N. 289 SENTENZA 11 - 24 giugno 1993

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e regione.
 
 Caccia   -   Regioni  Emilia-Romagna,  Valle  d'Aosta  e  Sardegna  -
 Limitazione all'attivita' venatoria su tutto il territorio  nazionale
 per un periodo di otto giorni - Intervento del Ministro dell'ambiente
 di concerto con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste - Potere
 di  emanazione  di  ordinanze  contingibili  ed urgenti per la tutela
 dell'ambiente - Lesione della potesta' legislativa ed  amministrativa
 delle   regioni   -   Non   spettanza   allo   Stato  -  Annullamento
 dell'ordinanza 5 gennaio 1993 del Ministro dell'ambiente di  concerto
 con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste
 
 (Ordinanza  5 gennaio 1993 del Ministro dell'ambiente di concerto con
 il Ministro dell'agricoltura e delle foreste)
 
 (Cost., artt. 117, primo comma, e 118, primo comma).
(GU n.27 del 30-6-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, prof. Gabriele PESCATORE, avv.
    Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi promossi con ricorsi della Regione Emilia-Romagna e delle
 Regioni Autonome Valle D'Aosta e Sardegna, notificati il 4, il  18  e
 19  febbraio ed il 6 marzo del 1993, depositati in Cancelleria il 10,
 il 26 febbraio e il 12 marzo del 1993, per conflitti di  attribuzione
 sorti   a  seguito  dell'ordinanza  del  Ministro  dell'ambiente,  di
 concerto con il Ministro dell'agricoltura  e  delle  foreste,  del  5
 gennaio  1993  recante  "Divieto dell'attivita' venatoria su tutto il
 territorio nazionale per un periodo di otto giorni"  ed  iscritti  ai
 nn. 5, 7 e 8 del registro conflitti 1993;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 1993 il Giudice relatore
 Enzo Cheli;
    Uditi  gli  avvocati  Giandomenico  Falcon  per la Regione Emilia-
 Romagna, Gustavo  Romanelli  per  la  Regione  Autonoma  della  Valle
 D'Aosta  e  Sergio Pannunzio per la Regione Autonoma della Sardegna e
 l'Avvocato dello Stato Pier  Giorgio  Ferri  per  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La Regione Emilia-Romagna ha proposto ricorso per conflitto
 di attribuzione contro il Presidente del Consiglio  dei  ministri  in
 relazione  all'ordinanza  adottata  dal  Ministro  dell'ambiente,  di
 concerto con il Ministro dell'agricoltura e  foreste,  il  5  gennaio
 1993  e  avente ad oggetto "Divieto dell'attivita' venatoria su tutto
 il territorio nazionale per un periodo di otto giorni",  al  fine  di
 sentir  dichiarare che non spetta al Ministro dell'ambiente il potere
 di vietare l'attivita' venatoria in tutto il territorio  nazionale  e
 di ottenere conseguentemente l'annullamento dell'ordinanza stessa per
 violazione  degli  artt.  117, primo comma, e 118, primo comma, della
 Costituzione.
    Nel ricorso si ricorda che la materia della  caccia  e'  assegnata
 alla  potesta'  legislativa ed amministrativa delle Regioni dall'art.
 117, primo comma, e dall'art. 118, primo comma, della Costituzione  e
 che  l'art.  19  della  legge 11 febbraio 1992, n. 157, contenente la
 disciplina quadro della materia, affida alle  Regioni  il  potere  di
 "vietare  o  ridurre per periodi prestabiliti la caccia a determinate
 specie di fauna  selvatica  ..  per  importanti  e  motivate  ragioni
 connesse  alla  consistenza faunistica o per sopravvenute particolari
 condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre
 calamita'".
    Sulla base di tali  richiami,  l'ordinanza  impugnata,  ad  avviso
 della   Regione,   sarebbe   innanzitutto  priva  di  qualunque  base
 giuridica.
