N. 364 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 marzo 1993
N. 364 Ordinanza emessa il 4 marzo 1993 dal tribunale di sorveglianza di Bari nel procedimento di sorveglianza per l'ammissione alla liberazione condizionale sull'istanza di Torcasio Antonia Ordinamento penitenziario - Divieto di concessione di benefici (nella specie: liberazione condizionale) per gli appartenenti alla criminalita' organizzata o per i condannati per determinati delitti - Ammissibilita' ai benefici solo in caso di collaborazione con la giustizia - Conseguente privazione, per cause indipendenti dalla volonta' dei condannati, del diritto alla verifica dello stato di risocializzazione - Disparita' di trattamento rispetto a coloro che, di fatto, abbiano avuto la materiale possibilita' di collaborare - Discriminazione tra cittadini in relazione ai doveri di denuncia di fatti costituenti reato - Lesione del principio di irretroattivita' della previsione relativa alle sanzioni penali. (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, primo comma, primo periodo). (Cost., artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma).(GU n.28 del 7-7-1993 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Emette la seguente ordinanza nel procedimento di sorveglianza relativo a Torcasio Antonia, nata a Lamezia Terme (Catanzaro) il 9 ottobre 1958, ristretta nella c.r.f. di Trani (Bari), avente ad oggetto: liberazione condizionale (art. 176 c.p.). O S S E R V A La Torcasio ha chiesto di essere ammessa alla liberazione condizionale rispetto alla pena residua inflittagli con sentenza della corte d'appello di Roma in data 7 marzo 1987, per vari reati, tra cui sequestro di persona a scopo di estorsione commesso in Tivoli il 31 gennaio 1983. Per tali fatti fu condannata alla pena detentiva di anni dodici di reclusione, di cui anni due le sono stati condonati per il d.P.R. n. 865/1986. Poiche' e' stata arrestata in data 13 febbraio 1990, ha beneficiato di liberazione anticipata per giorni quattrocentocinquanta ed ha presofferto anni quattro, mesi quattro e giorni diciannove di reclusione, risulta avere in larga misura espiato oltre la meta' della pena da scontare, presupposto necessario per l'ammissione al beneficio richiesto, mentre la pena residua non supera i cinque anni (attuale scadenza al 30 aprile 1996). Essendo stata, tuttavia, condannata (anche) per il reato di cui all'art. 630 del c.p., non potrebbe egualmente essere esaminata la sua istanza ove il tribunale non ritenesse che ella abbia prestato in sede di cognizione, ovvero anche dopo la condanna, l'attivita' di collaborazione con la giustizia cui fa riferimento l'art. 4- bis della legge n. 354/1975, come da ultimo novellato con l'art. 15, primo comma, del d.l. n. 306/1992 conv. nella legge n. 356/1992 (in forza del rinvio formale operato con l'art. 2 del d.l. n. 152/1991, conv. nella legge n. 203/1991). Nella specie, non risulta che la condannata abbia prestato tale collaborazione (v. sentenza di condanna in atti), e la stessa, interpellata sul punto, ha anzi dichiarato di non averla mai prestata. Sicche', non risultando utile neppure il ricorso ad operazioni quali lo scioglimento del cumulo di pene operato in sentenza - giacche' la Torcasio, anche tenendo conto della liberazione anticipata e dell'indulto, ha sinora scontato anni sette, mesi otto e giorni cinque di reclusione su dieci, e non ha quindi certamente espiato per intero la pena stabilita dal giudice della cognizione per il delitto di sequestro - al tribunale non resterebbe che dichiarare l'inammissibilita' dell'istanza in oggetto. Ad avviso del collegio, tuttavia, come l'altronde e' stato gia' ritenuto da questo e da altri tribunali di sorveglianza, sia pure nell'ambito di procedimenti aperti per la revoca di misure alterna- tive gia' concesse (art. 15, secondo comma, del d-l. n. 306/1992, conv. nelle legge n. 356/1992), la normativa suindicata (art. 4- bis della legge n. 354/1975, nuovo testo), la cui applicazione appare imprescindibile nell'attuale procedura, donde la rilevanza della questione, non si sottrae a consistenti dubbi relativi alla sua costituzionalita', alla stregua delle considerazioni che sinteticamente si riportato di seguito. 