N. 343 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 aprile 1993
N. 343 Ordinanza emessa il 21 aprile 1993 dal pretore di Brescia nel procedimento civile vertente tra Assoni Daniele e I.N.P.S. ed altra Previdenza e assistenza sociale - Crediti per retribuzione in caso di insolvenza del datore di lavoro - Obbligo del Fondo di garanzia gestito dall'I.N.P.S. di sostituirsi al datore di lavoro insolvente nel pagamento delle tre ultime mensilita' di retribuzione del lavoratore, a decorrere dall'entrata in vigore della norma impugnata - Mancata previsione della sussistenza dell'obbligo in questione anche per il periodo anteriore a detta data - Disparita' di trattamento di situazioni omogenee. (D.-l. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 2, sesto comma). (Cost., art. 3).(GU n.27 del 30-6-1993 )
IL PRETORE Nella causa r.g. n. 686/93, promossa da Assoni Daniele, elettivamente domiciliato in Brescia presso gli avv.ti Mario Berruti e Pierluigi Gerardi, i quali lo rappresentano e difendono in forza di procura a margine dell'atto introduttivo del giudizio, ricorrente, contro l'I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del presidente pro-tempore, rappresentato e difesa dal dott. proc. Vincenzo di Maio in unione con l'avv. Giovanni Melluso, procuratori per mandati alle liti a rogito del notaio Lupo di Roma del 7 giugno 1991 e del 17 dicembre 1986, con domicilio eletto nel proprio Ufficio di Avvocatura in Brescia, via Cefalonia n. 49, convenuto, e contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia, con domicilio eletto negli uffici della medesima avvocatura in Brescia, via Cefalonia 50, convenuto, nella pubblica udienza del 21 aprile 1993, ha pronunciato la seguente ordinanza; Visto il decreto legislativo n. 80 del 27 gennaio 1992 e, in particolare l'art. 2, commi sesto e settimo e l'art. 4; Visti gli artt. 81 e 3 della Costituzione; Letti gli atti difensivi delle parti; Considerato che nelle conclusioni la parte ricorrente chiede a questo pretore, previo accertamento e dichiarazione della responsabilita' dello Stato italiano per la mancata e, comunque, ritardata attuazione della direttiva CEE n. 80/987, di condannare l'I.N.P.S. e per esso il Fondo di garanzia di cui alla legge n. 297/1982, in persona del suo legale rappresentante al pagamento in favore della parte attrice della somma di L. 2.562.022, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali sul totale rivalutato; Rilevato che la difesa dell'I.N.P.S. ha eccepito e sostenuto, in via preliminare, l'incompetenza del giudice adito e il difetto di legittimazione passiva dell'istituto, mentre, nel merito, ha affermato la nullita' della domanda proposta nei confronti dell'I.N.P.S. per indeterminatezza dell'oggetto ed, inoltre, la sua infondatezza per prescrizione e, comunque, per carenza di prova; Valutate le argomentazioni difensive svolte dall'Avvocatura dello Stato e le formulate conclusioni miranti ad ottenere, in via preliminare, la dichiarazione: 1) di nullita' della domanda proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri; 2) del difetto di legittimazione passiva della stessa Presidenza e 3) del difetto di competenza funzionale del pretore in funzione di giudice del lavoro e, infine, nel merito, il rigetto del ricorso; Cosi' argomenta: L'art. 2, sesto comma del d.l. 27 gennaio 1992, n. 80, dispone con assoluta chiarezza: "L'intervento del Fondo di garanzia previsto dalle disposizioni che precedono opera soltanto nei casi in cui le procedure indicate nell'art. 1 siano intervenute successivamente all'entrata in vigore del presente decreto legislativo". Nel comma successivo si afferma: "Per la determinazione dell'indennita' eventualmente spettante, in relazione alle procedure di cui all'art. 1, comma primo, per il danno derivante dalla mancata attuazione della direttiva CEE n. 80/1987, trovano applicazione i termini, le misure e le modalita' di cui ai commi primo, secondo e quarto. L'azione va promossa entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto". Nell'art. 4 si legge: "Agli oneri derivanti dall'applicazione degli artt. 1, 2 e 3, valutati in lire 125 miliardi per il 1992, in lire 130 miliardi per il 1993 e in lire 135 miliardi per il 1994, posti a carico del Fondo di garanzia di cui alla legge n. 297 del 1982, si provvede ai sensi dell'art. 2, ottava comma, della medesima legge. Per l'anno 1992 l'aliquota contributiva prevista da detto comma ottavo, e' elevata dello 0,05% e per gli anni successivi si provvede a determinare l'aliquota sulla base dell'andamento gestionale del Fondo". Poiche', come emerge senza possibilita' di equivoco dall'esame delle norme sopra riportate, il Fondo e' ex lege tenuto a sostituirsi all'insolvente datore di lavoro nel pagamento delle tre ultime mensilita' di retribuzione solo e soltanto per le ipotesi previste nell'art. 1 del d.l. n. 80/1992 verificatesi dopo l'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, mentre per il periodo precedente viene affermato l'obbligo del risarcimento del danno a carico dello Stato italiano, si presume, ma qui riemerge la tendenza del nostro legislatore a proporre enigmi e non certezza di diritto, per la tardiva recezione della direttiva CEE n. 80/1987, risulta chiaro, senza spazi, per diversa interpretazione, che non e' in alcun modo previsto l'obbligo del risarcimento del danno a carico del Fondo di garanzia in relazione ai periodi precedenti l'entrata in vigore della predetta