N. 360 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 luglio 1991- 12 giugno 1993

                                N. 360
 Ordinanza   emessa   l'11   luglio   1991   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  12  giugno  1993)  dal  tribunale  amministrativo
 regionale per la  Puglia,  seconda  sezione  di  Lecce,  sul  ricorso
 proposto da Buonsanto Annibale contro u.s.l. BR/4 - Brindisi
 Impiego pubblico - Stato giuridico del personale delle UU.SS.LL. -
    Medici  in  posizione  non  apicale  -  Collocamento  a  riposo al
    compimento del sessantacinquesimo anno di eta'  come  il  restante
    personale   medico   delle  UU.SS.LL.  -  Mancata  previsione  del
    trattenimento in servizio fino al settantesimo anno di  eta'  come
    per   i   dirigenti   civili  dello  Stato  -  Mancata  previsione
    dell'applicabilita' del predetto  beneficio  (introdotto,  per  il
    personale  medico,  con la legge 19 febbraio 1991, n. 50) anche al
    personale cessato dal  servizio  prima  del  21  febbraio  1991  -
    Ingiustificata  disparita' di trattamento di situazioni analoghe -
    Incidenza sul principio dell'assicurazione di mezzi adeguati  alle
    esigenze  di vita in caso di vecchiaia - Riferimento alle sentenze
    della Corte costituzionale nn. 134 e 207 del 1986, 531 e  761  del
    1989 e 186/1990.
 (D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 53; d.l. 27 dicembre 1989, n.
    413,  art.  1,  comma  4-quinquies, convertito, con modificazioni,
    nella legge 28 febbraio 1990, n. 37; legge 19  febbraio  1991,  n.
    50, art. 3).
 (Cost., artt. 3 e 38, secondo comma).
(GU n.28 del 7-7-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 2075/1990,
 proposto da Buonsanto  Annibale,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Ernesto  Sticchi-Damiani,  contro  l'unita'  sanitaria  locale  BR/4,
 Brindisi, in persona  del  presidente  del  c.d.g.,  rappresentata  e
 difesa   dall'avv.   Rocco   Lamarina,   per  l'annullamento,  previa
 sospensione, della deliberazione  n.  845  del  18  luglio  1990  del
 comitato  di  gestione  della  u.s.l. BR/4, avente ad oggetto: "prof.
 dott.  Annibale  Buonsanto,  nato  il  5  aprile  1925,  primario  di
 chirurgia  generale di ruolo della u.s.l.: collocamento a riposto per
 raggiunti limiti di eta'", nonche' di ogni  altro  atto  presupposto,
 connesso e, comunque, conseguenziale;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della u.s.l. BR/4;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita alla pubblica udienza dell'11 luglio 1991 la  relazione  del
 dott.  Luigi  Costantini  e  uditi, altresi', gli avv.ti E.  Sticchi-
 Damiani e R. Lamarina,  rispettivamente,  per  il  ricorrente  e  per
 l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
                               F A T T O
    Il  ricorrente  dott. Buonsanto, primario di ruolo della divisione
 di chirurgia generale presso il presidio ospedaliero "A. Di Summa" di
 Brindisi, e' nato il 5 aprile 1925 e, quindi, in data 6 aprile  1990,
 compie il 65› anno di eta'.
    Con  istanza, in data 30 ottobre 1989, il prof. Annibale Buonsanto
 chiedeva di essere trattenuto in servizio sino al compimento del  70›
 anno,  ai  sensi  dell'art.  6  della  legge 10 maggio 1964, n. 336 e
 dell'art. 108 del regolamento organico generale.
    L'istanza veniva, con deliberazione del  c.d.g.  n.  1307  del  10
 novembre  1989,  rigettata  e  con  successiva deliberazione n. 1308,
 stessa data, si disponeva il suo "collocamento a riposo per raggiunti
 limiti eta'".
    Entrambi  tali  provvedimenti  venivano  ritualmente impugnati dal
 ricorrente, con ricorso n. 689/1990, che, nella camera  di  consiglio
 del  10  aprile  1990,  questo tribunale sospedeva la loro efficacia,
 facento "salvi  gli  ulteriori  provvedimenti  dell'amministrazione".
