N. 345 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 1992- 8 giugno 1993

                                N. 345
 Ordinanza   emessa   il   21   ottobre  1992  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale  l'8  giugno  1993)   dal   tribunale   amministrativo
 regionale  della  Liguria  sul  ricorso proposto da Fiorito Gabriella
 contro il comune di Quiliano
 Impiego pubblico - Dipendenti civili dello Stato - Decadenza dal
    servizio a seguito di  condanna  penale  passata  in  giudicato  -
    Omessa  previsione  di  procedimento  disciplinare per graduare la
    sanzione amministrativa alla gravita' del reato  -  Irrazionalita'
    della  norma  impugnata che sotto diverso nomen iuris reintroduce,
    secondo il giudice a quo, l'istituto della destituzione automatica
    dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 971/1988.
 (Legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15, modificato dalla legge 18
    gennaio 1992, n. 16, art. 1, comma quarto-octies).
 (Cost., art. 3).
(GU n.27 del 30-6-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  2041/90
 proposto  da  Fiorito  Gabriella  rappresentata e difesa dall'avv. L.
 D'Arienzo, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. G.
 Lucifredi in Genova, via S.  Lorenzo,  21/5,  ricorrente,  contro  il
 comune di Quiliano, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato
 e  difeso  dall'avv.  L. Cocchi e domiciliato presso il suo studio in
 Genova, via Macaggi, 21/5, resistente, per ottenere l'annullamento:
       a) del provvedimento del sindaco di Quiliano prot. n. 60 del 22
 ottobre 1990, recante sospensione  cautelare  dal  servizio  e  dallo
 stipendio  della  ricorrente  fino  alla conclusione del procedimento
 disciplinare iniziato nei suoi confronti;
       b) della deliberazione della g.m. di Quiliano  n.  542  del  23
 ottobre  1990,  con la quale la suddetta giunta delibera di applicare
 alla ricorrente  la  sanzione  disciplinare  della  destituzione  con
 decorrenza  26  aprile  1983,  inizio della sospensione cautelare dal
 servizio  e  dallo  stipendio,  conformemente  alla  proposta   della
 commissione di disciplina formulata con delibera dell'8 ottobre 1990;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio dell'amministrazione
 comunale resistente;
    Visto l'esito negativo della istanza cautelare di sospensione  dei
 provvedimenti impugnati avanzata nel corso del giudizio;
    Viste  le memorie prodotte dalla parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita alla pubblica udienza del 21 ottobre 1992 la  relazione  del
 primo referendario Roberto Pupilella;
    Uditi  altresi'  l'avv. Luigi D'Arienzo per la ricorrente e l'avv.
 Luigi Cocchi per il comune di Quiliano;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Il ricorso in oggetto e'  volto  ad  ottenere  l'annullamento  dei
 provvedimenti,   meglio   in   epigrafe  indicati,  con  i  quali  la
 ricorrente, ex ragioniere del comune  di  Quiliano,  e'  stata  prima
 sospesa  dal  servizio  e  successivamente  destituita in esito ad un
 procedimento  disciplinare instaurato a seguito del rinvio a giudizio
 e della  successiva  definizione  di  una  vicenda  penale  risalente
 all'anno  1983  che  ha visto la ricorrente rea confessa dei reati di
 cui agli artt. 81, 314 e 476 del cp.
    Il ricorso articolato in sette distinti motivi di censura, rivolge
 i primi tre avverso il provvedimento di sospensione cautelare  mentre
 i  successivi  quattro  motivi  sono  invece  volti  a  dimostrare la
 illegittimita' del provvedimento di destituzione.
    Questi i motivi posti a sostegno del ricorso:
      1) violazione di legge.
    Il motivo lamenta la violazione dell'art. 9 della legge 7 febbraio
 1990, n. 19, che avrebbe impedito all'amministrazione di assumere  un
 nuovo  provvedimento  di  sospensione  cautelare dal servizio essendo
 ormai trascorsi oltre cinque anni dalla prima sospensione  emessa  in
 attesa   della  pronuncia  penale,  termine  che  la  norma  indicata
 considera insuperabile tanto da comportare la revoca  di  diritto  di
 tale sospensione;
      2) incompentenza dell'organo deliberante.