    Risulterebbe, infatti,  incongruo  il  richiamo,  contenuto  nella
 stessa  ordinanza,  all'art.  19  della  legge  n.  157 del 1992, dal
 momento che tale norma attribuisce in via esclusiva alle  Regioni  il
 potere  di  divieto  e  di  riduzione  della  caccia  senza prevedere
 interventi statali ne' in  via  ordinaria  ne'  in  via  sostitutiva,
 riferendo  tale  potere a situazioni che si manifestano e si valutano
 sul piano locale. Incoferente sarebbe poi il riferimento all'art.  21
 della  legge  n.  157,  in  quanto  tale  norma  non  prevede  poteri
 amministrativi,  ma  stabilisce  direttamente   alcuni   divieti   in
 riferimento   a  particolari  condizioni  (neve  e  ghiaccio),  senza
 richiedere atti di applicazione. Inappropriato  sarebbe,  infine,  il
 richiamo  all'art.  8 della legge n. 59 del 1987, norma che regola il
 potere ministeriale di emettere  ordinanze  contingibili  ed  urgenti
 collegandolo  a due presupposti ("grave pericolo di danno ambientale"
 e "impossibilita' di provvedere altrimenti")  che,  ad  avviso  della
 Regione, non ricorrerebbero nel caso di specie.
    In  termini  piu'  generali, secondo la Regione Emilia-Romagna, il
 sistema generale di tutela dell'ambiente  ed  il  sistema  di  tutela
 della  fauna  dovrebbero  ritenersi  giuridicamente  distinti  -  pur
 essendovi  alcune  connessioni  previste  dalla  legge   -   con   la
 conseguenza  che  gli  strumenti  generali  di  tutela ambientale non
 potrebbero esser tout court  impiegati  per  il  settore  faunistico-
 venatorio.
    In   via  subordinata,  la  Regione  ricorrente  afferma  poi  che
 l'ordinanza impugnata risulterebbe invasiva della sfera di competenza
 regionale  anche  ove  si  sostenesse  che  il  potere  del  Ministro
 dell'ambiente e' stato esercitato in via sostitutiva di fronte ad una
 inerzia  regionale.  Una  tale tesi, oltre che infondata, condurrebbe
 anche alla  constatazione  di  ulteriori  illegittimita'  giacche'  i
 poteri  sostitutivi  del  Ministero  dell'ambiente nei riguardi delle
 Regioni - regolati dall'art. 8, terzo comma,  della  legge  8  luglio
 1986,  n.  349  -  riguardano ipotesi di inosservanza, da parte delle
 Regioni, di disposizioni di legge relative alla tutela  dell'ambiente
 e  possono  essere  esercitati solo nel rispetto di una procedura che
 contempla, tra l'altro, la diffida ad  adempiere  entro  un  termine,
 l'adozione in via cautelare di misure provvisorie di salvaguardia, la
 comunicazione  alle  amministrazioni  competenti,  tutte  ipotesi non
 ricorrenti nel caso di specie.
    La  Regione   rileva,   infine,   che   l'ordinanza,   oltre   che
 insufficientemente    motivata,    si    presenta    contraddittoria,
 sproporzionata  e  arbitraria,  anche  per  la  totale  mancanza   di
 riscontri fattuali riferibili alle singole situazioni locali.
    La  Regione chiede, pertanto, a questa Corte di dichiarare che non
 spetta al Ministro dell'ambiente il potere di  vietare,  con  propria
 ordinanza,  l'attivita' venatoria su tutto il territorio nazionale e,
 conseguentemente, di annullare l'ordinanza impugnata.
    2.  -  Nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  si  e'  costituito  il
 Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che il ricorso sia
 dichiarato inammissibile o infondato.
    L'amministrazione   resistente   -   dopo  aver  rilevato  che  il
 provvedimento oggetto di conflitto ha esaurito la sua efficacia prima
 della proposizione del ricorso - contesta che la materia della caccia
 possa ritenersi estranea alla nozione di ambiente, dal  momento  che,
 al   contrario,   la   fauna   selvatica   -   dichiarata  patrimonio
 indisponibile dello Stato dall'art. 1 della legge n. 157 del  1992  -
 si   presenta   come   risorsa   naturalistica  e  quindi  componente
 dell'ambiente come sistema biofisico.
