N. 383 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 novembre 1992- 22 giugno 1993
N. 383 Ordinanza emessa il 4 novembre 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 22 giugno 1993) dal tribunale amministrativo regionale della Toscana sul ricorso proposto dalla Cassa di Risparmio di Pisa contro il Ministero del tesoro ed altro Banca - Enti creditizi istituiti in enti pubblici - Obbligo di prevedere nei propri statuti che una quota non inferiore ad un quindicesimo dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento e dell'accantonamento obbligatorio, venga destinata alla costituzione di fondi speciali presso le regioni, al fine di istituire per il tramite degli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attivita' - Deteriore trattamento degli istituti di credito tenuti alla contribuzione in questione rispetto agli altri istituti di credito con incidenza sulla liberta' di iniziativa economica per la mancanza di discrezionalita' circa la destinazione dei fondi nonche' sui principi della capacita' contributiva, della tutela del risparmio, di copertura finanziaria e di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. (Legge 11 agosto 1991, n. 266, art. 15, primo e secondo comma). (Cost., artt. 2, 3, 24, 41, 47, 53, 81 e 97).(GU n.29 del 14-7-1993 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 576/1992 proposto dalla Cassa di Risparmio di Pisa, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Alberto Predieri', Carlo Mezzanotte e dal dott. proc. Alberto Bianchi, e presso lo stu- dio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Firenze, via dei Servi n. 49; contro il Ministero del tesoro in persona del Ministro pro-tempore; il Ministero per gli affari sociali, in persona del Ministro pro-tempore; entrambi rappresentati e difesi dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze, via degli Arazzieri n. 4; per l'annullamento del provvedimento del Ministro del tesoro del 7 aprile 1992 (con cui e' stato approvato il progetto di ristrutturazione formulato ai sensi dell'art. 1 della legge n. 218/1990 e dell'art. 2 del decreto legislativo n. 356/1990 per la costituzione di una societa' per azioni bancaria denominata "Cassa di risparmio di Pisa S.p.a." e la successiva creazione di un gruppo creditizio unitamente ad altre sei consorelle della Toscana), nella parte in cui stabilisce che "l'ente Cassa di risparmio di Pisa" dovra' opportunamente integrare lo statuto al fine di recepire le disposizioni di cui all'art. 15, primo comma, della legge 11 agosto 1991, n. 266; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dei dicasteri intimati; Vista la memoria prodotta dalla parte resistente a sostegno della propria difesa; Visti gli atti tutti della causa; Udito, alla pubblica udienza del 4 novembre 1992 il consigliere dott. Ottorino Mazzuca; Uditi, altresi', l'avv.to A. Predieri e l'avv.to A. Bianchi per la ricorrente e l'avvocato dello Stato G. Albenzio per le amministrazioni resistenti; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F A T T O Con ricorso notificato il 6 giugno 1992, depositato il successivo 13 giugno, la Cassa di risparmio di Pisa ha impugnato il provvedimento del Ministro del tesoro del 7 aprile 1992 (con cui e' stato approvato il progetto di ristrutturazione formulato ai sensi dell'art. 1 della legge 30 luglio 1990, n. 218 e dell'art. 2 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356 per la costituzione di una societa' per azioni bancaria denominato "Cassa di risparmio di Pisa S.p.a." e la successiva creazione di un gruppo creditizio unitamente ad altre sei consorelle della Toscana) nella parte in cui stabilisce che "l'ente Cassa di risparmio di Pisa dovra' opportunamente integrare lo statuto al fine di recepire le disposizioni di cui all'art. 15, primo comma, della legge 11 agosto 1991 n. 266". Con un unico, articolato motivo di gravame la ricorrente ha dedotto l'illegittimita' derivata del provvedimento impugnato dall'illegittimita' costituzionale della legge n. 266/1991, art. 15, primo e secondo comma, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 24, 41, 47, 53, 81 e 97 della Costituzione. Con memoria difensiva depositata il 22 ottobre 1992, le amministrazioni intimate, costituitesi in giudizio, hanno sostenuto l'infondatezza del ricorso. Alla stessa udienza, sulle conclusioni dei difensori delle parti, la causa e' passata in decisione. Con ordinanza in pari data e' stata accolta l'istanza cautelare contenuta nel ricorso. D I R I T T O Nel ricorso in esame la Cassa di risparmio di Pisa chiede l'annullamento del provvedimento del Ministro del tesoro nella parte in cui - nell'approvare il progetto di ristrutturazione, ai sensi dell'art. 1 della legge 30 luglio 1990, n. 218 e dell'art. 2 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, per la costituzione di una societa' per azioni bancaria denominata "Cassa di risparmio di Pisa S.p.a." e la successiva creazione di un gruppo creditizio unitamente ad altre sei consorelle della Toscana - stabilisce che "l'Ente Cassa di risparmio di Pisa dovra' opportunamente integrare lo statuto al fine di recepire le disposizioni di