    Il  motivo  afferma  l'incompetenza  del  sindaco  ad  emanare  il
 provvedimento di sospensione posto che il  regolamento  organico  del
 comune all'art. 77 negherebbe tale competenza nel caso di sospensione
 determinata  da  gravi motivi e non dalla pendenza di un procedimento
 penale nel  caso  di  specie  esaurito  all'atto  di  assunzione  del
 provvedimento di sospensione discusso;
      3) violazione di legge.
    Posto  che  la sospensione della ricorrente durava da diversi anni
 il nuovo provvedimento di sospensione, da qualificarsi quale  proroga
 delle  precedenti,  doveva  essere  autorizzato dal Prefetto ai sensi
 dell'art. 77 del citato regolamento organico;
      4) violazione di legge.
    Il motivo  rivolto  avverso  l'atto  di  destituzione  lamenta  la
 violazione  dell'art.  9  della  legge  7  febbraio  1990, n. 19, che
 stabilirebbe  rigidi  termini   di   decadenza   per   l'inizio,   la
 prosecuzione  e  la conclusione del procedimento disciplinare che non
 potrebbe protrarsi oltre novanta giorni dal momento  in  cui  risulti
 iniziato,   termine  che  risulterebbe  essere  stato  violato  nella
 fattispecie qui considerata;
      5) violazione di legge.
    La censura lamenta la  violazione  dell'art.  87  del  regolamento
 organico  affermando  di  non aver potuto prendere visione degli atti
 del procedimento disciplinare;
      6) violazione di legge.
    Il  motivo  si  fonda  sulla  presunta  violazione  dell'art.   87
 regolamento  organico  risultando  nel  caso  di  specie  mancare  la
 deliberazione del c.c. o della g.m. di  sottoporre  la  dipendente  a
 procedimento  disciplinare  come  invece  prescritto  dalla  norma in
 questione mentre nel caso di specie il sindaco avrebbe avocato a  se'
 tale competenza.
      7) violazione di legge.
    La   composizione   della   commissione   di   disciplina  sarebbe
 illegittima perche' composta secondo una normativa non piu' in vigore
 in quanto sostituita dall'art. 51, decimo comma della legge 8  giugno
 1990, n. 142.
    L'amministrazione  resistente,  regolarmente costituita contestava
 in apposito controricorso tutte le censure avanzate nella impugnativa
 ed entrambe le parti provvedevano a depositare apposita  memoria  fi-
 nale a sostegno delle rispettive tesi difensive.
    Fissata l'udienza di merito per il 21 ottobre 1992, la causa, dopo
 ampia discussione, veniva trattenuta per la decisione.
                             D I R I T T O
    In   via  preliminare  il  collegio  ritiene  di  dover  sollevare
 d'ufficio la questione di legittimita'  costituzionale  relativamente
 all'art.  15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, cosi', come modificato
 dall'art. 1, comma quinquies, septies ed octies della legge n. 16 del
 18 gennaio 1992, per la rilevanza e la non manifesta infondatezza che
 l'adozione di tale ultima disciplina riveste nel caso di specie.
    Quanto alla rilevanza della questione il tribunale osserva  che  i
 reati  per  i  quali  la  ricorrente  e' stata riconosciuta colpevole
 (peculato e falso materiale) rientrando tra  quelle  ipotesi  per  le
 quali  la  legge  n.  16/1992  commina  la  sanzione  della decadenza
 d'ufficio dall'impiego.
    Il ricorso, d'altro canto,  e'  volto  a  censurare  la  procedura
 d'irrogazione   della   sanzione   della   destituzione,  cosi'  come
 disciplina dalla legge 7 febbraio 1990, n. 19, che prevede  l'obbligo
 per  l'amministrazione  di  sottoporre  il  ricorrente a procedimento
 disciplinare, normativa che  risulterebbe  ormai  inapplicabile  alla
 fattispecie in questione.
    Pertanto,  l'eventuale  accoglimento del ricorso, sulla base della
 errata interpretazione da parte del comune della vecchia  disciplina,
 comporterebbe  per  la  ricorrente, la conseguenza della applicazione
 dell'istituto  della  decadenza  automatica  introdotto  dalla  nuova
 legge.
    Pare  infatti al collegio che le norme de quibus siano applicabili
 anche ad eventi precedenti la loro adozione.