    Pertanto, un danno alla fauna sarebbe da  considerare  come  danno
 ambientale   per   la  cui  prevenzione  ben  puo'  essere  attivata,
 ricorrendone i presupposti, la misura cautelare  di  cui  all'art.  8
 della  legge  n.  59  del  1987.  Quest'ultima  disposizione prevede,
 infatti, un intervento di "estrema salvaguardia" posto a garanzia  di
 tutti  i valori ambientali come "strumento di prevenzione di un danno
 all'ambiente utilizzabile in funzione  integrativa  delle  discipline
 settoriali  quando  queste, nella situazione contingente, non offrono
 misure appropriate allo scopo".
    Inoltre - sempre a  giudizio  della  Presidenza  del  Consiglio  -
 l'ordinanza in questione sarebbe stata emanata proprio nell'ipotesi -
 menzionata dall'art. 8 della legge n. 59 del 1987 - di impossibilita'
 di   "altrimenti   provvedere",  in  quanto  il  divieto  generale  e
 temporaneo dell'attivita' venatoria in tutto il territorio  nazionale
 -  ritenuto  necessario  per  impedire  un  grave danno al patrimonio
 faunistico nelle condizioni meteo-climatiche  esistenti  nel  periodo
 considerato  -  si  presenta  come misura non contemplata dalla legge
 settoriale n. 157 del 1992. Per un verso, infatti, l'art.  19,  primo
 comma,  della  legge  n. 157 prevede che le Regioni possano vietare o
 ridurre per periodi prestabiliti la caccia, ma solo  relativamente  a
 determinate  specie di fauna selvatica; per l'altro, l'art. 20, lett.
 m) ed n), dispone un divieto generale di caccia  a  tutte  le  specie
 solo  in  presenza  di  specifiche  ipotesi  di condizioni climatiche
 obbiettivamente verificabili dal cacciatore (terreni coperti di  neve
 o  specchi  d'acqua  coperti  da  ghiaccio).  L'impossibilita' per le
 Regioni di intervenire con effetti protettivi  equivalenti  a  quelli
 assicurati   dall'ordinanza   impugnata  giustificherebbe,  pertanto,
 l'intervento del Ministro dell'ambiente, con una misura  che  non  e'
 sostitutiva di una inerzia regionale.
    Infine,  i  rilievi svolti dalla Regione sulla insufficienza della
 motivazione  nonche'  sulla  contraddittorieta'  e  sul  difetto   di
 proporzionalita'    del    provvedimento   impugnato   risulterebbero
 irrilevanti ai fini  della  decisione  sulla  spettanza  al  Ministro
 dell'ambiente del potere contestato con il conflitto.
    3.  -  Contro  la  stessa  ordinanza del Ministro dell'ambiente ha
 sollevato conflitto di attribuzione anche la Regione  Autonoma  della
 Valle   D'Aosta,   per   sentir  dichiarare  che  rientra  nelle  sue
 attribuzioni  il   potere   di   porre   divieti   anche   temporanei
 all'esercizio    della    caccia    nel   territorio   regionale   e,
 conseguentemente, annullare l'ordinanza in questione  per  violazione
 dello  Statuto di autonomia speciale della Valle d'Aosta (Legge cost.
 26 febbraio 1948, n. 4), ed, in particolare, dei suoi artt. 2,  lett.
 d)  ed  l),  e  4.    Espone la Regione ricorrente che il suo Statuto
 prevede la potesta' legislativa  regionale  primaria  in  materia  di
 caccia  e  pesca (art. 2, primo comma, lett. l) nonche' in materia di
 flora e fauna (art. 2, lett. d) e stabilisce anche (art.  4)  che  la
 Regione  ha  competenza  amministrativa su tutte le materie su cui ha
 competenza legislativa. Competenze in materia venatoria sono  inoltre
 attribuite  a  tutte le Regioni dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157.
