N. 297 SENTENZA 24 giugno - 1 luglio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Farmacie - Autorizzazione all'esercizio - Condanna penale - Decadenza
 -  Automaticita' - Trattamento differenziato per i farmacisti privati
 e  per  quelli  pubblici  -  Mancata   graduazione   della   sanzione
 all'addebito  - Inapplicabilita' del principio di proporzionalita' in
 mancanza di una sanzione disciplinare nella fattispecie  in  esame  -
 Disomogeneita' delle situazioni a raffronto - Non fondatezza.
 
 (Legge 2 aprile 1968, n. 475, art. 14).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.28 del 7-7-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato  GRANATA,  prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 14 della  legge
 2  aprile  1968  n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico),
 promosso con ordinanza emessa il 7 aprile  1992  dal  T.A.R.  per  la
 Sardegna  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Fasciolo Giovanni
 Battista contro la U.S.L. n. 18 di Senorbi, iscritta al  n.  764  del
 registro  ordinanze  1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Udito nella camera di consiglio  del  5  maggio  1993  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    Con delibera del Comitato di gestione dell'unita' sanitaria locale
 n.  18  di  Sernobi veniva dichiarata ( ex art. 14 della legge n. 475
 del     1968)     la     decadenza     di      Fasciolo      Battista
 dall'autorizzazioneall'esercizio  di titolare in gestione provvisoria
 della sede farmaceutica del Comune di Pimentel per essere passata  in
 giudicato  una  sentenza  di  condanna  penale  con  pena  accessoria
 dell'interdizione dai pubblici uffici per un periodo di  due  anni  e
 sei  mesi. Tale provvedimento veniva impugnato, con ricorso al T.A.R.
 per la Sardegna, dal Fasciolo, tra l'altro, perche' l'Amministrazione
 non  gli  aveva  dato  la  possibilita'  di  presentare  le   proprie
 controdeduzioni prima della sua emanazione.
    Il  T.A.R.  adito  -  esclusa  l'ipotesi  del  reato  di carattere
 politico che lo stesso cit. art. 14 prevede come condizione  negativa
 per  l'emissione del provvedimento - ritiene irrilevante il fatto che
 il ricorrente non sia stato posto in  grado  di  esporre  le  proprie
 argomentazioni  difensive  prima  dell'emanazione  del  provvedimento
 sanzionatorio, atteso l'effetto automatico  della  decadenza  stessa;
 solleva pero' (con ordinanza del 7 aprile 1992) questione incidentale
 di  legittimita'  costituzionale dell'art. 14 cit. per contrasto "con
 il principio della graduazione della  sanzione  disciplinare"  e  con
 l'art. 3 Cost.
    Osserva  in  particolare che la Corte costituzionale, con sentenza
 n. 971  del  1988,  nel  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  85  del  testo  unico per gli impiegati civili dello Stato
 nella  parte  in  cui  prevedeva  automaticamente  la  decadenza  dai
 pubblici  uffici  come  conseguenza  penale  di  specifici  reati, ha
 escluso che l'amministrazione possa comminare  sanzioni  disciplinari
 "senza  alcun  adeguamento  al  caso  concreto",  sicche' la tendenza
 dell'ordinamento  risulta  essere  quella  di  estendere  anche  alle
 sanzioni  disciplinari l'applicazione del principio della gradualita'
 della pena in funzione della concreta gravita'  del  fatto  commesso.
 Nella  specie  invece  -  rileva  il  T.A.R.  rimettente  - l'art. 14
 censurato   prevede   l'automatica   decadenza    dall'autorizzazione
 all'esercizio  (anche  provvisorio)  di  una  farmacia per effetto di
 condanna penale che comporti l'interdizione perpetua o temporanea dai
 pubblici uffici ovvero dalla professione. Ritiene poi che  l'art.  14
 contrasti  con  l'art.  3  cost.  per  disparita'  di trattamento tra
 farmacisti privati rispetto a  quelli  "pubblici",  per  i  quali  e'
 prevista  la destituzione di diritto soltanto in caso di condanna per
 specifici delitti che importino l'interdizione perpetua dai  pubblici
 uffici;  non  sussiste  invece  alcuna  ragione  giustificatrice  per
 disciplinare  in  modo  differente  il  sistema  delle  sanzioni  dei
 farmacisti  secondo  che  questi  operino privatamente o in strutture
 pubbliche.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata  sollevata  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale - in riferimento all'art. 3 Cost. - dell'art. 14 della
 legge   2   aprile   1968  n.  475  (Norme  concernenti  il  servizio
 farmaceutico)   nella   parte   in   cui   prevede    la    decadenza
 dall'autorizzazione  all'esercizio  di  una  farmacia  per effetto di
 condanna penale che comporti l'interdizione perpetua o temporanea dai
 pubblici uffici ovvero dalla professione per sospetta violazione  del
 principio della "graduazione della sanzione disciplinare", essendo la
 decadenza  prevista  come  effetto  automatico  della condanna penale
 senza possibilita' di valutare che la sanzione sia  proporzionata  al
 fatto   addebitato.   E'   poi  ulteriormente  prospettata  anche  la
 violazione del principio della  parita'  di  trattamento  in  ragione
 dell'ingiustificata disciplina differenziata per i farmacisti privati
 e  per  quelli  "pubblici", giacche' per questi ultimi e' prevista la
 destituzione  di  diritto  soltanto in caso di condanna per specifici
 delitti che importino l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
    2. - Va premesso che con la legge n. 475 del 1968 il  legislatore,
 nel dettare norme concernenti il servizio farmaceutico, ha introdotto
 una  nuova  ipotesi di decadenza dall'autorizzazione all'esercizio di
 tale servizio, la quale si e' venuta ad aggiungere a quelle gia' con-
 template dagli artt. 108, 111 e  113  del  testo  unico  delle  leggi
 sanitarie,  approvato  con  r.d.  21  luglio 1934 n. 1265; infatti ha
 previsto (all'art. 14) che la decadenza debba essere  dichiarata  per
 effetto di condanna che comporti l'interdizione perpetua o temporanea
 dai  pubblici  uffici ovvero l'interdizione dalla professione, quando
 la condanna non sia stata pronunciata per reati di natura politica.
