N. 351 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 dicembre 1992- 9 giugno 1993

                                N. 351
 Ordinanza  emessa  il  3  dicembre   1992   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale   il  9  giugno  1993)  dal  tribunale  regionale  per
 l'Abruzzo, sezione distaccata di Pescara,  sul  ricorso  proposto  da
 Micolucci Giorgio contro il comune di Montesilvano
 Impiego pubblico - Dipendenti pubblici (nella specie: dipendente
    comunale)  -  Decadenza  automatica  dal  servizio  in  seguito  a
    sentenza  di  condanna  penale  passata  in  giudicato  -   Omessa
    previsione  di un procedimento disciplinare al fine di graduare la
    sanzione alla gravita' del  reato  -  Irrazionalita'  della  norma
    impugnata  e  violazione  del  principio  di  eguaglianza sotto il
    profilo  dell'eguale  trattamento  degli  amministratori  pubblici
    (solo  per  i quali originariamente era prevista la sanzione della
    decadenza) e dei pubblici dipendenti  (ai  quali  la  sanzione  e'
    stata estesa mediante rinvio) nonostante la diversita' di rapporto
    con  la  p.a.  - Incidenza sul diritto al lavoro, e sul diritto di
    difesa in giudizio nonche' sui principi di tutela del lavoro e  di
    imparzialita'  e  buon  andamento della pubblica amministrazione -
    Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 971/1988.
 (Legge 18 gennaio 1992, n. 16, art. 1, commi 4-quinquies, 4-septies e
    4-octies).
 (Cost., artt. 3, primo comma, 4, 24, 35 e 97).
(GU n.28 del 7-7-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  nel  giudizio  proposto  da
 Micolucci Giorgio, rappresentato e difeso dall'avv. Valerio Speziale,
 elettivamente domiciliato presso il proprio difensore in Pescara, via
 Firenze, 10, contro il comune di Montesilvano, in persona del sindaco
 pro-tempore,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Dante  Angiolelli,
 elettivamente domiciliato presso il proprio difensore in Pescara, via
 Pisa, 23, per l'annullamento della deliberazione 6  maggio  1992,  n.
 514,  con la quale la giunta municipale di Montesilvano ha dichiarato
 il ricorrente decaduto dall'impiego;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in   giudizio   del   comune   di
 Montesilvano;
    Vista  l'ordinanza collegiale 23 luglio 1992, n. 514, con la quale
 e'  stata  respinta  la  domanda  incidentale  di   sospensione   del
 provvedimento impugnato;
    Vista   la  memoria  prodotta  dall'amministrazione  resistente  a
 sostegno delle proprie ragioni;
    Visti gli atti tutti del giudizio;
    Data  per  letta  alla  pubblica  udienza  del  3 dicembre 1992 la
 relazione del  consigliere  Michele  Eliantonio  e  uditi,  altresi',
 l'avv.  Giulio Cerceo - su delega dell'avv. Valerio Speziale - per il
 ricorrente e l'avv. Dante Angiolelli per  l'amministrazione  comunale
 resistente;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Il ricorrente, dipendente del comune di Montesilvano, con sentenza
 del  g.i.p.  presso  il  tribunale di Pescara 20 luglio 1990, n. 73 -
 emessa a  seguito  di  giudizio  abbreviato  -  e'  stato  dichiarato
 colpevole  del  reato di cui all'art. 71, prima parte, della legge 22
 dicembre  1975,  n.  685,  per  avere  illegittimamente  detenuto  un
 quantitativo  non modico di eroina del peso di gr. 9,500 e condannato
 alla pena di anni due di reclusione e L. 3.000.000 di multa.
    Passata in giudicato  detta  sentenza  il  25  ottobre  1991,  con
 deliberazione  6  maggio  1932,  n.  514,  la  giunta  municipale  di
 Montesilvano ha dichiarato  il  ricorrente  decaduto  dall'impiego  a
 decorrere  dalla  predetta  data  di  passaggio  in  giudicato  della
 sentenza di condanna e cio' in applicazione  del  combinato  disposto
 degli  artt.  85,  lett.  b),  del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e 1,
 commi 4-quinquies , 4-septies e  4-octies,  della  legge  18  gennaio
 1992, n. 16.
    Avverso  detto  atto deliberativo e' insorto l'interessato dinanzi
 questo tribunale deducendo  le  censure  di  eccesso  di  potere  per
 motivazione insufficiente e contraddittoria e di violazione dell'art.