 Senonche',  con  successiva deliberazione, n. 845 del 18 luglio 1990,
 il  comitato  di  gestione  della  U.S.L.  BR/4,  confermava   quanto
 precedente  disposto  con  la  delibera n. 1308 del 10 novembre 1989,
 atteso che non sussistevano  quelle  condizioni  di  "eccezionalita'"
 previste  all'art.  108  del  r.g.o.a.,  tali  da  non  consentire il
 trattanimento in servizio oltre il limite dei 65 anni.
    Da cio', il ricorrente ha proposto il presente gravame, sostenendo
 la illegittimita' del provvedimento per i seguenti motivi:
    1. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 53  del  d.P.R.  n.
 761/1979. Violazione e falsa interpretazione e applicazione dell'art.
 108 del r.g.o.a. Violazione di legge. Difetto di motivazione. Eccesso
 di  potere,  in  quanto  l'interpretazione  che  in  materia e' stata
 prospettata  dalla  giurisprudenza,  secondo  un  orientamento  ormai
 consolidato, e' nel senso che l'art. 53, secondo comma, del d.P.R. n.
 761/1979  abbia  inteso salvaguardare le posizioni di quel personale,
 che  in  forza  di  particolari  previsioni  regolamentari,  per  far
 conseguire  il  diritto o comunque la aspettativa di essere mantenuto
 in servizio oltre l'eta' fissata in via generale dal primo comma  del
 medesimo art. 53.
    2.  -  Difetto assoluto di motivzazione sotto altro profilo. Falsa
 ed erronea presupposizione in fatto e in  diritto.  Falsa  ed  errata
 interpretazione  ed  applicazione  dell'art.  108 r.g.o.a. Eccesso di
 potere  e  violazione  di  legge,   per   essersi   l'amministrazione
 resistente limitata ad affermare che "non sussistono le condizioni di
 eccezionalita'  previste  dalla norma regolarmente (art. 108) .. tali
 da  consentire  il  trattamento  in  servizio  oltre  il  limite   di
 sessantacinque   anni".   Da   qui,   appunto,   l'assoluta   carenza
 motivazione, atteso che, l'avverbio "eccezionalmente" contenuto nella
 prima parte del secondo comma dell'art.  108,  va  interpretato  alla
 luce  delle  previsioni di cui alla seconda parte della stessa norma,
 la quale subordina la permanenza in servizio alla  sussistenza  delle
 "condizioni  generali  di  capacita'  fisica  ed  intellettuale"  che
 "garantiscano un proficuo redimento".
    3. - Violazione e falsa applicazione dell'art.  1,  comma  quarto-
 quinquies  della  legge n. 37 del 28 febbraio 1990 di concessione del
 d.l. 27 dicembre 1989 n. 413. Eccesso di potere per falsa ed erronea
 presupposizione, in quanto la U.S.L. BR/4 non ha tenuto conto che  le
 norme  in  epigrafe richiamate hanno esteso ai dirigenti civili dello
 Stato ed alle categorie di personale ad essi equiparati,  nonche'  ai
 dipendenti  che  godono  di  trattamenti  commisurati  o rapportati a
 quelli dei dirigenti.
    Infatti, egli sostiene che l'art. 47 della  legge  istitutiva  del
 servizio  sanitario  nazionale  n. 833 del 23 dicembre 1978, al primo
 comma contiene una enunciazione di principio, nel senso,  cioe',  che
 lo  stato  giuridico  ed  economico  del personale delle UU.SS.LL. e'
 disciplinato secondo i  principi  generali  comuni  del  rapporto  di
 pubblico impiego e quindi anche da tutte le norme che, come quella da
 ultimo  menzionata, estendono indiscriminatamente un beneficio ad una
 intera categoria di pubblici impiegati.
    4.  -  Illegittimita'  costituzionale  della  legge  n.  37 del 28
 febbraio 1990, art. 1, comma quarto-quinquies  per  violazione  degli
 artt.  3  e  38  della  Costituzione, in quanto la differente portata
 della  norma  che  consegue  l'incremento  della  base   contributiva
 prevideziale  da  quelle  che  prevedono in via generale un superiore
 limite di eta' per  il  collocamento  a  riposo  assume  in  indubbio
 rilievo al fine precipuo di valutarne la compatabilita' con gli artt.