 Con  l'ordinanza  impugnata,  il   Ministro   dell'ambiente   avrebbe
 determinato  una  illegittima  compressione  della sfera di autonomia
 spettante  alla  Regione  nell'esercizio   delle   proprie   potesta'
 amministrative.  A questo proposito, la Regione ricorrente sottolinea
 che  tale  compressione  non puo' essere giustificata con il richiamo
 all'esercizio della funzione statale di  indirizzo  e  coordinamento,
 dal   momento   che   il  provvedimento  impugnato  non  puo'  essere
 considerato  estrinsecazione  di  tale  funzione  in  ragione   della
 specificita' del suo contenuto e del suo limitato ambito temporale di
 efficacia.
    La  Regione  pone altresi' in evidenza che gli artt. 19 e 21 della
 legge n. 157 del 1992 - menzionati nelle premesse dell'ordinanza  del
 Ministro  dell'ambiente  -  affermano  una  competenza amministrativa
 regionale  in  materia   venatoria,   rendendo   cosi'   palese   che
 l'amministrazione  statale  ha esercitato una competenza che le norme
 invocate riconoscono soltanto alle Regioni.
    Infine, sempre secondo la Regione,  non  puo'  essere  invocata  a
 sostegno  dell'ordinanza  impugnata  ne' una competenza attuativa del
 Ministero dell'ambiente in materia di convenzioni internazionali (non
 essendo possibile individuare una convenzione internazionale  di  cui
 il  provvedimento  possa esser considerato attuazione), ne' il potere
 del Ministro di emanare ordinanze contingibili  ed  urgenti  regolato
 dall'art  8  della  legge  n.  59  del 1987, che ha altre finalita' e
 presupposti.
   Nella  parte  conclusiva  del  suo ricorso la Regione Valle d'Aosta
 sottolinea anche che l'interesse a ricorrere permane  nonostante  che
 l'ordinanza  impugnata  abbia  esaurito la sua efficacia, dal momento
 che il thema decidendum del  conflitto  risulta  rappresentato  dalla
 dichiarazione  della  competenza  ed  il regolamento del conflitto e'
 destinato ad assumere rilevanza anche per quelle ipotesi in  cui  sia
 possibile   la   reiterazione   del   provvedimento   invasivo  delle
 attribuzioni.
    4. - Anche la Regione autonoma della Sardegna ha proposto  ricorso
 per  conflitto di attribuzione in relazione alla stessa ordinanza del
 Ministro dell'ambiente del 5 gennaio 1993 per sentir  dichiarare  che
 non   spetta   allo   Stato   adottare,   con  decreto  del  Ministro
 dell'ambiente, divieti di esercizio dell'attivita'  venatoria  estesi
 al  territorio  della  Regione  Sardegna  e  per  l'effetto annullare
 l'ordinanza in questione.
    Dopo aver premesso che lo Statuto  speciale  di  autonomia  (Legge
 cost. 26 febbraio 1948, n. 3) attribuisce alla Regione autonoma della
 Sardegna  potesta'  legislativa e amministrativa di tipo esclusivo in
 materia di caccia (artt. 3, lett. i), e 6) e che la  legge  regionale
 28  aprile  1978,  n.  32,  ha  dettato una organica disciplina della
 caccia, la ricorrente sostiene che spetta agli  organi  regionali  di
 disporre  eventuali  divieti  temporanei di caccia anche ove cio' sia
 reso necessario da particolari avversita' atmosferiche che colpiscano
 il territorio dell'isola.   Il Ministro  dell'ambiente,  invece,  non
 sarebbe   legittimato   all'emanazione   di  tali  provvedimenti  non
 esistendo  nell'ordinamento  alcuna  norma  che  gli  attribuisca  il
 relativo  potere.  L'art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, infatti,
 conferisce al Ministro il potere di adottare  ordinanze  contingibili
 ed  urgenti  al  solo  fine  di  tutelare  l'ambiente;  e  per quanti
 collegamenti vi siano tra la fauna e l'ambiente le  due  materie  non
 sarebbero  identiche,  come  confermato dalla legge 8 luglio 1986, n.
