N. 296 SENTENZA 24 giugno - 1 luglio 1993

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzioni tra Stato e regione.
 
 Impiego   pubblico   -   Regione  Sardegna  -  Dipendenti  -  Accordo
 contrattuale di comparto 1991-1993  -  Conferimento  di  efficacia  -
 Interpretazione di norme eccezionali dettate dall'emergenza economica
 - Giustificata ragionevolezza - Non spettanza alla regione Sardegna -
 Annullamento  del  decreto  del  presidente  della giunta regionale 8
 settembre 1992, n. 212.
 
 (Decreto Pres. Giunta Reg. Sardegna 8 settembre 1992, n. 212)
 
 (Cost., artt. 3, 97 e 116; Stat. spec. Sardegna, artt. 3, lett. a)  e
 27).
(GU n.28 del 7-7-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
    CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo
    CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI,
     prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
    SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio promosso con ricorso del Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri  notificato l'11 dicembre 1992, depositato in cancelleria il
 23 successivo, per conflitto di  attribuzione  sorto  a  seguito  del
 decreto   del  Presidente  della  Giunta  della  Regione  Sardegna  8
 settembre 1992, n. 212, dal titolo "Norme risultanti dalla disciplina
 prevista dall'accordo contrattuale per il triennio 1991-1993 relativo
 al personale dell'amministrazione regionale della  Sardegna  e  degli
 enti  pubblici  strumentali  della Regione", ed iscritto al n. 44 del
 registro conflitti 1992;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna;
    Udito nell'udienza pubblica del 30 marzo 1993 il giudice  relatore
 Antonio Baldassarre;
    Uditi  l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del
 Consiglio dei ministri e l'Avvocato Sergio Panunzio  per  la  Regione
 Sardegna;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -  Con  ricorso  regolarmente  notificato  e  depositato,  il
 Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha  sollevato  conflitto  di
 attribuzione  nei  confronti  della Regione Sardegna, in relazione al
 decreto del Presidente della Giunta regionale 8  settembre  1992,  n.
 212   (Norme   risultanti   dalla  disciplina  prevista  dall'accordo
 contrattuale  per  il  triennio  1991-1993  relativo   al   personale
 dell'amministrazione  regionale  della Sardegna e degli enti pubblici
 strumentali della Regione), sul  presupposto  che  quest'ultimo  atto
 costituisca  un  esercizio  illegittimo delle attribuzioni regionali,
 lesivo di competenze statali, in quanto adottato in contrasto con gli
 artt. 3, 97 e 116  della  Costituzione,  nonche'  con  gli  artt.  3,
 lettera  a),  e  27  dello  Statuto  speciale  per la Sardegna (Legge
 costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), in connessione con i principi
 contenuti negli artt. 1 e 13 della legge 29 marzo 1983, n. 93 (Legge-
 quadro sul pubblico impiego) e nell'art. 7, primo comma, del decreto-
 legge 19 settembre  1992,  n.  384  (Misure  urgenti  in  materia  di
 previdenza,  di  sanita'  e di pubblico impiego, nonche' disposizioni
 fiscali), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  14  novembre
 1992, n. 438.
    Il  ricorrente,  in  primo luogo, lamenta che il decreto regionale
 impugnato, nel recepire la disciplina  contrattuale  prevista  per  i
 dipendenti  regionali relativamente al triennio 1991-1993, si sarebbe
 posto in contrasto con l'art. 7, primo comma,  del  decreto-legge  n.
