N. 363 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 marzo 1993

                                N. 363
 Ordinanza  emessa  il  4  marzo 1993 dal tribunale di sorveglianza di
 Bari nel  procedimento  di  sorveglianza  per  la  concessione  della
 semiliberta', sull'istanza di Torcasio Antonia
 Ordinamento penitenziario - Divieto di concessione di benefici (nella
    specie:  semiliberta')  per  gli  appartenenti  alla  criminalita'
    organizzata  o  per  i  condannati  per  determinati   delitti   -
    Ammissibilita'  ai  benefici solo in caso di collaborazione con la
    giustizia - Conseguente privazione, per cause  indipendenti  dalla
    volonta'  dei condannati, del diritto alla verifica dello stato di
    risocializzazione  -  Disparita'  di trattamento rispetto a coloro
    che,  di  fatto,  abbiano  avuto  la  materiale  possibilita'   di
    collaborare - Discriminazione tra cittadini in relazione ai doveri
    di  denuncia di fatti costituenti reato - Lesione del principio di
    irretroattivita' della previsione relativa alle sanzioni penali.
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, primo comma, primo
    periodo).
 (Cost., artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma).
(GU n.28 del 7-7-1993 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Emette la seguente  ordinanza  nel  procedimento  di  sorveglianza
 relativo  a  Torcasio  Antonia, nata a Lamezia Terme (Catanzaro) il 9
 ottobre 1958, ristretta nella  c.r.f.  di  Trani  (Bari),  avente  ad
 oggetto: semiliberta' (art. 48 l.p.).
                             O S S E R V A
    La  Torcasio  ha  chiesto  di espiare in regime di semiliberta' la
 pena residua inflittagli con sentenza della corte d'appello  di  Roma
 in  data 7 marzo 1987, per vari reati, tra cui sequestro di persona a
 scopo di estorsione commesso in Tivoli il 31 gennaio 1983.  Per  tali
 fatti fu condannata alla pena detentiva di anni dodici di reclusione,
 di  cui  anni  due le sono stati condonati per il d.P.R. n. 865/1986.
 Poiche' e' stata arrestata in data 13 febbraio 1990,  ha  beneficiato
 di  liberazione  anticipata  per  giorni  quattrocentocinquanta ed ha
 presofferto  anni  quattro,  mesi  quattro  e  giorni  diciannove  di
 reclusione,  risulta  avere  in  larga  misura espiato oltre la meta'
 della pena da scontare, presupposto necessario per l'ammissione  alla
 semiliberta'.
   Essendo  stata,  tuttavia,  condannata  (anche) per il reato di cui
 all'art. 630 del c.p., non potrebbe egualmente  essere  esaminata  la
 sua istanza ove il tribunale non ritenesse che ella abbia prestato in
 sede  di  cognizione,  ovvero  anche dopo la condanna, l'attivita' di
 collaborazione con la giustizia cui  fa  riferimento  l'art.  4-  bis
 della  legge  n.  354/1975,  come  da ultimo novellato con l'art. 15,
 primo comma, del d.l. n. 306/1992 conv. nella legge n. 356/1992.
    Nella specie, non risulta che la condannata  abbia  prestato  tale
 collaborazione  (v.  sentenza  di  condanna  in  atti),  e la stessa,
 interpellata  sul  punto,  ha  anzi  dichiarato  di  non  averla  mai
 prestata.  Sicche',  non  risultando  utile  neppure  il  ricorso  ad
 operazioni quali lo  scioglimento  del  cumulo  di  pene  operato  in
 sentenza   -   giacche'   la  Torcasio,  anche  tenendo  conto  della
 liberazione anticipata e dell'indulto, ha sinora scontato anni sette,
 mesi otto e giorni cinque di reclusione su dieci,  e  non  ha  quindi
 certamente  espiato  per  intero  la pena stabilita dal giudice della
 cognizione per il delitto di sequestro - al tribunale non  resterebbe
 che dichiarare l'inammissibilita' dell'istanza di misura alternativa.
    Ad  avviso  del  collegio, tuttavia, come l'altronde e' stato gia'
 ritenuto da questo e da altri tribunali  di  sorveglianza,  sia  pure
 nell'ambito  di  procedimenti aperti per la revoca di misure alterna-
 tive gia' concesse (art. 15, secondo comma, del d-l.  n.    306/1992,
 conv.  nelle legge n. 356/1992), la normativa suindicata (art. 4- bis
 della legge n. 354/1975, nuovo testo),  la  cui  applicazione  appare
 imprescindibile  nell'attuale  procedura,  donde  la  rilevanza della
 questione, non si sottrae  a  consistenti  dubbi  relativi  alla  sua
 costituzionalita',    alla    stregua    delle   considerazioni   che
 sinteticamente si riportato di seguito.