 349,   istitutiva   del   Ministero   dell'ambiente,   che    assegna
 all'amministrazione   centrale  competenze  relative  al  "patrimonio
 naturale" (art 1, secondo e quinto comma), non identificabile con  il
 "patrimonio  faunistico".    Aggiunge poi la Regione che il potere di
 ordinanza esercitato dal  Ministero  non  troverebbe  fondamento  ne'
 nell'art.  19  della  legge  n.    157  del 1992 - che riconosce alle
 Regioni e non allo Stato la facolta'  di  vietare  o  di  ridurre  la
 caccia per periodi prestabiliti - ne' nell'art. 21 della stessa legge
 che,  alle  lettere  m)  ed  n)  del  primo comma, istituisce divieti
 immediatamente operativi di cacciare su terreni  innevati  oppure  su
 specchi  d'acqua  ghiacciati  o  su  terreni  allagati.    Da  queste
 considerazioni la ricorrente  trae  la  conclusione  che  l'ordinanza
 impugnata  sarebbe  lesiva  delle  attribuzioni  costituzionali della
 Regione  Sardegna  perche'  con  essa  il  Ministro  ha  preteso   di
 esercitare  un  potere  spettante  agli organi regionali e perche' in
 contrasto con il principio di legalita'.
    Sarebbe  inoltre  da  escludere  anche  ogni  giustificazione  del
 provvedimento  fondata  sulla  tutela  di  un  interesse  nazionale o
 sull'adempimento  di  un  obbligo  internazionale  giacche'  di  tali
 motivazioni  non vi e' adeguata dimostrazione nell'ordinanza. Questa,
 al contrario, contiene solo un generico riferimento  alle  condizioni
 meteo-climatiche  esistenti al momento della sua adozione, inidoneo a
 spiegare la necessita' di un divieto di caccia esteso  anche  ad  una
 regione  dal clima tipicamente mediterraneo come la Sardegna, toccata
 in misura irrilevante dal freddo e dalle nevicate del gennaio 1993.
    5.  -  Si  e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  per
 chiedere  l'inammissibilita'  del  ricorso  sulla  base  delle stesse
 argomentazioni gia' svolte con l'atto  di  costituzione  in  giudizio
 promosso  contro la stessa ordinanza del Ministro dell'ambiente dalla
 Regione Emilia-Romagna.
    6. - In prossimita' dell'udienza di  discussione  sia  la  Regione
 Emilia-Romagna   che   la   Regione  autonoma  della  Sardegna  hanno
 presentato memorie per replicare agli argomenti svolti  dalla  difesa
 dello Stato ed insistere nelle rispettive conclusioni.
    In  particolare,  la  Regione Emilia-Romagna sottolinea che, se e'
 vero che un divieto generale e temporaneo dell'attivita' venatoria in
 tutto il territorio nazionale e' misura  non  prevista  dalla  legge,
 cio'  si  verifica perche' il potere di vietare la caccia puo' e deve
 essere esercitato esclusivamente in ambiti regionali  trattandosi  di
 situazioni   apprezzabili   solo   localmente  ed  insuscettibili  di
 frazionamento.  Per  questa  via  un  divieto  di   caccia   operante
 sull'intero  territorio  resta  pur  sempre  possibile  come somma di
 misure regionali tanto piu' ove si consideri che le Regioni non  sono
 tenute  ad  adottare limitazioni della caccia circoscritte solo a de-
 terminate specie, ma ben possono estendere il divieto a tutte le spe-
 cie cacciabili nel loro territorio.    La  Regione  Sardegna,  a  sua
 volta,  rileva che ogni Regione dispone del potere - in base all'art.