 384  del  1992, il quale, nell'ambito della finalita' di contenimento
 del disavanzo pubblico che ispira il provvedimento d'urgenza nel  suo
 complesso,  stabilisce  che,  mentre "resta ferma sino al 31 dicembre
 1993 la vigente  disciplina  emanata  sulla  base  degli  accordi  di
 comparto  di  cui  alla  legge 29 marzo 1983, n. 93", al contrario "i
 nuovi  accordi  avranno  effetto  dal  1›   gennaio   1994".   Questa
 disposizione,   la  quale  si  inserisce  in  un  contesto  di  norme
 complessivamente rivolto al congelamento temporaneo  del  trattamento
 economico  dei  dipendenti  pubblici,  introduce una deroga implicita
 alla regola della cadenza triennale degli accordi collettivi  per  il
 pubblico  impiego stabilita dall'art. 13 della legge-quadro n. 93 del
 1983, deroga che, ad avviso del  ricorrente,  dispiegherebbe  la  sua
 piena  efficacia  anche  verso  le  regioni  a  statuto  speciale sin
 dall'entrata in vigore del decreto-legge stesso (19 settembre  1992):
 infatti,  l'art.  13-  ter,  introdotto  in  sede  di conversione del
 decreto-legge per  dichiarare  quest'ultimo  applicabile  anche  alle
 regioni  a  statuto  speciale e alle province autonome di Trento e di
 Bolzano, rientrerebbe, secondo il ricorrente, fra  le  eccezioni  che
 l'art. 15, quinto comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400, consente
 alla  regola generale per la quale le modifiche apportate al decreto-
 legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo  a
 quello  della pubblicazione della legge stessa. Su tale base, poiche'
 il decreto regionale impugnato, benche' emanato l'8  settembre  1992,
 non  era ancora efficace il 19 settembre 1992, in quanto era in corso
 il  procedimento  di  registrazione  presso  la   Corte   dei   conti
 (conclusosi  il  successivo 8 ottobre), ad esso si applicherebbero le
 disposizioni contenute nel decreto-legge n.  384  del  1992.  E,  dal
 momento  che e' palese il contrasto, rispetto a quest'ultimo decreto-
 legge, dell'atto impugnato  -  che,  nel  recepire  l'accordo  per  i
 dipendenti  regionali  relativamente al triennio 1991-1993, ignora il
 vincolo a differire al 1› gennaio 1994 il nuovo accordo e conferisce,
 cosi', immediato effetto ai miglioramenti riguardanti il  trattamento
 economico complessivo e singole voci di indennita' (artt. 10, 11 e 12
 dell'accordo)  -,  ne  consegue  il  pregiudizio,  con violazione del
 limite  degli  "interessi  nazionali",  rispetto  alla  finalita'  di
 contenimento   del   disavanzo  pubblico  perseguita  dalla  politica
 economica statale. Per le  stesse  ragioni,  precisa  il  ricorrente,
 risulterebbero  altresi'  lesi il principio di parita' di trattamento
 fra i cittadini  (art.  3  della  Costituzione)  e  quello  del  buon
 andamento    della    pubblica   amministrazione   (art.   97   della
 Costituzione).
    In secondo luogo,  il  ricorrente  ritiene  che  l'atto  impugnato
 violerebbe   i   limiti  statutariamente  posti  all'esercizio  della
 competenza  legislativa  in  materia  di  trattamento  economico  del
 personale  regionale  (art.  3,  lettera a), dello Statuto speciale),
 limiti che dovrebbero valere anche in relazione  alla  produzione  di
 norme  secondarie,  come  quelle oggetto di impugnazione. Infatti, il
 decreto del Presidente regionale che recepisce l'accordo di  comparto
 sopraindicato   contravverrebbe   alla  deroga  temporanea  apportata
 dall'art. 7, primo comma,  del  decreto-legge  n.  384  del  1992  al
 principio,   avente   natura  di  norma  fondamentale  delle  riforme
 economico-sociali,  espresso  dall'art.  13  della  legge-quadro  sul
 pubblico impiego.
    Infine,  entrando  in  un  altro  ordine di censure, il ricorrente
 osserva che il procedimento  di  formazione  dell'atto  di  recezione
 degli  accordi  collettivi  in  questione  appare  viziato  alla luce
 dell'art. 27 dello  Statuto  speciale  per  la  Sardegna.  Dopo  aver
 ricordato  che, sulla base di tale parametro costituzionale, la Corte
 costituzionale ha gia' dichiarato che  i  regolamenti  regionali  non
 rientrano  nella  competenza  della  Giunta,  bensi'  in  quella  del
 Consiglio (v. sent. n. 371 del 1985), e dopo aver  sottolineato  che,
 anche  sulla  base  della  legge  nazionale  sul pubblico impiego, la
 recezione degli accordi di comparto avviene con atti cui  deve  esser
 riconosciuta   natura   regolamentare,   il  ricorrente  osserva  che
 l'adozione dell'atto impugnato con decreto del Presidente  regionale,
 previa   deliberazione  della  Giunta,  deve  ritenersi  contrastante
 rispetto  al  sopraindicato   parametro   statutario.   Ma,   poiche'
 l'incostituzionalita'  ora  accennata deve farsi risalire all'art. 3,
 ultimo comma, della legge regionale 25 giugno 1984, n. 33 - il  quale
 prevede  che le norme risultanti dagli accordi sindacali sul pubblico
 impiego siano  adottate  con  decreto  del  Presidente  regionale  su
 delibera  della  Giunta - appare al ricorrente che sia pregiudiziale,
 ai fini della risoluzione del conflitto di attribuzione, che la Corte
 costituzionale  sollevi  di  fronte  a   se   stessa   questione   di
 costituzionalita' della norma di legge regionale cui l'atto impugnato
 nel presente giudizio si e' conformato.