 3  e  38 della Costituzione. Infatti, non puo' essere giustificato un
 differente  trattamento  in  considerazione  che  rendono   possibile
 agevolare posizioni di impiego.
    La  U.S.L.  resistente,  costituendosi  in giudizio, ha chiesto il
 rigetto del gravame.
    Alla camera di consiglio dell'11 luglio 1991 la  parte  ricorrente
 ha   insistito   per   l'adozione   del  provvedimento  cautelare  di
 sospensione della delibera impugnata.
    Il  collegio,  con  ordinanza  n.  1283/1991,   ha   disposto   la
 sospensione  dell'efficacia  dell'atto impugnato "sino alla camera di
 consiglio siccessiva alla restituzione  degli  atti  da  parte  della
 Corte  costituzionale,  a  seguito  della decisione dell'incidente di
 costituzionalita' sollevata con la presente ordinanza.
                             D I R I T T O
    I.  -  Il  collegio  ritiene  che  vanno  sottoposti  al  giudizio
 incidentale  di costituzionalita' (primo motivo di ricorso) l'art. 53
 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (stato  giuridico  del  personale
 delle unita' sanitarie locali), l'art. 1, comma quarto-quinquies, del
 d.l.  27  dicembre  1989, n. 413, convertito con modificazioni dalla
 legge 28 febbraio 1990, n. 37 e l'art.  3  della  legge  19  febbraio
 1991,  n.  50  (disposizioni  sul collocamento a riposo del personale
 medico dipendente),  per  contrasto  con  gli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione della Repubblica, in quanto:
       a)  il  collocamento  a  riposo  e' obbligatorio ed e' eseguito
 l'dufficio, indipendentemente da ogni altra cuasa al  compimento  del
 sessantacinquesimo anno di eta', per il personale sanitario e tecnico
 laureato,  amministrativo,  di  assistenza  religiosa e professionale
 (art. 53 del d.P.R. n. 761 del 1979);
       b) i  sovraintendenti  sanitari,  i  direttori  sanitari  ed  i
 primari  restano in servizio sino al compimento del settantesimo anno
 di eta', qualora alla data di entrata in vigore della legge 10 maggio
 1964, n. 336 occupavano un posto di ruolo nelle funzioni ivi indicate
 (art. 5 del d.l. n. 402/1982);
       c) solo i dirigenti civili dello Stato, in servizio  alla  data
 del  1›  ottobre 1974, che, al compimento del sessantacinquesimo anno
 di eta' non hanno raggiunto il numero di anni di servizio tale da far
 conseguire il massimo del trattamento di quiescenza possono  rimanere
 in   servizio,   previa   istanza,  sino  al  conseguimento  di  tale
 trattamento massimo, e, comunque, non oltre il settantesimo  anno  di
 eta'  (art.  1,  comma  quarto-quinquies della legge n. 413/1990, con
 richiamo delle norme relative al personale della scuola);
       d)  solo  i  primari  ospedalieri  di  ruolo  che  non  abbiano
 raggiunto  il  numero  di  anni  di servizio effettivo necessario per
 conseguire il massimo della  pensione,  possono  chiedere  di  essere
 trattenuti  in servizio fino al raggiungimento di tale anzianita', e,
 comunque, non oltre il settantesimo anno di eta', purche' in servizio
 alla data del 21 febbraio 1991 (artt. 1 e 3 della legge  19  febbraio
 1991, numero 50).
    II.  -  Cio'  premesso,  osserva  il  collegio che la questione di
 legittimita' delle predette norme si appalesa rilevante ai fini della
 decisione del gravame introduttivo del giudizio.
    Il ricorrente, infatti, non rientra nella categoria del  personale
 che  puo'  beneficiare  della  norma  di  cui all'art. 5 del d.l. n.
