repubblica presso questo tribunale in data 20 marzo 1993; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, nonche' la notifica della presente ordinanza alla parte, al p.m. ed al Presidente del Consiglio dei Ministri; Ordina la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Vibo Valentia, 16 aprile 1993 Il presidente estensore: (firma illeggibile) 93C0686