cui all'art. 15, primo comma, della legge 11 agosto 1991, n. 266". La norma appena citata dispone, che "gli enti di cui all'art. 12, primo comma del decreto-legge 20 novembre 1990, n. 356, devono prevedere nei propri statuti che una quota non inferiore ad un quindicesimo dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento e dell'accantonamento di cui alla lettera d) del primo comma dello stesso art. 12, venga destinata alla costituzione di fondi speciali presso le regioni al fine di istituire, per il tramite degli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenere e qualificarne l'attivita'". Nel secondo comma prevede che "le Casse di risparmio, fino a quando non abbiano proceduto alle operazioni di ristrutturazione di cui all'art. 1 del citato decreto-legge n. 356/1990, devono destinare alle medesime finalita' di cui al primo comma del presente articolo una quota pari ad un decimo delle somme destinate ad opere di beneficenza e di pubblica utilita' ai sensi dell'art. 35, terzo comma, del regio decreto 25 aprile 1929, n. 967, e succesive modificazioni". Con prospettazione non manifestamente infondata la ricorrente de- duce, in un unico ed articolato motivo di censura, l'illegittimita' derivata del provvedimento impugnato dall'asserita illegittimita' costituzionale del citato art. 15 della legge n. 266/1991, in relazione agli artt. 2, 3, 24, 41, 47, 53, 81 e 97 della Costituzione, dei quali assume la violazione sotto diversi e complementari profili. In particolare, la difesa della ricorrente evidenzia il carattere profondamente innovativo delle disposizioni anzidette rispetto alla precedente normativa di cui all'art. 35, terzo e quarto comma, del regio decreto 25 aprile 1929, n. 967, che conferiva alle Casse di risparmio ampia discrezionalita' nell'erogazione degli utili per opere di beneficenza o per fini di pubblica utilita' (le espressioni "possono essere assegnati" le "casse potranno destinare" non abbisognano di ulteriori cenni esegetici) nell'ambito del potere di gestione che alle stesse casse e' attribuito. Del tutto diversamente appare, invece, disciplinato dalla norma in esame il prelievo coattivo, vincolato nella misura e nella individuazione dei destinatari con conseguente lesione dell'autonomia gestionale dell'ente. Inserendo, infatti, il contenuto precettivo in questione tra le clausole statutarie, puo' ritenersi che ne derivi la conseguente violazione dell'art. 3, sotto il profilo della disparita' di trattamento fra enti di credito e dell'irragionevolezza, ed arbitrarieta' di imposizione con grave pregiudizio anche della possibilita' di esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Costituzione). Si assume piu' analiticamente essere una siffatta prestazione irragionevole ed incongrua con le esigenze di maggiore competitivita' e di efficienza delle aziende di credito, poste a fondamento della nuova disciplina sulla loro ristrutturazione; tale prestazione prescinde inoltre da indici rivelatori della capacita' contributiva della categoria colpita (ente creditizio) venendo ad incidere solo su alcuni soggetti, in violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, che riaffermano il generale principio di uguaglianza nella materia della partecipazione "alle spese pubbliche" il carattere partecipativo alla spesa pubblica si risolverebbe, inoltre, nel trasferimento diretto di ricchezza a carico di una categoria di soggetti e ad esclusivo beneficio di altra categoria, non necessariamente improntata a configurazione pubblicistica. I principi di unita', universalita', veridicita' e globalita' del bilancio (per cui tutte le entrate costituiscono un fondo unico per l'erogazione delle spese pubbliche), d'altra parte, risulterebbero lesi, in relazione all'art. 81 della Costituzione, con conseguente violazione del successivo art. 97, che pone il principio del buon andamento amministrativo. La prestazione in esame, infatti, non ha natura parafiscale bensi' costituisce tributo di scopo, per cui alla singola entrata viene fatta corrispondere la destinazione della spesa, con manifesta gestione fuori bilancio, vietata dall'art. 5 della legge 5 agosto 1978, n. 468 e con conseguente ulteriore violazione degli artt. 97 e 3, secondo comma, della Costituzione. Si aggiunga che in contrasto con la ratio della riforma delle Casse di risparmio si introduce una grave menomazione del diritto di iniziativa imprenditoriale (titolato dall'art. 41, primo comma, della Costituzione) non dissociabile, nell'ottica delle iniziative per fini sociali, dalla sancita liberta' di cui all'art. 2 della Carta costituzionale, irragionevolmente ed arbitrariamente rendendo obbligatorio il concorso ad iniziative c.d. di volontariato che al piu', ai sensi dell'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 356/1990, dovrebbero ritenersi facoltative e marginali. Sotto altro profilo, risulterebbe violato l'art. 3 della Costituzione per l'ingiustificata equiparazione tra tutti gli enti facoltizzati al conferimento di azienda, a prescindere dalla loro origine storica, spesso estranea alla finanza statale, con arbitraria esclusione soltanto degli enti che partecipino