 402/1982 (convertito con modificazioni dalla legge n. 627 del  1982),
 in  quanto alla data di entrata in vigore della legge 10 maggio 1964,
 n. 336 non occupava un posto  di  ruolo  (Consiglio  di  Stato,  sez.
 quinta,  1›  febbraio  1990,  n.  58)  nella  qualifica  di sanitario
 ospedaliero in posizione apicale  (Corte  costituzionale  5/9  giugno
 1986,  n.  134) Consiglio di Stato, sez. quinta, 10 gennaio 1990, nn.
 11 e 12).
    Inoltre, il ricorrente compie il sessantacinquesimo anno  di  eta'
 prima  della  entrata  in  vigore  della  legge  n.   .. del 1991 (21
 febbraio 10991), che, per  espressa  previsione  dell'art.  3,  primo
 comma,  non  ha  effetti retroattivi, ne' consente la riammissione in
 servizio ai sensi dell'art. 59 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761.
    Il collegio peraltro precisa che il ricorrente viene  collocato  a
 riposo  al  compimento del sessantacinquesimo anno di eta' senza aver
 maturato un quarantennio di servizio effettivo utile a pensione.
    III. - Valutata la rilevanza della questione di  costituzionalita'
 ai   fini  della  decisione  del  ricorso,  il  collegio  ne  ritiene
 sussistente anche la non manifesta infondatezza.
    Muove  appunto  dalla   osservazione   che   il   legislatore   ha
 recentemente   perseguito   l'indirizzo   di  prolungare  l'eta'  del
 collocamento  a  riposto  sino  al  settantesimo  anno  di  eta'  per
 categorie  sempre  piu'  numerose di pubblici dipendenti, senza pero'
 disciplinare in modo  organico  e  razionale  la  materia,  al  fine,
 soprattutto, di evitare situazioni di disparita' di trattamento.
    Significativi   a   tal   proposito,  appaiono  i  seguenti  testi
 normativi:
      1) la legge 28 febbraio  1990  n.  37  (art.  1,  comma  quarto-
 quinquies) per i dirigeti dello Stato;
      2) la legge 7 agosto 1990, n. 239, riguardante il collocamento a
 riposo fuori ruolo dei docenti universitari;
      3)  la  legge  della  regione  Calabria, approvata il 18 ottobre
 1989, ed impugnata dal Governo dinanzi alla  Corte  costituzionale  e
 riteuta conforme ai precetti costituzionali, con la sentenza del 4/12
 aprile 1990, n. 186;
      4)  la  legge  19 febbraio 1991, n. 50, riguardante il personale
 medico dipendente.
    Una prima sostanziale disarmonia  al  regime  del  collocamento  a
 riposo  del  personale  pubblico  e' stata introdotta con il d.l. 27
 dicembre 1989, n. 413 (recante: "Disposizioni urgenti in  materia  di
 trattamento  economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad
 essi equiparate, nonche' in materia di  pubblico  impiego"),  che  e'
 stato  convertito  con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n.
 37. Invero, proprio in sede di conversione il Parlamento ha approvato
 un emendamento  al  testo  del  d.l.  volto  ad  estendere  ai  soli
 dirigenti  dello  Stato  la norma di cui all'art. 15, secondo e terzo
 comma, della legge 30 luglio 1973,  n.  477,  e  all'art.  10,  sesto
 comma,   del   d.l.   6  novembre  1989,  n.  2357,  convertito  con
 modificazioni dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417.
    Ad  avviso  del collegio, con la norma predetta, si e' determinata
 una palese, ingiustificata e traumatica rottura dell'unitario  regime
 normativo  che  accomunava  i  dirigenti  civili  dello  Stato  ed il
 rimanente personale dei vari comparti del pubblico impiego,  e  cio',
 non tanto e non solo in ordine all'eta' massima per il collocamento a
 riposo, quanto, soprattutto, in relazione al trattamento economico di
 quiescenza godibile.
    La  ratio della normativa riguardante il personale della scuola fu
 individuata dalla Corte costituzionale con la senteza n. 207 del 9-24
 luglio 1986 nella quale si legge: "le disposizioni di cui al  secondo
 e   terzo   comma  di  cui  all'art.  15  della  legge  n.  477/1973,
 costituiscono un regime transitorio: poiche', infatti,  anteriormente
 alla  legge  de  qua  i  professori  delle scuole secondarie venivano
 collocati a riposo a 70 anni,  il  legislatore  nel  momento  in  cui
 abbassava  il  limite  di  eta' a 65 anni ha ritenuto, dettando i due
 surriportati commi, di disciplinare il passaggio dalla  vecchia  alla
 nuova disciplina".
