N. 339 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 febbraio 1993
N. 339 Ordinanza emessa il 19 febbraio 1993 dalla corte d'appello di Torino nel procedimento penale a carico di Cendretto Carmelo Processo penale - Procedimenti speciali - Rito abbreviato - Lamentata preclusione per il p.m. di appellare le sentenze di condanna anche in caso di ritenuta incongruita' della pena - Richiesta di impugnazione incidentale nel caso in cui l'imputato abbia proposto appello - Violazione della parita' processuale delle parti - Lesione dei principi di obbligatorieta' dell'azione penale e del doveroso esercizio della potesta' punitiva dello Stato. (C.C.P. 1988, artt. 443 e 595). (Cost., artt. 3 e 112).(GU n.27 del 30-6-1993 )
LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento a carico di Cendretto Carmelo, nato a San Mauro T.se il 19 febbraio 1957; Visti gli atti del procedimento penale contro Cendretto Carmelo; Vista l'eccezione di legittimita' costituzionale rilevata dall'appellante pubblico ministero di Asti ai sensi del combinato disposto dagli artt. 443 e 595 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3 e 112 della Costituzione; Richiamati integralmente i motivi dedotti a fondamento della sopraddetta eccezione, i quali sono del seguente tenore: "Incostituzionalita' dell'art. 443, terzo comma, del c.p.p. In primo luogo si rappresenta che questo pubblico ministero avrebbe interesse ad appellare, quantomeno in via incidentale, la sentenza emessa dal pretore di Asti che ha condannato il Cendretto ad una pena inferiore a quella proposta all'atto delle conclusioni, pena che si reputa non rispondente ai criteri di cui all'art. 133 del c.p. Senonche', prima di illustrare i motivi a sostegno dell'impugnazione, il p.m. rileva che il presente appello dovrebbe essere dichiarato inammissibile da codesta corte d'appello in quanto non consentito dall'art. 443 del c.p.p. Per queste ragioni, questo ufficio intende sollevare preliminarmente l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 443 del c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 12 della Costituzione nella parte in cui non ammette che il pubblico ministero possa proporre appello incidentale avverso tutte le sentenze di condanna emesse al temine del giudizio abbreviato. E' evidente la rilevanza della questione dedotta per cui non occorre spendere altre parole. Piu' complesso, invece, appare il profilo attinente la non manifesta infondatezza dell'eccezione. Non ignora questo p.m. che la Corte costituzionale con la sentenza 23 luglio 1991, n. 263 (Cass. pen. 1991, 806) ha dichiarato che non e' illegittima la norma suindicata nella parte in cui non consente al p.m. di proporre impugnazione avverso le sentenze di condanna emesse al termine del giudizio abbreviato. Invero, il ragionamento che la Corte ha sviluppato nella sentenza citata puo' essere condiviso soltanto se si correla alla configurazione che i compilatori del codice del 1988 hanno voluto dare al procedimento del giudizio abbreviato. Invero, come e' noto sono intervenuti alcuni incisivi interventi costituzionali che, a parere di questo p.m., hanno profondamente trasformato il rito nella sua natura e funzione. Infatti, nell'impostazione originaria, in cui il p.m. poteva dissentire in ordine alla richiesta di giudizio abbreviato senza essere tenuto ad enunciare le ragioni e senza soprattutto che le ragioni (eventualmente) enunciate fossero sindacabili dal giudice, era perfettamente logico che lo stesso p.m., in cambio della rinuncia dell'imputato all'esplicazione piena del suo diritto di difesa, rinunciasse al completo esercizio della pretesa punitiva (mediante l'impugnazione delle sentenze) in nome di quella esigenza di deflazione dei procedimenti che stava alla base dell'istituto in oggetto. Ma gia' a seguito della sentenza n. 81 del 15 febbraio 1991, che ha dichiarato illegittimo il fatto che non fosse previsto che il pubblico ministero, in caso di dissenso, fosse tenuto ad enunciarne le ragioni e che il giudice, all'esito del dibattimento, quando ritenesse ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, non potesse applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, secondo comma, era logico porsi la domanda se il sistema fosse ancora 'paritario' o non stesse orientandosi verso un sostanziale squilibrio in danno del pubblico ministero. Infatti, e' innegabile che, dopo la sentenza citata, i limiti entro i quali il p.m. e' facoltizzato a non accordare il consenso alla richiesta di g.a. sono estremamente ridotti, riducendosi all'ipotesi in cui il processo non sia definibile allo stato degli atti. Questa ipotesi tra l'altro ricorre in ben rare occasioni e sicuramente non