1) Contrasto dell'art. 4- bis, primo comma, primo periodo, della legge n. 354/1975, con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione. La disciplina in questione confligge con il "diritto per il condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa puntiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantita' di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo" (Corte costituzionale n. 204/1974, i cui principi sono stati confermati ancora di recente). E' stato infatti gia' rilevato che per l'obbligatorio accertamento di requisiti (collaborazione con la giustizia) inerenti per lo piu' ad una condotta pregressa e condizionata da scelte non comprimibili, pena il sacrificio di altri beni costituzionalmente garantiti (art. 24 della Costituzione) - scelte peraltro dirette da finalita' affatto diverse da quelle che orientano il condannato in via definitiva verso il proprio reinserimento sociale -; requisiti che nei confronti della maggior parte degli interessati non ricorreranno, per cause indipendenti dalla loro volonta' (errore giudiziario; indagini che per la loro completezza e rapidita' hanno escluso la possibilita' di apportare qualsiasi contributo ulteriore all'accertamento dei fatti, all'individuazione o alla cattura del colpevoli, ovvero all'eliminazione delle conseguenze dei reati; posizione peculiare del singolo partecipe, che poco o nulla gli abbia consentito di conoscere sull'organizzazione criminale di appartenenza; ecc.), il condannato per uno dei reati indicati nella norma censurata puo' vedersi privato di quel diritto alla verifica del proprio stadio di risocializzazione che la giurisprudenza costituzionale ritiene implicito nella previsione di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione. In sostanza, si rileva che la novella ha presunto iuris et de iure la materiale possibilita', da parte del condannato per determinati reati, di poter contribuire all'attivita' di indagine ovvero di giudizio a quelli relativa. Ma e' evidente che si tratta di una risposta esasperata dello Stato all'aggressione delle associazioni criminali, giacche' non si vede per la tutela di quale superiore interesse il condannato non sia quantomeno ammesso a dimostrare il contrario, anche costituzionalmente garantiti (art. 24 della Costituzione) - scelte peraltro dirette da finalita' affatto diverso da quelle che orientano il condannato in via definitiva verso il proprio reinserimento sociale -; requisiti che nei confronti della maggior parte degli interessati non ricorreranno, per cause indipendenti dalla loro volonta' (errore giudiziario; indagini che per la loro completezza e rapidita' hanno escluso la possibilita' di apportare qualsiasi contributo ulteriore all'accertamento dei fatti, all'individuazione o alla cattura dei colpevoli, ovvero all'eliminazione delle conseguenze dei reati; posizione peculiare del singolo partecipe, che poco o nulla gli abbia consentito di conoscere sull'organizzazione criminale di appartenenza; ecc.), il condannato per uno dei reati indicati nella prima censurata puo' vedersi privato di quel diritto alla verifica del proprio stadio di risocializzazione che la giurisprudenza costituzionale ritiene implicito nella previsione di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione. In sostanza, si rileva che la novella ha presunto iuris et de iure la materiale possibilita', da parte del condannato per determinati reati, di poter contribuire all'attivita' di indagine ovvero di giudizio a quelli relativa. Ma e' evidente che si tratta di una risposta esasperata dello Stato all'aggressione delle associazioni criminali, giacche' non si vede per la tutela di quale superiore interesse il condannato non sia quantomeno ammesso a dimostrare il contrario, anche attraverso l'allegazione di un complesso di elementi da sottoporre alla valutazione del tribunale di sorveglianza. 