    La  medesima  ratio  non e' indivisibile nella disposizione di cui
 all'art. 1,  comma  quarto-quinquies,  del  d.l.  n.  413/1989,  dal
 momento che i dirigenti civili dello Stato, al pari della generalita'
 dei   pubblici   dipendenti,   venivano  collocati  a  riposo  (anche
 anteriormente   al   primo   ottobre   1974)   al   compimento    del
 sessantacinquesimo  anno  di  eta'.  Ne'  puo' argomentarsi che altre
 categorie di pubblici dipendenti godono di un analogo trattamento  di
 favore (magistrati e docenti universitari).
    Per  queste  ultime  categorie,  infatti,  il  legislatore  non e'
 intervenuto con norme che disciplinano il collocamento  a  riposo  in
 ragione  dell'anzianita'  utile  al trattamento di quiescenza, bensi'
 con norme che prevedono un maggiore limite di eta' in  via  generale,
 riconoscendo    da   un   lato   la   peculiarita'   della   funzione
 (giurisdizionale o di docenza superiore) e dall'altro  l'esigenza  di
 non  disperdere  in  settore  tanto  delicato della vita pubblica, un
 patrimonio  di   indubbio   valore   sul   piano   della   esperienza
 professionale.
    Analoga  ratio  non puo' rinvenirsi nella norma di cui all'art. 1,
 comma quarto-quinquies, del d.l. n. 413/1989.
    La  finalita'  della  disposizione  e'  esplicitamente  quella  di
 consentire  l'incremento  della  base  stipendiale  pensionabile, dal
 momento che con l'art. 10, comma .., del  d.l.  n.  357/1989  (norma
 parimenti  estesa ai dirigenti civili dello Stato) si e' disposto che
 il servizio utile da  prendere  in  considerazione,  insieme  con  il
 servizio  effettivo,  ai  sensi  dell'art.  40 del d.P.R. 29 dicembre
 1973,  n.  1092,  ai  fini  della  permanenza  in  servizio  prevista
 dall'art.  15,  secondo  e terzo comma, della legge n. 477/1973, deve
 intendersi comprensivo di  tutti  i  servizi  e  periodi  riscattati,
 computati   e  ricongiunti  per  il  trattamento  di  quiescenza  con
 provvedimento formale.
    La norma di cui al d.l. n. 413/1989 ha,  dunque,  introdotto  una
 disciplina  in  favore  dei  dirigenti  civili  dello  Stato  che  al
 compimento dei 65 anni non hanno maturato 40 anni di servizio utile a
 pensione e che, quindi,  godrebbero  senza  tale  disciplina,  di  un
 trattamento  di  quiescenza  inferiore  rispetto a quello previsto in
 relazione al massimo del servizio valutabile.
    La differenza portata dalla norma, che consente l'incremento della
 base  contributiva  ai fini previdenziali, da quelle che prevedono in
 via generale un superiore  limite  di  eta'  per  il  collocamento  a
 riposo,   assume   in  indubbio  rilievo  ai  fini  di  saggiarne  la
 conformita' ai precetti costituzionali di cui  agli  artt.  3  e  38,
 secondo comma, della Costituzione.
    Nell'ipotesi   in   cui  si  determinano  legislativamente  limiti
 generali differenti di collocamento a riposo, ha insegnato il giudice
 delle leggi che ben puo' giustificarsi un differenziato  trattamento,
 in  considerazione della peculiarita' delle carriere o di contingenze
 che giustificano sacrifici o agevolazioni  di  posizioni  di  impiego
 (Corte costituzionale 9 giugno 1986, n. 134).