    2. - Si e' costituita in giudizio la Regione Sardegna per chiedere
 che  il  ricorso  venga  dichiarato  inammissibile  o,  in ogni caso,
 infondato.
    Sotto  il  primo   profilo,   la   Regione   resistente   osserva,
 innanzitutto,  che  in realta' il ricorrente non avrebbe sollevato un
 conflitto concernente  attribuzioni  statali  o  regionali  di  rango
 costituzionale, ma avrebbe semplicemente prospettato una questione di
 conformita'  della  disciplina  contrattuale  recepita con il decreto
 regionale impugnato rispetto a una legge statale, cioe' avrebbe posto
 una questione la cui risoluzione rientra nelle competenze del giudice
 amministrativo.  Inoltre,  nel  rilevare,  sotto  altro  profilo,  un
 presunto vizio di forma dell'atto regionale denunziato, il ricorrente
 avrebbe  sollevato  una  ulteriore questione anch'essa inammissibile,
 dal momento che il parametro costituzionale invocato, cioe' l'art. 27
 dello Statuto speciale  per  la  Sardegna,  non  delimita  competenze
 regionali  da  quelle  statali, ma stabilisce una norma organizzativa
 interna alla regione, volta a distribuire le competenze fra Giunta  e
 Consiglio   regionale.  Per  tale  aspetto,  secondo  la  resistente,
 l'ipotizzata violazione dello Statuto non potrebbe  dare  origine  ad
 alcuna invasione di qualsivoglia competenza statale.
    Quanto  al  merito  del conflitto, la Regione Sardegna contesta la
 ricostruzione  operata  dalla  parte  ricorrente  in  relazione  alla
 applicabilita' del decreto-legge n. 384 del 1992 all'accordo recepito
 con  l'atto  impugnato, ponendo in dubbio la data di decorrenza della
 norma contenuta nell'art. 13- ter  del  predetto  decreto-legge,  che
 estende  l'applicabilita'  di  quest'ultimo  alle  regioni  a statuto
 speciale.  Tale articolo, infatti, essendo stato introdotto  soltanto
 in  sede  di  conversione,  dovrebbe avere effetto limitatamente agli
 accordi conclusi all'indomani della data di entrata in  vigore  della
 legge  di  conversione  del  citato decreto-legge - cioe' la legge 14
 novembre 1992,  n.  438  -  considerato  che  in  quest'ultima  manca
 l'espressa  disposizione contraria richiesta dall'art. 15 della legge
 n. 400 del 1988. Tuttavia, anche a voler anticipare  gli  effetti  di
 quella  clausola  alla  data  di entrata in vigore del decreto-legge,
 vale  a dire al 19 settembre 1992, questa sarebbe comunque successiva
 alla data di emanazione  del  decreto  del  Presidente  della  Giunta
 oggetto  del conflitto in esame, cioe' l'8 settembre 1992, alla quale
 il provvedimento di registrazione della Corte dei conti fa retroagire
 l'acquisto della efficacia del decreto stesso.
    In  relazione  alla  prospettazione  da   parte   del   ricorrente
 dell'esigenza  che  la  Corte  costituzionale  sollevi di fronte a se
 stessa  questione  di   legittimita'   costituzionale,   la   Regione
 resistente  osserva  che quest'ultima sarebbe comunque inammissibile,
 considerato   che   tenderebbe   a    ottenere    una    declaratoria
 d'incostituzionalita'  aggirando  illegittimamente  l'osservanza  del
 termine posto allo Stato per  l'impugnazione  in  via  diretta  delle
 leggi   regionali.   In  ogni  caso,  tale  questione  sarebbe  anche
 infondata, dal momento  che  la  norma  impugnata  si  limiterebbe  a
 trasferire a livello regionale le stesse procedure previste a livello
 statale dall'art. 6 della legge n. 93 del 1983.
    3. - In prossimita' dell'udienza la Regione Sardegna ha depositato
 una   memoria,   nella   quale  insiste  soprattutto  sulla  presunta
 inammissibilita'del conflitto a causa della natura non costituzionale
 dello stesso.  Quanto  al  merito,  dopo  aver  ribadito  la  propria
 posizione   sull'asserita   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita' costituzionale relativa all'art. 3,  u.c.,  della  legge
 regionale  n.  33  del  1984,  la  Regione, in riferimento al profilo
 attinente all'art. 27 dello Statuto speciale, nega che il decreto del
 presidente regionale oggetto del conflitto possa  essere  configurato
 come   atto   avente  natura  regolamentare.  Quest'ultima,  infatti,
 dovrebbe escludersi, oltreche' per l'origine negoziale delle relative
 statuizioni,  in  ragione  della  durata  limitata  nel  tempo  della
 disciplina  prevista  (v.  sul  punto sent. n. 569 del 1988 di questa
 Corte).