 19, primo comma, della legge n. 157 del 1992 - di  stabilire  divieti
 temporanei  per  tutte  le  specie cacciabili nel proprio territorio,
 poiche' il riferimento contenuto in detta norma a  divieti  regionali
 di  caccia concernenti "determinate specie di fauna selvatica", da un
 lato, non esclude l'adozione di provvedimenti riguardanti "tutte"  le
 specie  esistenti nel territorio regionale e, dall'altro, tiene conto
 del fatto che in nessuna regione esistono tutte le specie  cacciabili
 di cui all'elenco dell'art. 18 della legge n. 157. Non sussisterebbe,
 quindi, la situazione di "non potersi altrimenti provvedere" prevista
 dall'art.  8 della legge n. 59 del 1987 ed invocata dall'Avvocatura a
 fondamento dell'ordinanza ministeriale impugnata.
                        Considerato in diritto
    1. - I conflitti sollevati  dalla  Regione  Emilia-Romagna,  dalla
 Regione  autonoma  della Valle d'Aosta e dalla Regione autonoma della
 Sardegna trovano  il  loro  presupposto  nello  stesso  provvedimento
 ministeriale  (ordinanza  del  Ministro  dell'ambiente  del 5 gennaio
 1993,  recante  "Divieto  dell'attivita'  venatoria   su   tutto   il
 territorio  nazionale  per  un  periodo  di  giorni otto") e svolgono
 motivi in gran parte analoghi. I  ricorsi  relativi  possono  essere,
 pertanto, riuniti al fine di essere decisi con un'unica pronuncia.
    2.  -  Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilita'
 prospettata dalla difesa dello  Stato  con  riferimento  all'avvenuto
 esaurimento  dell'efficacia  del provvedimento che ha dato origine ai
 conflitti.  Se  e'  vero,  infatti,  che  l'ordinanza  del   Ministro
 dell'ambiente  del  5  gennaio  1993  aveva un'efficacia interdittiva
 limitata ad otto giorni dalla data della sua pubblicazione, e'  anche
 vero  che,  in  sede  di  conflitto,  l'interesse  della Regione alla
 pronuncia di questa Corte si e' protratto e permane anche al  di  la'
 del  termine  di efficacia del provvedimento impugnato (v. sent. n. 3
 del 1962, par. 4): e questo tanto al fine  del  riconoscimento  della
 spettanza  del  potere esercitato che dell'annullamento dell'atto che
 ha dato luogo al conflitto, i cui effetti indiretti (come nel caso di
 sanzioni applicate durante il periodo di vigenza  del  provvedimento)
 possono prolungarsi oltre il termine di scadenza dello stesso.
    3. - Nel merito i ricorsi si presentano fondati.
    L'ordinanza  del 5 gennaio 1993, che ha determinato i conflitti in
 esame, e' stata adottata dal Ministro dell'ambiente, di concerto  con
 il  Ministro  dell'agricoltura  e foreste, ai sensi dell'art. 8 della
 legge  3  marzo  1987,  n.  59,  dove  si  attribuisce  al   Ministro
 dell'ambiente,  di  concerto con i Ministri eventualmente competenti,
 il potere di emanare "ordinanze contingibili ed urgenti per la tutela
 dell'ambiente"  nei  casi  in  cui  ricorrano  "situazioni  di  grave
 pericolo  di  danno ambientale e non si possa altrimenti provvedere".
 Nella specie, l'esercizio di tale potere  e'  stato  motivato,  nelle
 premesse  del  provvedimento,  con riferimento alle condizioni meteo-
 climatiche che si sono manifestate nel territorio italiano all'inizio
 del gennaio 1993, condizioni suscettibili di configurare,  ad  avviso
 del  Ministro,  "uno stato di grave pericolo di danno ambientale" per
 la minaccia alla fauna selvatica, "in quanto per tali  condizioni  la
 fauna  selvatica  stessa  risulta  essere  in  condizioni di maggiore
 vulnerabilita'".   Sempre    secondo    la    motivazione    espressa
 nell'ordinanza,  l'"unico  strumento"  per  prevenire  tale  pericolo
 poteva, nella  specie,  attuarsi  mediante  la  sospensione  di  ogni
 attivita'  venatoria  su tutto il territorio nazionale per un periodo
 di giorni otto.