    Nell'ipotesi  in  cui  si  pongono,  invece,  norme  che  tedono a
 incrementare la base contributiva non  puo',  a  giudizio  di  questo
 collegio,  giustificarsi,  la  previsione  immotivata  di trattamenti
 differenziati solo con riferimento  alla  gerarchia  della  carriera,
 atteso   che   l'esigenza   di  assicurare  un  adeguato  trattamento
 prevideziale di fine rapporto  e'  garantito  dall'art.  38,  secondo
 comma,  della  Costituzione  a  tutti i lavoratori, per cui eventuali
 differenziazioni non possono rimettersi  alla  mera  discrezionalita'
 del legislatore.
    A   tal   proposito   il   collegio   non   ignora  che  la  Corte
 costituzionale, con la sentenza n. 761  del  19/27  luglio  1989,  ha
 dichiarato non fondato il sospetto di incostituzionalita' della norma
 contenuta  all'art.  4  del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092, ritenendo
 che:
      a ragione non viene estesa  a  tutto  il  settore  del  pubblico
 impiego  la disposizione dell'art. 15 della legge n. 477/1973, che ha
 natura transitoria ed e' collegata ad una peculiare contingenza;
      che si tratta di una  norma  derogatoria  che  non  puo'  essere
 assunta  a  metro  di legimmita' della regola generale dettata in una
 determinata materia.
    Tanto  premesso,  diventa  quindi   obiettivamente   sospetta   la
 legittimita'   costituzionale   delle   norme   che  disciplinano  il
 collocamento a riposo del personale dipendente delle unita' sanitarie
 locali, e cio' proprio alla luce delle disposizioni che  disciplinano
 (dopo   la   sentenza   della   Corte   costituzionale  n.  469/1989)
 l'incremento della base contributiva per  i  dirigenti  civili  dello
 Stato.
    Non  vi  e' dubbio, infatti, che con la previsione di una norma di
 favore per i dirigenti civili dello Stato viene  a  determinarsi  una
 palese  disparita'  di  trattamento,  del  tutto ingiustificata nella
 disciplina dei rappporti di pubblico impiego.
    Lo stato economico e giuridico dei dirigenti civili  dello  Stato,
 disciplinato  dalla  legge  30  giugno  1972,  ha,  infatti, lasciato
 inalterato il trattamento di quiescenza, regolato in modo uguale  per
 tutti i dipendenti dello Stato dalla legge n. 1092/1973.
    A cio' va aggiunto che la stessa categoria della dirigenza statale
 presenta al suo interno non poche posizioni anomale, dal momento che,
 al   possesso  della  qualifica  dirigenziale,  non  sempre  consegue
 necessariamente lo svolgimento delle relative funzioni,  per  cui  la
 qualifica   dirigenziale   viene   a  costituire  sostazialmente  una
 progressione automatica della ex carriera direttiva.
    Tale  contesto  della  realta'  normativa  evidenzia, vieppiu' che
 l'art. 1, comma quarto-quinquies del d.l. n. 413/1989, nel  limitare
 il  beneficio  alla  sola categoria dei dirigenti civili dello Stato,
 produce un ingiustificato privilegio in violazione degli  artt.  3  e
 38, secondo comma, della Costituzione.
    Sul    piano   della   coerenza   dell'ordinamento   giuridico   e
 dell'unitarieta'   della   pubblica   amministrazione,    globalmente
 considerata,  appare  incomprensibile  la  ratio  che  presiede  alla
 estensione ad una sola categoria di personale statale  di  una  norma
 (l'art.  15  della  legge n. 477/1973) che considerava un particolare
 settore della p.a. (personale docente e  non  docente  della  scuola,
 senza  distinzione  di qualifiche), senza che analoga posizione venga
 concessa, senza esclusione di altre categorie altrattato  meritevoli,
 anche  i  sanitari delle unita' sanitarie locali ed in particolare ai
 primari, che istituzionalmente (art. 7 del d.P.R. 27 marzo  1969,  n.
 128),  oltre  alla  responsabilita'  organizzativa  di  una complessa
 unita' divisionale, hanno anche una elevata  funzione  didattica,  di
 preparazione e perfezionamento tecnico-professionale del personale da
 loro  dipendente,  nonche'  di  promozionale di iniziative di ricerca
 scientifica.