                        Considerato in diritto
    1. -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  sollevato
 conflitto  di  attribuzione  nei  confronti della Regione Sardegna in
 relazione  al  decreto  del  Presidente  della  Giunta  regionale   8
 settembre  1992,  n.  212 (Norme risultanti dalla disciplina prevista
 dall'accordo contrattuale  per  il  triennio  1991-1993  relativo  al
 personale  dell'amministrazione regionale della Sardegna e degli enti
 pubblici strumentali della Regione), adducendo che  l'atto  impugnato
 costituisce  esercizio  di competenze regionali comportante turbativa
 nei confronti di attribuzioni statali con violazione degli  artt.  3,
 97  e  116 della Costituzione, dell'art. 3, lettera a), dello Statuto
 speciale per la Sardegna (Legge costituzionale 26 febbraio  1948,  n.
 3), in connessione con gli artt. 1 e 13 della legge 29 marzo 1983, n.
 93  (Legge-quadro  sul  pubblico impiego) e con l'art. 7 del decreto-
 legge 19 settembre  1992,  n.  384  (Misure  urgenti  in  materia  di
 previdenza,  di  sanita'  e di pubblico impiego, nonche' disposizioni
 fiscali), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  14  novembre
 1992,  n.  438,  oltreche'  con  violazione  dell'art.  27  del  gia'
 ricordato Statuto speciale per la Sardegna.
    Piu' precisamente,  il  ricorrente  fa  valere  due  distinti,  ma
 concorrenti,   profili   di   lesione   delle   proprie  attribuzioni
 costituzionali. Innanzitutto, esso ritiene che  l'impugnato  atto  di
 recezione  degli  accordi  di  comparto  per  il  personale regionale
 pregiudichi  sostanzialmente  le  finalita'  di  politica   economica
 generale  sottese  al  congelamento  del  trattamento  economico  dei
 pubblici dipendenti fino al 31 dicembre  1993,  disposto  dal  citato
 art.  7  del  decreto-legge  n.  384  del  1992,  ponendosi  cosi' in
 contrasto con gli interessi nazionali e violando, altresi', il limite
 delle   "norme   fondamentali   delle   riforme   economico-sociali",
 rappresentato  dalle  disposizioni  della  legge-quadro  sul pubblico
 impiego (art. 3 dello Statuto speciale), nonche' gli artt.  3,  97  e
 116  della  Costituzione.  Inoltre, lo stesso ricorrente prospetta la
 violazione, da parte dell'atto impugnato, dell'art. 27 dello  Statuto
 speciale,  essendo  stati  recepiti  gli  accordi in questione con un
 provvedimento del Presidente della Giunta regionale,  anziche',  come
 e'  richiesto  dalla  indicata  norma  dello  Statuto per gli atti di
 natura regolamentare, da una deliberazione del  Consiglio  regionale.
 In  relazione  a  quest'ultima  questione, peraltro, il ricorrente fa
 presente che, poiche' la  forma  del  decreto  del  Presidente  della
 Giunta  regionale  e'  prescritta  per la recezione dei sopraindicati
 accordi dall'art. 3, u.c., della legge regionale 25 giugno  1984,  n.
 33  (Norme attuative della legge-quadro sul pubblico impiego), appare
 pregiudiziale all'accoglimento del ricorso per l'aspetto  considerato
 che  la  Corte costituzionale sollevi di fronte a se stessa questione
 di legittimita' costituzionale  del  citato  art.  3  per  violazione
 dell'art. 27 dello Statuto speciale per la Sardegna.
    Preliminarmente  al  merito,  occorre  procedere  all'esame di una
 duplice  eccezione  di  inammissibilita'  prospettata  dalla  Regione
 Sardegna.  Secondo  quest'ultima,  il  primo  dei  profili  sollevati
 sarebbe inammissibile  per  il  fatto  che  il  ricorrente,  anziche'
 lamentare  una  lesione  di  attribuzioni  di  rango  costituzionale,
 proporrebbe una questione di conformita' di un  atto  amministrativo,
 qual  e' quello impugnato, rispetto a norme di legge ordinaria, dando
 cosi' vita a una controversia esulante dalle  competenze  proprie  di
 questa   Corte   e   rientrante   nella   giurisdizione  del  giudice
 amministrativo. Ad avviso della regione resistente, anche il  secondo
 profilo sarebbe inammissibile, poiche' lo Stato, invocando la lesione
 dell'art.  27 dello Statuto speciale, prospetterebbe la violazione di
 una norma organizzativa volta a disciplinare la  distribuzione  delle
 competenze  fra  organi  interni  alla  Regione  (Giunta  o Consiglio
 regionale), in relazione alla quale  lo  stesso  Stato  non  potrebbe
 avere alcun interesse a ricorrere.
