N. 298 SENTENZA 24 giugno - 1 luglio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Obbligo di astensione del  giudice  -  Proposizione
 della  domanda - Valutazione della manifesta inammissibilita' o della
 manifesta infondatezza - Mancata previsione - Richiesta di  pronuncia
 additiva - Inammissibilita'.
 
 (C.P.C., art. 51, n. 3).
 
 (Cost., artt. 3, 97, 101 e 105).
(GU n.28 del 7-7-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato  GRANATA,  prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 51, n. 3, del
 codice di procedura civile,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  16
 ottobre  1992  dal  Pretore di Trapani - sezione distaccata di Alcamo
 nel procedimento civile vertente tra Catalano  Giuseppe  ed  altre  e
 Gruppuso Giuseppe, n. q. di curatore del fallimento di Calamia Rocco,
 iscritta  al  n.  20  del  registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  5,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio  del  5  maggio  1993  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1. - In un giudizio civile pendente innanzi al Pretore di Trapani,
 sezione distaccata di Alcamo, l'avv. Francesco Paolo Ruisi, difensore
 di  una  delle  parti in causa, presentava istanza di ricusazione del
 giudice  investito  della  controversia  (nei  cui  confronti   aveva
 proposto  domanda  di  risarcimento  del  danno  davanti  al  giudice
 conciliatore  di  Alcamo  per  alcune   affermazioni   contenute   in
 un'ordinanza  emessa  in un precedente giudizio), istanza subordinata
 al mancato esercizio da parte del medesimo giudice del  potere-dovere
 di astenersi.
    Il  pretore adito ha sollevato, con ordinanza del 16 ottobre 1992,
 questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 51, n.
 3, c.p.c. - in riferimento agli artt. 3, 97, 101 e 105 Cost. -  nella
 parte  in  cui  non  prevede la possibilita' di valutare la manifesta
 inammissibilita' o la manifesta infondatezza della  domanda  proposta
 nei  confronti  di  un  giudice  prima  che  sia  operante per questo
 l'obbligo di astensione.
    Ad avviso del pretore rimettente l'automaticita'  dell'obbligo  di
 astensione    espone    il    giudice   ad   iniziative   giudiziarie
 strumentalmente preordinate ad ottenere la sostituzione  del  giudice
 non   gradito   ed   inoltre   puo'   determinare  gravi  difficolta'
 organizzative dell'intero ufficio. Tali inconvenienti non  sussistono
 nell'ipotesi di azione diretta a far valere la responsabilita' civile
 del  magistrato  per fatti commessi nell'esercizio delle sue funzioni
 giacche' (oltre alla esclusiva legittimazione passiva dello Stato) e'
 prevista  (dalla  legge  13  aprile  1988  n.  117)  una  valutazione
 preliminare  in  camera di consiglio sulla non manifesta infondatezza
 della domanda; invece nessuna  analoga  valutazione  e'  prevista  in
 tutti i casi in cui il giudice sia stato citato in giudizio per fatti
 che  non  attengono  all'esercizio  della giurisdizione ovvero - come
 nella specie - sia stato  citato,  ancorche'  per  fatti  riguardanti
 l'attivita'  giurisdizionale,  innanzi  ad  un organo giudiziario non
 previsto dalla speciale normativa in materia (legge n. 117/88 cit.).
    Pertanto - conclude il giudice rimettente  -  la  norma  censurata
 confliggerebbe  con  i  principi  dell'indipendenza e della autonomia
 della funzione giurisdizionale (art. 101 Cost.), peraltro ostacolando
 la funzione di autogoverno della magistratura per  cio'  che  attiene
 alla  distribuzione  degli  affari  all'interno  dello stesso ufficio
 (art. 105 Cost.); violerebbe il  principio  di  non  irragionevolezza
 (art.     3    Cost.);    comprometterebbe    il    buon    andamento
 dell'amministrazione della giustizia (art. 97 Cost.).
    2. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato chiedendo
 che la questione sollevata sia dichiarata non fondata in quanto muove
 da  un'inammissibile  equiparazione  tra  causa di responsabilita' ex
 lege n. 117/88 e procedimento di astensione.
    Osserva  poi  che  il  procedimento  di  astensione  ha  carattere
 amministrativo e ad esso le parti rimangono estranee, laddove un sub-
 procedimento  di  delibazione della fondatezza o ammissibilita' della
 domanda proposta dal (o nei confronti del)  magistrato  non  potrebbe
 non   coinvolgere   la  posizione  delle  parti  stesse  della  causa
 "pregiudicante".
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 51, n. 3, c.p.c. in riferimento agli artt. 3, 97, 101 e 105
 Cost.  nella  parte in cui non prevede la possibilita' di valutare la
 manifesta inammissibilita' o la manifesta infondatezza della  domanda
 proposta  nei  confronti  di  un  giudice  prima che sia operante per
 questo l'obbligo di astensione; la norma e' sospettata di contrastare
 con il principio di non irragionevolezza e di comportare  la  lesione
 dei   principi   di   indipendenza  e  di  autonomia  della  funzione
 giurisdizionale, nonche' di buon andamento dell'amministrazione della
 giustizia.