    Del resto, la stessa Corte costituzionale, con riferimento a norme
 che  disciplinano  il  servizio  utile  a  conseguire   un   adeguato
 trattamento   economico  di  quiescenza  ha  ritenuto  che  non  puo'
 reputarsi conforme ai  principi  costituzionali  una  disciplina  che
 discrimini  in  relazione alla qualifica o al grado posseduto (codice
 civile n. 154 del 13 maggio 1984, n. 531 dell'11 dicembre 1989).
    IV.  -  Il  sospetto  di  incostituzionalita'  delle   norme   che
 disciplinano  il  collocamento  a  riposo  del personale sanitario si
 appalesa ancora di piu' dopo la promulgazione della legge n.  50  del
 1991,  in  quanto  il  predetto  testo  normativo espressamente trova
 applicazione solo dal 21 febbraio 1991 e non  riguarda  il  personale
 collocato a riposo antecedentemente.
    La  predetta  normativa,  infatti, ha un contenuto piu' favorevole
 per la categoria dei primari rispetto alla  normativa  dei  dirigenti
 statali  in quanto considera, al fine del collocamento a riposo, solo
 il servizio effettivo  (art.  1),  purtuttavia,  a  differenza  della
 normativa  riguardante il personale dirigente dello Stato e di quella
 riguardante il personale docente universitario (legge  n.  239/1990),
 non  fa  salve le situazioni per le quali esistano giudizi pendenti e
 non  consente  di  usufruire  dell'istituto  della  riammissione   in
 servizio ai sensi dell'art. 59 del d.P.R. n. 761/1979.
    La  legge  n. 50/1991, pertanto, anziche' sanare una gia' evidente
 situazione di disparita' di trattamento, ha ulteriormente  accentuato
 la  posizione di deteriorita' proprio a danno dei primari collocati a
 riposto prima del 21 febbraio 1991, presi in mezzo fra  coloro,  piu'
 anziani  d'eta',  che possono beneficiare della legge 10 maggio 1964,
 n. 336, e coloro, piu' giovani d'eta', che possono beneficiare  della
 medesima legge n. 50/1991.
    V.  -  Cio'  premesso, il collegio ritiene che vanno sottoposti al
 giudizio incidentale di costituzionalita' l'art.  53  del  d.P.R.  20
 dicembre  1979,  n.  761  (stato giuridico del personale delle unita'
 sanitarie locali), l'art. 1,  comma  quarto-quinquies  del  d.l.  27
 dicembre  1989,  n.  413, convertito con modificazioni dalla legge 28
 febbraio 1990, n. 37, e l'art. 3 della legge 19 febbraio 1991, n.  50
 (disposizioni   sul   collocamento  a  riposo  del  personale  medico
 dipendente),  per  contrasto  con gli artt. 3 e 38 della Costituzione
 della Repubblica.
    Il  Collegio  ritiene,  pertanto,  che  ricorrono  i   presupposti
 normativi per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
    Va,  quindi,  disposta  la  sospensione del presente giudizio e la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la  risoluzione
 della sopra prospettata questione di costituzionalita'.
                                P. Q. M.
    Visti   gli   artt.  134  della  Costituzione  e  23  della  legge
 costituzionale 11 marzo 1953, n. 1;
    Dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza in relazione
 agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, sulla questione
 di costituzionalita' dell'art. 53 del d.P.R.  20  dicembre  1979,  n.
 761,  (stato  giuridico del personale delle unita' sanitarie locali),
 dell'art. 1, comma quarto-quinquies, del d.l. 27 dicembre  1989,  n.
 413,  convertito  con  modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n.
 37, e dell'art. 3 della legge 19 febbraio 1991, n.  50  (disposizioni
 sul collocamento a riposo del personale medico dipendente), in quanto
 non  vengono  estesi i benefici contenuti nelle predette disposizioni
 al personale con qualifica di primario ospedaliero collocato a riposo
 prima del 21 febbraio 1991;
    Sospende il giudizio promosso con il ricorso n. 2075/1990;
    Ordina   l'immediata   rimessione   degli    atti    alla    Corte
 costituzionale;
    Dispone  che  a  cura  della  segreteria la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
    Cosi'  deciso  in  Lecce, nella camera di consiglio dell'11 luglio
 1991.
                         Il presidente: CATONI
                                               L'estensore: COSTANTINI
 93C0708