    2.  - Vanno innanzitutto disattese le eccezioni d'inammissibilita'
 formulate dalla Regione Sardegna.
    In ordine all'asserita  mancanza  dei  presupposti  oggettivi  del
 conflitto  di  attribuzione fra Stato e regioni, dovuta alla presunta
 prospettazione di  lesioni  meramente  interessanti  disposizioni  di
 legge  ordinaria, occorre semplicemente osservare che le leggi che si
 assumono violate sono indicate  dal  ricorrente  come  espressive  di
 interessi  nazionali  inderogabili  ovvero come norme fondamentali di
 riforma economico-sociale, di modo che in esse viene  individuato  il
 contenuto  di  un  limite  costituzionale  che l'art. 3 dello Statuto
 speciale per la Sardegna pone all'esercizio delle competenze legisla-
 tive e amministrative attribuite alla Regione resistente.
    Riguardo alla pretesa carenza di interesse a ricorrere dello Stato
 in relazione al profilo attinente all'art. 27 dello Statuto speciale,
 e'  sufficiente  ricordare  che,  secondo   un   orientamento   ormai
 consolidato,  la  figura dei conflitti di attribuzione comprende ogni
 ipotesi  in  cui  dall'illegittimo  esercizio  di  un  potere  altrui
 consegue   la   menomazione   di   una    sfera    di    attribuzioni
 costituzionalmente assegnate all'altro soggetto (v., da ultimo, sent.
 n.  204  del  1991). E poiche' il conflitto e' insorto per l'asserita
 turbativa arrecata al pieno dispiegamento di attribuzioni statali  in
 conseguenza  di un atto di esercizio di competenze regionali ritenuto
 illegittimamente  interferente  con  le  predette  attribuzioni,   e'
 innegabile  che  la  prospettata violazione dello Statuto speciale da
 parte del provvedimento in ipotesi lesivo, riconducibile a  un  vizio
 di  competenza,  sia  in  grado  di  legittimare lo Stato a ricorrere
 attraverso il conflitto di  attribuzione  al  fine  di  pervenire  al
 ripristino  della  legalita' violata e, piu' precisamente, al fine di
 accertare quale sia l'organo effettivamente  competente  a  porre  in
 essere l'atto interferente con le attribuzioni statali.
    3. - Il ricorso merita l'accoglimento.
    Non  vi  puo'  esser  alcun  dubbio  che,  per  quanto concerne il
 contenuto  dispositivo,  il  decreto  del  Presidente  della   Giunta
 regionale della Sardegna 8 settembre 1992, n. 212, il quale recepisce
 gli  accordi  di comparto per i dipendenti regionali relativamente al
 triennio 1991-1993, si pone in evidente contrasto con  l'art.  7  del
 decreto-legge  n.  384  del  1992.  Quest'ultimo,  infatti,  contiene
 un'articolata   disciplina   della   cadenza    temporale    relativa
 all'applicabilita'degli  accordi  di  comparto  per  tutti i pubblici
 dipendenti, che e' senz'altro difforme  e  incompatibile  rispetto  a
 quella stabilita con l'atto impugnato.
    In  particolare,  l'art.  7, primo comma, del decreto-legge n. 384
 del 1992 prevede una deroga  eccezionale  e  temporanea  alla  regola
 della  ordinaria successione della disciplina derivante dagli accordi
 di comparto nel pubblico impiego stipulati ai sensi della legge n. 93
 del 1983. Piu' precisamente, la regola ordinaria ora  considerata  e'
 posta   dall'art.   13   della   legge-quadro  sul  pubblico  impiego
 (riprodotta testualmente nell'art. 4, ultimo  comma,  della  L.R.  25
 giugno  1984,  n. 33: Norme attuative della legge quadro sul pubblico
 impiego), il quale, nel prevedere la durata triennale  degli  accordi
 (primo comma), pone, a garanzia di una ordinata successione nel tempo
 della  disciplina  contrattuale,  una  norma di chiusura per la quale
 l'efficacia  degli  accordi  applicabili  in  un  dato   momento   va
 conservata  in  via  provvisoria sino all'entrata in vigore dei nuovi
 accordi, fermo restando che questi ultimi, una volta stipulati e resi
 efficaci,  "si  applicano  dalla  data  di  scadenza  dei  precedenti
 accordi"  (secondo  comma). Per ragioni attinenti al perseguimento di
 una rigorosa politica di contenimento del disavanzo  finanziario  nel
 settore  pubblico, tale ultrattivita' dell'efficacia degli accordi di
 comparto, prevista dall'art. 13 come situazione provvisoria in attesa
 dell'applicabilita' dei  successivi  contratti,  viene  imposta  come
 situazione  stabile sino al 31 dicembre 1993, con riferimento a tutti
 i rapporti di lavoro  dipendente  del  settore  pubblico,  in  virtu'
 dell'art. 7, primo comma, del decreto-legge n. 384 del 1992.