    Ora - diversamente da quanto ritengono le Regioni ricorrenti - non
 si  puo'  certo  escludere  che  il  Ministro  dell'ambiente,   nello
 svolgimento  dei  suoi compiti di "conservazione e valorizzazione del
 patrimonio naturale nazionale" (art. 1, secondo comma, legge 8 luglio
 1986, n. 349), possa intervenire a difesa  della  risorsa  ambientale
 espressa dalla fauna selvatica, adottando, in situazioni eccezionali,
 lo  strumento dell'ordinanza contingibile e urgente di cui all'art. 8
 della legge n. 59 del 1987 e stabilendo, attraverso il ricorso a tale
 strumento, provvedimenti suscettibili di incidere, quale  conseguenza
 della tutela adottata, anche sull'esercizio dell'attivita' venatoria,
 cosi'  come  regolata,  in generale, dalla legge 11 febbraio 1992, n.
 157: ma questo dovra' pur sempre  avvenire  nel  rispetto  delle  due
 condizioni  previste  dalla  stessa  norma  per  l'esercizio  di tale
 potere,  condizioni  rappresentate  tanto   nell'esistenza   di   una
 situazione   di   "grave   pericolo   di   danno  ambientale"  quanto
 nell'impossibilita' di "altrimenti provvedere".
    In particolare, questa seconda condizione viene a  configurare  il
 potere  di  ordinanza  di cui all'art. 8 della legge n. 59 del 1987 -
 secondo l'espressione usata  nella  memoria  dall'Avvocatura  -  come
 "estrema salvaguardia", cui risulta consentito ricorrere soltanto ove
 non sussistano altri strumenti ovvero ove gli strumenti ordinari, pur
 esistenti, non possano, in concreto, essere utilizzati.
    Per  quanto  concerne il caso in esame (sospensione dell'attivita'
 venatoria per motivi  meteo-climatici),  lo  strumento  ordinario  di
 intervento  andava  individuato  nella  disciplina posta dall'art. 19
 della nuova legge-quadro sulla caccia (legge  11  febbraio  1992,  n.
 157), dove si affida alle Regioni il potere di "vietare o ridurre per
 periodi   prestabiliti  la  caccia  a  determinate  specie  di  fauna
 selvatica ..  per  sopravvenute  particolari  condizioni  ambientali,
 stagionali  o climatiche o per malattie od altre calamita'". E sempre
 tra  gli  strumenti  ordinari  puo'  inquadrarsi  anche   il   potere
 d'intervento  sostitutivo  che  l'art. 8, terzo comma, della legge n.
 349 del 1986 affida al Ministro dell'ambiente  "in  caso  di  mancata
 attuazione  o  di  inosservanza  da  parte  delle  Regioni  ..  delle
 disposizioni di legge relative  alla  tutela  dell'ambiente,  qualora
 possa  derivarne  un  grave  danno ecologico":   potere che lo stesso
 Ministro  e'  legittimato   a   esercitare,   previa   diffida   alle
 amministrazioni   inadempienti,   mediante   "misure  provvisorie  di
 salvaguardia,  anche  a  carattere   inibitorio   ..   di   attivita'
 antropiche",  di  cui  deve essere data preventiva comunicazione alle
 amministrazioni competenti.
    4. - Con l'ordinanza che ha dato origine  ai  conflitti  in  esame
 tale disciplina ordinaria e' stata trascurata, senza che di contro il
 Ministero  abbia  preventivamente  provveduto a compiere accertamenti
 adeguati  in  ordine  alla  sussistenza  delle  condizioni  idonee  a
 giustificare  l'adozione della misura straordinaria di cui all'art. 8
 della legge n. 59 del 1987.