 9, primo comma, della legge 7 febbraio 1990, n. 19.
    Ha  in  merito  osservato  che  il  pubblico dipendente in base al
 predetto art. 9 della legge n.  19  non  puo'  essere  destituito  di
 diritto  a  seguito  di  condanna  penale  e  che  non  era, inoltre,
 applicabile nella specie l'art. 85 del d.P.R. n.  3/1957,  in  quanto
 era stato sottoposto a pena detentiva e non a misura di sicurezza.
    In  via  subordinata  e' stata sollevata questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, commi 4-quinquies , 4-septies e 4-octies,
 della legge 18 gennaio 1992, n. 16, per violazione degli artt. 3,  4,
 35 e 97 dell Costituzione.
    Il   comune   di   Montesilvano  si  e'  costituito  in  giudizio,
 contestando analiticamente il fondamento delle doglianze dedotte.
                             D I R I T T O
    1. - Con il ricorso in esame -  come  precedentemente  esposto  in
 narrativa  -  il  ricorrente ha impugnato dinanzi questo tribunale la
 deliberazione 6 maggio 1992,  n.  514,  della  giunta  municipale  di
 Montesilvano, con la quale e' stato dichiarato decaduto dall'impiego;
 tale  atto  deliberativo,  adottato  in  applicazione  del  combinato
 disposto degli artt. 85, lett. b), del d.P.R. 10 gennaio 1957, n.  3,
 e 1, commi 4-quinquies , 4-septies e 4-octies, della legge 18 gennaio
 1992,  n.  16, e' motivato con riferimento alla considerazione che il
 ricorrente, dipendente del comune, era stato condannato con  sentenza
 passata  in  giudicato  per  un  delitto  di cui all'art. 73 del t.u.
 approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
    2. - Con l'unico mezzo di  gravame  l'istante  -  nel  dedurre  le
 censure   di  eccesso  di  potere  per  motivazione  insufficiente  e
 contraddittoria e di violazione dell'art. 9, primo comma, della legge
 7 febbraio 1990, n. 19 - si lamenta nella sostanza del fatto  che  il
 pubblico  dipendente in base al predetto art. 9 della legge n. 19 non
 puo' essere destituito di diritto a seguito di condanna penale.
    Osserva  in  merito  il  collegio  che  dette censure - cosi' come
 dedotte nel gravame - non appaiono fondate, in  quanto  nella  specie
 l'amministrazione   comunale  di  Montesilvano  non  ha  disposto  la
 destituzione di diritto del pubblico dipendente per condanna  penale,
 ma  la  decadenza  dalla  carica di cui all'art. 1, comma 4-quinquies
 della legge 18 gennaio 1992, n.  16,  recante  norme  in  materia  di
 elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali.
    Detto  art.  1,  invero,  nel  modificare l'art. 15 della legge 19
 marzo 1990, n. 55, recante "nuove  disposizioni  per  la  prevenzione
 della  delinquenza  di  tipo  mafioso",  dopo aver precisato al primo
 comma che non possono essere candidati alle  elezioni  amministrative
 coloro  che  hanno  riportato  condanne per alcuni specifici delitti,
 dispone testulamente al comma  4-quinquies,  per  la  parte  che  qui
 interessa,  che  "chi  ricopre  una delle cariche indicate al comma 1
 decade da essa di diritto alla data di passaggio in  giudicato  della
 sentenza di condanna"; il successivo comma 4-septies dispone poi che,
 qualora  ricorrano le condizioni di cui al predetto primo comma, "nei
 confronti del personale dipendente della amministrazioni pubbliche si
 fa luogo alla immediata sospensione dell'interessato dalla funzione o
 dall'ufficio ricoperti".
    Il comma 4-octies, infine, prevede che "al  personale  di  cui  al
 comma  4-septies  si  applicano  altresi'  le  disposizioni dei commi
 4-quinquies e 4-sexies".
    Dalla lettura combinata delle norme sopra indicate appare evidente
 che il personale dipendente di una pubblica  amministrazione  con  il
 passaggio in giudicato della sentenza di condanna per uno dei delitti
 di cui al primo comma debba essere dichiarato decaduto dall'impiego.
    Nella specie, come gia' detto, l'amministrazione comunale ha fatto
 applicazione  di  tale  normativa  e  non  dell'art.  9 della legge 7
 febbraio 1990, n. 19, che  contempla  la  diversa  fattispecie  della
 destituzione  di  diritto  di  un  pubblico  dipendente  a seguito di
 condanna penale.