normativa. Poiche', inoltre, nella normativa che qui si esamina, viene individuata la copertura finanziaria, art. 4 del decreto-legge n. 80/1992, esclusivamente per quanto concerne gli oneri a carico del Fondo di garanzia, mentre in relazione agli oneri ricadenti direttamente sullo Stato e, comunque, sicuramente non sul Fondo, dei quali si e' gia' detto, non risulta prevista alcuna copertura finanziaria, le disposizioni relative risultano in assoluto contrasto con l'art. 81, ultimo comma della Costituzione della Repubblica italiana. Unica conseguenza e soluzione possibile dovrebbe essere la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale del comma settimo dell'art. 2 del decreto-legge n. 80/1992 e la sua consequenziale cessazione di efficacia ai sensi dell'art. 136 della Costituzione. Dovrebbe, ma non puo' essere. Si consideri con attenzione: dall'abrogazione della suddetta disposizione discenderebbe la totale assenza di protezione giuridica per i soggetti interessati e, in via teorica, tutelati dalla medesima disposizione: tale evenienza determinerebbe una illegittima disparita' di trattamento tra portatori di un medesimo diritto (il momento d'insorgenza dello stesso non puo' infatti, avere rilievo discriminante), senza alcuna razionalita' e, non deve essere dimenticato, contro la volonta' stessa del legislatore, il quale, benche' con strani artifici di tecnica legislativa, ha inteso, doverosamente, con la normativa citata dare rilievo e tutela anche alle situazioni giuridiche verificatesi prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 80/1992, dando effettivita' ai diritti pregressi. La dichiarazione d'incostituzionalita' del settimo comma dell'art. 2 del decreto-legge n. 80 del 1992, benche' ad un primo esame utile e necessaria, darebbe, dunque, strada ad una violazione ancora meno sopportabile della Costituzione, dal momento che, lo si e' visto, comporterebbe l'assenza, per le situazioni verificatesi prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 80/1992, di una previsione legislativa del diritto ad ottenere la prestazione da parte e del Fondo di garanzia e dello Stato italiano: cosi una, esatta in via astratta, dichiarazione di illegittimita' del settimo comma per violazione palese dell'art. 81 della Costituzione, condurrebbe alla violazione dell'art. 3 della stessa Costituzione. E che il verificarsi di tale violazione sia ipotesi piu' che concreta risulti evidente dalla semplice lettura delle argomentazioni difensive delle parti convenute, le quali, sotto diversi profili, ma con il medesimo fine di sfuggire ad ogni obbligo di legge - e cio' e' tanto piu' grave per quanto concernente la posizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, organo per il quale giustizia e diritto dovrebbero essere ad ogni altra considerazione o esigenza prioritari - hanno tratto dalla sussistenza della violazione dell'art. 81 della Costituzione ragione ulteriore per negare il diritto vantato in giudizio dal ricorrente. Non puo' ritenersi, pertanto, conforme a diritto la dichiarazione d'incostituzionalita' del gia' piu' volte citato, settimo comma dell'art. 2 del decreto-legge n. 80/1992 per violazione dell'art. 81 della Costituzione, poiche', come detto, tale pronuncia determinerebbe, nell'ambito della normativa che qui si esamina e con specifico riferimento all'art. 2, comma sesto, l'emergere della, ben piu' grave, violazione dell'art. 3 della Costituzione. Sussiste, invece, la possibilita', con un semplice intervento di "chirurgia giuridica" della Corte costituzionale, di riportare nei confini della Costituzione la normativa che qui si esamina e di ripristinare, cosi, il diritto violato: risulta sufficiente a tal fine la dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 2, sesto comma, del decreto-legge 27 gennaio 1992, n. 80, lasciando inalterato il resto delle disposizioni del suddetto decreto legislativo. Infatti, l'abrogazione del sesto comma eliminerebbe i limiti dell'intervento del Fondo di garanzia, dei quali si e' gia' detto, consentendo l'identico trattamento giuridico per tutte le situazioni ipotizzate legislativamente nel decreto-legge n. 80/1992 e, cosi', per tutti i soggetti interessati, mentre non sussisterebbe piu' alcuna violazione dell'art. 81 della Costituzione, giacche', per quanto concernente gli oneri a carico del Fondo, esiste, come sopra rilevato, la previsione legislativa della necessaria copertura finanziaria. Giacche' ai fini del decidere e' essenziale avere certezza in ordine alla vigenza o meno dell'art. 2, comma sesto, del decreto- legge n. 80/1992 e poiche' tale certezza puo' derivare solo da una decisione della Corte costituzionale, risulta necessario investire il giudice delle leggi della questione di costituzionalita' come sopra precisata, essendone palese per le argomentazioni che precedono, senza necessita' di altra superflua precisazione, la rilevanza nel giudizio.
P. Q. M. Solleva d'ufficio la questione di costituzionalita' dell'art. 2, sesto comma, del decreto-legge n. 80 del 27 gennaio 1992, in relazione all'art. 3 della Costituzione; Sospende il giudizio promosso da Assoni Daniele; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Disponendo la notifica al Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre alla comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Manda alla cancelleria per l'esecuzione. Brescia, addi' 21 aprile 1993 Il pretore: ONNI Il collaboratore di cancelleria: MONDINI 93C0691