    Tale interpretazione, condivisa dal  Consiglio  di  Stato  (parere
 sez.  prima  n.  879/1992),  trova radice nella considerazione, da un
 lato della natura non penale delle  norme  in  oggetto,  non  coperta
 dalla  riserva  assoluta  di  cui  all'art.  25  della  Costituzione,
 dall'altro, dalla considerazione  che  scopo  del  legislatore  della
 legge  n.  16/1992,  sembra essere la tutela della p.a. nonche' della
 sua imparzialita' e del suo buon andamento.
    La  decadenza  costituirebbe  percio'  la   conseguenza   di   una
 presunzione  assoluta  di  inidoneita'  morale a ricoprire un ufficio
 pubblico,  dalla  quale  deriverebbe  la  perdita  di  un   requisito
 essenziale   per   il   mantenimento   del   rapporto  d'impiego  con
 l'amministrazione.
    I reati commessi dalla ricorrente costituiscono inoltre indice  di
 una indubbia gravita' della condotta essendo direttamente legati alle
 funzioni  svolte  per  il  comune  ed  anzi agevolati dalla posizione
 ricoperta    nell'amministrazione,    il     che     giustificherebbe
 l'applicazione della normativa di cui alla legge n. 16/1992.
    Quanto  alla  non manifesta infondatezza, questa rileva sotto piu'
 profili.
    La disposizione sospettata d'illegittimita'  costituzionale  (art.
 1, comma quarto-quinquies ed octies), sembra infatti reintrodurre con
 un    diverso   nomen   iuris   (decadenza   anziche'   destituzione)
 l'automaticita' di  tale  pronuncia  in  conseguenza  della  condanna
 definitiva per i reati contemplati nella legge n. 16/1992.
    Tale  automaticita'  era  stata  dichiarata incostituzionale dalla
 Corte con la sentenza n.  971/1988,  che  aveva  ritenuto  violati  i
 criteri  di  coerenza  e  ragionevolezza desumibili dall'art. 3 della
 Costituzione, non potendo l'amministrazione valutare autonomamente la
 gravita' della condotta del dipendente in  riferimento  alle  singole
 fattispecie   concrete   (gravita'   del   reato,  concessione  della
 sospensione condizione della pena etc.) in presenza di  una  condanna
 penale.
    Tali  considerazioni,  gia'  oggetto di altre ordinanze alla Corte
 (n. 684 e n. 694 del 1992), sono vieppiu' rilevanti nel caso di  spe-
 cie  che  costituisce  l'esempio  piu' macroscopico di violazione dei
 propri doveri  di  ufficio  e  puo'  quindi  essere  utilizzato  come
 parametro  di riferimento per la Corte per chiarire se vi sia spazio,
 nel nostro ordinamento, in determinate  ipotesi,  per  il  ritorno  a
 sanzioni   rigide  che  prescindano  da  un  accertamento  e  da  una
 graduazione della sanzione attraverso lo svolgimento di  un  apposito
 procedimento amministrativo.
    In  conclusione,  va  riconosciuta  la  rilevanza,  ai  fini della
 decisione del ricorso in esame e la non manifesta infondatezza  della
 questione di legittimita' costituzionale sopra indicata.
    Deve   conseguentemente   disporsi  la  sospensione  del  presente
 giudizio, e la  rimessione  della  questione  all'esame  della  Corte
 costituzionale, giusta l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
                               P. Q. M.
    Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 e segg. della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Sospende giudizio e rimette gli atti alla Corte costituzionale per
 l'esame della questione di legittimita' costituzionale, dell'art.  15
 della  legge 19 marzo 1990, n. 55, cosi' come modificato dall'art. 1,
 comma quarto-octies della legge 18 gennaio 1992, n. 16,  nella  parte
 in  cui,  in  caso di condanna passata in giudicato per una dei reati
 indicati nel primo comma,  prevede  la  decadenza  dal  servizio  dei
 pubblici dipendenti di cui al precedente comma quarto-septies;
    Ordina  che,  a  cura  della segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa ed al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  comunicata  ai  Presidenti del Senato della Repubblica e
 della Camera dei deputati.
    Cosi' deciso in Genova nella camera di consiglio  del  21  ottobre
 1992.
                        Il presidente: LAZZERI
    Il consigliere: PETRUZZELLI
                               Il primo referente estensore: PUPILELLA
 93C0693