    Alla luce di tali considerazioni il  ricorso  dovrebbe,  pertanto,
 essere respinto, non apparendo fondate le censure dedotte.
    3.  -  Ritiene, purtuttavia, il collegio di sollevare la questione
 di legittimita' costituzionale del predetto art. 1, commi 4-quinquies
 ,4-septies e 4-octies, della legge 18 gennaio 1992, n. 16.
    Invero, tale istituto della decadenza automatica dal servizio  dei
 pubblici  dipendenti condannati con sentenza passata in giudicato per
 determinati reati sembra presentare specifici elementi  di  contrasto
 con gli artt. 3, 4, 24, 35 e 97 della Carta costituzionale.
   4.  -  Sembra,  infatti,  al collegio che con l'istituto in parola,
 cosi' come disciplinato dalla nuova legge, sia stata  sostanzialmente
 reintrodotto,  sia  pur  con la diversa denominazione di "decadenza",
 l'istituto della "destituzione di diritto"  del  pubblico  dipendente
 per  condanna  penale, previsto dall'art. 85, lett. a), del d.P.R. 10
 gennaio  1957,  n.  3,  che  era  stato  dichiarato  costituzialmente
 illegittimo  dalla Corte costituzionale con sentenza 14 ottobre 1988,
 n.  971,  nella  parte  in  cui  non  prevedeva  l'apertura   di   un
 procedimento   disciplinare;  in  quella  occasione  la  Corte  aveva
 rilevato che una sanzione espulsiva automatica si poneva in contrasto
 con i criteri di coerenza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 della
 Costituzione e proprio in ottemperanza a tale decisione era stata con
 il predetto art. 9 della legge  7  febbraio  1990,  n.  19,  prevista
 l'apertura di un procedimento disciplinare.
    Se  e'  pur  vero  che  la  "decadenza" di cui alla nuova legge si
 presenta come un istituto diverso dalla "destituzione" - in quanto la
 seconda e' un istituto proprio del sistema  disciplinare,  mentre  la
 prima  appare  piuttosto  la conseguenza necessitata di una oggettiva
 condizione di inidoneita' all'impiego - deve d'altro canto  rilevarsi
 che  tra  i  due  istituti  vi  sono  aspetti  analoghi, da ritenersi
 prevalenti, in  quanto  viene  collegato  un  provvedimento  di  tipo
 espulsivo ad un particolare reato commesso da un pubblico dipendente.
    Cio' premesso, ritiene il collegio che le predette norme contenute
 nell'art.  1  della legge n. 16 si pongano in contrasto con gli artt.
 3, primo comma, 97 e 24, primo comma, della Carta costituzionale.
    Invero, per effetto di tale normativa viene disposta  l'automatica
 cessazione  del  rapporto di pubblico impiego senza che sia possibile
 valutare da un lato la gravita' del reato commesso  e  dall'altro  il
 vantaggio  che potrebbe derivare all'amministrazione dal mantenimento
 in  servizio  dello  stesso;  inoltre,  viene  impedito  al  pubblico
 dipendente  di  esporre  le sue difese all'amministrazione in sede di
 procedimento disciplinare e la sanzione espulsiva non viene  adeguata
 alla specifica attivita' posta in essere dal dipendente.
    5.  -  Deve,  inoltre,  rilevarsi  che la legge n. 16 in parola ha
 parificato, nelle condizioni che determinano la decadenza, i pubblici
 dipendenti a coloro che ricoprono cariche pubbliche.
    Ad avviso del collegio tale  parificazione  di  disciplina  appare
 porsi  in  contrasto  con  gli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, in
 quanto i pubblici dipendenti sono legati  all'amministrazione  da  un
 rapporto  di  tipo professionale, che viene assunto, almeno in via di
 principio,   con   il   carattere   dell'esclusivita',   mentre   gli
 amministratori  sono  legati  da  un  ben  diverso rapporto; in altri
 termini,  la  norma  in  parola  ha  dettato   una   disciplina   non
 differenziata  in  relazione  a situazioni tra loro non assimilabili,
 specie ove si consideri il diverso ruolo svolto  dagli  uni  e  dagli
 altri  nell'ambito dell'amministrazione. Inoltre, tale disciplina non
 appare  compatibile  con  la  specifica  tutela  del  lavoro  che  la
 Costituzione tende a garantire.