    Dalla stessa  motivazione  del  provvedimento  impugnato  risulta,
 infatti,   che  il  richiamo  alla  eccezionalita'  delle  condizioni
 climatiche  e'  stato  operato  senza  tener  conto  della  possibile
 diversita'  delle  singole  situazioni locali (tant'e' che la Regione
 Sardegna  ha  contestato,  con  riferimento  al  proprio  territorio,
 l'esistenza, nel periodo di cui e' causa, di una situazione rischiosa
 per  la  fauna  selvatica  conseguente alla presenza di neve o gelo),
 mentre la gravita' del pericolo  per  la  fauna  selvatica  e'  stata
 giustificata  soltanto con un richiamo alle cause di cui all'art. 21,
 lettere m) e n), della legge n. 157 (terreni innevati  o  allagati  e
 specchi  d'acqua ghiacciati), cause, peraltro, gia' di per se' idonee
 a determinare immediatamente un divieto assoluto di  esercizio  della
 caccia, senza la necessita' di ulteriori interventi amministrativi di
 carattere generale.
    Ma  anche  per  quanto  concerne  il  secondo  requisito richiesto
 dall'art. 8 della legge n.  59,  non  appare  fondato  sostenere  che
 l'impossibilita'  di provvedere "altrimenti" si veniva nella specie a
 configurare in relazione al fatto che nella legge-quadro sulla caccia
 non compare una misura di divieto generale  dell'attivita'  venatoria
 per  tutto  il  territorio  nazionale,  dal  momento  che  il  potere
 interdittivo delle Regioni di cui all'art. 19 della legge n. 157  del
 1992  risulta  limitato a "determinate specie di fauna selvatica". In
 realta', il riferimento contenuto in questa norma,  se  correttamente
 interpretato, puo' ricomprendere, per ciascuna Regione, tutte le spe-
 cie  cacciabili  di  cui  all'art.  18  della stessa legge, mentre un
 divieto esteso a tutto  il  territorio  nazionale,  ove  non  sia  la
 risultante  di  provvedimenti  adottati contestualmente dalle singole
 Regioni, potra', in concreto, essere adottato  dallo  Stato  soltanto
 una volta accertata l'impossibilita' da parte delle stesse Regioni di
 intervenire efficacemente con gli strumenti ordinari.
    Tale  accertamento,  nel  caso  di  specie, pur nell'urgenza della
 decisione, avrebbe dovuto comportare da parte del  Ministro  un'esame
 differenziato  delle  condizioni meteo-climatiche riscontrabili nelle
 diverse aree territoriali e - nel rispetto  del  principio  di  leale
 collaborazione  -  contatti,  quanto  meno  informali, con le singole
 Regioni al  fine  di  valutare  la  disponibilita'  delle  stesse  ad
 adottare  i  provvedimenti  piu' adeguati rispetto alle varie realta'
 locali. Il che non e' avvenuto,  con  conseguenze  tali  da  incidere
 negativamente  nell'esercizio del potere utilizzato dal Ministro e da
 determinare, di  conseguenza,  la  lesione  lamentata  dalle  Regioni
 ricorrenti.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  ricorsi, dichiara che non spetta allo Stato, e per esso
 al Ministro dell'ambiente, nell'esercizio del potere di ordinanza  di
 cui  all'art.  8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, disporre un divieto
 generale  e  temporaneo  di  caccia   giustificato   da   particolari
 condizioni  meteo-climatiche, senza aver preventivamente accertato la
 non disponibilita' delle Regioni ad intervenire ai sensi dell'art. 19
 della legge  11  febbraio  1922,  n.  157;  conseguentemente  annulla
 l'ordinanza adottata il 5 gennaio 1993 dal Ministro dell'ambiente, di
 concerto con il Ministro dell'agricoltura e foreste, recante "Divieto
 dell'attivita'  venatoria  su  tutto  il  territorio nazionale per un
 periodo di giorni otto".
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 giugno 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: CHELI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 24 giugno 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0718