e' invocabile nei casi di rito abbreviato richiesto in sede di giudizio per direttissima a seguito di arresto in flagranza - come si e' verificato nella fattispecie -: in questo tipo di procedimenti, infatti, la decidibilita' allo stato degli atti puo' dirsi una costante perche' piu' che sufficiente per decidere la causa. A rafforzare l'opinione che il sistema non sia piu' paritario vanno annoverati altri due interventi terapeutici della Corte costituzionale: l'uno e' quello risultante dalla gia' citata sentenza n. 363/1991 che ha dichiarato illegittimo l'art. 443 del c.p.p. nella parte in cui escludeva l'appello dell'imputato anche contro le sentenze di condanna ad una pena detentiva che non deve essere eseguita (perche' sospesa condizionalmente, ad esempio) e l'altro e' quello, recentissimo, risultante dalla sentenza n. 23/1992 con cui si e' dichiarato illegittimo il combinato disposto degli artt. 438, 439, 440 e 442 del c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento possa sindacare la determinazione del giudice per le indagini preliminari contraria all'adozione del rito abbreviato e applicare conseguentemente la riduzione di pena di un terzo. Orbene, da quanto detto consegue, a nostro parere, che l'attuale giudizio abbreviato ha perso l'originaria connotazione di meccanismo deflattivo del carico penale, in cui trovavano un giusto equilibrio le posizioni dell'accusa e della difesa, per vedere esaltata la funzione di strumento processuale destinato pero' a produrre conseguenze di carattere sostanziale sia perche' dall'ammissione al rito abbreviato deriva la possibilita' per l'imputato di fruire di una consistente riduzione della pena sia perche' con esso si incide sostanzialmente sui tempi e modi di esecuzione della pena. Un'osservazione al riguardo si impone. Il rito abbreviato non ha incontrato molta fortuna soprattutto nei processi pretorili nei quali, stante la misura delle pene edittali, e' di solito piu' conveniente patteggiare la pena con il p.m. piuttosto che accontentarsi dello sconto di pena su un quantum di sanzione 'imprevedibile'. Questo spiega perche' la gran parte delle richieste di g.a. proviene da imputati che, non potendo godere del beneficio della sospensione condizionale delle pena, anziche' praticare il rito del patteggiamento, che pero' comporta il rapido passaggio in giudicato della sentenza con la conseguente esecuzione della pena, preferiscono invece avvalersi del rito abbreviato che, consentendo sempre l'appello, permette di allontanare nel tempo il momento di esecutivita' della sentenza. Quest'ultima annotazione, unitamente a quanto gia' prima osservato, conferma che il g.a. non svolge piu' alcuna efficace funzione deflazionistica dei procedimenti penali: e' chiaro infatti che nel suo complesso il carico penale non e' sensibilmente ridotto perche', se e' vero che con il g.a. diminuiscono i dibattimenti, e' altrettanto vero che con gli appelli, soprattutto se fatti a fini meramente dilatori, si aumenta la pressione sull'organo di secondo grado con meccanismi moltiplicatori perversi che e' superfluo illustrare tanto sono lampanti. Secondo noi, quindi, si e' in presenza di un clamoroso disequilibrio dell'accusa con l'imputato. Infatti, se il giudizio abbreviato e' rimesso sostanzialmente alla sola volonta' dell'imputato tenuto conto che l'accusa non puo' praticamente opporsi all'attivazione del rito, e se la facolta' di impugnare e' attribuita alla sola parte privata, che non corre neppure il rischio di una reformatio in peius in punto pena, l'immediata conseguenza e' che al pubblico ministero e' sottratto qualsiasi controllo sulla pena. Riteniamo, al contrario, che la sottrazione al p.m. del potere di appello, quantomeno incidentale, limiti in modo del tutto irragionevole il diritto di azione di una parte, quella pubblica, su un profilo rilevante del processo. Per queste ragioni pensiamo che la sentenza costituzionale n. 363 abbia risolto male il problema dell'appello del p.m. delle sentenze di condanna emesse in esito al g.a. Innanzitutto la citata sentenza e' partita dalla premessa che la principale finalita' del giudizio abbreviato sia quella di 'evitare il passaggio alla fase dibattimentale di un gran numero di procedimenti, secondo uno schema di deflazione comune a tutti i sistemi processuali che si ispirano al modello accusatorio'. Su questa base ha argomentato che la preclusione dell'appello del pubblico ministero non costituisce una 'lesione della parita' processuale delle parti' mettendo altresi' in rilievo che 'una diversita' di trattamento.. puo' risultare giustificata sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia'. Ha percio' concluso che 'con riferimento