    In  altri  termini,  l'articolo  da  ultimo menzionato prevede una
 sospensione della regola posta dall'art. 13  della  legge-quadro  sul
 pubblico  impiego,  stabilendo un regime derogatorio secondo il quale
 "la vigente disciplina" derivante dagli accordi  di  comparto  "resta
 ferma  sino  al  31  dicembre  1993"  con la conseguenza che "i nuovi
 accordi  avranno  effetto dal 1› gennaio 1994". In tal modo, muovendo
 dal presupposto di fatto, corrispondente a realta', riguardo  al  non
 ancora  avvenuto  rinnovo  generalizzato  dei contratti nazionali del
 pubblico impiego relativi al triennio 1991-1993 e,  quindi,  partendo
 dalla  corretta  considerazione  che  al  momento gli accordi vigenti
 erano quelli relativi al periodo 1988-1990, l'art.  7,  primo  comma,
 del  decreto-legge  n.  384 del 1992 ha disposto per questi ultimi la
 stabilizzazione della loro ultrattivita' sino al 31 dicembre 1993  e,
 conseguentemente,  ha  spostato  ex  lege l'inizio di efficacia degli
 accordi "nuovi" (rispetto a quelli relativi al periodo 1988-1990)  al
 1› gennaio 1994.
    Cosi' interpretata, tale norma eccezionale, dettata dall'emergenza
 economica,  e' coerente con le altre disposizioni contenute nell'art.
 7 del  ricordato  decreto-legge,  le  quali  concorrono  con  essa  a
 realizzare una finalita' di sostanziale cristallizzazione del globale
 trattamento  economico in atto dei dipendenti pubblici. A tale scopo,
 infatti, sono diretti: il blocco per tutto il 1993  degli  incrementi
 retributivi  derivanti  da automatismi stipendiali (art. 7, secondo e
 terzo comma), il contenimento dei fondi di incentivazione relativi al
 1993 entro i limiti degli stanziamenti di bilancio stabiliti  per  il
 1991  (art.  7, quarto comma), il congelamento sui valori sussistenti
 nel 1992 delle indennita', dei compensi e delle gratifiche  (art.  7,
 quinto comma) e, infine, la variazione delle indennita' di missione e
 di  trasferimento entro i limiti coincidenti con il tetto programmato
 d'inflazione (art. 7, sesto comma).
    L'art. 7 contiene, in altri termini, una serie di norme diretta  a
 colpire  tutti  gli  elementi significativi del trattamento economico
 dei  dipendenti  pubblici  e  tutti  i  contratti  che  a  questi  si
 riferiscono.  Di modo che, nelle pur rare ipotesi di accordi relativi
 al triennio 1991-1993 gia' stipulati (com'e'  nel  caso  dell'accordo
 recepito  dall'atto  impugnato),  l'art. 7, primo comma, del decreto-
 legge n. 384 del 1992 viene ad esercitare in  relazione  al  caso  di
 specie  una  efficacia retroattiva. Ma questo atteggiarsi in concreto
 come  norma  producente  effetti  retroattivi,  rispetto  a   ipotesi
 peraltro  isolate  nell'ambito della situazione generale del pubblico
 impiego, non  e'  certo  irragionevole  o  ingiustificato  tanto  con
 riferimento  alla  ratio  della  norma  stessa  (la  cui finalita' di
 contenimento  del  disavanzo  pubblico  puo'   essere   efficacemente
 perseguita   soltanto   da  un  divieto  realmente  generalizzato  di
 eventuali sfondamenti  del  limite  posto),  quanto  con  riferimento
 all'imperativo    costituzionale    comportato   dal   principio   di
 eguaglianza, per il quale il legislatore e' tenuto  a  distribuire  i
 sacrifici  derivanti  da una politica economica di emergenza nel piu'
 totale rispetto di una sostanziale parita' di trattamento fra tutti i
 cittadini.