alla S.p.a. conferitaria in posizione di azionisti minoritari. Posto che gli anzidetti vizi di illegittimita' costituzionale del citato art. 15 della legge n. 266/1991 incidono sull'impugnato provvedimento che, nel caso in esame, ne ha fatto applicazione, la questione di costituzionalita' prospettata deve ritenersi altresi' rilevante in quanto pregiudizialmente preordinata all'esame di merito del ricorso in oggetto. Nel qualificare i dubbi di costituzionalita' evidenziati nel disposto dell'art. 15 della legge 11 agosto 1991, n. 266 come non manifestamente infondati, il collegio ritiene di dover ricordare come nella giurisprudenza in tema di capacita' contributiva e' costante il richiamo alla razionalita', alla semplicita' ed alla giustificazione economica del tributo, al fine di evitare prelievi coattivi che si allontanino dalla ratio impositiva, sconfinando nell'arbitrio e nell'irragionevolezza (cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 256/1992 e 431/1987); si ribadisce nel contempo la necessita' di un collegamento effettivo, e di un'equa correlazione (in termini di proporzionalita' o di progressivita' tra la prestazione imposta ed il suo presupposto patrimoniale, in modo che siano evitate distorsioni e dilatazioni quantitative del carico tributario (cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 103/1991 e 92/1972). Peraltro, dai principi costituzionali dell'unita', dell'universalita' e della integrita' del bilancio deriva il divieto dei tributi di scopo, aventi cioe' ad oggetto entrate con specifica destinazione di spesa. In tale ipotesi, infatti, il conseguente flusso di spesa diviene in concreto incontrollabile, in quanto collegato al pari flusso di entrata, sottraendosi al vaglio del Parlamento ed alle garanzie sottese al sistema del bilancio (art. 81 della Costituzione e art. 5 della legge n. 468/1978). Sembra in particoalre non infondato il dubbio che siasi voluto introdurre una nuova fonte d'obbligazione d'imposta avulsa dal sistema tributario, al solo fine di reperire somme per alimentare i fondi devoluti a nuovi servizi regionali per il volontariato, con connesso onere non determinato e non controllabile nei suoi termini di spesa pubblica e con innegabile pregiudizio della liberta' dell'iniziativa economica privata, in connessione con la tutela del risparmio (artt. 41, 97 e 47 della Costituzione) cui l'attivita' d'impresa della Cassa ricorrente e' finalizzata. Non ignora, invero, il collegio che una obbligazione contributiva non dissimile risultava, invero, imposta dall'art. 35, ultimo comma, del regio decreto 25 aprile 1929, n. 967 a carico dei monti di pieta' o monti di credito di pegno di prima categoria, anche se fusi con Casse di risparmio, a favore dell'opera nazionale per la protezione della maternita' e dell'infanzia, ai sensi dell'art. 12 dello stesso decreto, in relazione all'art. 7, n. 3, del regio decreto 24 dicembre 1934, n. 2316. Quest'ultima disposizione attribuiva alla ricordata opera una "percentuale degli utili di gestione dei monti di pieta' di prima categoria", nell'ambito della quota riservata a favore delle istituzioni di assistenza e di beneficenza all'uopo concorrendo alla formazione della dotazione finanziaria dell'opera medesima. Tali disposizioni non possono, pero', rappresentare ne' utile precedente legislativo ne' modello di riferimento istituzionale in considerazione essenzialmente, da un lato, del mutato assetto che alle Casse di risparmio il legislatore ha inteso imprimere in ragione di esigenze economico-aziendali e concorrenziali, e, dall'altro, della soppressione, per effetto della legge 23 dicembre 1975, n. 698, dell'opera maternita' ed infanzia e del trasferimento delle relative funzioni agli enti locali, con conseguente abrogazione delle normative sul finanziamento. Abrogazione che ovviamente elide, sotto ogni aspetto di correttezza e di rilevanza, l'esigenza di esaminare, alla stregua di parametri di costituzionalita' sopravvenuti alle stesse fonti normative citate, la legittimita' di norme che comunque ponevano in correlazione con taluni specifici cespiti l'obbligo di contribuzione per scopi sociali eccedenti l'ambito di proiezione delle finalita' degli enti colpiti dall'imposizione. Nei sensi indicati ritiene il collegio che debba disporsi la rimessione in via incidentale delle dedotte questioni dalla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale alla stessa rimettendo la soluzione della questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni dell'art. 15, primo e secondo comma, della legge 11 agosto 1991, n. 266, in relazione agli artt. 2, 3, 24, 41, 47, 53, 81 e 97 della Costituzione. Sospende il giudizio in corso, instaurato con il ricorso in epigrafe. Ordina che a cura della segreteria del tribunale sia eseguita la notificazione della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri, e la sua comunicazione ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. Cosi' deciso in Firenze, il 4 novembre 1992 dal tribunale amministrativo regionale della Toscana, in camera di consiglio. Il presidente; BERRUTI Il consigliere: BIANCHI Il consigliere est.: MAZZUCCA 93C0757