    Successivamente il legislatore, nel dettare norme di riordino  del
 settore  farmaceutico (legge 8 novembre 1991 n. 362), ha modificato -
 ed in parte  abrogato  -  le  disposizioni  della  legge  n.  475/68,
 lasciando pero' inalterata la formulazione dell'art. 14 cit.
    3.  -  Di  tale  norma  il T.A.R. rimettente censura l'automatismo
 perche' non consentirebbe all'Amministrazione di graduare la sanzione
 alle connotazioni peculiari del caso di specie. Non censura invece la
 (ritenuta dal giudice a quo) mancanza di un  previo  procedimento  di
 contestazione  che  pur  ha  un'autonoma funzione di garanzia vuoi se
 riferito  a  sanzioni  disciplinari  variamente  graduabili  (perche'
 consente  all'incolpato  di  allegare  giustificazioni  o elementi di
 fatto a suo favore anche  al  fine  di  indirizzare  l'esercizio  del
 potere disciplinare verso l'applicazione di una sanzione meno grave),
 vuoi  se  afferente  ad  effetti  automatici della sentenza penale di
 condanna (perche' pone il destinatario del provvedimento  restrittivo
 nella condizione di poter contestare il presupposto del provvedimento
 stesso   prima   della   sua   emissione).   Quindi   questo  profilo
 (procedimentale) e' fuori dal thema decidendum sicche' non  viene  in
 rilievo il principio generale del contraddittorio (audietur et altera
 pars).
    La   censura  di  illegittimita'  costituzionale  riguarda  dunque
 unicamente l'aspetto sostanziale,  mirando  l'ordinanza  del  giudice
 rimettente    ad    introdurre    una    valutazione    discrezionale
 dell'Amministrazione  che  consenta   di   "graduare"   la   sanzione
 all'addebito.
    4.  -  Orbene  e'  vero  che  questa  Corte ha piu' volte ribadito
 l'esistenza di un principio di  giusta  proporzione  tra  sanzione  e
 fatto  sanzionato (da ultimo cfr. sent. n. 16 e n. 22 del 1991, n. 40
 del 1990; e, prima ancora,  la  cit.  sent.  n.  971  del  1988).  In
 particolare  la  Corte  ha affermato che l'automatismo della sanzione
 "offende quel  principio  di  proporzione  che  e'  alla  base  della
 razionalita'  che  domina  il  principio di eguaglianza e che postula
 l'adeguatezza della sanzione al caso concreto" (sent. n. 16/91 cit.).
    Tale principio pero' e' stato sempre  affermato  nel  contesto  di
 sistemi, variamente articolati, di sanzioni disciplinari afferenti ad
 un   rapporto   di   lavoro   ovvero  all'esercizio  di  un'attivita'
 professionale. In siffatto  contesto,  che  vede  una  pluralita'  di
 sanzioni  disciplinari  graduate  secondo  la  gravita' dell'addebito
 (sicche' si va dalla  mera  censura  alla  destituzione  dall'impiego
 ovvero   alla   radiazione   dall'albo  professionale),  la  sanzione
 automatica rivela la  sua  intrinseca  irragionevolezza  perche'  non
 consente  il  giusto  ed  adeguato  proporzionamento  della  sanzione
 all'addebito.
    Nella  fattispecie  invece  non  vi e' una vera e propria sanzione
 disciplinare, ne' e' riscontrabile un complesso di misure afflittive,
 di minore gravita' rispetto alla decadenza, in relazione  alle  quali
 valutare  l'eventuale maggiore o minore adeguatezza rispetto al fatto
 addebitato.