    2. - Giova premettere che la disposizione censurata, nel prevedere
 l'obbligo di astensione del giudice civile quando egli stesso  od  il
 coniuge  abbiano  una causa pendente con una delle parti o alcuno dei
 suoi difensori, persegue la finalita' di assicurare  la  mancanza  di
 ogni  (pur  minima)  interferenza  sulla  posizione  di terzieta' del
 giudice  stesso  per  preservare  la  indipendenza   della   funzione
 giurisdizionale  quale  strumentale  presidio del diritto di agire in
 giudizio. La preminente esigenza di tutela di tale valore di  rilievo
 costituzionale  -  gia' evidenziata da questa Corte (sent. n. 390 del
 1991) che ha ritenuto  prevalenti  "la  garanzia  della  serenita'  e
 obiettivita'  dei  giudizi"  e  "la  imparzialita' e la terzieta' del
 giudice" - rende  pienamente  coerente  una  rigorosa  e  dettagliata
 disciplina  delle  ipotesi di astensione del giudice (ed in genere di
 chi sia chiamato ad operare  in  posizione  di  terzieta',  quale  il
 consulente  tecnico  d'ufficio  che puo' essere ricusato nelle stesse
 ipotesi di astensione del giudice), potendo il  legislatore  prendere
 in  considerazione anche situazioni in cui il rischio di interferenza
 sia  minimo.  Non  sarebbe  quindi  censurabile,  sotto  alcuno   dei
 parametri  invocati,  il fatto che il legislatore, nel prevedere come
 ipotesi di astensione la pendenza di una causa tra il giudice adito e
 la parte od il suo difensore,  non  abbia  enucleato  la  fattispecie
 della  causa  manifestamente  infondata  (o  addirittura  temeraria),
 omettendo di prevedere un meccanismo di  "filtro"  per  escludere  in
 questo  caso  l'obbligo  di  astensione,  atteso  anche  che  in tale
 evenienza potrebbe non diminuire affatto il rischio  di  interferenza
 sulla  serenita'  del  giudizio,  se  non  addirittura risultare esso
 accentuato in ragione della  consapevolezza  del  giudice  di  essere
 stato ingiustamente chiamato in giudizio.
    3.  -  Ne' rileva la disciplina dettata dall'art. 5 della legge n.
 117 del 1988 sulla responsabilita' civile dei magistrati e richiamata
 dal giudice rimettente. Le situazioni non sono comparabili perche' la
 previa delibazione ivi prevista circa la  eventuale  inammissibilita'
 per  manifesta  infondatezza  della domanda di risarcimento dei danni
 assertivamente    provocati    nell'esercizio     della     attivita'
 giurisdizionale  trova  la  sua  ragione  d'essere nella peculiare ed
 autonoma esigenza di evitare che la possibilita' di un indiscriminato
 ingresso di pretese risarcitorie (seppur nei confronti  dello  Stato,
 ma  con  azione di rivalsa nei confronti del giudice) induca remore o
 timori nell'esercizio dell'attivita' giurisdizionale per  il  rischio
 di azioni temerarie od intimidatorie (sent. n. 468 del 1990).
    4.  - La fattispecie della causa manifestamente infondata e' pero'
 presa  in  considerazione  dall'ordinanza  del   giudice   rimettente
 essenzialmente  sotto  un profilo del tutto particolare che e' quello
 di una artificiosa preordinazione della pendenza della  lite  proprio
 al  fine di predisporre un'ipotesi di automatica astensione (e quindi
 anche  di  possibile  ricusazione)  di  un  determinato  giudice  non
 gradito.  In  tale  evenienza  in effetti non e' dato rinvenire nella
 disciplina processuale un meccanismo di  preventiva  valutazione  che
 valga ad evitare l'automatismo dell'astensione, salvo considerare che
 -  ove  di  fatto  il giudice non si astenga proprio per il carattere
 fittizio della lite (e sempre che cio' possa essere valutato in  sede
 disciplinare per escludere ogni responsabilita' del giudice stesso) -
 la  causa di astensione ridonda in causa di ricusazione, per la quale
 e' invece prevista  dagli  artt.  53  e  54  c.p.c.  una  delibazione
 preliminare  che puo' condurre all'inammissibilita' del ricorso della
 parte ove risulti la fittizieta' della lite ad arte provocata.
    Non di meno pero' deve riconoscersi che esiste un qualche  rischio
 di  strumentalizzazione  dell'ipotesi  di  astensione obbligatoria in
 esame,  non  sufficientemente  bilanciato   dalla   possibilita'   di
 qualificare  un tale comportamento vuoi come violazione del dovere di
 lealta' processuale delle parti (art. 88 c.p.c.), vuoi come  condotta
 non   conforme   alla  deontologia  professionale  forense  e  quindi
 suscettibile di sanzioni disciplinari; rischio che ridonderebbe - pur
 senza considerare la possibile incidenza sul  principio  del  giudice
 naturale,   in  quanto  non  evocato  dal  giudice  rimettente  -  in
 vulnerazione dei  principi  di  indipendenza  e  di  autonomia  della
 funzione     giurisdizionale,     nonche'     di    buon    andamento
 dell'amministrazione della giustizia. Ma la costruzione di  una  fase
 di  delibazione  preliminare  analoga a quella prevista per l'ipotesi
 della  ricusazione  e'  compito  del  legislatore   che   nella   sua
 discrezionalita' puo' variamente disegnarla sia in ordine all'atto di
 impulso,   sia  al  procedimento  e  all'individuazione  del  giudice
 competente ad operare tale delibazione, sia all'idoneita', o meno, di
 tale fase incidentale a sospendere il giudizio.
    L'ordinanza di rimessione chiede quindi alla Corte  una  pronuncia
 additiva che non si presenta affatto a rime obbligate essendo plurime
 le  ipotesi  di  disciplina  del meccanismo di preventiva valutazione
 della causa manifestamente infondata, preordinata a precostituire  un
 motivo  di astensione o ricusazione del giudice; sicche' la questione
 di costituzionalita' va dichiarata inammissibile.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 51, n. 3, del codice  di  procedura  civile  sollevata,  in
 riferimento  agli artt. 3, 97, 101 e 105 della Costituzione, dal Pre-
 tore di  Trapani,  sezione  distaccata  di  Alcamo,  con  l'ordinanza
 indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 1› luglio 1993.
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
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