2) Contrasto dell'art. 4- bis, primo comma, primo periodo, della legge n. 354/1975, con l'art. 3, primo comma, della Costituzione. La disciplina considerata appare in contrasto anche con il fondamentale principio di uguaglianza, quantomeno sotto i seguenti due profili: a) le misure alternative alla detenzione divengono accessibili solo per coloro che, di fatto, abbiano la materiale possibilita' di fornire la richiesta collaborazione, e non, invece, per coloro che, condannati per identico titolo di reato, si trovino senza loro colpa nell'impossibilita' di fornirla. E', questa, l'ineluttabile conseguenza dell'avere, il legislatore, ancorato lo speciale requisito di ammissibilita' alla intervenuta condanna dell'interessato per determinati titoli di reato, astrattamente considerati, senza che sia attribuito alcun rilievo alla realta' storica dei fatti ed alla particolare posizione dell'interessato (a parte le modifiche, di ben modesta portata, introdotte in sede di conversione del d.l. 306/1992, e confluite nel primo comma, secondo periodo, dell'art. 4- bis citato); b) la normativa, con il coartare la delazione da parte del condannato per determinati reati, attraverso la minaccia di deteriore trattamento punitivo, discrimina tra loro i cittadini quanto a doveri di denuncia di fatti costituenti reato. In tutti quei casi in cui l'informazione in possesso del condannato fosse tale da poter provocare il coinvolgimento di soggetto sino ad allora rimasto estraneo alla persecuzione penale, infatti, tale condannato sarebbe indotto a fornirla onde evitare di dovere espiare l'intera pena in istituto; altro cittadino, che per avventura avesse egualmente conosciuto l'identita' del colpevole rimasto ignoto, potrebbe invece mantenere tranquillamente il proprio atteggiamento omertoso, giacche' il cittadino comune e' tenuto a denunziare, ai sensi dell'art. 364, del c.p., i soli delitti contro la personalita' dello Stato puniti con l'ergastolo. E da un lato non si vede perche' al condannato, diversmanete che all'altro, non sia concesso di poter temere eventuali ritorsioni da parte del denunziato, d'altro canto non potrebbe ritenersi che un eventuale iter di risocializzazione di quel condannato debba necessariamente passare attraverso quella denunzia. 3) Contrasto dell'art. 4- bis, primo comma, primo periodo, della legge n. 354/1975, con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Da ultimo, ad avviso del collegio, le nuove norme appaiono in contrasto con il principio costituzionale della irretroattivita' delle previsioni che attengono alla sanzione penale. Diversamente da quanto, in sede di dibattito parlamentare, fu stabilito a proposito dei piu' gravosi requisiti di ammissione alle misure alternative, per i condannati per determinati reati con la legge n. 203/1991, la novella dell'agosto scorso risulta applicabile anche nei confronti dei condannati i quali, come la Torcasio, abbiano commesso i reati in epoca anteriore all'entrata in vigore della riforma. Ove si rifletta che e' concettualmente impossibile distinguere il nomen di una sanzione penale dalle regole che concretamente ne disciplinano l'esecuzione (che cosa sia la reclusione, ovvero l'arresto o l'ergastolo, non puo' desumersi solo dai loro nomi, che storicamente hanno avuto ben diversi significati, ma proprio dalla disciplina positiva della loro esecuzione, in un determinato momento storico), ne' la legge penale generale italiana prevede principi ovvero caratteristiche particolari atti ad individuare il contenuto specifico di ciascuna pena, facendo invece rinvio alle norme dell'ordinamento penitenziario; ove cio' si condivida, non potrebbe con concludersene che anche il complessivo regime punitivo stabilito per un determinato reato deve poter essere conosciuto ante delictum dal suo autore. Di tale regime fanno certamente parte i presupposti sostanziali per essere ammessi alle misure alternative alla detenzione, che con le disposizioni censurate, lungi dall'essere state rese piu' accessibili da parte dei cd. collaboratori di giustizia (siccome si e' invece stabilito con la legge n. 82/1991), sono state del tutto precluse a coloro che non abbiano potuto, o voluto collaborare.
P. Q. M. Su difforme parere del p.g.: 1) dichiarara non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale indicate in motivazione, dispondendo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione in merito alle stesse; 2) sospende il presente procedimento di sorveglianza; 3) manda alla cancelleria per le comunicazioni, le notificazioni e gli adempimenti previsti dall'art. 23 della legge n. 87/1953, nonche' per la comunicazione di questa ordinanza agli interessati ed alla procura generale in sede. Bari, addi' 4 marzo 1993 Il presidente: ANGARANO L'estensore: (firma illeggibile) Il collaboratore di cancelleria: MANZO 93C0712