    6.  -  Ove  voglia, infine, ritenersi che tra i due istituti della
 decadenza e della destituzione prevalgano gli elementi di  diversita'
 sopra accennati e che alla decadenza in parola non possa riconoscersi
 carattere  sanzionatario  e,  pertanto,  non  possa logicamente porsi
 alcun problema di graduazione della  sanzione,  deve  osservarsi  che
 l'idoneita'  morale (cioe' l'assenza di condanne per quei particolari
 reati) viene dalla nuova legge  stabilita  come  un  nuovo  specifico
 requisito  per l'accesso ai pubblici impieghi. La decadenza trova, in
 definitiva, la sua giusticazione logica nella perdita di un requisito
 di accesso al pubblico impiego.
    In relazione a tale aspetto non puo' non porsi il  problema  della
 tutela  delle  posizioni  acquisite  con  riferimento  da  un lato ai
 rapporti di pubblico impiego gia' costituiti alla data di entrata  in
 vigore  della legge e dall'altro ai reati commessi prima dell'entrata
 in vigore di detta legge.
    Deve  invero,  osservarsi  in  merito  che   -   come   la   Corte
 costituzionale  ha  gia'  avuto modo di rilevare (sentenza 19 marzo-4
 aprile 1990, n. 155) - l'irretroattivita' della legge costituisce  un
 principio  generale  del  nostro  ordinamento  che,  pur  non essendo
 elevato al di fuori della materia penale a  dignita'  costituzionale,
 rappresenta  pur  sempre  una  regola  essenziale del sistema, che il
 legislatore deve  applicare,  salvo  deroghe  per  ragionevoli  cause
 giustificatrici.
    Nel  caso  di  specie  le  norme  in parola comminano la specifica
 conseguenza della decadenza di diritto  nei  confronti  dei  rapporti
 d'impiego  gia' costituiti ed in relazione a comportamenti gia' posti
 in essere al momento della sua entrata in vigore. Appaiono  rilevanti
 ad  avviso  della  sezione,  in  merito, da un lato il problema della
 tutela delle posizioni acquisite e dall'altra la circostanza  che  ai
 comportamenti degli impiegati, al momento in cui erano stati posti in
 essere,  non  era di certo collegabile (ne' prevedibile) anche quella
 particolare conseguenza giuridica.
    Tale previsione retroattiva  appare,  conseguentemente,  priva  di
 razionalita'  e  sembra  porsi  in  contrasto  con  il  principio  di
 ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione.
    7. - In definitiva, in base alle considerazioni che precedono,  il
 sospetto  di illegittimita' costituzionale del predetto art. 1 appare
 non manifestamente infondato.
    Circa la rilevanza  della  questione  ai  fini  del  decidere,  va
 evidenziato  che  la  sorte  del  ricorso  - come gia' detto - appare
 indissolubilmente legata all'esito del giudizio di  costituzionalita'
 delle  norme predette, dal momento che la domanda del ricorrente puo'
 essere accolta solo in quanto risulti fondata la sollevata  questione
 di legittimita' costituzionale.
    Questo  collegio  ritiene,  quindi,  di sollevare nei limiti e nei
 sensi  suindicati  la  questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art. 1, commi 4-quinquies , 4-septies e 4-octies, della legge 18
 gennaio 1992, n. 16, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 4, 24,
 35  e 97 della Costituzione, con contestuale sospensione del presente
 giudizio  sino  all'esito  di  quello  incidentale  di   legittimita'
 costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visti   gli   art.   134   della   Costituzione,   1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
 n. 87;
    Dichiara  rilevante  e  non manifestamente infondata, in relazione
 agli artt. 3, primo comma, 4, 24, 35  e  97  della  Costituzione,  la
 questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.  1,  commi
 4-quinquies , 4-septies e 4-octies, della legge 18 gennaio  1992,  n.
 16;
    Sospende  il  giudizio  instaurato  con  il  ricorso  indicato  in
 epigrafe fino alla decisione della deferita questione di legittimita'
 costituzionale e  dispone  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale;
    Ordina che a cura della segreteria di questo tribunale la presente
 ordinanza  sia  notificata  alle  parti in causa ed al Presidente del
 Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato e  della
 Camera dei deputati.
    Cosi'  deciso  in Pescara nella camera di consiglio del 3 dicembre
 1992.
                        Il presidente: LAURITA
   Il consigliere, relatore: ELIANTONIO
                                               Il consigliere: CARINCI
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