    1)  Contrasto  dell'art. 4- bis, primo comma, primo periodo, della
 legge n. 354/1975, con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
    La disciplina in  questione  confligge  con  il  "diritto  per  il
 condannato  a  che,  verificandosi le condizioni poste dalla norma di
 diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione  della  pretesa
 puntiva  venga  riesaminato  al  fine  di  accertare se in effetti la
 quantita' di pena espiata abbia o meno assolto positivamente  al  suo
 fine  rieducativo"  (Corte costituzionale n. 204/1974, i cui principi
 sono stati confermati ancora di recente).
    E' stato infatti gia' rilevato che per l'obbligatorio accertamento
 di requisiti (collaborazione con la giustizia) inerenti per  lo  piu'
 ad  una condotta pregressa e condizionata da scelte non comprimibili,
 pena il sacrificio di altri beni costituzionalmente  garantiti  (art.
 24 della Costituzione) - scelte peraltro dirette da finalita' affatto
 diverse da quelle che orientano il condannato in via definitiva verso
 il proprio reinserimento sociale -; requisiti che nei confronti della
 maggior   parte   degli   interessati  non  ricorreranno,  per  cause
 indipendenti dalla loro volonta' (errore  giudiziario;  indagini  che
 per  la loro completezza e rapidita' hanno escluso la possibilita' di
 apportare qualsiasi contributo ulteriore all'accertamento dei  fatti,
 all'individuazione    o    alla   cattura   del   colpevoli,   ovvero
 all'eliminazione delle conseguenze dei reati; posizione peculiare del
 singolo partecipe, che poco o nulla gli abbia consentito di conoscere
 sull'organizzazione criminale di appartenenza; ecc.),  il  condannato
 per uno dei reati indicati nella norma censurata puo' vedersi privato
 di quel diritto alla verifica del proprio stadio di risocializzazione
 che   la   giurisprudenza   costituzionale  ritiene  implicito  nella
 previsione di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
    In sostanza, si rileva che la novella ha presunto iuris et de iure
 la materiale possibilita', da parte del  condannato  per  determinati
 reati,  di  poter  contribuire  all'attivita'  di  indagine ovvero di
 giudizio a quelli relativa. Ma e'  evidente  che  si  tratta  di  una
 risposta  esasperata  dello  Stato all'aggressione delle associazioni
 criminali, giacche' non si vede per  la  tutela  di  quale  superiore
 interesse  il  condannato  non sia quantomeno ammesso a dimostrare il
 contrario,  anche  costituzionalmente  garantiti   (art.   24   della
 Costituzione)  - scelte peraltro dirette da finalita' affatto diverso
 da quelle che orientano il condannato  in  via  definitiva  verso  il
 proprio  reinserimento  sociale  -; requisiti che nei confronti della
 maggior  parte  degli  interessati  non   ricorreranno,   per   cause
 indipendenti  dalla  loro  volonta' (errore giudiziario; indagini che
 per la loro completezza e rapidita' hanno escluso la possibilita'  di
 apportare  qualsiasi contributo ulteriore all'accertamento dei fatti,
 all'individuazione   o   alla   cattura   dei    colpevoli,    ovvero
 all'eliminazione delle conseguenze dei reati; posizione peculiare del
 singolo partecipe, che poco o nulla gli abbia consentito di conoscere
 sull'organizzazione  criminale  di appartenenza; ecc.), il condannato
 per uno dei reati indicati nella prima censurata puo' vedersi privato
 di quel diritto alla verifica del proprio stadio di risocializzazione
 che  la  giurisprudenza  costituzionale   ritiene   implicito   nella
 previsione di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
    In sostanza, si rileva che la novella ha presunto iuris et de iure
 la  materiale  possibilita',  da parte del condannato per determinati
 reati, di poter  contribuire  all'attivita'  di  indagine  ovvero  di
 giudizio  a  quelli  relativa.  Ma  e'  evidente che si tratta di una
 risposta  esasperata  dello  Stato all'aggressione delle associazioni
 criminali, giacche' non si vede per  la  tutela  di  quale  superiore
 interesse  il  condannato  non sia quantomeno ammesso a dimostrare il
 contrario, anche attraverso l'allegazione di un complesso di elementi
 da sottoporre alla valutazione del tribunale di sorveglianza.
    2) Contrasto dell'art. 4- bis, primo comma, primo  periodo,  della
 legge n. 354/1975, con l'art. 3, primo comma, della Costituzione.