    4. - Posto che con la disciplina normativa stabilita dall'art.  7,
 primo  comma, del decreto-legge n. 384 del 1992, illustrata al numero
 precedente, il decreto del  Presidente  della  Giunta  della  Regione
 Sardegna  8  settembre  1992,  n.  212,  che  recepisce  l'accordo di
 comparto per i dipendenti pubblici regionali valido per  il  triennio
 1991-1993,  e'  realmente  confliggente,  occorre  verificare  se  la
 predetta disposizione del decreto-legge  abbia  una  natura  tale  da
 potersi  imporre  a  un  atto,  come  il  decreto  impugnato,  che e'
 esercizio della competenza di tipo esclusivo attribuita alla Sardegna
 dagli artt. 3, lettera a), e 6 dello Statuto speciale.
    Come  si e' gia' precisato nel punto precedente della motivazione,
 l'art. 7, primo comma, del decreto-legge n. 384 del 1992 e' rivolto a
 integrare, se pure prevedendo una deroga eccezionale e temporanea, la
 disciplina  sull'efficacia   temporale   degli   accordi   collettivi
 stabilita   dall'art.  13  della  legge  n.  93  del  1983.  Al  pari
 dell'articolo da ultimo menzionato, pertanto, l'art.  7  concerne  un
 aspetto  essenziale  del  principio  della  contrattazione collettiva
 disciplinato dall'art. 3 della  legge-quadro  sul  pubblico  impiego,
 piu'  volte  riconosciuto  da  questa  Corte come "norma fondamentale
 delle riforme economico-sociali" (v. sentt. nn. 356 del 1992, 217 del
 1987 e 219 del  1984).  Infatti,  la  determinazione  uniforme  della
 cadenza  temporale degli accordi collettivi nel pubblico impiego - e,
 con essa, l'insieme delle norme che ne disciplinano le vicende  o  ne
 prevedono  le  deroghe  - sono strettamente funzionali alla finalita'
 generale e all'indirizzo riformatore del settore, identificato  dalla
 stessa  legge-quadro  sul pubblico impiego nella omogeneizzazione del
 trattamento economico dei dipendenti.
    Tra l'art. 7 del decreto-legge n. 384 del 1992 e l'art.  13  della
 legge  n.  93 del 1983 non sussiste, in ogni caso, soltanto un legame
 formale, nel senso che i due articoli  fanno  sistema  dal  punto  di
 vista   giuridico.   Essi   sono   uniti,  altresi',  da  una  stessa
 connotazione sostanziale, tanto che nell'art. 7, come gia'  nell'art.
 13, si riscontrano i caratteri propri delle "norme fondamentali delle
 riforme  economico-sociali":  la profonda innovativita' del contenuto
 normativo, tenuto conto anche delle  motivazioni  e  delle  finalita'
 perseguite  dal  legislatore;  l'incidenza  su  settori di importanza
 essenziale per la vita della comunita' intera;  la  caratterizzazione
 delle   norme   previste   come   principi   generali,   che  esigono
 un'attuazione uniforme su  tutto  il  territorio  nazionale  (v.,  ad
 esempio, sentt. nn. 188, 356 e 366 del 1992; 349, 386 e 493 del 1991;
 274,  1002  e 1033 del 1988). Non v'e' dubbio, infatti, che le misure
 predisposte dal  decreto-legge  n.  384  del  1992,  comprese  quelle
 contenute  nell'art.  7, muovono da una non irragionevole valutazione
 della  situazione  sociale  ed  economico-finanziaria,  operata   dal
 legislatore  nella  sua  insindacabile  discrezionalita' politica, in
 base alla quale il congelamento  temporaneo  delle  retribuzioni  dei
 dipendenti  pubblici,  attuato  in  modo generalizzato e nel rigoroso
 rispetto del dovere costituzionale di distribuire in modo  eguale  il
 carico   dei   sacrifici   imposti  dall'emergenza,  costituisce  una
 componente essenziale di un disegno di politica economica  destinato,
 nel  complesso  dei  suoi  elementi  e  delle sue fasi, a trasformare
 profondamente la situazione di grave squilibrio finanziario esistente
 nel settore pubblico.
    Rispetto a questa conclusione  non  puo'  certo  trarsi  argomento
 contrario  dal  carattere  eccezionale e temporaneo delle norme poste
 dal ricordato art. 7, primo comma, del decreto-legge n. 384 del 1992.