    Vi  e'  invece,  da  una   parte,   un   rapporto   autorizzatorio
 (all'esercizio   della   farmacia)   che   non  radica  alcun  potere
 disciplinare, ma di mera vigilanza; v'e', dall'altra,  la  previsione
 (indiretta)  di  un  requisito  soggettivo  per  la  prosecuzione del
 rapporto stesso. Previsione - questa - che si appalesa affatto  ovvia
 nel  caso  in  cui la condanna penale abbia comportato l'interdizione
 dalla professione non potendo piu' il soggetto autorizzato proseguire
 nell'esercizio  della  professione  interdetta   (nella   specie   di
 farmacista)  tanto  che  l'art.    30  c.p.  espressamente prevede in
 generale  che  dall'applicazione  della  suddetta   pena   accessoria
 consegua   la   "decadenza"   dal   permesso   o   dall'abilitazione,
 autorizzazione o licenza. E previsione che  si  appalesa  altrettanto
 non   irragionevole   anche  nel  caso  di  applicazione  della  pena
 accessoria dell'interdizione (perpetua  o  temporanea)  dai  pubblici
 uffici,  rispetto  al  quale la parallela prescrizione di un siffatto
 requisito soggettivo negativo trova giustificazione nella valutazione
 con cui il legislatore, non travalicando dalla sua  discrezionalita',
 ha   ritenuto   che   la  mancanza  di  determinate  condanne  penali
 costituisca   presupposto   di   idoneita'   per   la    prosecuzione
 nell'attivita'  (autorizzata)  di  esercizio della farmacia (e non e'
 superfluo ricordare  che  in  generale  l'interdizione  dai  pubblici
 uffici  gia'  priva  il condannato, ex art. 28 c.p., di ogni pubblico
 ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di  pubblico  servizio,  e
 della qualita' ad essi inerente di pubblico ufficiale o di incaricato
 di pubblico servizio).
    5.  -  D'altra  parte  il  legislatore  -  quando,  con la legge 7
 febbraio 1990 n. 19, ha riformato la  disciplina  della  destituzione
 del   pubblico  dipendente  facendosi  carico  proprio  dei  principi
 espressi dalla citata giurisprudenza di questa Corte - ha tenuto  ben
 separata  l'ipotesi  della  destituzione  quale sanzione disciplinare
 automatica e quindi obbligatoria (che e' stata radicalmente  abrogata
 dall'art.  9 per essere sostituita con la sanzione della destituzione
 facoltativa  emessa  a   seguito   di   procedimento   disciplinare),
 distinguendola  dalle ipotesi in cui la condanna penale rilevi invece
 al fine del riscontro dei requisiti soggettivi per l'accesso a  posti
 di  lavoro pubblici o privati ovvero per il rilascio (e quindi - puo'
 aggiungersi - anche per il permanere) di provvedimenti  concessori  o
 autorizzatori.  In  questa  seconda  ipotesi - in cui, appunto, si e'
 fuori dall'ambito delle sanzioni disciplinari - il legislatore non ha
 rimosso l'automatismo, ma si e' limitato ad escludere che esso  operi
 allorche'   sia   stato   concesso  il  beneficio  della  sospensione
 condizionale della pena (art. 4, comma 2).
    In mancanza quindi di una sanzione disciplinare nella  fattispecie
 contemplata   dalla  norma  censurata  non  e'  evocabile  la  citata
 giurisprudenza della Corte  sul  principio  di  proporzione;  con  la
 conseguenza  che  la  censura  del  giudice rimettente non e' fondata
 perche' dalla mancanza di un requisito soggettivo per la prosecuzione
 del rapporto autorizzatorio il legislatore  puo'  legittimamente  far
 discendere  la decadenza dal rapporto stesso non essendo ipotizzabile
 una maggiore o minore "gravita'" di tale mancanza in  modo  da  dover
 proporzionare  ad  essa  la reazione dell'ordinamento e da richiedere
 una  graduazione  come  nell'ipotesi  di  vere  e  proprie   sanzioni
 disciplinari.
    6.  - La questione di costituzionalita' e' poi parimenti infondata
 anche in riferimento  al  principio  di  eguaglianza  atteso  che  la
 diversita'  di trattamento tra farmacisti, secondo che siano inseriti
 nella struttura sanitaria pubblica con  rapporto  di  impiego  ovvero
 operino  come  titolari  di un esercizio farmaceutico, non ridonda in
 vulnerazione dell'art.  3  Cost.  non  essendo  omogeneo  il  tertium
 comparationis evocato (che peraltro, rispetto alla prospettazione del
 T.A.R.  rimettente, va comunque rettificato atteso che il cit. art. 9
 della legge n. 19 del 1990 - come appena ricordato -  ha  escluso  in
 ogni  caso  la  destituzione di diritto del pubblico dipendente quale
 effetto automatico di condanna penale): infatti in un  caso  c'e'  un
 rapporto di impiego, che implica un potere disciplinare del datore di
 lavoro  e  richiede  il  rispetto  del principio di graduazione delle
 sanzioni disciplinari agli  addebiti;  nell'altro  c'e'  un  rapporto
 autorizzatorio  che  implica  la persistenza di determinati requisiti
 soggettivi in capo al soggetto autorizzato.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  14  legge  2  aprile  1968  n.  475  (Norme concernenti il
 servizio farmaceutico) sollevata  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione  del  T.A.R. per la Sardegna con l'ordinanza indicata in
 epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 1› luglio 1993.
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
 93C0729