    La  disciplina  considerata  appare  in  contrasto  anche  con  il
 fondamentale principio di uguaglianza, quantomeno  sotto  i  seguenti
 due profili:
       a)  le misure alternative alla detenzione divengono accessibili
 solo per coloro che, di fatto, abbiano la materiale  possibilita'  di
 fornire  la  richiesta collaborazione, e non, invece, per coloro che,
 condannati per identico titolo di reato, si trovino senza loro  colpa
 nell'impossibilita'   di   fornirla.   E',   questa,   l'ineluttabile
 conseguenza  dell'avere,  il  legislatore,   ancorato   lo   speciale
 requisito     di    ammissibilita'    alla    intervenuta    condanna
 dell'interessato  per  determinati  titoli  di  reato,  astrattamente
 considerati,  senza  che  sia  attribuito  alcun rilievo alla realta'
 storica dei fatti ed alla particolare posizione  dell'interessato  (a
 parte  le  modifiche,  di  ben modesta portata, introdotte in sede di
 conversione del d.l. 306/1992, e confluite nel primo comma,  secondo
 periodo, dell'art. 4- bis citato);
       b)  la  normativa,  con  il  coartare la delazione da parte del
 condannato per determinati reati, attraverso la minaccia di deteriore
 trattamento punitivo, discrimina tra loro i cittadini quanto a doveri
 di denuncia di fatti costituenti reato. In tutti  quei  casi  in  cui
 l'informazione  in  possesso  del  condannato  fosse  tale  da  poter
 provocare il  coinvolgimento  di  soggetto  sino  ad  allora  rimasto
 estraneo  alla  persecuzione penale, infatti, tale condannato sarebbe
 indotto a fornirla onde evitare di dovere espiare  l'intera  pena  in
 istituto;  altro  cittadino,  che  per  avventura  avesse  egualmente
 conosciuto l'identita' del colpevole rimasto ignoto, potrebbe  invece
 mantenere tranquillamente il proprio atteggiamento omertoso, giacche'
 il  cittadino  comune e' tenuto a denunziare, ai sensi dell'art. 364,
 del c.p., i soli delitti contro la personalita'  dello  Stato  puniti
 con  l'ergastolo.  E  da  un  lato non si vede perche' al condannato,
 diversmanete  che  all'altro,  non  sia  concesso  di  poter   temere
 eventuali  ritorsioni  da  parte  del  denunziato,  d'altro canto non
 potrebbe ritenersi che un eventuale iter di risocializzazione di quel
 condannato debba necessariamente passare attraverso quella denunzia.
    3) Contrasto dell'art. 4- bis, primo comma, primo  periodo,  della
 legge n. 354/1975, con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
    Da  ultimo,  ad  avviso  del  collegio, le nuove norme appaiono in
 contrasto con  il  principio  costituzionale  della  irretroattivita'
 delle previsioni che attengono alla sanzione penale.
    Diversamente  da  quanto,  in  sede  di dibattito parlamentare, fu
 stabilito a proposito dei piu' gravosi requisiti di  ammissione  alle
 misure  alternative,  per  i  condannati per determinati reati con la
 legge n. 203/1991, la novella dell'agosto scorso risulta  applicabile
 anche nei confronti dei condannati i quali, come la Torcasio, abbiano
 commesso  i  reati  in  epoca  anteriore  all'entrata in vigore della
 riforma.
    Ove  si rifletta che e' concettualmente impossibile distinguere il
 nomen di una  sanzione  penale  dalle  regole  che  concretamente  ne
 disciplinano   l'esecuzione  (che  cosa  sia  la  reclusione,  ovvero
 l'arresto o l'ergastolo, non puo' desumersi solo dai loro  nomi,  che
 storicamente  hanno  avuto  ben diversi significati, ma proprio dalla
 disciplina positiva della loro esecuzione, in un determinato  momento
 storico),  ne'  la  legge  penale  generale italiana prevede principi
 ovvero caratteristiche particolari atti ad individuare  il  contenuto
 specifico   di  ciascuna  pena,  facendo  invece  rinvio  alle  norme
 dell'ordinamento penitenziario; ove cio' si condivida,  non  potrebbe
 con  concludersene che anche il complessivo regime punitivo stabilito
 per un determinato reato deve poter essere conosciuto  ante  delictum
 dal suo autore.
    Di  tale  regime  fanno certamente parte i presupposti sostanziali
 per essere ammessi alle misure alternative alla detenzione,  che  con
 le   disposizioni   censurate,  lungi  dall'essere  state  rese  piu'
 accessibili da parte dei cd. collaboratori di giustizia  (siccome  si
 e'  invece  stabilito  con la legge n. 82/1991), sono state del tutto
 precluse a coloro che non abbiano potuto, o voluto collaborare.
                               P. Q. M.
    Su difforme parere del p.g.:
       1) dichiarara non  manifestamente  infondate  le  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  indicate in motivazione, dispondendo la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione in
 merito alle stesse;
       2) sospende il presente procedimento di sorveglianza;
       3)  manda   alla   cancelleria   per   le   comunicazioni,   le
 notificazioni  e gli adempimenti previsti dall'art. 23 della legge n.
 87/1953, nonche'  per  la  comunicazione  di  questa  ordinanza  agli
 interessati ed alla procura generale in sede.
      Bari, addi' 4 marzo 1993
                        Il presidente: ANGARANO
    L'estensore: (firma illeggibile)
                                Il collaboratore di cancelleria: MANZO
 93C0711