 Questa Corte, infatti, ha gia' precisato (v. sentt. nn. 493 del  1991
 e  274  del  1988)  che  quel carattere non conduce necessariamente a
 escludere  la  qualificazione  di  norma  fondamentale   di   riforma
 economico-sociale  quando  la  natura  dell'intervento,  come  si  e'
 rivelato essere  nel  caso  in  questione,  sia  tale  da  indurre  a
 classificare  la  disposizione  che  lo prevede nella categoria delle
 norme in considerazione.
    5.  -  In ragione della connotazione dell'art. 7, primo comma, del
 decreto-legge n. 384 del 1992  come  norma  fondamentale  di  riforma
 economico-sociale, ai sensi dell'art. 3 dello Statuto speciale per la
 Sardegna, la disposizione relativa al temporaneo blocco degli accordi
 del  pubblico  impiego  sino  all'inizio  del  triennio successivo (1
 gennaio 1994), congiuntamente con quella concernente  la  conseguente
 ultrattivita'  ex  lege stabilmente conferita agli accordi precedenti
 (quelli riferiti al triennio 1988-1990), si applica con carattere  di
 uniformita'  su  tutto il territorio nazionale e, integrando la legge
 regionale che prevede, al pari della legge statale,  la  triennalita'
 degli accordi, vincola anche la Regione Sardegna nell'esercizio delle
 sue  competenze  esclusive  in  materia  di trattamento economico dei
 propri dipendenti.
    Da questa sostanziale natura del ricordato art. 7, e  non  gia'  -
 come   vorrebbe  il  ricorrente  -  dalla  introduzione  in  sede  di
 conversione   del   decreto-legge   della   clausola   di    generale
 applicabilita'  a  tutte  le  regioni,  incluse  quelle  ad autonomia
 differenziata, delle norme contenute nel decreto-legge  stesso  (art.
 13-  ter),  deriva  il  vincolo verso l'amministrazione della Regione
 Sardegna a non dare efficacia agli accordi di comparto per  i  propri
 dipendenti  relativi al triennio 1991-1993. Ne' il rilievo che l'atto
 oggetto del presente conflitto sia stato adottata ed emanato in  data
 anteriore  (8  settembre  1992) a quella del decreto-legge n. 384 (19
 settembre 1992) vale a salvare il decreto impugnato dal  giudizio  di
 illegittima  menomazione  dell'esercizio  di  competenze  statali. In
 realta', il fatto che il ricordato art. 7, primo comma,  prevede  una
 restrizione generalizzata della spesa pubblica destinata al pagamento
 del  trattamento  economico dei dipendenti, inclusi quelli degli enti
 regionali e locali, al fine di coinvolgere tutte  le  amministrazioni
 pubbliche   nella   difficile  opera  di  risanamento  del  disavanzo
 esistente nel settore, esclude che  possano  giustificarsi  esenzioni
 limitate  a singole aree del Paese o a singoli comparti e preclude la
 possibilita' di rinvenire motivi di irragionevolezza nella  efficacia
 retroattiva dello stesso art. 7 nei confronti dell'atto impugnato.
    Dalle   considerazioni  precedentemente  svolte  consegue  che  il
 decreto  del  Presidente  della  Giunta  della  Regione  Sardegna   8
 settembre 1992, n. 212, dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n.
 384  del  1992,  che  deroga alla triennalita' degli accordi disposta
 dall'art. 13 della legge  n.  93  del  1983  e  dalla  corrispondente
 disposizione  regionale  (art. 4, ultimo comma, L.R. n. 33 del 1984),
 costituisce un esercizio  di  attribuzioni  esclusive  regionali  che
 menoma   l'integrita'   della   competenza  statale  in  ordine  alla
 determinazione uniforme e generalizzata della disciplina  eccezionale
 stabilita  dall'art.  7, primo comma, del citato decreto-legge. Deve,
 quindi, esser affermata la non spettanza alla  Regione  Sardegna  del
 potere   di  conferire  efficacia  all'accordo  di  comparto  per  il
 personale dipendente dalla amministrazione  della  Regione  stessa  e
 dagli  enti  strumentali  regionali  relativo  al triennio 1991-1993,
 recepito con il decreto del Presidente  della  Giunta  della  Regione
 Sardegna 8 settembre 1992, n. 212.
    Restano  assorbiti  gli  ulteriori profili addotti dal ricorso per
 conflitto di attribuzione ora esaminato.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  che  non spetta alla Regione Sardegna conferire efficacia
 all'accordo  di  comparto   per   il   personale   dipendente   dalla
 amministrazione   della  Regione  stessa  e  dagli  enti  strumentali
 regionali relativo al triennio 1991-1993 e, conseguentemente, annulla
 il decreto del Presidente della Giunta regionale 8 settembre 1992, n.
 212, indicato in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 1› luglio 1993.
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
 93C0728