al contesto del giudizio abbreviato, non appare in contrasto con i canoni della ragionevolezza il fatto che al pubblico ministero risulti preclusa la facolta' di appello avverso le sentenze di condanna, ove la stessa sentenza non abbia modificato il titolo del reato. Tale limite trova fondamento, da un lato, nell'obiettivo primario di una rapida e completa definizione dei processi svoltisi in primo grado secondo il rito abbreviato, dall'altra, nella circostanza che la sentenza di condanna emessa in primo grado sulla base di tale rito segna comunque la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere nel processo attraverso l'azione intrapresa dal pubblico ministero ... Le stesse caratteristiche del giudizio abbreviato, spiegano, dunque, come in tale procedimento, ai fini dell'appello del pubblico ministero, l'effettiva irrogazione della pena sia stata dal legislatore privilegiata rispetto alla sua piena aderenza alla natura del reato contestato: e questo attraverso una scelta del legislatore che, oltre a non risultare lesiva di altri valori costituzionali, appare incensurabile sul piano della ragionevolezza in quanto proporzionata al fine preminente della speditezza del processo'. Orbene, a noi sembra, sommessamente, di dover dissentire da queste conclusioni proprio perche' e' erronea la premessa su cui si fondano e cioe' che il g.a. sia uno strumento di deflazione dei processi e non invece un meccanismo di riduzione dell'entita' della pena rimesso per di piu' alla volonta' e al controllo di una sola parte processuale. Or dunque, il consentire al p.m. di appellare quantomeno in via incidentale le sentenze di condanna sarebbe un rimedio doveroso per riportare un certo equilibrio tra le parti processuali. Il riequilibrio, peraltro, resterebbe pur sempre parziale in quanto al p.m. sarebbe sempre precluso l'appello principale. Noi pero' non ci lamentiamo di questa scelta normativa: infatti, anche nell'ottica del g.a. per come si presenta oggi rispetto all'originario disegno del 1988, vi sarebbe una valida giusitificazione per limitare a quello incidentale i casi di appello del p.m. Sussisterebbero infatti evidenti esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia di cui parla la Corte nella sentenza n. 363. Infatti, fermo restando che il p.m. potrebbe avere interesse ad impugnare tutte le sentenze che non abbiano accolto le proprie richieste, potrebbe pero' essere considerato razionale impedire l'esercizio di tale facolta' in vista del raggiungimento di una delle finalita' del g.a., quella cioe' di ridurre il carico penale, posto che comunque la pretesa punitiva dello Stato e' stata esercitata. Ma una volta venuta meno la possibilita' di conseguire l'accennata finalita' deflazionistica, in quanto l'imputato ha proposto appello, logica e giustizia vogliono che le parti siano poste sullo stesso pi- ano, ovvero che ad entrambe sia attribuito il potere di controllare la correttezza della pena irrogata. Inoltre, in relazione alla posizione istituzionale del p.m., si sottolinea che tale potere e' funzionalmente collegato con il principio di obbligatorieta' dell'azione penale che postula il doveroso esercizio della pretesa punitiva dello Stato. E se questo valore costituzionale puo' essere legittimamente sacrificato quando l'imputato ha accettato gli effetti sostanziali del rito prescelto, non altrettanto e' a dirsi nel caso inverso"; Ritenuto, in particolare, che effettivamente la pronuncia della Corte costituzionale in data 23 luglio 1991, n. 263 (la quale disattendeva una analoga eccezione di legittimita' fu emessa in un contesto normativo poi sostanzialmente mutato, per quanto concerne il regime del giudizio abbreviato, a seguito delle successive sentenze della stessa Corte 15 febbraio 1991, n. 81, e n. 23/1992; Ritenuto, pertanto, che per motivi indicati dall'appellante, la questione di legittimita' possa essere riproposta nell'ambito di questo mutato contesto di normativa; Ritenuta la rilevanza della questione, alla cui risoluzione e' subordinato l'esame del merito dell'appello incidentale del p.m. e quindi la definizione del presente giudizio; Ritenuta la non manifesta infondatezza della dedotta questione di costituzionalita';
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 443 e 595 del c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, nella parte in cui essi non consentono al p.m., in esito a giudizio abbreviato, di proporre impugnazione incindentale nel caso in cui l'imputato proponga appello avverso la sentenza di condanna; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Manda alla cancelleria per i conseguenti adempimenti. Torino, addi' 19 febbraio 1993 Il presidente: SCAPATICCI 93C0687